Si respira il clima festoso e colorato del Messico alla Galleria Campari di Sesto San Giovanni. Lo spazio museale alle porte di Milano, centro di ricerca e produzione culturale nato nel 2010 in occasione dei centocinquant’anni dalla fondazione della nota azienda di beverage, ha da poco aperto le porte a una personale di Rodrigo Hernández (Città del Messico, 1983).
«Pedigree» -questo il titolo dell’esposizione, per la curatela di Ilaria Bonacossa- allinea otto sculture che l’artista sudamericano ha voluto mettere in dialogo con una speciale carta da parati optical realizzata in omaggio alla vicenda della famiglia Campari e alla sua storia imprenditoriale e creativa.
Si rinnova così il sodalizio tra il celebre marchio milanese e «Artissima», la fiera internazionale d’arte contemporanea di Torino, che dal 2017 ha dato vita al Campari Art Prize, riconoscimento riservato ad artisti under 35, selezionati in base alla «ricerca sul potere evocativo del racconto, sulla dimensione comunicativa e sulla capacità narrativa» della loro opera.
Rodrigo Hernández, presentato nell’ambito dell'edizione 2018 del prestigioso evento mercantile piemontese dalla galleria Madragoa di Lisbona, si è aggiudicato il riconoscimento dopo Sári Ember, vincitrice nel 2017, e prima di Julian Irlinger, premiata soto pochi giorni all'Oval del Lingotto.
A selezionare il lavoro dell'artista sudamericano è stata una giuria composta da Lorenzo Fusi, direttore di Piac - Fondation Prince Pierre di Monaco, da Abaseh Mirvali, direttrice e capo curatrice del Contemporary Art Museum Santa Barbara, e da Claire Tancons, co-curatrice della Sharjah Biennal 14.
Rodrigo Hernández -secondo la motivazione data per l'assegnazione del riconoscimento- «rivisita una storia e un'estetica che trae spunto dall'iconografia Meso-americana così come dal modernismo europeo e dalle avanguardie italiane, e li reinterpreta nuovamente puntando sugli elementi e le componenti più essenziali di questi linguaggi e tradizioni. In tal modo, crea un vocabolario nuovo e unico, ma allo stesso tempo ricorda le molte storie e i riferimenti da cui ha attinto».
Attraverso un vocabolario formale del tutto personale e unico, sospeso tra ironia e classicità, e per mezzo di installazioni, sculture e disegni, l’artista sudamericano ricorre per le sue opere a elementi tratti dall’iconografia antica, dalla storia dell’arte e dalla quotidianità.
Ispirato dall’ambiguità delle immagini, Rodrigo Hernández sviluppa i propri lavori lasciandosi guidare dall’immaginazione e dalle associazioni personali, legate spesso a suggestioni letterarie, come ad esempio i testi di Rovert Walser, Juan Rulfo e Patrick Modiano. Da quest’ultimo, in particolare da un suo scritto omonimo, prende le mosse il titolo «Pedigree» dato alla mostra: l’autore in questo volume parla di sé come «un cane che finge di avere un pedigree», stimolo accolto dall’artista per ragionare sull’importanza di un certificatore di qualità.
Rodrigo Hernández ha scelto di intrecciare il tono e la struttura di questa narrazione autobiografica con la sua lettura della storia di Campari. «Ispirato e affascinato dalla vita del fondatore Gaspare -ha raccontato l'artista, mi sono trovato a riflettere sul significato e le implicazioni che la creazione dell’identità di una marca potesse avere nell’Ottocento».
Fonte di ispirazione sono state le originali testimonianze d’arte e design custodite nel museo aziendale di Sesto San Giovanni.
L’artista ha, più precisamente, focalizzato la sua attenzione sull’ideazione e sulla registrazione di un pioneristico «logo» ottocentesco: uno stemma Campari, rappresentante uno scudo con la figura di due cani accoccolati e sormontato da un elmo con foglie ornamentali.
Da questo spunto sono nate le nuove sculture dell’artista, che uniscono elementi astratti e figurativi, come ad esempio cani, edifici, uomini e macchine, dando vita a figure totemiche apotropaiche dai colori vivaci che richiamano alla memoria lo stile di un altro grande artista che ha lavorato per Campari: Fortunato Depero.
La mostra, allestita al secondo piano del museo, offre anche l’occasione per scoprire o riscoprire la Galleria Campari, spazio dinamico, interattivo e multimediale, interamente dedicato al rapporto tra il noto marchio del bevarage e la sua comunicazione attraverso l’arte e il design, i cui spazi sono stati disegnati da Mario Botta tra i 2007 e il 2009.
Il museo di Sesto San Giovanni deve la propria forza all’unicità e alla ricchezza dell’Archivio storico, vero e proprio giacimento culturale trasversale, che raccoglie oltre tremila opere su carta, soprattutto affiche originali della Belle époque, ma anche manifesti e grafiche pubblicitarie dagli anni ‘30 agli anni ‘90, firmate da importanti artisti come Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello, Fortunato Depero, Franz Marangolo, Guido Crepax e Ugo Nespolo. Negli spazi di viale Gramsci sono visibili anche caroselli e spot di noti registi come Federico Fellini e Singh Tarsem, ma anche oggetti firmati da affermati designer come Matteo Thun, Dodo Arslan, Markus Benesch e Matteo Ragni.
Le opere sono esposte sia in originale sia in versione multimediale, rielaborate da giovani Interaction Designer (Cogitanz) utilizzando modalità digitali quali un video-wall con quindici schermi dedicati ai caroselli dagli anni ‘50 agli anni ‘70, 8 proiettori in alta definizione che proiettano su una parete di trentadue metri manifesti d’epoca animati, video dedicati ad artisti, immagini tratte dai calendari Campari e spot pubblicitari dagli anni ‘80 a oggi. Infine, un tavolo interattivo con dodici schermi touch screen consente di fruire gran parte del vasto patrimonio artistico dell’azienda.
Quella di Campari si configura così come una storia fatta di brillanti intuizioni, di campagne pubblicitarie raffinate, di una strategia comunicativa all’avanguardia che ha vestito il prodotto di arte e design e ha saputo associarlo alla cultura e alla creatività italiane, traghettando il marchio verso il futuro. Un futuro di cui il Campari Art Prize è un piccolo, ma importante tassello.
Didascalie delle immagini
Installation views, Rodrigo Hernández, Pedigree, Galleria Campari, Ph Marco Curatolo
Informazioni utili
Rodrigo Hernández - Pedigree. HQs Gruppo Campari, Viale Gramsci, 161 - Sesto San Giovanni (Milano). Orari e biglietto: visite guidate gratuite su prenotazione dal martedì al venerdì, alle ore 10.00, 11.30, 14.00, 15.30 e 17.00; ogni secondo sabato del mese, alle ore 10.00, 11.30, 14.00, 15.30 e 17.00 |Aperture serali, alle ore 20.00, nelle giornate del 12 novembre e del 3 dicembre 2019. Opzione 1) Visita gratuita, su prenotazione. Opzione 2) Art&Mixology (per un pubblico maggiorenne): visita guidata condotta da uno storico dell'arte e da un bartender + cocktail experience. Su prenotazione fino a esaurimento posti, € 25,00 a persona. Informazioni e prenotazioni: galleria@campari.com, tel. 02.62251. Fino al 14 febbraio 2020.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
martedì 12 novembre 2019
lunedì 11 novembre 2019
«Luxardo e il cinema», a Roma trentadue «facce da film»
È stato il fotografo dei telefoni bianchi e del Ventennio fascista. Ha lasciato un’indimenticabile galleria di nudi dalla bellezza asciutta e suggestiva, con corpi maschili muscolosi e forme femminili dalle linee sinuose, capaci di evocare la grazia e l’armonia della scultura classica antica. Ha firmato campagne pubblicitarie innovative, ideando, tra l’altro, l’immagine della donnina Ferrania, sexy e ammiccante, sul modello delle pin-up americane. Ha messo in posa politici, nobili, scrittori, ma anche uomini e donne comuni. Ha prestato il suo sguardo iconico e metaforico agli anni d’oro del cinema italiano, quelli tra il 1930 e il 1960, regalandoci ritratti indimenticabili delle dive più importanti dell’epoca. Davanti al suo obiettivo, nello studio romano di via del Tritone 197 (e, dal 1944, in quello milanese di corso Vittorio Emanuele), sono passate star nostrane come Sophia Loren, Claudia Cardinale, Silvana Mangano, Lucia Bosè e Gina Lollobrigida. Stiamo parlando di Elio Luxardo (Sorocaba, 1º agosto 1908 – Milano, 27 novembre 1969), a cui la Casa del Cinema di Roma, spazio culturale gestito da Zetema e diretto da Giorgio Gosetti, dedica fino al prossimo 1° dicembre una mostra, per la curatela di Roberto Mutti, che racconta i rapporti dell'artista con la settima arte e con gli artisti di Cinecittà.
«Luxardo e il cinema», questo il titolo dell’esposizione, allinea nello specifico trentadue scatti, provenienti dalla Fondazione 3M, istituzione permanente di ricerca e formazione, proprietaria di uno storico archivio fotografico di circa centodiecimila immagini (lastre, cartoline fotografiche, negativi, stampe vintage e riproduzioni), provenienti dalla storica azienda fotografica italiana Ferrania e da una serie di donazioni e di acquisizioni avvenute nel tempo e recenti.
Sophia Loren, Claudia Cardinale, Silvana Mangano, Lucia Bosè, Marisa Merlini e Gina Lollobrigida, ma anche Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Silvana Mangano, Sergio Tofano e Giorgio Albertazzi sono alcuni dei più noti protagonisti del cinema italiano, i cui ritratti sono visibili nella rassegna romana.
Elio Luxardo, nato da genitori di origini italiane in Brasile, si affermò inizialmente come atleta e come autore di documentari. Dal padre, fotografo di professione, imparò molto lavorando con i fratelli nello studio di famiglia. Nel 1932 si trasferì a Roma e si iscrisse al Centro sperimentale di cinematografia col sogno di diventare regista. Abbandonò, però, quasi subito la scuola per entrare nello studio del fotografo Sem Bosch e ne rilevò, poi, l’attività affermandosi rapidamente come ritrattista. Proprio in questa veste, il fotografo, che per anni ha immortalato anche le Miss Italia, è stato in particolar modo apprezzato dai divi di Cinecittà e dagli attori di teatro per la sua capacità di ricercare la bellezza nei volti e nei corpi, e di realizzare scatti mai ripetitivi.
Il fotografo, appassionato di cinema, aveva imparato sul set a utilizzare in maniera innovativa le luci per valorizzare i volti. Nei suoi scatti, rigorosamente in bianco e nero, emergono così le caratteristiche di ognuno dei soggetti raffigurati, di cui l’artista sottolinea l’ironia di uno sguardo e la forza seduttiva di un altro, le posture più classiche e quelle insolite. Le opere di Elio Luxardo trasmettono, inoltre, un senso di plasticità, grazie alla scelta delle riprese laterali, che vedono corpi e volti occupare lo spazio in diagonale.
Raffinatezza, eleganza e divismo sono, dunque, i protagonisti della mostra romana alla Casa del Cinema, che celebra una delle massime griffe fotografiche degli anni della Dolce Vita.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Marisa Merlini; [fig. 2] Gina Lollobrigida; [fig. 3] Silvana Mangano
Informazioni utili
Casa del cinema, Largo Marcello Mastroianni, 1 – Roma. Orari: lunedi – venerdì,ore16.00 – 20.00; sabato – Domenica, ore 10.00 – 13.00 / 16.00 – 20.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 060608. Sito internet: www.casadelcinema.it | www.060608.it. Fino al 1° dicembre 2019.
«Luxardo e il cinema», questo il titolo dell’esposizione, allinea nello specifico trentadue scatti, provenienti dalla Fondazione 3M, istituzione permanente di ricerca e formazione, proprietaria di uno storico archivio fotografico di circa centodiecimila immagini (lastre, cartoline fotografiche, negativi, stampe vintage e riproduzioni), provenienti dalla storica azienda fotografica italiana Ferrania e da una serie di donazioni e di acquisizioni avvenute nel tempo e recenti.
Sophia Loren, Claudia Cardinale, Silvana Mangano, Lucia Bosè, Marisa Merlini e Gina Lollobrigida, ma anche Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Silvana Mangano, Sergio Tofano e Giorgio Albertazzi sono alcuni dei più noti protagonisti del cinema italiano, i cui ritratti sono visibili nella rassegna romana.
Elio Luxardo, nato da genitori di origini italiane in Brasile, si affermò inizialmente come atleta e come autore di documentari. Dal padre, fotografo di professione, imparò molto lavorando con i fratelli nello studio di famiglia. Nel 1932 si trasferì a Roma e si iscrisse al Centro sperimentale di cinematografia col sogno di diventare regista. Abbandonò, però, quasi subito la scuola per entrare nello studio del fotografo Sem Bosch e ne rilevò, poi, l’attività affermandosi rapidamente come ritrattista. Proprio in questa veste, il fotografo, che per anni ha immortalato anche le Miss Italia, è stato in particolar modo apprezzato dai divi di Cinecittà e dagli attori di teatro per la sua capacità di ricercare la bellezza nei volti e nei corpi, e di realizzare scatti mai ripetitivi.
Il fotografo, appassionato di cinema, aveva imparato sul set a utilizzare in maniera innovativa le luci per valorizzare i volti. Nei suoi scatti, rigorosamente in bianco e nero, emergono così le caratteristiche di ognuno dei soggetti raffigurati, di cui l’artista sottolinea l’ironia di uno sguardo e la forza seduttiva di un altro, le posture più classiche e quelle insolite. Le opere di Elio Luxardo trasmettono, inoltre, un senso di plasticità, grazie alla scelta delle riprese laterali, che vedono corpi e volti occupare lo spazio in diagonale.
Raffinatezza, eleganza e divismo sono, dunque, i protagonisti della mostra romana alla Casa del Cinema, che celebra una delle massime griffe fotografiche degli anni della Dolce Vita.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Marisa Merlini; [fig. 2] Gina Lollobrigida; [fig. 3] Silvana Mangano
Informazioni utili
Casa del cinema, Largo Marcello Mastroianni, 1 – Roma. Orari: lunedi – venerdì,ore16.00 – 20.00; sabato – Domenica, ore 10.00 – 13.00 / 16.00 – 20.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 060608. Sito internet: www.casadelcinema.it | www.060608.it. Fino al 1° dicembre 2019.
venerdì 8 novembre 2019
«Il volo di Leonardo», al Piccolo Teatro di Milano la storia leggendaria del «grande nibbio»
«Nessuna guarda a cosa c’è davanti ai suoi piedi. Tutti guardano le stelle», diceva il poeta e drammaturgo romano Quinto Ennio, il padre della letteratura latina.
Forse proprio quegli occhi rivolti al cielo, a seguire il moto degli astri, a studiare i fenomeni meteorologici o a guardare il librare degli uccelli, sono all'origine di uno dei sogni più ricorrenti nella storia dell’umanità: volare.
Tutti, almeno per sentito dire, conoscono il mito greco di Icaro, il figlio dell’inventore Dedalo, che riuscì a fuggire dal labirinto del re cretese Minosse e dal suo Minotauro, grazie a un paio di ali di cera, anche se quel volo gli fu fatale: inebriato dall'esperienza, il giovane si avvicinò troppo al sole e precipitò in mare.
Ma quello di Dedalo è solo uno dei tanti miti nati nell'antichità, prima di ogni invenzione rivoluzionaria, quando l’uomo poteva volare solo con la fantasia. Basti pensare, per esempio, ai tappeti volanti delle antiche favole orientali o alla divinità egizia di Iside, ritratta con le ali, o ancora a Weland il fabbro, mitologico personaggio di origine germanica capace di fabbricare spade indistruttibili, armature e ali per volare grazie alle tecniche apprese dai nani, abili forgiatori di metalli.
Anche Leonardo da Vinci non fu immune al fascino del volo. Mentre Filippo Brunelleschi sfidava le grandi altezze con la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, che avrebbe eclissato qualsiasi altra costruzione del primo Rinascimento con la solennità dei suoi centoquattordici metri di altezza. Leonardo cercava di oltrepassare i limiti umani con i suoi studi contenuti nel «Codice di volo degli uccelli», fascicoletto composto da diciotto fogli di ventuno per quindici centimetri, fitto di note, schizzi, osservazioni, disegni e intuizioni scientifiche sulle leggi fisiche che permettono a passeri, rondini e colombi di librarsi in volo.
Scritto nel 1505, il Codice, oggi conservato alla Biblioteca reale di Torino, rappresenta il primo passo di quell'ardito esperimento che, secondo la leggenda, Leonardo compì nel 1506 sul Monte Ceceri, nei pressi di Fiesole, con il suo prototipo di macchina da volo: «il grande nibbio».
Prende spunto da questa storia lo spettacolo «Il volo di Leonardo», in cartellone da sabato 9 a domenica 24 novembre a Milano, nella Scatola magica del Teatro Strehler.
In occasione dei cinquecento anni dalla morte del genio vinciano, Flavio Albanese racconta ai più piccoli «i sogni, il pensiero, la vita, le peripezie, i segreti» di quello che è universalmente riconosciuto come uno più grandi geni dell’umanità, un uomo dalla personalità particolarissima personalità e dall'indomita e inesauribile voglia di conoscere e insegnare.
A raccontare la figura di Leonardo è il suo amico e collaboratore prediletto: Tommaso Masini detto Zoroastro, che fu protagonista anche dell’esperimento con «il grande nibbio», una delle invenzioni leonardesche più visionarie e anticipatrici. L’esperimento non funzionò perfettamente, ma la fede di Leonardo nel volo umano restò sempre immutata, a testimonianza di una altrettanto profonda fede: quella nella capacità dell’uomo di superarsi e di imparare dall'esperienza, che, al di là dei risultati, è sempre maestra di vita.
Attraverso gli occhi del giovane Tommaso, interpretato da Albanese (che è anche autore e regista dello spettacolo), i bambini dai 9 anni in su faranno così un viaggio avventuroso tra esperimenti scientifici, azzardi culinari e la realizzazione dell’«Ultima Cena», per scoprire come i sogni, prima o poi, possano diventare realtà. L’importante è crederci e non focalizzare l’attenzione sull'errore.
Risultano così profetiche le parole dello stesso Leonardo: «Una volta che avrete imparato a volare, camminerete sulla terra guardando il cielo perché è là che siete stati ed è là che vorrete tornare».
Informazioni utili
Il volo di Leonardo. scritto, diretto e interpretato da Flavio Albanese. Per bambini dai 9 anni in su. Piccolo Teatro Strehler - Scatola Magica, Largo Greppi, 1 – Milano. Orari: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, ore 9.45 e 11.15; sabato, ore 15 e 16.30; domenica, ore 11. Durata: 55 minuti senza intervallo. Biglietto: posto unico 10 euro. Informazioni e prenotazioni: tel. 0242411889. Sito web: www.piccoloteatro.org. Dal 9 al 24 novembre 2019.
Forse proprio quegli occhi rivolti al cielo, a seguire il moto degli astri, a studiare i fenomeni meteorologici o a guardare il librare degli uccelli, sono all'origine di uno dei sogni più ricorrenti nella storia dell’umanità: volare.
Tutti, almeno per sentito dire, conoscono il mito greco di Icaro, il figlio dell’inventore Dedalo, che riuscì a fuggire dal labirinto del re cretese Minosse e dal suo Minotauro, grazie a un paio di ali di cera, anche se quel volo gli fu fatale: inebriato dall'esperienza, il giovane si avvicinò troppo al sole e precipitò in mare.
Ma quello di Dedalo è solo uno dei tanti miti nati nell'antichità, prima di ogni invenzione rivoluzionaria, quando l’uomo poteva volare solo con la fantasia. Basti pensare, per esempio, ai tappeti volanti delle antiche favole orientali o alla divinità egizia di Iside, ritratta con le ali, o ancora a Weland il fabbro, mitologico personaggio di origine germanica capace di fabbricare spade indistruttibili, armature e ali per volare grazie alle tecniche apprese dai nani, abili forgiatori di metalli.
Anche Leonardo da Vinci non fu immune al fascino del volo. Mentre Filippo Brunelleschi sfidava le grandi altezze con la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, che avrebbe eclissato qualsiasi altra costruzione del primo Rinascimento con la solennità dei suoi centoquattordici metri di altezza. Leonardo cercava di oltrepassare i limiti umani con i suoi studi contenuti nel «Codice di volo degli uccelli», fascicoletto composto da diciotto fogli di ventuno per quindici centimetri, fitto di note, schizzi, osservazioni, disegni e intuizioni scientifiche sulle leggi fisiche che permettono a passeri, rondini e colombi di librarsi in volo.
Scritto nel 1505, il Codice, oggi conservato alla Biblioteca reale di Torino, rappresenta il primo passo di quell'ardito esperimento che, secondo la leggenda, Leonardo compì nel 1506 sul Monte Ceceri, nei pressi di Fiesole, con il suo prototipo di macchina da volo: «il grande nibbio».
Prende spunto da questa storia lo spettacolo «Il volo di Leonardo», in cartellone da sabato 9 a domenica 24 novembre a Milano, nella Scatola magica del Teatro Strehler.
In occasione dei cinquecento anni dalla morte del genio vinciano, Flavio Albanese racconta ai più piccoli «i sogni, il pensiero, la vita, le peripezie, i segreti» di quello che è universalmente riconosciuto come uno più grandi geni dell’umanità, un uomo dalla personalità particolarissima personalità e dall'indomita e inesauribile voglia di conoscere e insegnare.
A raccontare la figura di Leonardo è il suo amico e collaboratore prediletto: Tommaso Masini detto Zoroastro, che fu protagonista anche dell’esperimento con «il grande nibbio», una delle invenzioni leonardesche più visionarie e anticipatrici. L’esperimento non funzionò perfettamente, ma la fede di Leonardo nel volo umano restò sempre immutata, a testimonianza di una altrettanto profonda fede: quella nella capacità dell’uomo di superarsi e di imparare dall'esperienza, che, al di là dei risultati, è sempre maestra di vita.
Attraverso gli occhi del giovane Tommaso, interpretato da Albanese (che è anche autore e regista dello spettacolo), i bambini dai 9 anni in su faranno così un viaggio avventuroso tra esperimenti scientifici, azzardi culinari e la realizzazione dell’«Ultima Cena», per scoprire come i sogni, prima o poi, possano diventare realtà. L’importante è crederci e non focalizzare l’attenzione sull'errore.
Risultano così profetiche le parole dello stesso Leonardo: «Una volta che avrete imparato a volare, camminerete sulla terra guardando il cielo perché è là che siete stati ed è là che vorrete tornare».
Informazioni utili
Il volo di Leonardo. scritto, diretto e interpretato da Flavio Albanese. Per bambini dai 9 anni in su. Piccolo Teatro Strehler - Scatola Magica, Largo Greppi, 1 – Milano. Orari: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, ore 9.45 e 11.15; sabato, ore 15 e 16.30; domenica, ore 11. Durata: 55 minuti senza intervallo. Biglietto: posto unico 10 euro. Informazioni e prenotazioni: tel. 0242411889. Sito web: www.piccoloteatro.org. Dal 9 al 24 novembre 2019.
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