ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 9 giugno 2020

«Florilegium»: una cascata di fiori per la ripartenza di Parma Capitale italiana della cultura

Ritorna a «sbocciare» la programmazione culturale di Parma Capitale italiana della cultura 2020-2021. E il termine «sbocciare» non è scelto a caso. Dopo lo stop delle attività causato dall’emergenza sanitaria per il Covid-19 e la decisione del Governo, inserita nel Decreto Rilancio approvato il 13 maggio, di dare alla città emiliana l’opportunità di forgiarsi del titolo di Capitale italiana della cultura anche per il 2021, è tempo di ripartire.
A segnare il «nuovo inizio» è «l’arte dei fiori» di Rebecca Louise Law (Cambridge, 1980), artista e designer inglese, di stanza a Londra, laureata in belle arti all’Università di Newcastle nel 2004, nota in particolare per le sue installazioni floreali larger-than-life e per le sue sculture site-specific, che hanno fatto breccia anche nel settore della moda e in importanti brand come Hermes, Mulberry, Tiffany e Jo Malone.
I fiori sospesi e intrecciati a lunghi e sottili fili di rame, di cui Rebecca Louise Law studia da tempo le naturali fasi di decadimento (dall’avvizzimento all’asciugatura), sono “arrivati” a Parma per la sua prima mostra personale italiana, ospitata all’interno dell’Oratorio di San Tiburzio, chiesa sconsacrata di epoca tardo-barocca realizzata nel 1722 dall'architetto Adalberto Dalla Nave e poi completata dall'architetto Pancrazio Soncini, un secolo e mezzo più tardi.
«Florilegium» è il titolo della rassegna, curata da OTTN Projects e sostenuta da Cosmoproject, all’interno di «Pharmacopea», progetto di riscoperta dell’identità chimico-farmaceutica di Parma, che vede tra i suoi promotori il Gruppo Chiesi e Davines, impegnati nell’obiettivo di creare itinerari turistici che riqualifichino o facciano scoprire agli abitanti luoghi simbolici della città come l’Antica farmacia San Filippo Neri (della quale fa parte l’Oratorio di San Tiburzio) o l’Orto botanico.
L’esposizione, visitabile fino al prossimo 19 dicembre, è un’esperienza immersiva ed unica, nata con l’intento di far riflettere sul rapporto dell’uomo con la natura e sulla caducità di quest’ultima, soggetta a cambiare forma per il trascorrere delle stagioni. È, dunque, una riflessione sul tempo, tema che fa da filo rosso all’intera programmazione di Parma Capitale italiana della cultura 2020+2021, quella che propone la mostra di Rebecca Louise Law, artista che ha già esposto in passato all'Onassis Culture Centre di Atene, alla Chandran Gallery di San Francisco, alla Shirley Sherwood Gallery di Londra e al Toledo Museum of Art.
In città -in attesa della presentazione del nuovo programma di Parma 2020+2021, prevista per questo mese e che avrà ancora come claim «La cultura batte il tempo»- hanno da poco riaperto i battenti, adeguandosi alle norme anti-Covid, anche i cinque musei civici presenti sul territorio: la Pinacoteca Stuard, il Castello dei burattini – Museo Giordano Ferrari, il Museo dell’Opera, la Casa del suono e il Museo Casa natale Arturo Toscanini.
Tra le mostre da vedere si segnala, invece, quella che il Museo d’arte cinese dedica alle mode dal mondo (di cui abbiamo parlato negli scorsi giorni) e la riapertura di «Natura e donna», nel settecentesco Oratorio di San Quirino, che allinea una trentina di immagini di Caterina Orzi, per la curatela di Stefania Provinciali e l’allestimento di Tommaso Brighenti.
Una peonia, una calla, un papavero dialogano con immagini di donne e frammenti dei loro corpi -mani e volti- restituendoci un racconto, intimo e cromaticamente delicato della femminilità. Poi, il registro visivo cambia sino a dissacrare il soggetto pittorico forse più famoso della storia dell’arte, la «Gioconda» di Leonardo Da Vinci, punto di partenza per una rielaborazione artistica inconsueta e suggestiva -quattordici versioni decorate ciascuna con animali in via d’estinzione- che vanno a comporre un fil rouge fra arte, natura, donna e bellezza senza tempo.
Inaugurata da poco è anche «Fornesetti Theatrum Mundi», un'esposizione che nasce dal dialogo tra le architetture e le collezioni della Pilotta e la creatività senza confini di Piero Fornasetti (1913-1988), maestro del '900. Nello specifico la mostra -curata da Barnaba Fornasetti, Valeria Manzi e Simone Verde- rappresenta «un viaggio tra passato e presente, tra classico e moderno», che abbina le architetture rinascimentali del complesso monumentale parmense all'immaginario dell'artista milanese, maestro del design, ideatore negli anni Cinquanta di un atelier che ha fatto scuola nella produzione di opere, oggetti, mobili.
Tutto ruota intorno al Teatro Farnese, prendendo spunto dal sogno enciclopedico del theatrum mundi del retore neoplatonico Giulio Camillo, di riassumere al suo interno la totalità del reale.
Il percorso si articola in nuclei legati ai principali temi dell'opera di Fornasetti: «le rovine e l'uso del passato come frammento, l'architettura, la musica, il tema e le variazioni, il disegno, la grafica, il collezionismo, l'oggetto quotidiano e la dimensione illusionistica e onirica».
Nel frattempo è già partito il conto alla rovescia per l’apertura della mostra immersiva «Van Gogh Multimedia and Friends» a Palazzo della Rosa Prati, tra il Battistero e il Palazzo Arcivescovile, prevista per il prossimo 13 giugno.
«Riprodotti su supporti multimediali ad altissima qualità, installati nelle splendide sale del palazzo, -raccontano gli organizzatori- i ritratti e gli autoritratti, le nature morte e i paesaggi del pittore prendono letteralmente vita, raccontandosi attraverso dense pennellate dall’apparenza fortemente materica e fascinazioni digitali, che consentono al visitatore di vivere un’esperienza avvolgente e di sentirsi totalmente immerso in opere leggendarie».
Al momento sono, invece, ancora chiusi la Camera di San Paolo affrescata dal Correggio, la Spezieria di San Giovanni, il Battistero, il Museo diocesano, l’Ape Parma Museo,  il Museo Csac, ma la situazione è in costante divenire e Parma -come il soffitto dell’ Oratorio di San Tiburzio, grazie alla creatività di Rebecca Louise Law- torna piano piano a sbocciare, a rivestire i panni di capitale italiana della cultura.

Didascalie delle immagini 
[Figg.1, 2 e 3] Rebecca Louise Law, Florilegium, 2020. Credits OTTN Projects; [fig. 4] Rielaborazione de «Gioconda» di Leonardo Da Vinci a cura di Caterina Orzi; [fig. 5] Allestimento nel Teatro Farnese di Parma. Foto di Cosimo Filippini; [fig. 6] Allestimento nella sala del Trionfo della Pilotta. Foto di Cosimo Filippini

Per saperne di più
Mode dal mondo a Parma
I Musei civici di Parma
Complesso monumentale della Pilotta
Van Gogh Multimedia and Friends

Informazioni utili
Florilegium di Rebecca Louise Law. Antica Farmacia S. Filippo Neri | Oratorio San Tiburzio, Borgo Palmia, 6/A – Parma. Orari: da giovedi a sabato, dalle ore 10:00 alle ore 18:00; aperture straordinarie: domenica 7 giugno, dalle ore 10:00 alle ore 12:30, domenica 5 luglio, dalle ore 10:00 alle ore 12:30. Ingresso gratuito (si consiglia la prenotazione). Sito web: www.pharmacopeaparma.it. Fino al 19 dicembre 2020

lunedì 8 giugno 2020

Al via l’«Art Of Italicus 2020», un creative talent per under 35

È uno degli aperitivi italiani più famosi, in tutto il mondo, con la sua storia, la sua tradizione e il suo gusto. Stiamo parlando del Rosolio, bevanda ormai quasi dimenticata nata alla corte torinese dei Savoia dalla combinazione di camomilla romana, lavanda, genziana, rose gialle e balsamo di melissa, riportata in auge nel 2016 da Giuseppe Gallo, che l’ha arricchita delle note del bergamotto calabrese e del cedro siciliano. È nato così Italicus, un vero e proprio «sorso d’Italia», premiato, nel 2017, come Best New Spirit al prestigioso Tales of the Cocktail Spirited Awards ed elettro, nel 2019 e nel 2020, come il marchio di liquori di tendenza n.1 da Drinks International. Ora Italicus, Rosolio di Bergamotto diventa protagonista di un art contest internazionale, tutto in formato digitale, al quale possono partecipare artisti emergenti, professionisti e non, under 35: Illustratori, grafici, pittori residenti in quindici Paesi: dall’Italia agli Stati Uniti, dalla Norvegia all’Australia. Italicus -che organizza il contest con Moniker, leader nella valorizzazione dell'arte urban e contemporanea- chiede di usare tutta la loro fantasia artistica e creativa per rappresentare il momento tradizionale dell’aperitivo italiano, raccontando la storia del prodotto di Giuseppe Gallo e ispirandosi alle origini intrinseche del Rosolio di Bergamotto.
Gli artisti possono inviare le loro opere entro il 13 luglio. Tutti saranno sollecitati a usare la tecnologia digitale come parte del processo creativo o di presentazione.
I lavori possono essere realizzati con diverse tecniche: in stop motion, animazioni, immagini in movimento, illustrazioni digitali o dipinti.
Una volta chiusa la fase di invio degli elaborati, sarà predisposto un sistema di voto pubblico. Sarà possibile esprimere la propria preferenza accedendo alla piattaforma, tramite il sito dedicato al contest, da dove si potranno ammirare le opere artistiche.
Una giuria di esperti decreterà i tre artisti finalisti e, il 1°settembre, in concomitanza con il quarto anniversario di nascita di Italicus, saranno annunciati i tre vincitori del contest, al quale verrà assegnato un premio in denaro e la possibilità di partecipare a un evento globale dell’edizione 2021 di Art of Italicus.
Per lavorare all’immagine creativa del contest è stato chiamato Stefano Egidi, graphic designer romano, esperto di storia antica e ideatore di diversi art work per spirits brand.
 È lui che sta curando la creazione delle illustrazioni di Italicus, ispirate a poster vintage e alle tre aree tematiche dei luoghi simbolo per l’aperitivo italiano legate ad Amalfi, Roma e Torino. I suoi lavori intendono stuzzicare l’immaginazione degli artisti in gara richiamando la storia e la cultura italiana, incapsulata in Italicus.
L’iniziativa è, inoltre, collegata a Bergamore (hwww.bergamore.net), progetto a sostegno dell’agricoltura del bergamotto in Calabria.
Un’occasione, dunque, quella offerta da Italicus ai i giovani artisti under 35 di raccontare il gusto e lo stile italiano attraverso la propria creatività.

Per saperne di più
https://rosolioitalicus.com/creative-talent/

venerdì 5 giugno 2020

Alla Salamon di Torino si riparte dalla «Joie de vivre» di Henri Matisse



«Sogno un’arte equilibrata, pura, tranquilla, senza soggetto inquietante o preoccupante, che sia un lenitivo, un calmante celebrale, qualcosa di analogo a una buona poltrona che riposi dalle fatiche». 
È tutta racchiusa in questa frase la filosofia artistica di Henri Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 31 dicembre 1869 – Nizza, 3 novembre 1954), esponente di maggior spicco della corrente artistica dei Fauves («le belve», «i selvaggi», secondo la definizione -dispregiativa- del critico d'arte Louis Vauxcelles), universalmente conosciuto come maestro del colore. Ne è prova la sua tela più celebre, «La danza» del 1910, oggi ospitata all’Ermitage, dove tutto è movimento, armonia, incroci di sensazioni, gioia di vivere, trionfo di tonalità accese, che spaziano dal blu all’arancio.
In un periodo difficile come quello che stiamo vivendo, con una vita in parte rivoluzionata dall’emergenza sanitaria del Coronavirus, l’arte di Henri Matisse può esserci di sollievo con i suoi capolavori allegri, liberi da ogni schema, vitaminici con le loro cromie ruggenti ed eccessive. L’opera dell’artista francese «colorata come la natura, libera e leggiadra come il battito di ali di farfalla, fresca e inebriante come un tuffo al mare, fantasiosa e allegra come il gioco di un bambino -racconta Elena Salamon, a capo dell’omonima galleria torinese-, non può che aiutare ad alleviare il nostro stato d’animo».
Da questa considerazione è nata l’idea di riaprire la piccola galleria sabauda di piazzetta IV marzo, specializzata in stampe originali dell’Ottocento e del Novecento, proprio con una mostra di Henri Matisse.
Mascherina, distanziamento sociale, ingressi contingentati, gel disinfettante e guanti di protezione sulla porta d’accesso caratterizzano questa nuova fase dello spazio di Elena Salamon, ma invariata rimarrà la massima disponibilità nei confronti del pubblico, anche con visite organizzate su appuntamento. ùIn galleria saranno visibili, riunite sotto il titolo di «Joie de vivre», settantacinque litografie dei papier gouache-découpé, carte dipinte e ritagliate realizzate dall'artista francese negli ultimi anni di vita, dal 1947 al 1954. Tra di esse ci sono l’effervescente «Danseuse créole» (1950), la vivace «Nuit de Noël» (1951), la raffinata «Icare» (1947), con le sue stelle gialle a illuminare la notte blu, l’enigmatica «Tristesse du Roi» (1952) o la litografia «La danse» del 1938, che dimostra il costante fascino dell’artista per il movimento dei corpi e la possibilità espressiva della figura umana. La mostra permette, inoltre, di vedere un numero speciale della rivista «Verve», intitolata «Dernieres Oeuvres», del quale fanno parte lavori dallo stile astratto come «La parruche et la sirène» (1952) e «La gerbe» (1953).
Henri Matisse possedeva una capacità di sintesi fuori dal comune. Già dai suoi primi lavori portò agli eccessi le tonalità dei verdi, dei rossi, degli azzurri. Desiderava dipingere con l'azzurro più azzurro e con il rosso più rosso possibile per poter esprimere l'amore per la vita, quella indistruttibile «joie de vivre», caratteristica costante di tutta la sua produzione.
La sua esistenza divenne un tutt’uno con l'arte stessa, «non posso distinguere – diceva - tra il sentimento che ho della vita e il modo in cui lo traduco».
L’artista seppe cogliere ogni suggerimento sia dalle opere dei maestri suoi contemporanei sia dai linguaggi utilizzati dagli artisti orientali: nei suoi lavori ritroviamo le deformazioni prospettiche di Paul Cézanne, le pennellate di Vincent Van Gogh, le inquadrature delle stampe di maestri giapponesi dell’Ukiyo-e e le decorazioni, le silhouettes e l’iconografia dell’arte orientale.
Alle litografie dai papier gouache-découpé, presenti in galleria, Henri Matisse vi giunse quasi per caso quando, convalescente da una malattia, non potendo dipingere, iniziò a ritagliare con le forbici nella carta colorata silhouettes, che poi assemblava badando unicamente all'equilibrio delle forme e all'armonia cromatica.
«Il papier découpé mi permette di disegnare nel colore. Si tratta per me di una semplificazione, invece di disegnare il contorno e inserirvi il colore, uno che modifica l'altro, disegno direttamente nel colore», affermava.
In collaborazione con Emmanuel Tériade, raffinato editore parigino della rivista «Verve» e con il grande stampatore Fernand Mourlot, l’artista realizzò, nel 1947, la famosa serie «Jazz», visibile alla Salamon, di cui diceva: «non basta mettere i colori, per quanto belli, gli uni accanto agli altri: bisogna che questi colori reagiscano gli uni con gli altri. Jazz è improvvisazione ritmica». Ed ecco così opere dal forte sapore musicale come «Les Codomas» (1947), «Le cauchemar de l’éléphant blanc» (1947) o «Le cheval, l’écuyère et le clown» (1947).
Datano, invece, al 1950 e al 1951 i bozzetti per la Chapelle du Saint-Marie du Rosaire a Vence. Matisse definì quest’opera il capolavoro della sua esistenza. A differenza dei suoi primi lavori fauves, dove il colore era urlato e provocatorio, qui le cromie sono cantate, armoniche e pure.
In queste opere ritroviamo il blu del cielo, il giallo del sole e il verde della natura, colori che hanno fatto sempre parte dell’opera dell’artista.
Le forme perdono via via la loro dimensione più propriamente figurativa, per avvicinarsi all’astrazione, sovvertendo in questo modo uno dei principi cardine della decorazione religiosa: la leggibilità e la comprensibilità immediata delle figure.
Attraverso queste immagini il pittore ritiene di immergere il fedele in un'atmosfera più intima e spirituale. All'immagine che educa il fedele, Henri Matisse preferisce, infatti, la forma cromatica che aiuta nella preghiera e nella riflessione.
Matisse, ormai ottantenne, con la serie delle «Dernières Œuvres» lasciò il suo testamento spirituale. Appartengono a questo periodo i famosissimi «Nu blue», i «Nudi blu», con silhouettes ritmate, essenziali e astratte, che mostrano un chiaro richiamo all’arte africana.
Queste opere sono un vero e proprio inno alla vita, un'esplosione di colori, forme e linee di una purezza estrema, ultima opera eccellente di un artista eclettico e instancabile. Un artista così innamorato del suo lavoro da scrivere in una lettera alla scrittrice Marcel Marquet: «Io sono troppo dentro ciò che faccio. Non ne posso uscire, per me non esiste altro».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Henri Matisse, Icare, 1947 (mm. 378x259); [fig. 2] Henri Matisse, La gerbe, 1953 (mm. 333x396); [fig. 3] Henri Matisse, La Danse, 1938 (mm. 332x392); [fig. 4] Henri Matisse, Danseuse créole, 1950 (mm. 317x192); [fig. 5] Henri Matisse, Nuit de Noël, 1951; [fig. 6] Henri Matisse, Nu bleu IX, 1952

Informazioni utili 
Joie de vivre. Henri Matisse: papier gouache-découpé 1947-1954. Galleria Elena Salamon, via Torquato Tasso, 11 (piazzetta IV Marzo) – Torino. martedì, mercoledì e venerdì, dalle ore 15.00 alle ore 19.00, giovedì e sabato, dalle ore 10:30 alle ore 19:00 (orario continuato). Ingresso gratuito. Per appuntamenti: tel. 3398447653. Informazioni: tel. 0117652619, cell. 3398447653, elena@elenasalamon.com. Sito internet: www.elenasalamon.com. Fino al 27 giugno 2020.