Un’eccellente medicina contro le preoccupazioni e le difficoltà della vita di tutti i giorni: si presenta così «Il barbiere di Siviglia», opera buffa in due atti che il compositore Gioacchino Rossini scrisse all’inizio del 1816, in poco meno di tre settimane (ma qualcuno parla addirittura di solo nove giorni), per le celebrazioni carnevalesche del teatro Argentina di Roma, allora di proprietà del duca Francesco Cesarini Sforza.
Il componimento, su libretto di Cesare Sterbini, trae la propria trama della commedia settecentesca «Le barbier de Séville ou La précaution inutile» del drammaturgo francese Pierre-Augustin-Caron de Beaumarchais, già oggetto di varie versioni musicali, tra le quali quella, molto applaudita, di Giovanni Paisiello, i cui sostenitori -secondo i pettegolezzi del tempo- fischiarono lungamente il debutto della versione rossiniana.
Ma alla «prima» dell’opera non accadde solo questo episodio sfortunato; pare addirittura che, durante lo spettacolo, un gatto sia passato quatto quatto sul palcoscenico.
Nonostante l’insuccesso della prima rappresentazione, andata in scena il 20 febbraio 1816 con il titolo «Almaviva ossia l’inutile precauzione» (l’attuale nome sarà utilizzato solo a partire dalla ripresa bolognese dello stesso anno), il capolavoro del musicista marchigiano, con il suo meccanismo teatrale perfetto e le sue frizzanti e giocose invenzioni musicali, era destinato a diventare uno dei più grandi successi del teatro musicale italiano.
Non a caso un altro importante compositore ottocentesco, Giuseppe Verdi, ebbe a dire: «Non posso che credere il Barbiere di Siviglia, per abbondanza d'idee, per verve comica e per verità di declamazione, la più bella opera buffa che esista».
Definito oggi dalla critica come «il più grande poema musicale, comico, satirico e umoristico dell’umanità», «Il barbiere di Siviglia» ambienta la propria vicenda nel tardo Settecento ed ha come scenario la calda e solare Spagna.
Qui il maturo don Bartolo tiene segregata in casa la pupilla Rosina, che egli desidererebbe sposare. Il barbiere Figaro, fantasioso e pieno di risorse, aiuta l’innamorato conte di Almaviva a conquistare la giovane, che ricambia i suoi sentimenti. Dopo arditi travestimenti, scambi di biglietti, colpi di scena e la corruzione di don Basilio, maestro di musica della fanciulla, Figaro e il conte di Almaviva riescono a compiere il loro progetto: i due giovani innamorati si sposano, don Bartolo non può che rassegnarsi alla situazione e l’opera si chiude nell’allegria generale.
Sembra abbastanza evidente, come ha scritto il regista Luis Jouvet, che nell’opera «Il barbiere di Siviglia» si trova tutta la tradizione della commedia dell’arte: Arlecchino, Scaramuccia e Scapino sono stati tramutati in Figaro, Pantalone in Bartolo, Lelio e Leandro nel conte d’Almaviva.
Tra i brani entrati nell’immaginario collettivo, per quella che il critico Giuseppe Radiciotti ha definito la loro «giocondità serena e benefica», si ricordano l’ ouverture iniziale, la cavatina «Largo al factotum» e l’ aria «La calunnia è un venticello».
Per l’ouverture Gioachino Rossini si autocopiò; la sinfonia esisteva già, era quella dell’«Aureliano in Palmira», opera composta tre anni prima de «Il barbiere di Siviglia». Questo ci mostra un’altra caratteristica del teatro d’opera all’epoca di Gioachino Rossini: l’ouverture era, infatti, sì il momento musicale che annunciava i toni e i temi dell’opera, ma era anche un vero e proprio segnale sonoro che avvisava gli spettatori dell’inizio dello spettacolo ed era, dunque, spesso eseguita tra chiassi e schiamazzi che si calmavano successivamente.
La cavatina «Largo al factotum», grande classico che ogni baritono ha nel proprio repertorio, è così famosa per le sue note gioiose e spavalde che se ne conosce addirittura un’interpretazione del gatto Tom, della celebre coppia Tom e Gerry, nel cartone animato «The Cat Above and the Mouse Below» (1964).
L’ aria «La calunnia è un venticello» è utile per comprendere il cosiddetto «crescendo rossiniano», una tecnica compositiva molto utilizzata da Gioachino Rossini che consiste nel ripetere in maniera ossessiva determinate battute inserendo gradualmente nuovi strumenti a ogni ripetizione.
Per saperne di più
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Il barbiere si Siviglia – Un percorso di sensibilizzazione e avvicinamento all’opera di Gioachino Rossini», Erga edizioni, Genova 2012;
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Figaro qua, Figaro là», Vallardi, Milano 2014 (le immagini pubblicate sono tratte da questo libro);
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma – Il barbiere di Siviglia», Curci, Milano 2010;
Isabella Vasilotta (a cura di), «Rossini. Ascoltando Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola e Guglielmo Tell», Sillabe, Livorno 2015
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
martedì 14 marzo 2017
lunedì 13 marzo 2017
Art For Kids, l'opera lirica: ma che cos'è?
L’opera lirica, detta anche melodramma, è una forma di teatro speciale, nata tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento nella città di Firenze, a casa del conte Giovanni Bardi, per iniziativa di Vincenzo Galilei. Si parlò di recitar cantando per indicare questa invenzione, una speciale tecnica artistica che unisce il canto alla parola e alla gestualità tipica dell’attore.
Gli interpreti, detti cantanti lirici, indossano costumi, trucco e parrucche bellissimi e si muovono sullo sfondo di una scenografia che rappresenta i luoghi in cui si svolge la storia. I loro discorsi canori sono accompagnati dalla musica eseguita da una grande orchestra; a volte è presente in scena anche un corpo di ballo, con le sue étoiles (o primi ballerini).
La storia di un’opera può prendere spunto da una leggenda, da una favola, da un romanzo o da un lavoro teatrale, ma può anche essere completamente inventata. In base all’argomento narrato, l’opera lirica in Italia può essere definita a grandi linee seria o buffa: nel primo caso la trama ha prevalentemente un soggetto storico o mitologico; nel secondo l’ambientazione è contemporanea e la storia è ricca di equivoci, imbrogli e malintesi divertenti, quasi sempre con il lieto fine.
Nel corso dei secoli, in vari Paesi europei, si sono diffusi anche altri generi operistici: il Singspiel tedesco («canto e recitazione», che prevede l’alternanza tra dialoghi e parti cantate), la tragédie-lyrique (opera di corte francese con cori e danze), l’operetta (leggera e spiritosa nei contenuti), l’opéra-ballet, la grand-opéra (fastoso spettacolo musicale in cinque atti con balli, scene sontuose, cori e un gran numero di cantanti).
Uno scrittore, detto librettista, scrive i dialoghi dei personaggi, nella maggior parte dei casi in versi, e le didascalie, con le quali vengono descritte l’epoca e i luoghi in cui si svolge la vicenda. Il risultato finale è il libretto d’opera. Questo è composto da sezioni chiamate atti, a loro volte suddivise in scene; tra uno e l’altro ci sono gli intervalli, durante i quali si cambiano le scenografie e gli spettatori si intrattengono nel foyer.
Seguendo il testo del libretto, il compositore mette in musica i versi, creando l’atmosfera della storia e sottolineando i sentimenti e le emozioni dei personaggi. Se, per esempio, arriva in scena un personaggio cattivo la musica sarà cupa o minacciosa, mentre se due innamorati si dividono l’orchestra accompagnerà il loro addio con melodie dolci.
I protagonisti indiscussi di un’opera lirica sono i cantanti, che si distinguono in solisti e coro e si classificano in base al loro registro di voce, ovvero all’estensione vocale. Partendo dalla più grave per giungere alla più acuta, le tre voci maschili sono basso, baritono e tenore; le tre femminili contralto, mezzosoprano e soprano.
Il basso di solito interpreta il ruolo di un anziano o di un saggio; mentre nelle opere buffe caratterizza un personaggio un po’ ridicolo, vittima degli scherzi degli altri. La voce del baritono è quella di un uomo adulto; mentre il tenore, al quale è affidato il ruolo del giovane innamorato o dell’eroe romantico, ha il registro vocale più acuto ed è capace di raggiungere il famoso Do di petto che fa tremare i vetri.
Tra le voci femminili quella del contralto è la più scura e profonda ed è legata a personaggi anziani, drammatici e misteriosi. Il mezzosoprano è la voce intermedia; mentre il soprano è generalmente la protagonista femminile dell’opera.
In scena si trovano anche gli orchestrali, tutti vestiti rigorosamente di scuro, con il loro direttore. L’orchestra d’opera è composta da quattro grandi famiglie di strumenti: gli archi (violino, viola, violoncello e contrabbasso), i legni (flauto, clarinetto, oboe, fagotto, corno), gli ottoni (tromba, trombone, corno e tuba) e le percussioni (timpani, grancassa, piatti); talvolta può, però, includere altri strumenti come l’arpa e il pianoforte. A dare il segnale che l’opera lirica sta per incominciare è l’orchestra, con il La d’intonazione del primo violino.
Ci sono, poi, tante altre persone ugualmente importanti per determinare il successo di un’opera lirica: il regista, che decide e coordina le azioni dei cantanti e del coro in palcoscenico; il coreografo, che decide i movimenti dei ballerini; lo scenografo e il costumista, che disegnano rispettivamente le scene e i costumi.
Maestri collaboratori come il direttore di coro, il direttore di palcoscenico e il suggeritore, truccatori, parrucchieri, sarte, datori luci, macchinisti (tecnici addetti al montaggio e smontaggio delle scene e al funzionamento dei dispositivi meccanici), attrezzisti (tecnici che procurano gli elementi di arredo e gli oggetti necessari alla messa in scena) sono le tante altre figure che lavorano «dietro le quinte» per rendere magico lo spettacolo.
Ad aprire un’opera lirica è l’ouverture (in italiano «apertura»), ovvero la sinfonia iniziale suonata dall’orchestra a sipario chiuso. Questa musica è il biglietto da visita dell’opera stessa: ne annuncia il carattere e l’argomento trattato.
Le arie sono, invece, i brani melodici che esprimono un sentimento e che commentano un episodio; sono di solito arricchite da virtuosismi che permettono al cantante di fare sfoggio delle proprie qualità canore. La più nota è la cavatina o aria di sortita, che viene cantata dal personaggio principale alla sua prima entrata in scena per presentare se stesso.
Accanto all’aria e ad altre forme solistiche affini come la cabaletta e la romanza (l’una dall’intonazione vivace, l’altra dallo stile più sentimentale), nell’opera lirica ci sono pezzi di insieme quali il duetto, il terzetto, il quartetto e il quintetto, così detti a seconda del numero di personaggi che cantano contemporaneamente.
Un’altra parte importante dell’opera lirica è il concertato, ovvero la parte di una scena o di un atto, caratterizzata dalla presenza di due o più personaggi che si trovano a cantare contemporaneamente, spesso anche con il coro, senza seguire la medesima linea melodica. Il concertato si usa per far capire che ogni personaggio si è smarrito nei propri pensieri.
Ad unire le varie parti di un’opera lirica è il recitativo, uno stile di canto che si avvicina alla lingua parlata, imitandone il ritmo e l’intonazione.
Per saperne di più
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma. Il teatro e le sue storie», Edizioni Curci, Milano 2009
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Recitar cantando ovvero come accostare i bambini all’opera lirica attraverso il teatro», Erga edizioni, Genova 2006
Giorgio Paganone, «Insegnare il melodramma. Saperi essenziali, proposte didattiche», Pensa MultiMedia, Lecce –Iseo 2010
Gli interpreti, detti cantanti lirici, indossano costumi, trucco e parrucche bellissimi e si muovono sullo sfondo di una scenografia che rappresenta i luoghi in cui si svolge la storia. I loro discorsi canori sono accompagnati dalla musica eseguita da una grande orchestra; a volte è presente in scena anche un corpo di ballo, con le sue étoiles (o primi ballerini).
La storia di un’opera può prendere spunto da una leggenda, da una favola, da un romanzo o da un lavoro teatrale, ma può anche essere completamente inventata. In base all’argomento narrato, l’opera lirica in Italia può essere definita a grandi linee seria o buffa: nel primo caso la trama ha prevalentemente un soggetto storico o mitologico; nel secondo l’ambientazione è contemporanea e la storia è ricca di equivoci, imbrogli e malintesi divertenti, quasi sempre con il lieto fine.
Nel corso dei secoli, in vari Paesi europei, si sono diffusi anche altri generi operistici: il Singspiel tedesco («canto e recitazione», che prevede l’alternanza tra dialoghi e parti cantate), la tragédie-lyrique (opera di corte francese con cori e danze), l’operetta (leggera e spiritosa nei contenuti), l’opéra-ballet, la grand-opéra (fastoso spettacolo musicale in cinque atti con balli, scene sontuose, cori e un gran numero di cantanti).
Uno scrittore, detto librettista, scrive i dialoghi dei personaggi, nella maggior parte dei casi in versi, e le didascalie, con le quali vengono descritte l’epoca e i luoghi in cui si svolge la vicenda. Il risultato finale è il libretto d’opera. Questo è composto da sezioni chiamate atti, a loro volte suddivise in scene; tra uno e l’altro ci sono gli intervalli, durante i quali si cambiano le scenografie e gli spettatori si intrattengono nel foyer.
Seguendo il testo del libretto, il compositore mette in musica i versi, creando l’atmosfera della storia e sottolineando i sentimenti e le emozioni dei personaggi. Se, per esempio, arriva in scena un personaggio cattivo la musica sarà cupa o minacciosa, mentre se due innamorati si dividono l’orchestra accompagnerà il loro addio con melodie dolci.
I protagonisti indiscussi di un’opera lirica sono i cantanti, che si distinguono in solisti e coro e si classificano in base al loro registro di voce, ovvero all’estensione vocale. Partendo dalla più grave per giungere alla più acuta, le tre voci maschili sono basso, baritono e tenore; le tre femminili contralto, mezzosoprano e soprano.
Il basso di solito interpreta il ruolo di un anziano o di un saggio; mentre nelle opere buffe caratterizza un personaggio un po’ ridicolo, vittima degli scherzi degli altri. La voce del baritono è quella di un uomo adulto; mentre il tenore, al quale è affidato il ruolo del giovane innamorato o dell’eroe romantico, ha il registro vocale più acuto ed è capace di raggiungere il famoso Do di petto che fa tremare i vetri.
Tra le voci femminili quella del contralto è la più scura e profonda ed è legata a personaggi anziani, drammatici e misteriosi. Il mezzosoprano è la voce intermedia; mentre il soprano è generalmente la protagonista femminile dell’opera.
In scena si trovano anche gli orchestrali, tutti vestiti rigorosamente di scuro, con il loro direttore. L’orchestra d’opera è composta da quattro grandi famiglie di strumenti: gli archi (violino, viola, violoncello e contrabbasso), i legni (flauto, clarinetto, oboe, fagotto, corno), gli ottoni (tromba, trombone, corno e tuba) e le percussioni (timpani, grancassa, piatti); talvolta può, però, includere altri strumenti come l’arpa e il pianoforte. A dare il segnale che l’opera lirica sta per incominciare è l’orchestra, con il La d’intonazione del primo violino. Ci sono, poi, tante altre persone ugualmente importanti per determinare il successo di un’opera lirica: il regista, che decide e coordina le azioni dei cantanti e del coro in palcoscenico; il coreografo, che decide i movimenti dei ballerini; lo scenografo e il costumista, che disegnano rispettivamente le scene e i costumi.
Maestri collaboratori come il direttore di coro, il direttore di palcoscenico e il suggeritore, truccatori, parrucchieri, sarte, datori luci, macchinisti (tecnici addetti al montaggio e smontaggio delle scene e al funzionamento dei dispositivi meccanici), attrezzisti (tecnici che procurano gli elementi di arredo e gli oggetti necessari alla messa in scena) sono le tante altre figure che lavorano «dietro le quinte» per rendere magico lo spettacolo.
Ad aprire un’opera lirica è l’ouverture (in italiano «apertura»), ovvero la sinfonia iniziale suonata dall’orchestra a sipario chiuso. Questa musica è il biglietto da visita dell’opera stessa: ne annuncia il carattere e l’argomento trattato.
Le arie sono, invece, i brani melodici che esprimono un sentimento e che commentano un episodio; sono di solito arricchite da virtuosismi che permettono al cantante di fare sfoggio delle proprie qualità canore. La più nota è la cavatina o aria di sortita, che viene cantata dal personaggio principale alla sua prima entrata in scena per presentare se stesso.
Accanto all’aria e ad altre forme solistiche affini come la cabaletta e la romanza (l’una dall’intonazione vivace, l’altra dallo stile più sentimentale), nell’opera lirica ci sono pezzi di insieme quali il duetto, il terzetto, il quartetto e il quintetto, così detti a seconda del numero di personaggi che cantano contemporaneamente.
Un’altra parte importante dell’opera lirica è il concertato, ovvero la parte di una scena o di un atto, caratterizzata dalla presenza di due o più personaggi che si trovano a cantare contemporaneamente, spesso anche con il coro, senza seguire la medesima linea melodica. Il concertato si usa per far capire che ogni personaggio si è smarrito nei propri pensieri.
Ad unire le varie parti di un’opera lirica è il recitativo, uno stile di canto che si avvicina alla lingua parlata, imitandone il ritmo e l’intonazione.
Per saperne di più
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma. Il teatro e le sue storie», Edizioni Curci, Milano 2009
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Recitar cantando ovvero come accostare i bambini all’opera lirica attraverso il teatro», Erga edizioni, Genova 2006
Giorgio Paganone, «Insegnare il melodramma. Saperi essenziali, proposte didattiche», Pensa MultiMedia, Lecce –Iseo 2010
venerdì 10 marzo 2017
«Discovering Tiziano»: al Forte di Bard la storia di un'attribuzione
Come dipingeva Tiziano? Quale forza creativa ispirava il suo pennello? Perché l’artista tornava a distanza di tempo sullo stesso soggetto? Quale differenza c’è tra una replica e una copia? La mostra «Discovering Tiziano», allestita al Forte di Bard, nella Cappella della fortezza, tenta di rispondere a queste domande essenziali, presentando la «Deposizione di Gesù Cristo al Sepolcro» (olio su tela, 138 x 177 cm, collezione privata), oltre ai risultati dello studio iconografico e storico-artistico svolti sull’opera.
La rassegna, che sarà inaugurata nel pomeriggio di sabato 11 marzo da Antonio Paolucci, già Ministro per i beni e le attività culturali e direttore dei Musei Vaticani, include la proiezione del filmato «Scoprire Tiziano. Indagine sulla pittura», per la regia di Antonio Pintus (2016), la cui ideazione è firmata da Andrea Donati e che vede tra i collaboratori alla realizzazione il Seminario patriarcale di Venezia, la Pinacoteca Manfrediana e la Basilica di Santa Maria della Salute.
Il film, che illustra la vicenda attributiva della tela e le caratteristiche del grande olio tizianesco, contiene al suo interno interventi dello stesso Andrea Donati, a cui si deve la scoperta, oltre che di Ileana Chiappini di Sorio e Silvia Marchiori.
Tiziano dipinse almeno quattro dipinti della «Deposizione»: il primo e più antico (risalente al 1526-1527) è al Louvre, il secondo è andato perduto, il terzo e il quarto si trovano al Prado, il quinto alla Pinacoteca Ambrosiana.
Una sesta versione dell’opera, cronologicamente anteriore a quella dell’Ambrosiana e unanimemente considerata l’ultima e incompiuta, è stata riscoperta da Andrea Donati e viene ora esposta al Forte di Bard.
L’opera proviene dalla collezione italo-spagnola de la Riva-Agüero e Francesca Basso della Rovere. Dopo tre anni di indagini sulla pittura, si è potuto stabilire che il dipinto corrisponde verosimilmente a quello posseduto da Jeronimo Sanchez Coello, fratello del pittore di corte di Filippo II. Costui lo comprò nello studio di Tiziano nel 1576 e, in seguito, lo portò prima a Madrid, poi a Siviglia, dove è attestato la prima volta nel 1586, la seconda agli inizi del Seicento. Infine nel 1725 l’opera risulta essere nella collezione di Manuel de la Riva-Agüero e Francesca Basso della Rovere, discendenti di due illustri famiglie che si trasferirono a Lima, dando origine al ramo di famiglia del primo presidente del Perù.
La «Deposizione» de la Riva-Agüero, trasmessa in linea diretta fino agli ultimi eredi, è rimasta a lungo sconosciuta agli storici dell’arte finché non è stata oggetto di uno studio approfondito, curato da Andrea Donati. Hanno espresso parere favorevole all’attribuzione illustri storici dell’arte specialisti di Tiziano e di pittura veneziana del Cinquecento: Antonio Paolucci, Paul Joannides (Emerito dell’Università di Cambridge), Ileana Chiappini di Sorio (Università Ca’ Foscari), Giorgio Tagliaferro (Università di Warwick) e Fabrizio Biferali (Scuola Normale di Pisa).
Un’occasione, dunque, preziosa quella offerta da Forte di Bard per scoprire non solo una nuova opera tizianesca, ma anche le modalità con cui si procede all’attribuzione di una tela.
Informazioni utili
«Deposizione di Gesù Cristo al Sepolcro». Forte di Bard – Valle d’Aosta. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.00–19.00; chiuso il lunedì. Ingresso libero. Informazioni: Associazione Forte di Bard, tel. 0125.833811 | info@fortedibard.it. Sito web: www.fortedibard.it. Dall’11 marzo al 4 giugno 2017.
La rassegna, che sarà inaugurata nel pomeriggio di sabato 11 marzo da Antonio Paolucci, già Ministro per i beni e le attività culturali e direttore dei Musei Vaticani, include la proiezione del filmato «Scoprire Tiziano. Indagine sulla pittura», per la regia di Antonio Pintus (2016), la cui ideazione è firmata da Andrea Donati e che vede tra i collaboratori alla realizzazione il Seminario patriarcale di Venezia, la Pinacoteca Manfrediana e la Basilica di Santa Maria della Salute.
Il film, che illustra la vicenda attributiva della tela e le caratteristiche del grande olio tizianesco, contiene al suo interno interventi dello stesso Andrea Donati, a cui si deve la scoperta, oltre che di Ileana Chiappini di Sorio e Silvia Marchiori.
Tiziano dipinse almeno quattro dipinti della «Deposizione»: il primo e più antico (risalente al 1526-1527) è al Louvre, il secondo è andato perduto, il terzo e il quarto si trovano al Prado, il quinto alla Pinacoteca Ambrosiana.
Una sesta versione dell’opera, cronologicamente anteriore a quella dell’Ambrosiana e unanimemente considerata l’ultima e incompiuta, è stata riscoperta da Andrea Donati e viene ora esposta al Forte di Bard.
L’opera proviene dalla collezione italo-spagnola de la Riva-Agüero e Francesca Basso della Rovere. Dopo tre anni di indagini sulla pittura, si è potuto stabilire che il dipinto corrisponde verosimilmente a quello posseduto da Jeronimo Sanchez Coello, fratello del pittore di corte di Filippo II. Costui lo comprò nello studio di Tiziano nel 1576 e, in seguito, lo portò prima a Madrid, poi a Siviglia, dove è attestato la prima volta nel 1586, la seconda agli inizi del Seicento. Infine nel 1725 l’opera risulta essere nella collezione di Manuel de la Riva-Agüero e Francesca Basso della Rovere, discendenti di due illustri famiglie che si trasferirono a Lima, dando origine al ramo di famiglia del primo presidente del Perù.
La «Deposizione» de la Riva-Agüero, trasmessa in linea diretta fino agli ultimi eredi, è rimasta a lungo sconosciuta agli storici dell’arte finché non è stata oggetto di uno studio approfondito, curato da Andrea Donati. Hanno espresso parere favorevole all’attribuzione illustri storici dell’arte specialisti di Tiziano e di pittura veneziana del Cinquecento: Antonio Paolucci, Paul Joannides (Emerito dell’Università di Cambridge), Ileana Chiappini di Sorio (Università Ca’ Foscari), Giorgio Tagliaferro (Università di Warwick) e Fabrizio Biferali (Scuola Normale di Pisa).
Un’occasione, dunque, preziosa quella offerta da Forte di Bard per scoprire non solo una nuova opera tizianesca, ma anche le modalità con cui si procede all’attribuzione di una tela.
Informazioni utili
«Deposizione di Gesù Cristo al Sepolcro». Forte di Bard – Valle d’Aosta. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.00–19.00; chiuso il lunedì. Ingresso libero. Informazioni: Associazione Forte di Bard, tel. 0125.833811 | info@fortedibard.it. Sito web: www.fortedibard.it. Dall’11 marzo al 4 giugno 2017.
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