Sono strutture delicate e minimaliste, con lievi incisioni sulla superficie che ne danno un aspetto irregolare, quelle che Shio Kusaka, artista nipponica con base a Los Angeles, presenta per la sua prima mostra italiana, allestita dal 28 marzo al 26 maggio a Roma, negli spazi della galleria Gagosian, che da dieci anni vede alla sua guida Pepi Marchetti Franchi
.
Nota per i suoi lavori in continua tensione tra astratto e figurativo, Shio Kusaka, classe 1972, ha sviluppato per la rassegna nella capitale un progetto fortemente incentrato sulle geometrie dell’astrazione.
Le ceramiche in mostra, variazioni sulla forma del vaso, sono disegnate e incise con linee geodetiche continue tramite un processo contemporaneamente sistematico e intuitivo.
Ripetizioni minimaliste si estendono lungo i volumi stondati riecheggiando le griglie di Agnes Martin o i disegni a muro di Sol LeWitt, e rivelando le irregolarità della linea disegnata a mano per creare terreni sinuosi oscillanti.
Nella sua opera l'artista nipponica fonde la raffinata lavorazione tradizionale della ceramica con dettagli e soggetti giocosi quali palloni da basket, frutta, dinosauri, gocce di pioggia e venature del legno.
I lavori geometrici offrono una dimostrazione più immediata della sua padronanza tecnica, che, concentrandosi sull’elaborazione di un singolo processo, ne scopre le infinite varianti.
Nei precedenti lavori astratti Shio Kusaka spesso “terminava” una linea o un motivo a griglia appena questi venivano distorti dalla curvatura del vaso, producendo motivi frammentati, come dei disegni sovrapposti, che contraddicevano il volume tridimensionale dello stesso.
In queste nuove opere, invece, l’artista assume un approccio quasi topografico, sviluppando la manualità tattile necessaria per lavorare al tornio intagliando o disegnando linee intricate lungo ogni superficie del vaso.
Lasciando che la tridimensionalità di ciascun vaso determini le curve concentriche delle linee, Shio Kusaka fonde i primordiali atti creativi del disegno e della scultura. Mentre alcune linee appaiono sottili e parallele, altre assomigliano a delle onde e a schemi topografici.
Saranno presenti in mostra i vasi più grandi mai realizzati dall'artista disposti su un piedistallo lungo e curvo, e smaltati in vari colori, dal blu pallido, al rosa, al giallo fino ad un placido bianco sporco. Il liquido denso si ferma al di sopra della base di ognuno: una precauzione necessaria per la cottura a fuoco, e un sottile ricordo delle trasformazioni alchemiche tipiche di questa tecnica.
In una selezione di vasi più piccoli, l'artista giapponese ripropone molti dei motivi a incisione come disegni a matita su fondo bianco, creando echi più intimi, quasi degli schizzi, dei lavori più grandi. Shio Kusaka ribadisce così la tecnica dei Minimalisti basata sul metodo, e sottolinea anche l’infinito potenziale della forma stessa che varia da grande a piccola, da liquida a solida, da due a tre dimensioni.
Informazioni utili
Shio Kusaka - mostra personale. Gagosian Gallery, via Francesco Crispi, 16 - Roma. Orari: dal martedì al sabato, dalle ore 10.30 alle ore 19.00; domenica e lunedì chiuso. Informazioni: tel. 06.42086498. Sito internet: www.gagosian.com. Dal 28 marzo (inaugurazione dalle ore 18 alle ore 20) al 26 maggio 2018.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
domenica 18 marzo 2018
venerdì 16 marzo 2018
Milano, Arturo Martini e il monumento per il Palazzo di Giustizia in una mostra del Fai
«Di Martini apprezzo il fatto che abbia cambiato il linguaggio della scultura». Così Claudia Gian Ferrari (1946-2010), gallerista e collezionista che per anni è stata un personaggio chiave del mercato e della storia dell’arte italiana del Novecento, raccontava il suo amore per l’opera dello scultore trevigiano, la cui produzione si è avvicinata all’esperienza del movimento «Valori plastici», con un’attenzione particolare alla purezza delle forme e alle suggestioni del mondo arcaico.
Figlia di Ettore Gian Ferrari, anima di una delle gallerie più dinamiche della Milano del Dopoguerra e direttore per oltre venticinque anni dell’ufficio vendite della Biennale di Venezia, Claudia Gian Ferrari è riuscita a coniugare nell’arco della sua vita appassionata l’eredità lavorativa del padre, caratterizzata dal successo mercantile, con una raffinata attività di ricerca, che l’ha vista vestire sia i panni della storica che della critica d’arte.
Parte di questo lavoro di studio, confluito nel novembre 2016 all’interno della donazione che la gallerista aveva fatto negli anni precedenti al Fai – Fondo per l’ambiente italiano, riguarda proprio Arturo Martini (Treviso, 1889-Milano, 1947). La documentazione, che ha trovato collocazione nei sotterranei di Villa Necchi Campiglio a Milano, «non comprende atti quali la corrispondenza o le pratiche personali dell’artista – fanno sapere dagli uffici della onlus milanese-, ma registra pressoché sistematicamente proprio la lunga attività della galleria Gian Ferrari relativamente all’opera dello scultore, alla sua conoscenza e alla sua divulgazione».
«Dalla battaglia contro il gruppo dei falsi cosiddetti «di Anticoli Corrado», con i quali si cercò di invadere il mercato negli anni ’70 e ’80, fino alla promozione di mostre e restauri e alla scoperta e riproposizione dell’importante gruppo di gessi originali delle maggiori sculture di «Valori Plastici» della collezione Becchini, scomparsi per decenni in un deposito alle falde del Monte Amiata e ritenuti dispersi, la vita professionale di Claudia Gian Ferrari -fanno ancora sapere dal Fai- è stata scandita, come quella di un appassionato detective, dalla costante ricerca di opere che potessero sempre meglio illustrare l’attività e le conquiste di questo grande genio della scultura europea del Novecento».
La gallerista milanese fu anche un’attenta collezionista dell’opera del trevigiano. Dei quarantacinque pezzi, donati nel 2008 al Fai – Fondo per l’ambiente italiano, ben quattro portano, infatti, la firma di Arturo Martini, a partire dall’importante capolavoro «L’amante morta», realizzato nel 1921 e appartenente al periodo di «Valori Plastici». Mentre il «Dormiente», copia dell’originale tuttora conservato a Roma, è arrivato a Villa Necchi in seguito alla scomparsa di Claudia Gian Ferrari.
Ed è proprio la residenza milanese a fare da scenario a una mostra dedicata ad Arturo Martini, per la curatela di Amedeo Porro, Paolo Baldacci e Nico Stringa, che ruota attorno all’opera più rappresentativa e grandiosa dell’artista conservata a Milano: il monumentale altorilievo della «Giustizia Corporativa», eseguito nel 1937 per l’atrio al primo piano del Palazzo di Giustizia, progettato da Marcello Piacentini.
L’opera è un racconto sulla vita e le attività dell’uomo, che appaiono tutte sottoposte al giudizio della «Legge», a cui richiama la «Giustizia», qui seduta sull’albero del «Bene» e del «Male», con il volto sereno e quasi impassibile, ma nello stesso tempo sollecito e attento, e in mano gli attributi tradizionali, la bilancia e la spada. Intorno alla Giustizia, un’enciclopedia di miti, figure e immagini che vanno a comporre un coro polifonico: le «Ambizioni» («Amore», «Arte» e «Bellezza»), affiancate dalla «Vanità», gli «Eroi», a cui si contrappone la «Viltà», la «Famiglia», la «Dottrina» (incarnata dagli «Intellettuali») e le «Opere assistenziali».
Martini modellava in creta e non scolpiva direttamente la pietra, lavoro che poi commissionava a figure intermediarie da lui dirette. Per la realizzazione della «Giustizia Corporativa» fu necessaria una grandiosa opera di montaggio: un basamento a gradoni di legno, sul quale venivano appoggiati e fissati i calchi in gesso delle colossali crete ad altezza umana uscite dalle mani dell’artista. Ogni gruppo, grazie a strutture e sostegni lignei retrostanti, veniva incastrato al suo posto e il tutto unificato da passaggi di gesso liquido su piedistalli e gradini, e infine chiuso da una cornice di legno gessato, come in una scatola. Una volta realizzati, i blocchi in gesso furono inviati a Carrara dove i marmisti, sotto il controllo e la direzione dell’artista, tradussero l’intera opera in marmo, creando blocchi e incastri di pietra che potessero quindi essere montati a Milano nell’atrio dell’edificio, cosa che avvenne nel 1940.
A Villa Necchi Campiglio sono esposti, per la prima volta riuniti, il bozzetto originale in gesso, due grandi altorilievi in gesso a grandezza naturale serviti come modelli per il gruppo degli «Intellettuali» e della «Famiglia», il grande marmo di «Dedalo e Icaro» e un bozzetto in bronzo del gruppo della «Famiglia». Insieme a questi pezzi è possibile seguire, attraverso la riproduzione di tutti gli ingrandimenti, l’interpretazione fotografica che Martini stesso volle dare della sua opera, dirigendo personalmente l’illuminazione e gli scatti per il libro a essa dedicato con la prefazione di Riccardo Bacchelli (edizioni del Milione, 1937).
In occasione della mostra, viene, inoltre, proposto un itinerario martiniano per conoscere e approfondire le opere del maestro che arricchiscono Milano, dall’Arengario al Museo del Novecento e all’Ospedale Maggiore. Un modo per riannodare le fila del complesso e ambivalente rapporto di Martini con la città, dove visse dal 1919 alla fine del 1920 e, quindi, dal 1933 al 1942, producendovi molte delle sue opere maggiori.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Arturo Martini, Giustizia Corporativa, 1937. Particolare; [fig. 3] Arturo Martini, La famiglia - Figliol prodigo, 1937; [fig. 4] Arturo Martini, Gli intellettuali, 1937
Informazioni utili
Arturo Martini e il monumento per il Palazzo di Giustizia a Milano. villa Necchi Campiglio, Via Mozart, 14 - Milano.Orari: da mercoledì a domenica, dalle ore 10 alle 18; aperto lunedì 2 aprile e martedì 1 maggio Ingresso (con visita alla villa): intero € 12,00; ridotto (ragazzi 4-14 anni): € 4,00; iscritti FAI gratis. Per informazioni: www.villanecchicampiglio.it o www.mostramartini.it. Fino al 6 maggio 2018.
Figlia di Ettore Gian Ferrari, anima di una delle gallerie più dinamiche della Milano del Dopoguerra e direttore per oltre venticinque anni dell’ufficio vendite della Biennale di Venezia, Claudia Gian Ferrari è riuscita a coniugare nell’arco della sua vita appassionata l’eredità lavorativa del padre, caratterizzata dal successo mercantile, con una raffinata attività di ricerca, che l’ha vista vestire sia i panni della storica che della critica d’arte.
Parte di questo lavoro di studio, confluito nel novembre 2016 all’interno della donazione che la gallerista aveva fatto negli anni precedenti al Fai – Fondo per l’ambiente italiano, riguarda proprio Arturo Martini (Treviso, 1889-Milano, 1947). La documentazione, che ha trovato collocazione nei sotterranei di Villa Necchi Campiglio a Milano, «non comprende atti quali la corrispondenza o le pratiche personali dell’artista – fanno sapere dagli uffici della onlus milanese-, ma registra pressoché sistematicamente proprio la lunga attività della galleria Gian Ferrari relativamente all’opera dello scultore, alla sua conoscenza e alla sua divulgazione».
«Dalla battaglia contro il gruppo dei falsi cosiddetti «di Anticoli Corrado», con i quali si cercò di invadere il mercato negli anni ’70 e ’80, fino alla promozione di mostre e restauri e alla scoperta e riproposizione dell’importante gruppo di gessi originali delle maggiori sculture di «Valori Plastici» della collezione Becchini, scomparsi per decenni in un deposito alle falde del Monte Amiata e ritenuti dispersi, la vita professionale di Claudia Gian Ferrari -fanno ancora sapere dal Fai- è stata scandita, come quella di un appassionato detective, dalla costante ricerca di opere che potessero sempre meglio illustrare l’attività e le conquiste di questo grande genio della scultura europea del Novecento».
La gallerista milanese fu anche un’attenta collezionista dell’opera del trevigiano. Dei quarantacinque pezzi, donati nel 2008 al Fai – Fondo per l’ambiente italiano, ben quattro portano, infatti, la firma di Arturo Martini, a partire dall’importante capolavoro «L’amante morta», realizzato nel 1921 e appartenente al periodo di «Valori Plastici». Mentre il «Dormiente», copia dell’originale tuttora conservato a Roma, è arrivato a Villa Necchi in seguito alla scomparsa di Claudia Gian Ferrari.
Ed è proprio la residenza milanese a fare da scenario a una mostra dedicata ad Arturo Martini, per la curatela di Amedeo Porro, Paolo Baldacci e Nico Stringa, che ruota attorno all’opera più rappresentativa e grandiosa dell’artista conservata a Milano: il monumentale altorilievo della «Giustizia Corporativa», eseguito nel 1937 per l’atrio al primo piano del Palazzo di Giustizia, progettato da Marcello Piacentini.
L’opera è un racconto sulla vita e le attività dell’uomo, che appaiono tutte sottoposte al giudizio della «Legge», a cui richiama la «Giustizia», qui seduta sull’albero del «Bene» e del «Male», con il volto sereno e quasi impassibile, ma nello stesso tempo sollecito e attento, e in mano gli attributi tradizionali, la bilancia e la spada. Intorno alla Giustizia, un’enciclopedia di miti, figure e immagini che vanno a comporre un coro polifonico: le «Ambizioni» («Amore», «Arte» e «Bellezza»), affiancate dalla «Vanità», gli «Eroi», a cui si contrappone la «Viltà», la «Famiglia», la «Dottrina» (incarnata dagli «Intellettuali») e le «Opere assistenziali».
Martini modellava in creta e non scolpiva direttamente la pietra, lavoro che poi commissionava a figure intermediarie da lui dirette. Per la realizzazione della «Giustizia Corporativa» fu necessaria una grandiosa opera di montaggio: un basamento a gradoni di legno, sul quale venivano appoggiati e fissati i calchi in gesso delle colossali crete ad altezza umana uscite dalle mani dell’artista. Ogni gruppo, grazie a strutture e sostegni lignei retrostanti, veniva incastrato al suo posto e il tutto unificato da passaggi di gesso liquido su piedistalli e gradini, e infine chiuso da una cornice di legno gessato, come in una scatola. Una volta realizzati, i blocchi in gesso furono inviati a Carrara dove i marmisti, sotto il controllo e la direzione dell’artista, tradussero l’intera opera in marmo, creando blocchi e incastri di pietra che potessero quindi essere montati a Milano nell’atrio dell’edificio, cosa che avvenne nel 1940.
A Villa Necchi Campiglio sono esposti, per la prima volta riuniti, il bozzetto originale in gesso, due grandi altorilievi in gesso a grandezza naturale serviti come modelli per il gruppo degli «Intellettuali» e della «Famiglia», il grande marmo di «Dedalo e Icaro» e un bozzetto in bronzo del gruppo della «Famiglia». Insieme a questi pezzi è possibile seguire, attraverso la riproduzione di tutti gli ingrandimenti, l’interpretazione fotografica che Martini stesso volle dare della sua opera, dirigendo personalmente l’illuminazione e gli scatti per il libro a essa dedicato con la prefazione di Riccardo Bacchelli (edizioni del Milione, 1937).
In occasione della mostra, viene, inoltre, proposto un itinerario martiniano per conoscere e approfondire le opere del maestro che arricchiscono Milano, dall’Arengario al Museo del Novecento e all’Ospedale Maggiore. Un modo per riannodare le fila del complesso e ambivalente rapporto di Martini con la città, dove visse dal 1919 alla fine del 1920 e, quindi, dal 1933 al 1942, producendovi molte delle sue opere maggiori.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Arturo Martini, Giustizia Corporativa, 1937. Particolare; [fig. 3] Arturo Martini, La famiglia - Figliol prodigo, 1937; [fig. 4] Arturo Martini, Gli intellettuali, 1937
Informazioni utili
Arturo Martini e il monumento per il Palazzo di Giustizia a Milano. villa Necchi Campiglio, Via Mozart, 14 - Milano.Orari: da mercoledì a domenica, dalle ore 10 alle 18; aperto lunedì 2 aprile e martedì 1 maggio Ingresso (con visita alla villa): intero € 12,00; ridotto (ragazzi 4-14 anni): € 4,00; iscritti FAI gratis. Per informazioni: www.villanecchicampiglio.it o www.mostramartini.it. Fino al 6 maggio 2018.
mercoledì 14 marzo 2018
«I have a dream», i grandi discorsi della storia in uno spettacolo teatrale
Era il 28 agosto 1963 quando Martin Luther King pronunciava, al Lincoln Memorial di Washington, il celebre discorso «I have a dream», diventato simbolo della lotta contro il razzismo. Quelle parole insieme alle tante altre affermazioni che hanno segnato la nostra storia sono al centro dell’omonimo atto unico che Valentina Lodovini e Ivano Marescotti porteranno in scena nella serata di giovedì 22 marzo, alle ore 21, al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
A rendere ancora più prezioso lo spettacolo, che si avvale della regia di Gabriele Guidi, saranno le voci fuori campo di Gigi Proietti, Catherine Spaak, Rosario e Beppe Fiorello, Arnoldo Foà. Le musiche sono di Matteo Cremolini, il disegno luci porta la firma di Patrick Vitali. Mentre le videoproiezioni vedranno al lavoro Gianluca del Torto.
Da Demostene a Robespierre, da Pericle a Elie Wiesel, passando per Gandhi, Kennedy, Churchill, Fidel Castro, Mandela, Umberto Eco e altri ancora: con questo appuntamento di alto valore civile, lo spettatore verrà accompagnato alla scoperta di parole memorabili pronunciate, in epoche differenti, da sedici uomini e donne che, con il loro pensiero e la loro azione, hanno inciso positivamente sul loro presente e scritto pagine importanti per il nostro futuro.
Il testo, scritto da Ennio Speranza e Gabriele Guidi, prende spunto da tre domande e un assunto: «Quante volte -si legge nella presentazione- le parole hanno contribuito a segnare un’epoca, svelando ideali e aspettative di intere generazioni? Quante volte un particolare momento storico viene ricordato grazie a una frase o il frammento di un discorso che ha lasciato un segno indelebile? E quante volte ancora i grandi oratori hanno saputo accendere passioni civili individuando i traguardi sociali da conquistare trascinando milioni di persone? Le parole -alla pari degli eventi, dunque- hanno inciso sul corso della storia; anzi, diventando esse stesse eventi, hanno fatto la storia».
Democrazia, identità etnica, ruolo delle donne, eccidi, intolleranza religiosa, ma anche arte e letteratura come strumenti di protezione dell’essere umano sono solo alcune delle tematiche che verranno affrontate con questo spettacolo, inserito nel programma della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», che vede alla direzione artistica Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) e che è stata incluso dal Comune di Busto Arsizio nel cartellone cittadino «BA Teatro».
«L’atto unico -raccontano gli organizzatori- è da poco tornato in scena, a distanza di quasi dieci anni aggiornato, rivisto e concepito per due interpreti, legati fra loro da un rapporto molto particolare. Quello tra Valentina Lodovini e Ivano Marescotti è, infatti, un legame di grandi affinità, non privo di una sottile ironia derivante dal confronto tra generazioni differenti, che rende ancora più stimolante questo loro raffronto sul valore odierno delle parole.
Dopo Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, Gianfranco Jannuzzo e Debora Caprioglio, il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio, la cui stagione vanta quasi trecentoquaranta abbonati, punta, dunque, ancora una volta su una coppia da palcoscenico. E una coppia, questa volta di comici, sarà in scena anche nel successivo spettacolo della stagione: «Il rompiballe» di France Veber, per la regia di Marco Rampoldi, che venerdì 13 aprile, alle ore 21, vedrà in scena Max Pisu e Claudio Batta.
L’atto unico «I have a dream», particolarmente adatto per i più giovani e per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, è stato definito dalla critica «prezioso come un’ostrica» per la sua capacità di suggerire, grazie alla straordinaria attualità delle tematiche affrontate, come la Storia stessa possa offrire alle coscienze gli strumenti per riflettere sui problemi che affliggono anche oggi il mondo.
Il costo del biglietto per la commedia «I have a dream – Le parole che hanno cambiato la storia» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio sarà aperto per la prevendita da giovedì 15 marzo con i seguenti orari: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono già comodamente acquistabili on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sui siti www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.
Informazioni utili
www.cinemateatromanzoni.it
A rendere ancora più prezioso lo spettacolo, che si avvale della regia di Gabriele Guidi, saranno le voci fuori campo di Gigi Proietti, Catherine Spaak, Rosario e Beppe Fiorello, Arnoldo Foà. Le musiche sono di Matteo Cremolini, il disegno luci porta la firma di Patrick Vitali. Mentre le videoproiezioni vedranno al lavoro Gianluca del Torto.
Da Demostene a Robespierre, da Pericle a Elie Wiesel, passando per Gandhi, Kennedy, Churchill, Fidel Castro, Mandela, Umberto Eco e altri ancora: con questo appuntamento di alto valore civile, lo spettatore verrà accompagnato alla scoperta di parole memorabili pronunciate, in epoche differenti, da sedici uomini e donne che, con il loro pensiero e la loro azione, hanno inciso positivamente sul loro presente e scritto pagine importanti per il nostro futuro.
Il testo, scritto da Ennio Speranza e Gabriele Guidi, prende spunto da tre domande e un assunto: «Quante volte -si legge nella presentazione- le parole hanno contribuito a segnare un’epoca, svelando ideali e aspettative di intere generazioni? Quante volte un particolare momento storico viene ricordato grazie a una frase o il frammento di un discorso che ha lasciato un segno indelebile? E quante volte ancora i grandi oratori hanno saputo accendere passioni civili individuando i traguardi sociali da conquistare trascinando milioni di persone? Le parole -alla pari degli eventi, dunque- hanno inciso sul corso della storia; anzi, diventando esse stesse eventi, hanno fatto la storia».
Democrazia, identità etnica, ruolo delle donne, eccidi, intolleranza religiosa, ma anche arte e letteratura come strumenti di protezione dell’essere umano sono solo alcune delle tematiche che verranno affrontate con questo spettacolo, inserito nel programma della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», che vede alla direzione artistica Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) e che è stata incluso dal Comune di Busto Arsizio nel cartellone cittadino «BA Teatro».
«L’atto unico -raccontano gli organizzatori- è da poco tornato in scena, a distanza di quasi dieci anni aggiornato, rivisto e concepito per due interpreti, legati fra loro da un rapporto molto particolare. Quello tra Valentina Lodovini e Ivano Marescotti è, infatti, un legame di grandi affinità, non privo di una sottile ironia derivante dal confronto tra generazioni differenti, che rende ancora più stimolante questo loro raffronto sul valore odierno delle parole.
Dopo Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, Gianfranco Jannuzzo e Debora Caprioglio, il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio, la cui stagione vanta quasi trecentoquaranta abbonati, punta, dunque, ancora una volta su una coppia da palcoscenico. E una coppia, questa volta di comici, sarà in scena anche nel successivo spettacolo della stagione: «Il rompiballe» di France Veber, per la regia di Marco Rampoldi, che venerdì 13 aprile, alle ore 21, vedrà in scena Max Pisu e Claudio Batta.
L’atto unico «I have a dream», particolarmente adatto per i più giovani e per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, è stato definito dalla critica «prezioso come un’ostrica» per la sua capacità di suggerire, grazie alla straordinaria attualità delle tematiche affrontate, come la Storia stessa possa offrire alle coscienze gli strumenti per riflettere sui problemi che affliggono anche oggi il mondo.
Il costo del biglietto per la commedia «I have a dream – Le parole che hanno cambiato la storia» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio sarà aperto per la prevendita da giovedì 15 marzo con i seguenti orari: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono già comodamente acquistabili on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sui siti www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.
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