ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 22 dicembre 2020

Un Natale di luci e di alabastro per Volterra, tra le dieci finaliste per il titolo di Capitale italiana della cultura 2022

Sarà un Natale di luci e alabastro quello di Volterra, una delle città entrate nella short list delle dieci finaliste per il titolo di Capitale italiana della cultura 2022. Lo scorso 8 dicembre il centro toscano ha inaugurato, in diretta streaming, l’opera «Arnioni in piazza», uno dei progetti di «22 designer per 22 artigiani», iniziativa curata dalla designer internazionale Luisa Bocchietto, già presidente e ora senator di World Design Organization.
L’opera urbana, pensata per piazza dei Priori, mette al centro la pietra gessosa volterrana, formatasi 6-7milioni di anni fa, unica per la sua conformazione che la vede cambiare aspetto, colorazione e consistenza al variare della composizione chimica del terreno, mostrando diverse venature e trasparenze che rendono ogni oggetto non replicabile.
La storia di Volterra e dell’alabastro ha origini molto antiche: utilizzata già in epoca etrusca per i sarcofaghi e le urne cenerarie, la pietra conobbe una vera e propria riscoperta nel Rinascimento ed ancora oggi rappresenta una delle principali attrattive della città. 
L’alabastro non poteva, dunque, non essere al centro della candidatura di Volterra a Capitale italiana della cultura 2022. Il progetto complessivo, presentato in un dossier dal titolo «Rigenerazione umana», mette al centro il rinnovamento delle persone e delle comunità, ponendosi come esempio di sperimentazione e punto di riferimento per la rinascita dell’Italia, soprattutto dopo questo periodo di pandemia, attraverso i centri di media dimensione e i loro territori.
Accanto alla sapienza artigiana, il dossier trova forza propulsiva nelle esperienze di rigenerazione umana che hanno modellato la città, in particolare quella dell'ex Ospedale psichiatrico, dove si conserva parte del graffito di Fernando Oreste Nannetti, capolavoro dell'art brut, e quella della pluripremiata Ubu, Compagnia della Fortezza, la più importante e longeva esperienza di teatro-carcere nel mondo, condotta da Armando Punzo, che ha creato un innovativo e unico modello di ricerca culturale in continua evoluzione.
L’opera pensata per il Natale nasce dal fascino esercitato su Luisa Boschetto dalle immagini degli «arnioni» liberati in cava dal materiale inerte, per iniziare il loro percorso verso la luce. «Nell’immaginario collettivo dei non addetti ai lavori, estranei alla realtà di Volterra -racconta la designer toscana- si identifica l’alabastro con il marmo, pensando che venga semplicemente cavato da blocchi all’esterno. Non si conosce il percorso di lavorazione del materiale, la sua unicità sul territorio, il suo valore, le sue caratteristiche di trasparenza e modellabilità, che ne fanno un materiale unico e prezioso. In questo senso, piuttosto che realizzare una forma disegnata, è sembrato interessante trovare il modo di evidenziare quest’unicità, con l’obiettivo di valorizzare il materiale e il processo che si svolge a monte della realizzazione dei prodotti, in modo da costruire un racconto d’immediata comprensione». 
Da qui è nata l’idea di portare degli «arnioni» in piazza, con le loro forme «pettinate» a una scala più grande possibile, inserendo della luce al loro interno, per mettere in evidenza la varietà dei colori e delle venature che contraddistinguono il materiale naturale. Ne è nata un’installazione che veicola un duplice messaggio: da un lato la qualità del materiale e la capacità delle imprese locali di lavorarlo per trarne prodotti eccellenti, dall’altro la speranza per un futuro che sia migliore del momento difficile che stiamo vivendo, con la luce come elemento di vita.
Nei giorni di Natale si potranno, inoltre, acquistare lumi portacandele in alabastro realizzati dagli artigiani volterrani, come segno concreto di partecipazione alla candidatura da parte di tutti coloro che vorranno sostenere Volterra. 
Questo Natale la città toscana si racconta, dunque, attraverso un'opera che mette al centro  la luce, simbolo di rinascita, e  la versatilità, la raffinatezza e le mille sfumature di un materiale, l'alabastro, che l'ha resa celebre nel mondo. 

lunedì 21 dicembre 2020

«Hopperiana»: quattro fotografi, un artista iconico e il nostro «tempo sospeso»

Lo hanno definito l'icona pittorica del nostro tempo sospeso, caratterizzato dalla distanza sociale e dal disorientamento per un futuro che facciamo fatica a progettare, in balia delle ondate di Coronavirus e dei Dpcm che scadenzano anche i momenti più intimi della nostra vita. I suoi quadri permeati di solitudini, silenzi e assenze hanno richiamato alla mente di molti il nostro stare chiusi tra le pareti di casa, con l'assordante silenzio di un tempo che si ripete sempre e costantemente uguale a farci compagnia.
Edward Hopper (Nyack, 22 luglio 1882 – Manhattan, 15 maggio 1967), esponente di spicco del Realismo americano della prima metà del Novecento, ha consegnato alla storia interni domestici, scenografie urbane e paesaggi dalle atmosfere poetiche e oniriche, oggi quanto mai attuali. I suoi uomini e le sue donne sospesi tra la volontà di vivere e l’incapacità di esistere, parlano, infatti, anche di noi, della nostra voglia di andare avanti e del nostro essere costretti a vivere in atmosfere immote e, molto spesso, solitarie.
Al mondo dell'artista guarda l'ultima mostra virtuale di Photology, che ha da poco inaugurato una piattaforma 3D con un sistema di navigazione semplice e intuitivo che permette agli utenti di muoversi all’interno di uno spazio virtuale ma allo stesso tempo del tutto realistico. I lavori esposti possono essere ingranditi, guardati nei dettagli e visti da varie angolazioni; i testi, i contributi video e gli apparati informativi sono inseriti nel contesto espositivo per una omogeneità di informazione.
L'ultima rassegna, fruibile in modalità virtuale fino al prossimo 28 febbraio, si intitola «Hopperiana - Social distancing before Covid-19» e «vuole raccontare -spiegano gli organizzatori- la malinconia e la solitudine di un’intera civiltà che, giunta al massimo del suo sviluppo tecnologico ed economico, è stata costretta dagli eventi a porre un freno al suo inarrestabile avanzamento e a fermarsi per una riflessione introspettiva».
Protagonisti del percorso sono quattro artisti dell’obiettivo: Luca Campigotto, Gregory Crewdson, Franco Fontana e Richard Tuschman. La scelta di focalizzare l’attenzione su un medium quale la fotografia non è casuale: «ciò che più affascina nei quadri di Edward Hopper -spiegano ancora da Photology- è il taglio fotografico delle sue inquadrature, laddove luci a volte taglienti e fredde, altre soffuse e morbide, definiscono composizioni geometrizzanti in cui gli elementi scenici si stagliano come su un grande palco davanti a una platea vuota, e l’angolatura spesso diagonale contribuisce a creare un senso di artificialità, dando la sensazione di un’istantanea fotografica». 
Ognuno degli autori in mostra ha adottato il filtro visivo del pittore e lo ha rielaborato in maniera personale, trasformandolo in opere fotografiche fortemente destabilizzanti. Così, come nei dipinti hopperiani, nei lavori dei quattro autori regna il silenzio: la scena è spesso deserta, di rado è presente più di una figura umana, e quando ciò accade tra i soggetti sembra emergere una drammatica estraneità e incomunicabilità. Si pensi ai lavori «Pink Bedroom» di Richard Tuschman o agli scatti di Franco Fontana dedicati a Houston (1986) e New York (1999), dove la presenza di più persone rende ancora più evidente il senso di estraneità nei confronti dell’altro. Uomini e donne sono vicini, ma distanti, quasi separati da un’invisibile barriera di plexiglass.
I fotografi costruiscono i propri set ricreando lo stesso pathos che è pregnante nei lavori di Hopper. Esempio lampante ne sono le figure femminili, eteree e inaccessibili, cariche di un forte significato simbolico, rappresentate assorte nei propri pensieri, con lo sguardo distaccato e fisso nel vuoto. Significative in tal senso sono immagini come «Woman at a window» (2013) o «Woman reading» (2013), entrambe di Richard Tuschman.
Il loro distanziamento sociale, frutto di una scelta, è oggi per noi un’imposizione, «come se -raccontano ancora da Photology- la coltre di surrealtà presente nelle opere di Hopper, Campigotto, Crewdson, Fontana, Tuschman si fosse posata sul presente».

Didascalia delle immagini
[Fig. 1] Richard Tuschman©, Pink Bedroom (Family), 2013, Inkjet print on cotton paper, cm 60x90, Edition 4-6, Signed on verso Framed, Courtesy Photology; [fig. 2] Franco Fontana© , Houston, 1985, Color print on Hahnemuhle Baryta, Mounted on dibond, edition 3-5, cm 65x98, Signed on verso Framed, Courtesy Photology; [fig. 3] Richard Tuschman©, Morning Sun, 2012, Inkjet print on cotton paper, cm 60x90, Edition 2-6, Signed on verso Framed, Courtesy Photology; [fig. 4] Luca Campigotto© , Mercer Street, Soho, NYC, 2004, Pigment print, cm 110x146, From an edition of 15 signed on verso framed, Courtesy Photology; [fig. 5] Richard Tuschman©, Green Bedroom (4 AM), 2013, Inkjet print on cotton paper, cm 76x60, Edition 3-6, Signed on verso Framed, Courtesy Photology

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venerdì 18 dicembre 2020

Louise Bourgeois e le ragioni del cuore: sulle Alpi svizzere e on-line una mostra della galleria Hauser and Wirth

«Il cuore ha le sue ragioni di cui la ragione non sa nulla»: prende spunto da questa celebre aforisma di Blaise Pascal il titolo della mostra «The Heart Has Its Reasons», con cui la galleria internazionale Hauser and Wirth celebra questo inverno Louise Bourgeois (Parigi, 1911- New York, 2010), una delle artiste più amate del XX secolo, che ci ha lasciato un patrimonio visivo e poetico difficile da etichettare in una particolare corrente artistica per la propria ricchezza e complessità.
Scenario dell’esposizione, in programma dal 19 dicembre al 3 febbraio, sarà lo spazio espositivo Tarmak22 all’aeroporto di Gstaad, sulle Alpi svizzere, nell’Oberland bernese. Ma la rassegna, come avviene spesso in questi tempi di pandemia, che rendono più difficili gli spostamenti, sarà visibile anche on-line sul sito www.hauserwirth.com, dove già la scorsa primavera, in occasione del lockdown, era stata ospitata una mostra virtuale dell’artista franco-americana, allora dedicata alla sua opera su carta, con quattrodici lavori a inchiostro, acquerello e matita in bilico tra figurazione e astrazione.
Questa volta, accanto a disegni e grafiche, sarà visibile anche una selezione di importanti sculture, tra cui un’icona della public art come «Couple», qui presentata in una versione realizzata tra il 2007 e il 2009, nella quale i capelli della figura femminile si trasformano in un'eccentrica forma a spirale che la lega insieme al soggetto maschile. L’abbraccio viscerale tra i due corpi, sospesi nel vuoto, sta a indicare la volontà di rendere eterno il rapporto amoroso, ma anche la fragilità e la precarietà della relazione, con la conseguente paura di perdere l’altro. 
In questo lavoro, come in tutta la sua produzione, Louise Bourgeois ha dato voce ai propri fantasmi interiori. Ha ricomposto il puzzle intricato della sua esistenza. Ha restituito fisicità, «forma e stile», alle sue ansie e ossessioni, ai tradimenti e agli abbandoni che ha esperito, alla rabbia e alla solitudine.
L’artista ha, dunque, ossessivamente e caparbiamente scolpito nel marmo, con il bronzo, il ferro, la stoffa, la gomma o l’argilla il proprio vissuto, consapevole che per lei creare fosse «un atto di sopravvivenza», una «garanzia di salute mentale», un «esorcismo».
Per addentrarsi nell’universo creativo di Louise Bourgeois bisogna conoscere la sua biografia, caratterizzata da un rapporto conflittuale con il padre, impenitente donnaiolo, che ebbe una relazione con la giovane istitutrice inglese dei figli, mentre la moglie soffriva per la sua salute cagionevole. Fin da piccola, l’artista si avvicinò al disegno grazie al lavoro dei genitori, che erano restauratori di arazzi. Dopo il baccalauréat, studiò matematica e filosofia, per poi passare alla scuola d’arte e, nel 1938, sposarsi e volare oltreoceano con il marito, lo storico dell’arte americano Robert Goldwater, dando una svolta alla sua vita.
Il bisogno d’amore e il rapporto con l’altro -sentimenti di pascaliana memoria- sono la «stella polare» del suo percorso creativo, al centro del quale ci sono temi quali la coppia, la forma in coppia, la casa, il letto, il paesaggio e l'anatomia umana, tutti radicati nel gioco dinamico tra le opposizioni binarie: mente e corpo, geometrico e organico, maschio e femmina, conscio e inconscio.
Raccontano bene questo percorso le opere selezionate per la mostra elvetica, realizzate in un arco temporale che spazia dal 1949 al 2009. Tra di esse ci sono «In the two nest-like hanging Lairs» (1962; 1986-2000) e «Untitled No.7» (1993), dove la casa è sinonimo di rifugio e sicurezza, ma anche «Eyes» (2001), in cui la luce emana dalle pupille sporgenti come per proiettare un paesaggio psichico interiore sulla realtà esterna. Tra i disegni è esposta la suite «La Rivière Gentille» (2007), che allude al fiume Bièvre che scorreva dietro la casa d'infanzia di Bourgeois ad Antony; il paesaggio è introiettato nel corpo e persona e luogo si fondono attraverso l'atto di rievocazione dell'artista.
A tal proposito vengono in mente le parole della stessa Louise Bourgeois nel libro «Distruzione del padre, Ricostruzione del padre. Scritti e interviste 1923-2000»: «Ho bisogno dei miei ricordi. Sono i miei documenti. […] Bisogna distinguere i ricordi. Se sei tu ad andare da loro, stai perdendo tempo. La nostalgia è improduttiva. Se vengono da te, sono dei semi di scultura». Semi di scultura, i suoi, che parlano anche di noi, delle nostre insicurezze, dei conflitti che abitano il nostro cuore, soprattutto in questi tempi incerti.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Louise Bourgeois nella sua casa in 20th Street a NYC nel 2000. Photo: © Jean-François Jaussaud; [fig. 2] Louise Bourgeois, The Couple, 2007-2009. Alluminio fuso e lucidato,  pezzo da 154.9 x 76.2 x 66 cm / 61 x 30 x 26 in. Photo: Christopher Burke; [fig. 3] Louise Bourgeois, Untitled (No. 7), 1993. Bronzo, patina di nitrato d'argento. 12.1 x 68.6 x 43.2 cm / 4 3/4 x 27 x 17 in. Photo: Christopher Burke; [fig.4] Louise Bourgeois, Eyes, 2001. Bronzo, patina marrone dorato e luce elettrica. Primo occhio: 99 x 137.1 x 147.3 cm / 39 x 54 x 58 in. Secondo occhio: 86.3 x 147.3 x 121.9 cm / 34 x 58 x 48 in; [fig. 5] Louise Bourgeois, Night and Day, 2007. Tinture su tessuto cucito a mano, in due parti.  83.8 x 106.7 cm / 33 x 42 in. Photo: Christopher Burke

Informazioni utili
Louise Bourgeois. The Heart Has Its Reasons. Tarmak22, Gstaad Saanen Airport - Gstaad  (Svizzera). Orari: dal mercoledì alla domenica, ore 11.00-17.00. Informazioni e richiesta appuntamenti: +41.337486200. Sito internet per informazioni e visita virtuale: www.hauserwirth.com. Dal 19 dicembre al 3 febbraio 2021