È un punto fermo nel panorama dell'arte internazionale e una meta imprescindibile per chi non può fare a meno della bellezza. Stiamo parlando della Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo, in provincia di Parma, al cui interno sono ospitati capolavori di celeberrimi maestri antichi e contemporanei, testimoni della grande storia d’Europa.
Ora quella raffinata collezione ideata da Luigi Magnani come un Pantheon dell'arte prima per il godimento della propria anima poi per tutti, per sempre, rivive nelle pagine di un libro appena pubblicato per i tipi di Silvana editoriale.
Un dipinto da solo varrebbe il viaggio verso questa magica villa, immersa nel verde: è il grande quadro «La famiglia dell'infante don Luis» (1783-1784) di Francisco Goya, uno dei ritratti di corte più affascinanti di tutta la storia della pittura. Eccezionali sono anche le tre Madonne col Bambino di Filippo Lippi, Albrecht Dürer e Domenico Beccafumi, dipinte a cinquant’anni l’una dall’altra. La collezione ospita, poi, altre opere imperdibili del Carpaccio, del Ghirlandaio, di Rubens, dei Van Dyck, dei Tiepolo e di Füssli. Ma unici sono lavori come «Stimmate di San Francesco» di Gentile da Fabriano, opera rarissima, e l’indimenticabile «Sacra conversazione» di Tiziano (1513), col predominio della costruzione cromatica, tipicamente veneta, rispetto ai valori disegnativi. L’eccellenza dei capolavori pittorici si traduce in scultura con «Tersicore» di Antonio Canova, due figure femminili di Lorenzo Bartolini e i più recenti Leoncillo e Manzù.
Il nucleo contemporaneo è dominato dalle cinquanta opere di Giorgio Morandi, riunite durante la vita del pittore all’interno di un rapporto di stima e di amicizia con Magnani, che illustrano, al massimo livello qualitativo, tutta l’attività del grande artista bolognese. Altro pittore emiliano presente nella collezione è Filippo de Pisis, con un gruppo di dipinti della maturità, intensi e drammatici. Tra le altre opere di artisti italiani una «Danseuse» futurista di Gino Severini, una piazza metafisica di Giorgio de Chirico e alcuni lavori di Renato Guttuso. Importantissimo è anche il «Sacco» di Alberto Burri del 1954, che Magnani considerava il proprio baluardo avanguardistico. Fra i non italiani, Cézanne è rappresentato da un olio con «Bagnanti» e da cinque acquarelli contraddistinti da un'incredibile trasparenza dei colori; splendide poi sono le opere di Renoir, Matisse, de Staël, Fautrier, Hartung, oltre a un incantevole Monet raffigurante un paesaggio marino della Normandia, emblematico della sperimentazione degli impressionisti sulle infinite variazioni dei colori sottoposti ai mutamenti della luce.
Si tratta di capolavori che continuano a suscitare emozioni profonde, altissima espressione dell’intimo e commosso stupore dell’uomo di fronte al segreto della bellezza.
Della capacità dell’arte di conchiudere significati assoluti Magnani era convinto, come pure del suo afflato metafisico; per questo, dopo un lungo soggiorno romano dedicato all’insegnamento, si era ritirato nella sua Villa di Mamiano di Traversetolo, in quiete operosissima, fra non molti amici e le amate opere d’arte, tutte scelte con lenta e infallibile cura. Resta fra esse, come fu per Magnani e come ora per noi tutti, la gioia silenziosa del vedere e del capire, del posare lo sguardo, così spesso affaticato da inezie quotidiane, su questi sublimi frammenti della vicenda umana, raccolti fino alla morte, avvenuta nel 1984, a settantotto anni.
Il percorso della fondazione, ora presieduta da Giancarlo Forestieri, era stato avviato con l’istituzione da parte di Magnani nel 1977, nell’esplicito disegno di destinare i suoi tesori d’arte al godimento di tutti, nel ricordo dei propri genitori. Proseguì nel 1978 con il riconoscimento da parte dello Stato italiano e con l’apertura al pubblico della Villa divenuta sede museale nell’aprile 1990; venivano così definitivamente svelate le opere di una raccolta quasi leggendaria appartenuta a una delle più eclettiche personalità culturali del XX secolo: Magnani fu, infatti, scrittore, saggista, storico dell’arte, compositore, critico musicale e, con le sue ricerche e i suoi scritti su Beethoven, Proust, Stendhal e Morandi, seppe, come pochi, ricongiungere le ragioni del sentimento e quelle dell’intelletto.
Nonostante i cambiamenti avvenuti nella trasformazione museale, quella che fu la Corte di Mamiano, conserva ancora il ricordo del raffinato studioso e collezionista che «amava spostare le opere per creare dialoghi inediti tra artisti e forme, luce e materia, spazio e idee».
A quarant’anni dall’istituzione e dal riconoscimento della fondazione viene pubblicato il volume «Fondazione Magnani-Rocca. La Villa dei Capolavori» (Silvana Editoriale), a cura di Stefano Roffi, direttore scientifico della fondazione stessa. Molte delle schede delle opere sono quelle elaborate dal giovanissimo Vittorio Sgarbi per Magnani nel 1984, altre derivano dall’edizione del catalogo generale del 2001.
Nel nuovo volume numerosi sono gli aggiornamenti per novità di studi, in particolare per il grande dipinto di Goya, e le aggiunte di schede di nuove opere, dallo stesso Goya a Matisse fino a Manzù. Finalmente la collezione di Luigi Magnani viene così presentata nella sua interezza. A dipinti, sculture e lavori grafici si uniscono arredi e oggetti, prevalentemente di gusto Impero, che Magnani volle come contesto ideale della propria raccolta. I testi introduttivi di storici dell’arte – quali Lucia Fornari Schianchi, Andrea Emiliani e lo stesso Vittorio Sgarbi - che hanno conosciuto e frequentato Magnani, possono evocarne la figura non solo attraverso le opere che ha raccolto ma anche attraverso ricordi di brani di vita; a questi contributi si affianca quello di Stefano Roffi, che ragiona sulla ricerca e sul lascito del fondatore. Insieme agli interventi di Carlo Mambriani sulla storia della dimora e del giardino, e di Mauro Carrera sulla preziosa biblioteca di Magnani, al racconto biografico, frutto di accurati studi d’archivio, e a un ricco apparato iconografico, si viene così a realizzare un vero e proprio libro della Fondazione Magnani-Rocca, che intende principalmente e doverosamente rendere onore alla grande impresa culturale e filantropica di Luigi Magnani.
Informazioni utili
www.magnanirocca.it
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
sabato 9 giugno 2018
giovedì 7 giugno 2018
Giorgio Morandi attraverso gli occhi di Giancarlo Fabbi
Leggere il lavoro di Giorgio Morandi attraverso pochi semplici oggetti, un pennello, un bulino, un tubetto di colore: è quanto fa Giancarlo Fabbi, autore modenese in mostra in questi giorni a Bologna, negli spazi di Casa Morandi, l’originale dimora del maestro, al cui interno è ricostruito il suo studio, con gli oggetti e i materiali che hanno accompagnato il suo percorso artistico.
L’esposizione, per la curatela di Massimo Recalcati, allinea dieci scatti dell’artista afferenti alla sua ricerca morandiana, iniziata nel 2014.
Giancarlo Fabbi -che ha mosso i suoi passi nel mondo della fotografia da autodidattica, all’inizio per passione e poi sempre più per necessità, facendone una vera e propria ragione di vita- si è concentrato su alcuni oggetti appartenuti a Giorgio Morandi, esposti in mostra insieme alle fotografie.
Nella sua ricerca l’artista evita volutamente di utilizzare le componenti più celebri delle composizioni morandiane come le bottiglie, le conchiglie, i fiori per offrire una visione asciutta ed essenziale degli elementi primari e più umili riferibili alla pittura e all’incisione.
La sua indagine fotografica, nella serie in mostra che sarà poi dedicata all’Istituzione Bologna Musei, viene condotta eccezionalmente a colori e in digitale, contrariamente agli altri suoi progetti tutti rigorosamente in bianco e nero, per i quali si avvale sempre dell’utilizzo dell’analogico e della luce naturale per dare realtà a quello che si fa.
Attraverso un ragionato processo di astrazione compiuto da Fabbi, scrive Massimo Recalcati, «l’ascesi che ispira la pittura di Morandi si trova riflessa perfettamente e con toni per nulla freddi o anaffettivi, ma al limite di un vero e proprio struggimento, in questo ciclo di fotografie. Antipsicologismo di fondo, soppressione dell’inessenziale, monachesimo formale, rigore geometrico, insistenza degli stessi oggetti. In queste fotografie suona e risuona forte il passo più vero di Morandi: accogliere il segreto della pittura, dipingere l’invisibile nel visibile, elevare il visibile alla dignità eterna dell’invisibile».
La serie di dieci fotografie -di cui rimarrà documentazione in un catalogo con testi di Lorenzo Balbi, Francesca Interlenghi e Massimo Recalcati, edito da NFC di Amedeo Bartolini & C. sas di Rimini- vuole, infatti, incoraggiare una meta-riflessione su alcuni aspetti fondamentali della pittura di Morandi: composizione e ricomposizione geometrica, insistenza su pochi temi, silenzio, solitudine, assenza di retorica e di qualsiasi narrazione.
La scelta del colore dello sfondo che fa da quinta alle composizioni di Fabbi, un bianco luminoso da cui emergono gli oggetti nella loro fisicità come forme che si allineano, si intersecano o campeggiano al centro della foto in un voluto isolamento estetico, mette in risalto l’atteggiamento con cui il fotografo modenese intende la pratica artistica: esperienza sulla luce e sull’ombra, ricerca quasi mistica dell’essenziale, riduzione estrema delle immagini, intese come frammenti di realtà capaci di custodire momenti di eterna poesia, proprio come la pittura di Morandi.
Informazioni utili
«Giancarlo Fabbi. Il silenzio della pittura». Casa Morandi, via Fondazza, 36 – Bologna. Orari: venerdì e sabato, ore 17.00 – 19.00; domenica, ore 11.00 – 13.00. Biglietti: ingresso libero. Informazioni: tel. 051.6496611. Sito web: www.mambo-bologna.org/museomorandi/. Fino al 1° luglio 2018.
L’esposizione, per la curatela di Massimo Recalcati, allinea dieci scatti dell’artista afferenti alla sua ricerca morandiana, iniziata nel 2014.
Giancarlo Fabbi -che ha mosso i suoi passi nel mondo della fotografia da autodidattica, all’inizio per passione e poi sempre più per necessità, facendone una vera e propria ragione di vita- si è concentrato su alcuni oggetti appartenuti a Giorgio Morandi, esposti in mostra insieme alle fotografie.
Nella sua ricerca l’artista evita volutamente di utilizzare le componenti più celebri delle composizioni morandiane come le bottiglie, le conchiglie, i fiori per offrire una visione asciutta ed essenziale degli elementi primari e più umili riferibili alla pittura e all’incisione.
La sua indagine fotografica, nella serie in mostra che sarà poi dedicata all’Istituzione Bologna Musei, viene condotta eccezionalmente a colori e in digitale, contrariamente agli altri suoi progetti tutti rigorosamente in bianco e nero, per i quali si avvale sempre dell’utilizzo dell’analogico e della luce naturale per dare realtà a quello che si fa.
Attraverso un ragionato processo di astrazione compiuto da Fabbi, scrive Massimo Recalcati, «l’ascesi che ispira la pittura di Morandi si trova riflessa perfettamente e con toni per nulla freddi o anaffettivi, ma al limite di un vero e proprio struggimento, in questo ciclo di fotografie. Antipsicologismo di fondo, soppressione dell’inessenziale, monachesimo formale, rigore geometrico, insistenza degli stessi oggetti. In queste fotografie suona e risuona forte il passo più vero di Morandi: accogliere il segreto della pittura, dipingere l’invisibile nel visibile, elevare il visibile alla dignità eterna dell’invisibile».
La serie di dieci fotografie -di cui rimarrà documentazione in un catalogo con testi di Lorenzo Balbi, Francesca Interlenghi e Massimo Recalcati, edito da NFC di Amedeo Bartolini & C. sas di Rimini- vuole, infatti, incoraggiare una meta-riflessione su alcuni aspetti fondamentali della pittura di Morandi: composizione e ricomposizione geometrica, insistenza su pochi temi, silenzio, solitudine, assenza di retorica e di qualsiasi narrazione.
La scelta del colore dello sfondo che fa da quinta alle composizioni di Fabbi, un bianco luminoso da cui emergono gli oggetti nella loro fisicità come forme che si allineano, si intersecano o campeggiano al centro della foto in un voluto isolamento estetico, mette in risalto l’atteggiamento con cui il fotografo modenese intende la pratica artistica: esperienza sulla luce e sull’ombra, ricerca quasi mistica dell’essenziale, riduzione estrema delle immagini, intese come frammenti di realtà capaci di custodire momenti di eterna poesia, proprio come la pittura di Morandi.
Informazioni utili
«Giancarlo Fabbi. Il silenzio della pittura». Casa Morandi, via Fondazza, 36 – Bologna. Orari: venerdì e sabato, ore 17.00 – 19.00; domenica, ore 11.00 – 13.00. Biglietti: ingresso libero. Informazioni: tel. 051.6496611. Sito web: www.mambo-bologna.org/museomorandi/. Fino al 1° luglio 2018.
martedì 5 giugno 2018
La vita di Giorgio Vasari diventa un film
È noto soprattutto come autore del libro «Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori», prima raccolta di biografie di artisti ad avere avuto dignità di stampa. Ma è stato anche un buon pittore, uno tra i maggiori manieristi tosco-romani, la cui perizia disegnativa e capacità di composizione prospettica era stata appresa da maestri del calibro di Baccio Bandinelli e Andrea del Sarto. Oltre che biografo e pittore molto prolifico e controverso, Giorgio Vasari fu anche e soprattutto un grande architetto e tale lo reputava persino Michelangelo Buonarroti.
A raccontare la vita dell'artista aretino, che contribuì alla costruzione degli Uffizi di Firenze e che ha firmato una tavola di estrema bellezza quale «La cena di San Gregorio» (1540 - Bologna, Pinacoteca nazionale), sarà questa estate il film «Le memorie di Giorgio Vasari», in arrivo nelle principali sale cinematografiche italiane per un evento speciale previsto per le giornate del 26 e del 27 giugno.
A firmare la regia del lavoro, distribuito da Zenit Distribution in collaborazione con Twelve Entertainment, è Luca Verdone; mentre il direttore della fotografia è Gianluca Gallucci.
Nel docufilm Giorgio Vasari è interpretato dall’attore statunitense, ma a lungo attivo in Italia, Brutius Selby. Daniele Monterosi e Dino Santoro vestono rispettivamente i ruoli di Alessandro e Lorenzino dei Medici. Mentre Livia Filippi interpreta la parte di Clementina, la modella dell’artista. A indossare le vesti di Michelangelo è, invece, Allan Caister Pearce, mentre il giovanissimo artista Giambattista Cungi, citato dal Vasari nelle sue «Vite», è impersonato da Michael Natelle.
Nel film «Le memorie di Giorgio Vasari», l’artista racconta in prima persona, come in un diario, le vicende della sua vita, le opere da lui realizzate sul solco di Michelangelo e di Andrea del Sarto, i suoi rapporti con i Medici, che governarono il Gran Ducato di Toscana per molti anni, e le sue relazioni con artisti e letterati che conobbe da vicino come Francesco Salviati, Tiziano e Pietro Aretino. Ancora, nella narrazione «non sono trascurati -si legge nella sinossi- gli aspetti della vita privata nella sua bottega, i rapporti con le sue modelle e i suoi allievi», e ancora «i legami con la famiglia Farnese», che lo chiamò a Roma per affrescare gli interni del Palazzo della Cancelleria, e i rapporti col granduca Cosimo I. Da Michelangelo a Lorenzo dei Medici passando per Rosso Fiorentino e Tiziano, il film ha il merito di raccontare la vita di un uomo che è famoso, paradossalmente, per aver raccontato le vite degli altri, da Cimabue fino ai suoi contemporanei, in primis quel Michelangelo Buonarroti in cui egli intravide il culmine dell’arte italiana.
Il film diventa così un viaggio nel tempo tra gli artisti e i mecenati degli anni d’oro del Rinascimento italiano, restituendo allo spettatore uno spaccato suggestivo di un'epoca irripetibile. Il documfilm è, inoltre, anche uno strumento per scoprire qualcosa in più sulle due stesure delle «Vite», opera pubblicata per la prima volta nel 1550, che diventa il punto di riferimento per conoscere tre secoli di arte italiana attraverso le vite, appunto, di centinaia di artisti. Anche per tale motivo, a distanza di cinque secoli, grazie anche a questo film, Vasari continua ad essere il testimone che ci prende per mano per conoscere ed amare l’arte e la bellezza del nostro Paese.
Informazioni utili
www.lememoriedigiorgiovasari.it
A raccontare la vita dell'artista aretino, che contribuì alla costruzione degli Uffizi di Firenze e che ha firmato una tavola di estrema bellezza quale «La cena di San Gregorio» (1540 - Bologna, Pinacoteca nazionale), sarà questa estate il film «Le memorie di Giorgio Vasari», in arrivo nelle principali sale cinematografiche italiane per un evento speciale previsto per le giornate del 26 e del 27 giugno.
A firmare la regia del lavoro, distribuito da Zenit Distribution in collaborazione con Twelve Entertainment, è Luca Verdone; mentre il direttore della fotografia è Gianluca Gallucci.
Nel docufilm Giorgio Vasari è interpretato dall’attore statunitense, ma a lungo attivo in Italia, Brutius Selby. Daniele Monterosi e Dino Santoro vestono rispettivamente i ruoli di Alessandro e Lorenzino dei Medici. Mentre Livia Filippi interpreta la parte di Clementina, la modella dell’artista. A indossare le vesti di Michelangelo è, invece, Allan Caister Pearce, mentre il giovanissimo artista Giambattista Cungi, citato dal Vasari nelle sue «Vite», è impersonato da Michael Natelle.
Nel film «Le memorie di Giorgio Vasari», l’artista racconta in prima persona, come in un diario, le vicende della sua vita, le opere da lui realizzate sul solco di Michelangelo e di Andrea del Sarto, i suoi rapporti con i Medici, che governarono il Gran Ducato di Toscana per molti anni, e le sue relazioni con artisti e letterati che conobbe da vicino come Francesco Salviati, Tiziano e Pietro Aretino. Ancora, nella narrazione «non sono trascurati -si legge nella sinossi- gli aspetti della vita privata nella sua bottega, i rapporti con le sue modelle e i suoi allievi», e ancora «i legami con la famiglia Farnese», che lo chiamò a Roma per affrescare gli interni del Palazzo della Cancelleria, e i rapporti col granduca Cosimo I. Da Michelangelo a Lorenzo dei Medici passando per Rosso Fiorentino e Tiziano, il film ha il merito di raccontare la vita di un uomo che è famoso, paradossalmente, per aver raccontato le vite degli altri, da Cimabue fino ai suoi contemporanei, in primis quel Michelangelo Buonarroti in cui egli intravide il culmine dell’arte italiana.
Il film diventa così un viaggio nel tempo tra gli artisti e i mecenati degli anni d’oro del Rinascimento italiano, restituendo allo spettatore uno spaccato suggestivo di un'epoca irripetibile. Il documfilm è, inoltre, anche uno strumento per scoprire qualcosa in più sulle due stesure delle «Vite», opera pubblicata per la prima volta nel 1550, che diventa il punto di riferimento per conoscere tre secoli di arte italiana attraverso le vite, appunto, di centinaia di artisti. Anche per tale motivo, a distanza di cinque secoli, grazie anche a questo film, Vasari continua ad essere il testimone che ci prende per mano per conoscere ed amare l’arte e la bellezza del nostro Paese.
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www.lememoriedigiorgiovasari.it
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