ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 22 novembre 2016

«Horse and Rider», a Milano un'opera attribuita a Leonardo

È un singolare omaggio a Leonardo da Vinci quello che propone, dal prossimo 25 novembre, il Palazzo delle Stelline di Milano, nella sede dell’Institut Francais, con la mostra «Horse and Rider», per la curatela di Ernesto Solari, nella quale viene esposta per la prima volta in Italia l’omonima opera scultorea che Carlo Pedretti ha attribuito nel 1985 al maestro toscano.
Destinata a far parlare di sé per l’incertezza dell’attribuzione, messa in discussione tra gli altri da Vittorio Sgarbi e Pietro Maraini, la rassegna lombarda presenterà, accanto a un ampio corredo di materiali documentari come stampe e illustrazioni, anche una seconda scultura del genio fiorentino, la «Testicciola di terra», che presenta elementi comuni alla prima: entrambi i lavori provengono da collezioni private, non sono mai stati esposti in Italia, e portano una particolare firma -una L maiuscola e una V rovesciata-: una sigla, questa, ideata dal genio vinciano, riscontrata su un foglio del Codice Ashburnam.
Quello dell’opera «Horse and Rider» è di fatto un ritorno a casa. Il lavoro verrà, infatti, esposto in uno dei perimetri cittadini più frequentati da Leonardo durante il suo soggiorno milanese: il maestro lavorava assiduamente al cantiere del Cenacolo e, nel tempo libero, attraversava la strada per raggiungere la Casa degli Atellani, confinante proprio con l’attuale Palazzo delle Stelline, dove si rilassava passeggiando tra i filari della vigna donatagli da Ludovico il Moro nel 1498. La stessa vigna gli fu, poi, confiscata dal re di Francia nel 1502 e, infine restituitagli, nel 1507, dal Governatore francese Charles D’Amboise, suo amico ed estimatore, al quale è dedicata l’opera scultorea «Horse and Rider».
La scultura, datata tra il 1508 e il 1511, è un piccolo bronzo realizzato dal modello in cera leonardesco, che raffigura l’importante uomo politico d’Oltralpe fiero e altero in sella al suo destriero. Stando alla ricostruzione storica, il ritratto di Leonardo passò dalle mani dell’allievo Francesco Melzi ai suoi eredi, da una collezione privata milanese a una romana, fino agli anni Ottanta del Novecento quando ne fu ricavato uno stampo in gesso dall'originale in cera e, più tardi, una fusione in bronzo acquistata dai collezionisti americani Jim Petty e Rod Maly, in arrivo a Milano per presentare questo controverso pezzo della loro collezione.
«L’opera -raccontano gli organizzatori dell’evento- è un autentico capolavoro, non solo perché portatore di grande espressività, forza realistica e naturalezza, dovute alle profonde conoscenze anatomiche, umane e naturalistiche del vinciano, ma anche perché è l’unico modello di monumento equestre di Leonardo giunto fino a noi».
L’altra opera in mostra, «Testicciola di terra», raffigura, invece, il giovane Salaì, allievo e compagno di Leonardo, nei panni di un giovanissimo Giudeo o volto di Cristo fanciullo; anch’essa, realizzata verso la fine del XV secolo (1497-99), sarebbe siglata di proprio pugno dal maestro.
L’esposizione presenta, dunque, due opere di grande fascino e bellezza, capaci –secondo gli organizzatori- di «far scoprire e conoscere un nuovo mistero legato, con molta probabilità, a tutta l’opera scultorea di Leonardo, che potrebbe condizionare i prossimi studi e le future attribuzioni».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Horse and Rider, fronte, 1508-11 (bronzo 19x25), collezione privata; [fig. 2] Horse and Rider, stampi per il modello in cera e la fusione; [fig. 3] Testicciola di terra, lato 1, 1500 (terracotta 18,5x24), collezione privata

Informazioni utili
«Horse and Rider». Institut Francais - Palazzo delle Stelline, corso Magenta, 63 – Milano. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-19.00. Ingresso libero. Sito internet: www.davincihorseandrider.com. Dal 25 novembre al 23 dicembre 2016

lunedì 21 novembre 2016

Giacomo Balla e Torino, un artista e la sua città natale

Giacomo Balla e Torino: racconta il legame tra la città della Mole e il pittore futurista, le cui ricerche su colore, ritmo e movimento sono state al centro del dibattito artistico nei primi decenni del Novecento, la nuova mostra che la Gam – Galleria d’arte moderna di Torino ospita negli spazi della sua Curata da Virginia Bertone con un giovane allievo della Normale di Pisa, Filippo Bosco, l’esposizione offre un ritratto della scena artistica torinese fin de siècle in relazione alla formazione e alle amicizie dell’artista, che sotto il profilo professionale si affermerà poi a Roma all’inizio del Novecento.
La rassegna, visitabile fino al 27 febbraio, allinea per la prima volta una serie di rare fotografie di Mario Gabinio che documentano la realtà povera dei sobborghi torinesi, e in particolare del quartiere Rubatto, dove nacque l’artista, Accanto a queste immagini sono visibili il «Ritratto di Olimpia Oytana Barucchi» di Giacomo Grosso, lo studio di Giacomo Balla per il «Ritratto di Clelia Ghedini Marani», oltre a opere di Federico Boccardo, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Pilade Bertieri, Felice Carena e Antonio Maria Mucchi.
Il percorso espositivo prende avvio dalla sua frequentazione dei corsi all’Accademia Albertina (1886-1891), scelta che appare decisiva per un artista che sarà sempre consapevole dei suoi mezzi tecnici e non secondario in tal senso è l’autorevole insegnamento di Giacomo Grosso, che si afferma in quegli anni come figura centrale della scena accademica torinese.
La difficile situazione familiare ed economica impone al giovane Balla esperienze lavorative nel mondo della tecnica, che saranno importanti tanto quanto l’educazione artistica: dapprima dal litografo Pietro Cassina e poi nell’importante studio di Paolo (Pietro) Bertieri; qui l’artista approfondisce la pratica della fotografia cui lo aveva già avviato la passione autodidatta del padre.
L’amicizia con il figlio di Bertieri, Pilade, lo introduce nell’ambiente dei giovani artisti torinesi, che si individuano proprio come la generazione degli allievi di Grosso. Ricerche pittoriche isolate e singolari di coetanei di Balla, come gli interni intimisti di Federico Boccardo e soprattutto le analitiche vedute urbane di Francesco Garrone, sono esempi utili ad arricchire il panorama torinese. Questo era caratterizzato dalla pittura di paesaggio e da quella accademica: un particolare rilievo per l’artista assume la conoscenza di Giuseppe Pellizza da Volpedo, importante riferimento per il divisionismo che poi adotterà a Roma.
Il trasferimento a Roma nel 1895 non gli consente che una prima timida apparizione pubblica, con un acquerello non identificato, all’Esposizione della Promotrice di Belle arti nel 1891.

Non partecipa, dunque, alle grandi rassegne nazionali di fine secolo, nelle quali si profila la nuova generazione dei giovani torinesi, tutti allievi di Giacomo Grosso. È con questi artisti che può essere confrontata la prima produzione romana di Balla, che nel 1902 mandava da Roma un’opera alla Prima Quadriennale. Oltre a Pilade Bertieri, si tratta di Felice Carena, Antonio Maria Mucchi, Luigi Onetti, Mario Reviglione, Domenico Buratti.
Il fondamentale incontro con l’arte internazionale a Parigi nel 1900, la vivace ricerca di una modernità della pittura, la forte istanza sociale nelle opere di questi artisti, l’impatto positivo della torinese Esposizione d’arte decorativa moderna del 1902 sono tutti elementi presenti nel Giacomo Balla pre-futurista.
Questa mostra alla Gam permette, dunque, di recuperare una pagina importante e ben specifica della storia artistica di Torino, troppo a lungo dimenticata, ma è anche un’occasione per comprendere i successivi sviluppi artistici del pittore futurista, al centro in questi giorni di una rassegna promossa dalla Fondazione Ferrero ad Alba.

Informazioni utili 
Protoballa. La Torino del giovane Balla. Gam, via Magenta, 31 – Torino. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00; chiuso il lunedì | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: centralino tel. 011.4429518, segreteria tel. 011.4436907, e-mail gam@fondazionetorinomusei.it. Sito internet: www.fondazionetorinomusei.it. Fino al 27 febbraio 2017. 

venerdì 18 novembre 2016

Roma, apre l’area archeologica del Circo Massimo

È stato da poco restituito agli abitanti e ai turisti di Roma uno dei suoi luoghi simbolo: il Circo Massimo, il più grande edificio per lo spettacolo e lo sport dell’antichità e di tutti i tempi.
Con suoi i seicento metri di lunghezza e centoquaranta di larghezza, questo importante sito archeologico è stato scenografia nel corso di oltre 2800 anni di varie leggende legate alle origini della città, a cominciare dal ratto delle Sabine, avvenuto in occasione dei giochi in onore del dio Conso.
Non si contano facilmente anche le trasformazioni subite dal luogo nel corso dei secoli. La prima sistemazione della Valle Murcia per adibirla a luogo per le corse dei carri risale all'epoca dei Tarquini, con sistemazione di spalti lignei. Ma è solo con Giulio Cesare che sarà realizzato un vero e proprio edificio in muratura, la cui pianta è conservata, almeno parzialmente, nelle costruzioni successive. Nel Circo Massimo si svolgevano le gare di corse dei carri che, insieme ai giochi gladiatori, erano l’attività agonistica più amata dai Romani: i conduttori delle quadrighe diventavano ben presto personaggi idolatrati dal popolo di Roma. Poiché le quadrighe facevano capo a scuderie distinte in base ai colori (verde, azzurro, rosso e bianco) anche gli spettatori si dividevano sulle gradinate del circo in base al colore di appartenenza dei propri beniamini, che venivano incitati con cori e motti composti per l’occasione. L’ampio spazio del fondovalle si prestava anche a manifestazioni di vario tipo legate in ogni caso alla vita politica, sociale e religiosa della città, come manifestazioni trionfali, processioni, giochi gladiatori, cacce, pubbliche esecuzioni.
Devastato più volte dal fuoco, il Circo Massimo fu ricostruito quasi integralmente sotto il principato di Traiano, alla cui fase appartengono per la maggior parte le strutture in laterizio attualmente visibili. Numerosissimi gli interventi degli imperatori successivi tra cui quello, spettacolare, dell'erezione del gigantesco obelisco portato a Roma da Costante II, ora al Laterano. Il circo rimase in attività, forse solo parzialmente, fino ai primi decenni del VI secolo.
In seguito il grande invaso fu utilizzato come area agricola, proprietà privata dei Frangipane (1145), luogo di passaggio dell'acqua Mariana, cimitero degli ebrei, per poi diventare a partire dal XIX secolo sede degli impianti del Gazometro, magazzini, manifatture, imprese artigianali e abitazioni, fino agli inizi del Novecento, quando si mette mano ai lavori per la passeggiata archeologica.
La monumentalizzazione dell'area fu realizzata negli anni Trenta contemporaneamente a grandi opere di scavo le quali, insieme a quelle attualmente in corso, hanno messo in luce buona parte dell'emiciclo e i resti dell'arco di Tito. L’area intorno alla torre è smantellata, sono scavati gli ambienti dell’emiciclo e parzialmente restaurate le strutture emergenti. In seguito l’area è ceduta al Partito nazionale fascista, che la utilizza, per l’alto valore simbolico, per i suoi eventi. Nello spazio del circo si organizzano le grandi mostre degli anni 1937-40 (del tessile, del minerale e delle colonie estive). Nell’immediato dopoguerra ritorna uno spazio verde, in cui le strutture antiche sono sostanzialmente abbandonate.
A partire dagli anni Ottanta cominciano alcuni interventi di scavo e restauro, ma una nuova sistemazione dell’area archeologica prende avvio solo nel 2009.
Gli interventi hanno restituito una nuova leggibilità al monumento, ridefinendo la zona dell’emiciclo attraverso operazioni di restauro delle strutture, contenimento del terreno e la realizzazione di nuovi percorsi di visita con relativi impianti di illuminazione.
È stata realizzata una terrazza panoramica sul margine meridionale dell’area e per restituire visibilità alle strutture archeologiche e ripristinare il continuum spaziale tra le diverse quote, raccordandole, è stato realizzato un piano inclinato che permette di superare gradualmente il dislivello oggi presente tra il livello dell’area verde, di libera fruizione, e quella del recinto archeologico. Anche gli spazi pubblici adiacenti sono stati sistemati e riqualificati.
I margini dell’area archeologica sono stati provvisti di idonea recinzione di forma semicircolare in corrispondenza dell’emiciclo, seguendo il perimetro della costruzione romana fino all’ideale inizio della spina, la lunga piattaforma posizionata al centro della pista che era decorata con statue, tempietti, vasche, con due grandi obelischi egizi –che dal Cinquecento sono stati ricollocati in piazza San Giovanni in Laterano ed in Piazza del Popolo– e dotata di metae I resti della spina sono stati localizzati in profondità (attraverso indagini geofisiche condotte in collaborazione con l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
I visitatori possono accedere alle gallerie che un tempo conducevano alle gradinate della cavea (i senatori al piano terra e la plebe al piano superiore). Nelle gallerie, che si possono percorrere per un tratto di circa 100 metri ciascuna, si possono osservare anche i resti delle latrine antiche. Si prosegue sulla strada basolata esterna ritrovata durante gli scavi, in cui spicca una grande vasca-abbeveratoio in lastre di travertino. Qui è possibile visitare anche alcune stanze che venivano utilizzate come botteghe (tabernae) per soddisfare le necessità del numeroso pubblico dei giochi: locande, negozi per la vendita di generi alimentari, magazzini, lupanari, lavanderie, ma anche uffici di cambiavalute necessari per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli.
Nella zona centrale dell’emiciclo sono visibili le basi dell’Arco di Tito, uno dei più grandi archi trionfali di Roma, a lui dedicato in occasione della vittoria giudaica. Le indagini hanno consentito di rimettere in luce le basi delle colonne frontali e alcuni importanti frammenti architettonici che hanno permesso agli archeologi di stabilire le sue dimensioni originarie (le colonne erano alte almeno 10 metri) grazie anche all’anastilosi virtuale del monumento realizzata in collaborazione con l’Università Roma Tre - Dipartimento di Architettura. Nel corso degli scavi sono state rinvenute anche parti della grande iscrizione, rimarcata con lettere bronzee, su cui era incisa la dedica da parte del Senato e Popolo Romano all’imperatore.
L’intervento di riqualificazione dell’area ha interessato anche la medievale Torre della Moletta (realizzata nel XII secolo), su cui si è intervenuti con il restauro delle murature antiche ed un impegnativo progettodi consolidamento statico. Una scala interna consente di arrivare fino al piano superiore, uno splendido punto panoramico sull’area archeologica, che permette di apprezzare in pieno le dimensioni del Circo.
I numerosi frammenti lapidei presenti nell’area sono stati in parte anche sistemati ad arredo dello spazio aperto. In particolare ai piedi dell’emiciclo palatino sono stati collocati, da un lato, alcuni elementi provenienti dall’edificio antico (gradini, cornici, capitelli, le soglie delle botteghe, etc.), mentre sull’altro versante sono state collocate una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici. Infine, nello spazio antistante la torre sono stati posizionati i frammenti architettonici di marmo lunense provenienti dallo scavo dell’arco di Tito.

Informazioni utili
Area archeologica del Circo Massimo. Ingresso da piazza di Porta Capena – Roma.  Orari: 17 novembre - 11 dicembre  - dal martedì alla domenica, ore 10.00-16.00 (ultimo ingresso ore 15.00) | dal 12 dicembre - sabato e domenica, ore 10.00-16.00  (ultimo ingresso ore 15.00)  e dal martedì al venerdì su prenotazione allo 060608. Ingresso: intero  € 4,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel 060608. Sito internet:  
www.sovraintendenzaroma.it