ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 11 maggio 2011

«La notte dei musei», tutte le mostre del Macro di Roma

A più cinque mesi dall’apertura dei nuovi spazi, il Macro di Roma, la cui riqualificazione è stata curata dall’architetto francese Odile Decq, si conferma sempre più come laboratorio attivo della sperimentazione, della contemporaneità e della creatività. L’ultima mostra in ordine di tempo ad essere stata inaugurata è la prima personale in Italia dell’americana Sarah Braman, «Lay Me Down», a cura di Elena Forin. Tre sculture, di cui una concepita e realizzata appositamente per gli spazi del museo capitolino, indagano e raccontano desideri nascosti e inaspettati del nostro mondo attraverso la luce, il colore e la materia.
Le sculture dell’artista americana sono spesso assemblaggi di oggetti di uso comune, come mobili, ferrovecchio e talvolta parti di carrozzerie, che nella loro imponente concretezza rappresentano –afferma la stessa Braman- «monumenti alle persone che amo, alla gioia e alla confusione che provo per l’essere viva». Questi lavori, in mostra fino al prossimo 12 giugno, concretizzano, dunque, stati d’animo e memorie personali, ma si presentano al contempo come «cose tra le cose»: esse infatti –si legge nella nota stampa- «non esistono in quanto [meri] riferimenti, allusioni, rappresentazioni o metafore … [ma] rimangono nel nostro spazio come cose in sé, reali come un tavolo o un albero».
La rassegna di Sarah Braman offre, inoltre, l’occasione per una passeggiata nel resto dell’imponente museo, in parte sorto nei vecchi stabilimenti della birreria Peroni. Sulle grandi pareti della sala Enel è possibile ammirare, per esempio, l’opera che l’artista rumeno Dan Perjovschi ha progettato appositamente per gli spazi del Macro. Si tratta di un gigantesco affresco, fatto di disegni, epigrammi e fumetti. Segni, questi, che riflettono, in forma ironica e satirica, sulle infinite contraddizioni dell’oggi, sul mondo politico, sociale e culturale della contemporaneità. «Il concept dell’opera, che è stata realizzata lo scorso febbraio, si snoda –spiegano gli organizzatori- sul paradigma della crisi economica globale e sul paradosso in cui la società turbo-consumistica postmoderna tenta di disinnescare i rischi della recessione».
Accanto a questa installazione, viene presentata la mostra «The crisis is (not) over. Drawings and dioramas», a cura di Teresa Macrì e visitabile fino al 12 giugno, con cinque diorami che Dan Perjovschi ha realizzato tra il 2006 e il 2009, durante viaggi in alcune città europee: Venezia, Firenze, Berlino-Bruxelles («Bexperience»), Londra e Stoccolma.
Sempre nella sala Enel sono visibili gli interventi di Arcangelo Sassolino ed Ernesto Neto. Il primo progetto, intitolato «Piccolo animismo», dà voce e suono alla stanza, alle sue tensioni postindustriali e ingegneristiche, nutrendosi allo stesso tempo dello spazio in cui è collocato. L’opera è, infatti, un grande contenitore di lastre in acciaio inox, che tuona inaspettatamente e che modifica continuamente la sua forma per effetto di un processo ciclico di immissione e sottrazione di aria in pressione al suo interno. L’altro lavoro esposto, realizzato dall’artista brasiliano Ernesto Neto nel 2008 per il Macro e oggi rivisitato, si intitola «While Nothing Happens» ed è un’installazione in lycra, fluttuante e profumata. Contenitori simili a calze da donna, sospesi da terra, accolgono cinque spezie colorate: pepe nero, cumino, chiodi di garofano, zenzero e curcuma. Nasce così un ambiente raccolto e meditativo, che coinvolge tutti i sensi dello spettatore, abbattendo le distanze tra arte e vita, creando «un’arte –per stessa ammissione dell’autore- che unisce, che ci aiuta a interagire con gli altri, che ci mostra il limite, inteso non come un muro ma come un luogo di sensazioni, di scambio e di continuità».
Progetti sempre appositamente ideati per gli spazi del Macro sono le opere «Rope» di Arthur Duff e «Orizzonte galleggiante» di Nathalie Junod Ponsard, vincitrici del bando di concorso Macro 2%, nato con l'intento di trasformare zone di passaggio del museo capitolino in luoghi per l’incontro tra pubblico e arte contemporanea. Le due installazioni site-specific, che dovevano avere come soggetto la «luce», sono state collocate al vano ascensori, al primo livello interrato –«zona di passaggio dall’ombra del parcheggio alla luce del foyer»– e sulla scala che collega via Nizza con la grande terrazza del museo –«area che indica riparo dallo spazio, progressione dalla strada all’apertura sulla terrazza».
L’opera di Arthur Duff è costituita da un’installazione neon di colore rosso e si completa con una proiezione laser sul fondo degli ascensori vetrati, visibile solo quando essi sono in movimento. Al centro del lavoro ci sono due frasi tratte dal film «Rope» («Nodo alla gola») di Alfred Hitchcock: «The action of the story is continuous; there are no time lapses of any kind» («L’azione della storia è continua; non ci sono scarti temporali di alcun tipo») e «Cat and rat cat and rat only who is the cat and who is the rat» («Gatto e topo, gatto e topo, ma chi è il gatto e chi è il topo»). Il visitatore quindi, nell’accedere al museo e nel percorrere gli spazi attraverso queste sequenze di racconto, vive, grazie alle luci fisse dei neon, una storia la cui azione è continua e senza interruzioni e di cui il laser lo fa diventare oggetto e soggetto in una sorta di delirante e imprevedibile inseguimento tra gatto e topo.
Nathalie Junod Ponsard ha, invece, ideato un orizzonte luminoso composto da led colorati. L’opera, posta sulla scalinata esterna che porta alla grande terrazza del Macro, colora le pareti bianche in maniera sempre diversa, con tonalità che vanno dal rosso al ciano, dall’arancione al blu indaco e del giallo al blu scuro.
Fino al 12 giugno, il museo capitolino mette in mostra anche due nuove opere della sua collezione: la fotografia «Interno Macro Roma» di Giuseppe Pietroniro e l’installazione «Untitled» (2010) del collettivo bolognese ZimmerFrei. Ma chi entra in questi giorni nelle sale di via Nizza, magari in occasione de «La notte dei musei» (in programma il prossimo week-end), potrà confrontarsi anche con la prima esposizione in Italia dei disegni di Antony Gormley, con una mostra sul «Laboratorio Schifano», con rassegne dedicate a giovani artisti come Nico Vascellari, Beatrice Pediconi e Roberto De Paolis, e con i documentari che il giornalista Franco Simongini realizzò, negli anni Settanta, per la Rai. Preziosi documenti, questi, per conoscere grandi artisti del Novecento quali Alberto Burri, Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Giacomo Manzù e Fausto Melotti, ma non solo.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Ernesto Neto, «While Nothing Happens», 2008-2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 2] Nathalie Junod Ponsard, «Orizzone galleggiante», 2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 3] Arthur Duff, «Rope», 2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 4]
Sarah Braman, «Lay Me Down», 2011.
[Le foto sono state messe a disposizione dall'ufficio stampa del Macro di Roma]

Informazioni utili

Macro, via Nizza, angolo via Cagliari - Roma. Orari: martedì–domenica, 11.00-22.00 (la biglietteria chiude alle 21.00); chiuso il lunedì; La notte dei musei (sabato 14 maggio 2011) apertura fino alle 02.00, con ingresso libero. Ingresso: intero € 11,00, ridotto: € 9,00; per i cittadini residenti nel Comune di Roma: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel +39.06.671070400 o macro@comune.roma.it. Sito internet: www.macro.roma.museum.

martedì 10 maggio 2011

«Noi credevamo», il Risorgimento secondo Mario Martone

A fine giugno sarà premiato, nello splendido scenario del Teatro antico di Taormina, con il «Nastro d’argento dell’anno». Nei giorni scorsi si è aggiudicato ben sette delle tredici statuette alle quali era candidato ai «David di Donatello», portando a casa premi per il miglior film e la miglior sceneggiatura, ma anche per la fotografia, la scenografia, i costumi, il trucco e il parrucco. Stiamo parlando di «Noi credevamo», la pellicola diretta dal regista napoletano Mario Martone, presentata in anteprima alla 67° Mostra del cinema di Venezia, dove ha conquistato la critica che non ha esitato a parlarne come di un progetto «poderoso, emozionante, bellissimo» («Il Messaggero), «magnifico» («La Repubblica»), «corale e potente» («Il Giornale»).
Il film, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti e sceneggiato dallo stesso Mario Martone con Giancarlo De Cataldo, sarà in programmazione al cinema teatro Sociale di Busto Arsizio nella giornata di giovedì 12 maggio, alle ore 14.30, a chiusura della rassegna «Per i centocinquanta anni dell’unità d’Italia: il cinema racconta», ideata da Agiscuola e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e in programma anche in un’altra ventina di città italiane.
Dopo le proiezioni delle pellicole «Le cinque giornate» di Dario Argento, «Correva l’anno di grazia 1870» di Alfredo Giannetti e «Uomini contro» di Francesco Rosi, tenutesi tra febbraio e aprile, la sala di piazza Plebiscito continua, dunque, il suo viaggio tra le pieghe della storia del Risorgimento, tra i fatti e le persone che hanno «fatto» l’Italia, focalizzando l’attenzione su alcune pagine poco note del tormentato processo unitario, come i moti savoiardi del 1834 o l’attentato di Felice Orsini a Napoleone III.
«Noi credevamo» è stato definito dalla critica come una sorta di «meglio gioventù» dell’Ottocento. Protagonisti sono tre ragazzi del Cilento, due nobili e un «figlio del popolo», che nel 1928, davanti alle teste mozzate dei leggendari banditi Capozzoli, promotori di una rivolta repressa nel sangue dall’esercito borbonico, giurano di consacrare la propria vita alla causa della libertà e dell’indipendenza dell’Italia. Attraverso i loro occhi, Mario Martone racconta poco più di tre decenni di storia, arrivando fino al 1862, l’anno della sfortunata impresa garibaldina in Aspromonte, e concludendo il suo racconto tra i seggi del primo Parlamento italiano, quello al palazzo Carignano di Torino.
Abbandonato il natio Sud, Domenico, Salvatore e Angelo -questi i nomi dei tre giovani protagonisti- si affilieranno alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, viaggeranno per l’Europa in nome di un sogno che vale la vita, quello di un Paese unito sotto una sola bandiera, pronti ad armarsi per uccidere i tiranni, a ordine congiure, a sventare traditori, a patire il carcere. A Parigi i tre ragazzi incontreranno l’affascinante principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, fervente patriota, ma anche paladina dei diritti delle donne e dell’istruzione del popolo. Una figura, questa, che sembra disegnata da Mario Martone a partire dal ritratto di Francesco Hayez, il pittore de «Il bacio» che, negli anni Trenta dell’Ottocento, immortalò a futura memoria questa donna affascinante e coraggiosa, ingiustamente dimenticata dalla storiografica, dipingendola in tutta la sua aristocratica bellezza, sensuale e insieme algida: abito nero, mani lunghe e affusolate, spalle nude dall’abbagliante candore, sguardo fiero e seducente.
Domenico, Salvatore e Angelo parteciperanno, quindi, ai moti savoiardi del 1834, ma anche al tentativo di assassinare re Carlo Alberto. Il fallimento di entrambe le missioni marcherà una profonda crisi nei tre giovani patrioti, acuendo le differenze di classe. Il popolano Salvatore, accusato di tradimento, sarà ucciso da Angelo, approdato a una visione demoniaca della rivoluzione come teatro di pura violenza (una visione che lo porterà alla morte sul patibolo, con Felice Orsini). Domenico continuerà, invece, la sua attività cospiratoria e, negli anni immediatamente successivi alla caduta della Repubblica romana, finirà in carcere, dove si confronterà con le acute frizioni ideologiche tra monarchici e repubblicani. Nemmeno la conseguita Unità riuscirà a placare il suo animo: ritornato nel Cilento, parteciperà al tentativo di conquistare militarmente Roma, in contrasto con le decisioni del neonato Parlamento italiano, e vedrà morire, per mano dell’esercito piemontese, il figlio dell’amico Salvatore: il giovane Saverio.
«Noi credevamo» è, dunque, un potente affresco in costume sui sentimenti e sugli avvenimenti che portarono alla nascita della nostra nazione. Un affresco frutto di una lunga ricerca storica e del lavoro, accurato, di un cast di ottima qualità: i tre giovani protagonisti sono portati in scena da Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco e Luigi Pisani. Toni Servillo veste i panni di Giuseppe Mazzini; Luca Zingaretti è Francesco Crispi. Luca Barbareschi e Guido Caprino interpretano rispettivamente Antonio Gallenga e Felice Orsini. Cristina Trivulzio di Belgiojoso, la regina dei salotti aristocratici e la musa ispiratrice dei carbonari, ha il doppio volto di Francesca Inaudi, in gioventù, e di Anna Bonaiuto, in età matura.
Interessante è anche la scelta musicale, che propone brani d’opera di Rossini, Verdi e Bellini, eseguiti dall’Orchestra sinfonica della Rai di Torino, diretta da Roberto Abbado.
La proiezione bustese, rivolta al triennio delle scuole secondarie di secondo grado, vedrà la partecipazione di quattro scuole cittadine: l’Itc «Enrico Tosi», che ha firmato una convenzione con Agiscuola nell’ambito del progetto nazionale «Carta Io Studio», e l’Ipc «Pietro Verri», l’Itis «Cipriano Facchinetti» e il liceo scientifico «Arturo Tosi». La presentazione della pellicola è a cura di Delia Cajelli, direttore artistico del teatro Sociale di Busto Arsizio.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Nell'immagine: Guido Caprino (Felice Orsini); [fig. 2]Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Al centro Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane) tra Andrea Bosca (Angelo giovane, a sinistra) ed Edoardo Natoli (Domenico giovane, a destra); [fig. 3] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Lo sbarco garibaldino sulle coste calabre; [fig. 4] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Nell'immagine:Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane).

Informazioni utili
«Noi credevamo» di Mario Martone. Cinema teatro Sociale, piazza Plebiscito, 8 - Busto Arsizio (Varese). Quando: giovedì 12 maggio 2011, ore 14.30. Ingresso libero, previa prenotazione del posto. Informazioni e prenotazioni: tel. 0331.679000.

lunedì 9 maggio 2011

A spasso tra i dieci parchi più belli d’Italia

Qual è il parco più bello d’Italia? Per avere una risposta bisogna aspettare la fine di questa estate, quando verrà designato il vincitore della nona edizione del concorso ideato dall’architetto Leandro Mastria per premiare le eccellenze del nostro patrimonio paesaggistico e architettonico. Non avete tempo di aspettare? Allora non vi resta che mettervi in viaggio, su e giù per il nostro «Bel Paese», alla scoperta dei dieci giardini e oasi naturali scelti da alcuni dei più riconosciuti esperti del settore, tra i quali Marcello Fagiolo (presidente del Comitato nazionale per lo studio e la conservazione dei giardini storici) e la giornalista Rossella Sleiter (collaboratrice per anni di «Linea Verde» e responsabile della rubrica dedicata ai giardini de «Il Venerdì di Repubblica»), quali parchi più belli d’Italia.
La nostra «passeggiata delle meraviglie» ha inizio da Ventimiglia, nella provincia di Imperia e a pochi chilometri dal confine francese, dove troviamo i Giardini botanici Hanbury, gestiti dall’Università degli sudi di Genova e realizzati grazie alla passione del viaggiatore inglese Sir Thomas Hanbury -e del fratello Daniel- che, acquistato il promontorio nel 1862, trasformò un terreno incolto in un bellissimo giardino con piante provenienti da ogni parte del mondo. L’aspetto di questo parco, che occupa una superficie di diciotto ettari tra giardino vero e proprio e vegetazione spontanea, è tipicamente all’inglese: l’esotico è intimamente connesso con la flora mediterranea e con le coltivazioni tradizionali, con vialetti irregolari e romantici rustici, pergolati e patii e una suggestiva vista del mare.
Sempre in Liguria, sul lungomare di Genova-Pegli, troviamo lo splendido Giardino di Villa Durazzo Pallavicini, uno dei più suggestivi parchi romantici ottocenteschi. Il visitatore, qui, si muove fra sentieri con architetture classicheggianti, rustiche, cinesi e fra una vegetazione costituita da palme, piante esotiche, lecci, allori e numerosi esemplari assai rari. Il tutto compone un racconto visivo che si sviluppa con un prologo e tre atti di quattro scene ciascuno, opera del pittore-scenografo Michele Canzio, con una successione di quadri paesaggistici voluti dal marchese Ignazio Pallavicini.
Una certa teatralità si respira anche al Vittoriale degli Italiani, la «cittadella» che fu dimora del poeta Gabriele d’Annunzio: un complesso di edifici, vie, piazze, teatri, giardini e corsi d’acqua eretto a memoria della vita del poeta e delle imprese eroiche degli Italiani durante la Grande guerra. Il parco, affacciato sul lago di Garda, occupa un terreno di nove ettari e si snoda lungo un percorso scandito da cimeli storici, ma ciò che colpisce maggiormente l’attenzione del visitatore sono le vaste aree boschive delle Vallette dell’Acqua Pazza e dell’Acqua Savia, attraversate da due ruscelli che confluiscono in un laghetto a forma di violino.
Lasciata la Lombardia, il viaggio tra i parchi più belli d’Italia prosegue in Toscana con i Giardini della Villa Medicea di Castello, oggi sede dell’Accademia della Crusca. Disposta su tre terrazze digradanti racchiuse entro alte mura perimetrali, questa oasi naturale, fatta costruire da Cosimo I nel 1538, ospita una vasta collezione di agrumi, un boschetto di lecci, due limonaie e la suggestiva «Grotta degli Animali», uno degli ambienti architettonici più rilevanti della cultura manierista, la cui ideazione è del Tribolo e che, forse, venne portato a termine dal Vasari, con l’aiuto del Giambologna.
Sempre a Firenze è possibile visitare il meraviglioso giardino di Villa Gamberaia, adagiato sulle colline di Settignano. Libera circolazione d’aria e di sole, abbondanza d’acqua, facile accesso a zone densamente ombreggiate, passeggiate con differenti visuali e una varietà di effetti prodotti dall’ingegnoso uso dei dislivelli sono gli elementi che rendono questo parco, probabilmente fatto costruire nel Settecento e ridisegnato nel 1895 dalla principessa Ghyka, uno dei migliori esempi di giardino all’Italiana.
Due sono i «parchi più belli» che si possono visitare anche nel vicino Lazio. In provincia di Viterbo, si trova Villa Lante a Bagnaia, una delle maggiori realizzazioni del Cinquecento italiano, il cui giardino fu voluto dal cardinale Gambara e fu realizzato dal Vignola, in nome della supremazia dell’uomo sulla natura. Chiusa in un rigoroso dedalo geometrico, la villa è attraversata longitudinalmente da un asse acquatico che sgorga in alto dalla roccia e segue il pendio del terreno, sfruttandone i dislivelli fino a placarsi nel parterre d’acqua con al centro la fontana dei Mori.
Un complesso gioco d’acque caratterizza anche il Giardino di Ninfa a Latina, tra i più bei parchi al mondo per il fascino particolare e misterioso esercitato dalle rovine presenti sul posto: una città abbandonata per la malaria e i saccheggi e rinata, a partire dal 1921, con Gelasio Caetani che, nel corso delle bonifiche delle paludi, intravide sotto quei ruderi l’anima di un suggestivo paesaggio sepolto da secoli. È universalmente riconosciuta la genialità insita nella creazione del giardino di Ninfa: un sito pervaso dal generale senso dell’abbandono, con i suoi ruderi monumentali ricoperti da una fitta coltre di vegetazione e, come già ricordato, con un complesso sistema delle acque. Il giardino presenta un gusto tipicamente anglosassone, compendio di botanica e di rovinismo, sul quale si cimentarono oltre al fratello di Gelasio, Roffredo, anche alcune figure femminili come la moglie di quest’ultimo, Marguerite Chopin, e la figlia donna Lelia Caetani Howard.
Il nostro itinerario prosegue in Campania con due perle del paesaggio mediterraneo: i giardini di Villa Rufolo, a Ravello, e di Villa San Michele, nell’isola di Capri.
Il primo è conosciuto anche come il «giardino dell’anima». La sua realizzazione si lega, nell’Ottocento romantico, alla scoperta del paesaggio mediterraneo e della costiera amalfitana in particolare. A questo richiamo non poteva sfuggire lo scozzese Nevil Reid, che acquistò la villa nel 1853 e che fece costruire un giardino su due livelli. Le antiche mura, appena nascoste dai cipressi e dai tigli, ci guidano discretamente fino al chiostro moresco e, dopo una breve pausa in cui le nobili architetture si prestano nude allo sguardo, una piccola scala ci introduce al primo livello del giardino. L’atmosfera è avvolgente e non a caso Wagner ne rimase folgorato al punto da esclamare: «Ho trovato il secondo atto del Parsifal!».
Avvolgente è anche la vista che offre il belvedere della Sfinge, punto panoramico di Villa San Michele. Il giardino di questa residenza, affacciata sul Golfo di Napoli, fu fatto costruire dal medico e scrittore svedese Axel Munthe, giunto in Italia per motivi di salute e approdato a Capri nel 1876. Sospeso fra cielo e mare, questo parco, ricco di angoli raccolti, ideali per la meditazione, ospita suggestive fioriture della flora mediterranea nel corso di tutto l’anno.
Tappa conclusiva del nostro percorso tra i giardini e parchi più belli d’Italia è il Giardino della Kolymbetra, nella valle dei Templi di Agrigento. Il parco, tornato all’antico splendore dopo decenni di abbandono grazie all’intervento del Fondo per l’ambiente italiano, si estende su cinque ettari. Nelle zone più scoscese si trovano lembi intatti di macchia mediterranea, nel torrente che solca il fondovalle ci sono pioppi, salici e tamerici, sugli ampi terrazzamenti, compresi tra suggestive e alte pareti di calcarenite, un antico agrumeto ricco di tante specie e varietà ormai rare, coltivato secondo antiche tecniche della tradizione araba.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Giardino della Kolymbetra – Agrigento (Agrigento - Sicilia); [fig. 2] Villa San Michele – Anacapri (Napoli – Campania); [fig. 3] Villa Rufolo – Ravello (Salerno – Campania); [fig. 4]
Giardini botanici Hanbury - Ventimiglia (Imperia - Liguria); [fig. 5]

Informazioni utili
«Il parco più bello» – edizione 2011. I finalisti: Giardini botanici Hanbury (www.giardinihanbury.com), corso Montecarlo 46 - Ventimiglia (Imperia); Villa Durazzo Pallavicini (www.villapallavicini.info), via Pallavicini 11 - Genova Pegli (Genova); Vittorale degli Italiani (www.vittoriale.it), via Vittoriale 12, Gardone Riviera (BS); Villa medicea di castello (www.polomuseale.firenze.it), via di Castello 47 – Firenze; Villa Gamberaia (www.villagamberaia.com), via del Rossellino 72 - Settignano (Firenze); Villa Lante (www.villalante.it), via Jacopo Barozzi 71 - Bagnaia (Viterbo); Giardino di Ninfa (www.fondazionecaetani.org), via Ninfina 68 - Cisterna di Latina (Latina); Villa Rufolo (www.villarufolo.it), piazza Duomo 1 - Ravello (Salerno); Villa San Michele (www.villasanmichele.eu), viale Azel Munthe 34, Anacapri (Napoli); Giardino della Kolymbetra (www.fondoambiente.it), Valle dei Templi - Agrigento. Informazioni: Segreteria organizzativa del concorso «Il parco più bello» - Pitagora Comunicazione, via Monterumici 8/7 – Treviso, tel. 0422.582112, fax 0422.545241. Sito web: www.ilparcopiubello.it.