ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 13 marzo 2019

«Ecologies of Loss», quando l’arte incontra il pensiero ecologista

Propone una riflessione sul rapporto tra pratiche artistiche e pensiero ecologista nel continente asiatico la prima personale italiana dell’artista indiano Ravi Agarwal, allestita fino al prossimo 9 giugno negli spazi del PAV - Parco Arte Vivente di Torino per la curatela di Marco Scotini. «Ecologies of Loss», questo il titolo dell’esposizione, rientra in un progetto di più ampio respiro che si propone di far luce sulla «centralità dell'Asia nella crisi climatica», per usare le parole di Amitav Ghosh, e che ha preso avvio nei mesi scorsi con una personale dell'artista cinese Zheng Bo dal titolo «Weed Party III».
Tra i maggiori esponenti della scena artistica indiana, da decenni Ravi Agarwal conduce una pratica interdisciplinare come artista, fotografo, attivista ambientale, scrittore e curatore. Il suo impegno per l'ambiente lo ha visto fondare e tuttora dirigere la ONG ambientalista Toxic Link e gli è valso differenti premi, tra cui, nel 2008, lo Special Recognition Award for Chemical Safety delle Nazioni Unite e, nel 1997, l'Ashoka Fellowship per l'imprenditoria sociale.
Il lavoro di Ravi Agarwal esplora questioni nodali dell'epoca contemporanea quali l'ecologia, la società, lo spazio urbano e rurale, il capitale.
Per oltre quattro decadi, la fotografia ha costituito il medium d'elezione per il lavoro di Ravi Agarwal, che ha poi conosciuto una dimensione più estesa grazie all'inclusione di installazioni, video, interventi di arte pubblica, diari, all'interno di progetti dalla durata pluriennale.
La natura decentrata del suo approccio (plurale, frattale, polifonico) colloca Ravi Agarwal tra quegli esponenti di una scienza nomade (Deleuze e Guattari) che si muovono contro le istanze teoriche unitarie, in favore di saperi minori, frammentari e locali. Animato dal desiderio di riappropriazione dei poteri collettivi autonomi sottratti dal capitalismo, di auto-gestione e auto-governo dei propri corpi e delle proprie vite, di cooperazione nel lavoro umano ed extra-umano, Agarwal registra i cambiamenti in corso nell'ambiente a partire dal lato della perdita. Da qui deriva il titolo, «Ecologies of Loss», della mostra concepita per il PAV.
In questo senso, trattandosi della prima personale in Italia, la mostra cerca di raccogliere nuclei di opere scalate cronologicamente negli anni: da «Have you Seen the Flowers on the River» (2007 - 2010) a «Extinct?» (2008), da «Alien Waters» (2004 – 2006) a «Else All Will Be Still» (2013 – 2015). All'interno di queste estese ricerche, la perdita dell'animale (la comunità degli avvoltoi della parte meridionale dell'Asia) non è distinta dalla minaccia dell'estinzione della coltura del garofano indiano (la sua economia sostenibile, i suoi significati rituali), la perdita del fiume Yamuna, da quella del linguaggio (con il ricorso alla antica letteratura Sangam, scritta in Tamil), fino alla perdita del sé soggettivo – secondo una logica di interconnessione ecosistemica per la quale nessun elemento risulterebbe isolabile dal resto.
Ma l'aspetto fondamentale e originale della pratica artistica e attivista di Ravi Agarwal è quello che da più parti è stata definita come «personal ecology». E ciò fin dal 2002, quando il suo lavoro viene presentato a Documenta XI e il tema ecologico non è ancora all'ordine del giorno. Piuttosto che «personal ecology» sarebbe più giusto definirla, con la derivazione foucaultiana, «ecologia del sé», cioè come l'implicazione della propria auto-biografia all'interno dell'ambiente, come sua componente indissociabile. Per questo l'ambiente non potrà essere solo naturale, ma psichico, sociale, linguistico, semiotico. Da questo punto di vista, risulta particolarmente emblematico il lavoro presentato a Yinchuan Biennale. Il titolo, «Room of the Seas and Room of Suns», fa riferimento a due spazi della vita dell'artista, connessi dal comune elemento della sabbia. Due contesti ecologici, due politiche di sopravvivenza, il paesaggio umido della città costiera di Pondicherry e quello arido del deserto del Rajasthan, della sua infanzia e dei suoi antenati. Come afferma Agarwal, il fiume non è solo un corpo d'acqua che scorre attraverso la città, ma una rete di miriadi di relazioni interconnesse alla città, ai suoi abitanti e alla natura.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ravi Agarwal, Have you seen the flowers on the river?, stampe fotografiche, 2007. Courtesy l'artista; [fig. 2] Ravi Agarwal, Else, all will be still, serie fotografica, 2013-2015. Courtesy l'artista; [fig. 3] Ravi Agarwal, Alien Waters, serie fotografica, 2004-2006.  Courtesy l'artista; [fig.4] Ravi Agarwal, Else, all will be still, serie fotografica, 2013-2015. Courtesy l'artista

Informazioni utili 
«Ecologies of Loss» - Personale di Ravi Agarwal. PAV - Parco Arte Vivente, via Giordano Bruno, 31 – Torino. Orari: venerdì, ore 15.00 – 18.00; sabato e domenica, ore 12.00 – 19.00. Ingresso: € 4,00; ridotto € 3,00; gratuito: Abbonamento Torino Musei, Torino+Piemonte Card, minori di 10 anni, over 65, persone con disabilità. Informazioni: tel. 011.3182235, press@parcoartevivente.it. Fino al 9 giugno 2019. 

Al Mao di Torino un omaggio al teatro Kabuki

È un omaggio al teatro Kabuki, uno dei pilastri della cultura giapponese, il nuovo allestimento del Mao – Museo d’arte orientale di Torino per il corridoio dedicato alle stampe policrome nipponiche ukiyo. La rassegna allinea una selezione di opere che vanno dal 1760 al 1830 e che rientrano nel genere yakusha. Si tratta cioè di ritratti dei più famosi attori giapponesi dell'epoca, vere e proprie star del periodo Edo (1603-1868).
Il teatro kabuki, in quel periodo, occupava un posto di rilievo nella vita culturale dei principali centri urbani giapponesi, i cui cittadini amavano seguire le gesta degli attori più famosi e acquistare le stampe che li ritraevano. Fondamentale e reciprocamente vantaggioso era il rapporto tra le stampe, o meglio gli artisti e gli stampatori, e gli attori: le prime erano tanto più vendute quanto più erano famosi i secondi e la fama e la popolarità dei secondi incrementava proprio grazie alla diffusione delle prime.
Torii Kiyomitsu (1735-1785), caposcuola della terza generazione della scuola Torii, esprime al meglio le potenzialità grafiche del benizuri-e, le stampe che presentano un numero limitato di colori: rosso càrtamo, verde, giallo, indaco e marrone.
La produzione dell’artista è esemplificativa del periodo di transizione che porterà alle stampe policrome nishiki-e. Le tre opere esposte al Mao ben trasmettono l’equilibrio che l’artista raggiunge: l’impostazione statica delle figure ereditata dal passato risulta qui ingentilita da una nuova grazia che ispirerà gli artisti delle generazioni successive.
L’esposizione presenta, quinti, un altro nucleo di stampe di Utagawa Toyokuni (1769-1825), artista che dominò il mercato per circa un trentennio, in particolare con serie di stampe di ritratti di attori in palcoscenico caratterizzate dalla perfezione tecnica.
Il tratto morbido e sinuoso che delinea la figura di una danzatrice e quello deciso e possente che coglie il samurai al culmine dell’azione rivelano l’abilità di Toyokuni nell’usare la tecnica come veicolo delle caratterizzazioni dei diversi personaggi protagonisti di uno stesso dramma.
Ad essere colti nelle tipiche pose teatrali sono, ad esempio, gli attori Onoe Matsusuke I(1744-1875) e Onoe Eizaburo I (1784-1849), che interpretano due dei quarantasette ronin protagonisti della celebre opera teatrale intitolata «Kanadehon Chushingura», incentrata sulle gesta eroiche dei samurai che vendicarono la morte del loro signore Asano Naganori, prima di porre fine alle loro vite tramite seppuku.
La vendetta con onore è tema ispiratore di molti drammi giapponesi, come «Un voto di assistenza al santuario del monte Hiko», che ha come protagonisti Rokusuke e sua moglie Osono - ritratti proprio in un dittico esposto al Mao in cui gli attori sono rispettivamente Onoe Matsusuke II (1784-1849) e Sawamura Tanosuke II (1788-1817) - ed è tema ispiratore di innumerevoli trasposizioni moderne, tra i quali gli holliwoodiani «L’ultimo samurai» di Edward Zwick o «47 Ronin» di Carl Rinsch.
L’ultima sezione, invece, è un piccolo tributo a due dei più famosi artisti giapponesi, Katsushika Hokusai e Utagawa Hiroshige, di cui sono esposte opere a tema paesaggistico. Del primo sono visibili cinque stampe in formato koban, tratte dalla serie intitolata «Piccola Tōkaido»;dell’altro e quattro opere del ciclo «Nelle 53 stazioni della Tōkaido».

Informazioni utili
MAO - Museo d’arte orientale, via San Domenico, 11 – Torino. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00 -18.00; sabato-domenica, ore 11.00– 19.00; chiuso lunedì. La biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte. Informazioni: tel. 011.4436927, e-mail mao@fondazionetorinomusei.it. Sito web: www.maotorino.it.

martedì 12 marzo 2019

«Pittura spazio e scultura», una riflessione sull’arte tra gli anni Sessanta e Ottanta

Da poco meno di un mese la Galleria d’arte moderna di Torino propone un nuovo allestimento delle sue collezioni dedicate al contemporaneo. L’allestimento inaugura un programma espositivo, su base biennale, che si propone di far conoscere al pubblico, attraverso diverse mostre tematiche, la ricchezza delle collezioni museali, dando voce a molteplici letture e interpretazioni critiche.
Questo primo ordinamento, a cura di Elena Volpato, si concentra su due decenni, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, in rapporto di continuità cronologica con quanto è esposto nelle collezioni del ‘900 e sceglie di raccontare aspetti rilevanti delle ricerche artistiche di quegli anni, scarsamente riconosciuti dalla più diffusa interpretazione storica.
Le opere in mostra provengono interamente dalle collezioni del museo. Il nucleo espositivo più rilevante in mostra è frutto delle numerose acquisizioni realizzate durante la direzione di Pier Giovanni Castagnoli, tra il 1998 e il 2008. Molte di queste opere sono state acquisite grazie al contributo della Fondazione per l’arte moderna e contemporanea CRT, a cui si deve anche la recente acquisizione dei libri d’artista e delle due opere di Marco Bagnoli, «Vedetta notturna» (1986) e «Iris» (1987), avvenuta durante l’attuale direzione di Riccardo Passoni.
Tra le opere esposte ci sono anche «Animale terribile» (1981) di Mario Merz e «Gli Attaccapanni (di Napoli)» di Luciano Fabro, facenti parte di un ristretto gruppo di lavori provenienti dalla Collezione Margherita Stein, acquistato per essere affidato alla comune cura della Gam e del Castello di Rivoli.
Quella che racconta la rassegna curata da Elena Volpato è la storia di un insieme di ricerche artistiche, perlopiù a lungo scarsamente riconosciute dalla più diffusa interpretazione storiografica.
Verso la metà degli anni Sessanta, quando le ricerche artistiche si muovevano in direzioni per lo più tese a sovvertire i tradizionali linguaggi artistici e a disconoscere ogni debito con il museo e la storia dell’arte, alcuni artisti italiani continuarono a interrogarsi sul significato della scultura, della pittura e del disegno, sulla possibilità di superare i limiti che sin lì quei linguaggi avevano espresso.
Lo fecero senza recidere i legami con la storia, ponendo mente alle origini stesse del gesto pittorico e scultoreo, aprendo le loro opere, come mai prima di allora, ad accogliere e nutrire al loro interno il respiro dello spazio e, con esso, quello del tempo.
Gli artisti rappresentati non fanno parte di un unico gruppo. Alcuni dei loro nomi sono legati alle vicende dell’Arte Povera. È il caso di Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro e Giovanni Anselmo. Il percorso di altri si è intrecciato con quello della Pittura analitica. Altri ancora, dopo una stagione concettuale, hanno trovato nuove ragioni per tornare a riflettere su linguaggi tradizionali e su antichi codici espressivi. Tuttavia, se le loro opere sembrano dialogare qui con naturalezza, non è per mera cronologia, ma perché nel lavoro di ciascuno di loro c’è molto più di quanto le parole della critica militante avesse motivo di raccontare. In tutti loro, come spesso accade, c’è più personalità e indipendenza di quanto le ragioni di un raggruppamento o le linee di tendenza del mondo dell’arte possano dire.
Ecco così che il visitatore può accostarsi ad opere come «Cultura Mummificata» (1972) di Eliseo Mattiacci, con i suoi calchi di libri antichi che ci parlano di un sapere custodito e da custodire o il «Rotolo di cartone ondulato» di Alighiero Boetti, in cui il disegno arcaico della spirale si coniuga con impressioni di architetture del Medio Oriente e con l'interesse per le simbologie dell’infinito, senza dimenticare lo scenografico «DadAndroginErmete» (1987) di Luigi Ontani, carico di simboli occidentali e orientali.
A distanza di decenni, ora che quelle storie d’insieme sono note e codificate, ora che sempre più mostre internazionali vengono tributate ad alcune di esse, possiamo concederci di guardare agli aspetti più personali del loro lavoro. Ed è proprio in quella cifra individuale che sembra risuonare con più chiarezza un insoluto legame con la storia dell’arte, con i suoi antichi linguaggi, per ciascuno in modo diverso, ma con simile forza.
Se si dovesse provare a spiegare in una frase cosa avvicina tra loro queste opere e i loro autori, là dove sembrano esprimere la loro voce più personale, si direbbe che hanno in comune un autentico desiderio dell’arte, un senso di appartenenza, la consapevolezza di tutto ciò che quella parola aveva significato sin lì e tutto ciò che ancora poteva rappresentare in virtù di quel passato.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Allestimento della mostra «Pittura spazio e scultura» alla Gam di Torino. Foto di Giorgio Perottino; [fig. 3] Luciano Fabro, Attaccapanni (di Napoli), 1976-1977. Bronzo, tela di lino, pittura acrilica, filo in cotone. Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT/già Collezione Margherita Stein; [fig. 4] Eliseo Mattiacci, Cultura mummificata, (1972). 134 calchi di libri in alluminio fuso. Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT [fig. 5] Alighiero Boetti, Rotolo di cartone ondulato (1966). Cartone ondulato. Dono dell’artista, 1967, per il Museo Sperimentale

Informazioni utili 
GAM, via Magenta, 31 - 10128 Torino. Orari di apertura: da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.00, lunedì chiuso | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00,  ingresso libero Abbonamento Musei e Torino Card. Informazioni: tel. 011.4429518 o 011.4436907, e-mail: gam@fondazionetorinomusei.it. Sito internet: www.gamtorino.it.