ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 22 gennaio 2021

Giornata della memoria 2021, su RaiUno e Rai Play il film «#AnneFrank. Vite parallele»

«…E cerco un mezzo per diventare come vorrei essere e come potrei essere se… non ci fossero altri uomini al mondo». Si chiude così il «Diario» di Anna Frank. È il 1° agosto del 1944. La giovane scrive per l’ultima volta a Kitty, la sua amica immaginaria. Le racconta le sue frustrazioni di ragazzina, il suo sentirsi «un fastello di contraddizioni», le insicurezze che la rende sorella di tanti coetanei adolescenti di tutti i tempi. Tre giorni dopo, il 4 agosto 1944, la Gestapo entra nell’appartamento segreto di Amsterdam, in cui la ragazza si nasconde con la famiglia per sfuggire alla persecuzione nazista. L’unica colpa di Anna Frank è di essere ebrea in un mondo che crede nella superiorità della razza ariana e che considera nemico ciò che è diverso. 
La giovane viene deportata nel campo di concentramento nazista di Bergen Belsen, dove muore di stenti tra il febbraio e il marzo del 1945, insieme alla sorella Margot, a causa di un’epidemia di tifo. Di lei ci rimangono poche foto e un diario, pubblicato per la prima volta nel 1947 in tremila copie, per volontà del padre Otto, con il titolo «Het Achterhuis» («Il retrocasa»).
Sono quelle pagine, la cui fama circola presto in tutta Europa (la prima edizione italiana è del 1954 e vede la prefazione di Natalia Ginzburg per Einaudi), a restituirci il volto di una ragazzina che sogna di diventare scrittrice e che conquista i lettori con il suo strenuo ottimismo e la sua toccante fede nell'umanità a dispetto dei tempi oscuri. «...È un gran miracolo - si legge, infatti, nel «Diario» - che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo che può sempre emergere...»
In occasione della Giornata della memoria 2021, la storia di Anna Frank rivive in un documentario, realizzato da 3D Produzioni e Nexo Digital, in partecipazione con Rai Cinema Channel e in collaborazione con l’Anne Frank Fonds di Basilea e con il Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa. Si tratta di «#AnneFrank. Vite parallele», film scritto e diretto da Sabina Fedeli e Anna Migotto, con la colonna sonora di Lele Marchitelli, nel quale veste i panni di guida d’eccezione Helen Mirren, premio Oscar® come migliore attrice per «The Queen». 
Il documentario andrà in onda sabato 23 gennaio, in seconda serata e in prima visione assoluta, su RaiUno; mentre alcuni spezzoni sono già disponibili in anteprima su Rai Play
Come sarebbe stata la vita di Anna Frank se avesse potuto vivere dopo Auschwitz e Bergen Belsen? Cosa ne sarebbe stato dei suoi desideri, delle speranze di cui scriveva nei suoi diari? Cosa ci avrebbe raccontato della persecuzione, dei campi di concentramento? Come avrebbe interpretato la realtà attuale, il rinascente antisemitismo, i nuovi razzismi? Sono tante le domande che ci vengono in mente ripensando alla giovane donna che più di altre è, nell'immaginario collettivo, simbolo della Shoah, la cui storia verrà raccontata da Helen Mirren attraverso le pagine del «Diario», un testo straordinario che ha fatto conoscere a milioni di lettori in tutto il mondo la tragedia del nazismo, pur non raccontandola in maniera diretta.
A fare da sfondo al documentario è la camera del rifugio segreto di Amsterdam, in cui la ragazzina resta nascosta per oltre due anni. Quella stanza è il cuore della memoria. Per questo motivo è stata nuovamente ricostruita nei minimi dettagli dagli scenografi del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, fondato da Giorgio Strehler, permettendoci così di ritornare in quel 1942, in cui inizia la storia di Anna Frank nel rifugio olandese. Nella stanza ci sono gli oggetti della sua vita, le fotografie con cui aveva tappezzato le pareti, i quaderni su cui scriveva.
La vicenda della ragazza si intreccia con quella di altre sopravvissute all’Olocausto, bambine e adolescenti come lei, con la stessa voglia di vivere e lo stesso coraggio: Arianna Szrenyi, Sarah Lichtsztejn-Montard, Helga Weiss e le sorelle Andra e Tatiana Bucci.
L’attrice Martina Gatti, simbolo delle tante teenager che si sentono ancora vicine ad Anna, ci conduce nei luoghi che hanno fatto da scenario alle storie di queste giovani. Viaggia per l'Europa, dal campo di concentramento di Bergen-Belsen in Germania al Memoriale della Shoah di Parigi. Scatta selfie. Scrive post. Compila una sorta di diario digitale, fatto di hashtag ed sms, capace di parlare ai suoi coetanei: un modo immediato per mettere in relazione le tragedie passate con il presente, per capire quale sia oggi l’antidoto contro ogni forma di razzismo, discriminazione e antisemitismo.
È la curiosità di questa giovane donna, la sua voglia di non restare indifferente, a farci riscoprire l’assoluta contemporaneità delle parole di Anna Frank, ma anche la potenza delle voci di chi ancora può ricordare: Arianna, Sarah, Helga, Andra e Tatiana. Come la giovane tredicenne di Francoforte, queste donne hanno subito, da giovanissime, la persecuzione e la deportazione. A loro è stata negata l’infanzia. Hanno perduto nei lager madri, padri, fratelli, amici, amori. I loro racconti danno così voce al silenzio del «Diario», a quello che avrebbe ancora potuto raccontare Anna Frank se fosse sopravvissuta o se avesse avuto il diario con sé dopo l’arresto del 4 agosto 1944.
I diari si intrecciano: alle emozioni di Katerine nel suo viaggio rispondono le riflessioni forti e inaspettate di Anna che vive il mondo dal chiuso della sua stanza. Così la Storia arriva potente e attuale ai ragazzi di oggi, isolati nel lockdown, consegnando loro un messaggio di resistenza e di fiducia nell'uomo, nonostante e malgrado tutto.
In occasione della prima televisiva e della seconda serata di RaiUno è stato riaperto il Piccolo Teatro di Milano, dove è stata nuovamente ricostruita la stanza di Anna Frank, già utilizzata come set nel docu-film. 
In questo luogo della memoria, si alterneranno molte testimonianze di intellettuali italiani, messi in dialogo con le paure, le speranze e la voglia di vivere dell’autrice del «Diario». 
A tal proposito Duilio Giammaria, direttore di Rai Documentari, ha commentato: «questo documentario ci ha dato l’opportunità di far rivivere l’esperienza e le emozioni che questa stanza porta con sé anche alla società civile italiana, che ha risposto a gran voce. Tanti talenti del mondo dello spettacolo, della cultura, del giornalismo, dell’associazionismo, hanno aderito al nostro invito. Solo per citarne alcuni: Ferruccio De Bortoli, Maurizio Molinari, Carla Fracci, Beppe Sala, Emilio Isgrò, Massimo Recalcati, Linus, Gherardo Colombo, don Gino Rigoldi, Antonio Albanese, Giuliano Pisapia, Gad Lerner, monsignor Gianantonio Borgonovo, Claudio Longhi». Questi interventi saranno proposti come anteprima del documentario «#AnneFrank. Vite parallele», antidoto contro ogni forma di razzismo, ma anche - a sorpresa - invito alla resistenza culturale lanciato da uno dei luoghi simbolo del teatro italiano, il Piccolo di Milano, che come tutto il mondo dello spettacolo sta soffrendo per la crisi causata dal Coronavirus, per l'assenza di pubblico nella sua platea e di attori sul suo palco. (sam)

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giovedì 21 gennaio 2021

Stampata in Alto Adige l’opera «Around Guernica, 2009/2020» di Ballester in mostra al Guggenheim di Bilbao

C’è un’azienda italiana dietro all’ultimo lavoro di José Manuel Ballester. Si tratta della Durst Phototechnik S.p.A di Bressanone, realtà dell’Alto Adige leader mondiale nella produzione di sistemi di stampa inkjet per applicazioni industriali. Si avvale, infatti, della precisione e della versatilità della tecnologia Durst la riproduzione a grandezza naturale di «Guernica», il celebre dipinto a olio su tela firmato da Pablo Picasso, reinterpretato dal noto fotografo e artista spagnolo con l’opera «Around Guernica, 2009/2020», attrazione principale della mostra «2020/03/15 José Manuel Ballester», ospitata fino al prossimo 21 febbraio al Museo Guggenheim di Bilbao.
L’opera picassiana, dedicata alle vittime del bombardamento subito durante la Guerra civile spagnola, è considerata da molti critici d'arte come uno dei dipinti contro i conflitti bellici più toccanti e potenti della storia.
«Around Guernica, 2009/2020» è una versione svuotata del capolavoro di Picasso che trasmette uno sguardo aggiornato sull'evento storico e sulla tragedia umana.
Con questo lavoro, Ballester aggiunge una nuova opera d'arte al progetto «Hidden Spaces», iniziato più di dieci anni fa, quando decise di indagare gli spazi architettonici e naturali di alcune delle opere più importanti della storia come «The Meninas» o «Il giardino delle delizie», eliminandovi uomini e animali.
Il nuovo lavoro dell’artista spagnolo affronta, dunque, l'assurdità della violenza umana e delle guerre, ma in questa occasione Ballester mantiene un elemento ‘vivo’: il fiore, che era già presente nella pittura originale e che simboleggia la speranza, anche per questi tempi difficili che stiamo vivendo.
Per la realizzazione dell'opera, il Museo Guggenheim di Bilbao si è rivolto a Estudios Durero -azienda che immagina, crea e sviluppa nuove forme di produzione grafica utilizzando la tecnologia Durst-, per stampare il Picasso rielaborato su un materiale di lino unico, tessuto a mano con uno speciale rivestimento bianco, delle dimensioni totali di 3,5 x 7,8 metri.
L’artista Ballester e l’azienda iberica hanno trascorso una giornata nel Customer Experience Center della Durst di Bressanone per stampare l’ opera con una Durst Rho 512 a sei colori
Il lavoro ha presentato un’importante criticità: il materiale disponibile era sufficiente per una sola tiratura, il che significava non poter effettuare prove di stampa, né commettere errori. Una sfida, questa, che l’azienda altoatesina ha vinto. «Il supporto di lino appositamente preparato per questa stampa artistica ci è stato fornito nelle misure esatte per la realizzazione del progetto. Non potevamo sbagliare. E i risultati parlano da soli. I visitatori della mostra sono rimasti stupiti dall'eccezionale qualità di stampa, oltre che ovviamente dalla bellezza dell’opera», racconta a tal proposito Christian Harder, Head of Graphics di Durst Group. Rafael Carbonell, amministratore delegato di Durst Iberica, ha aggiunto un altro dato importante per capire il valore del lavoro fatto: «quando stampi solo nero, grigio e bianco, la qualità deve essere eccezionalmente alta per conferire all’arte il suo vero valore».
Accanto a «Around Guernica, 2009/2020», i visitatori del Museo Guggenheim di Bilbao possono ammirare una selezione di fotografie di grandi dimensioni, scattate durante i giorni più duri della pandemia, nelle settimane del lockdown della scorsa primavera, che riflettono le strade e gli spazi deserti di Bilbao come il ponte La Salve, Elcano, la metropolitana e Calle Bailén, proiettando un’immagine quasi irreale che potrebbe rappresentare la situazione di quei giorni in qualsiasi parte del mondo. 
Nelle parole di Ballester, che ha avuto un permesso speciale per realizzare il reportage, si legge la tragica irrealtà di quelle settimane: «l’assenza umana per le strade ha creato immagini insolite di strade, viali e piazze completamente vuote, ma la parte più inquietante era sapere che tutti gli abitanti erano lì, che erano a pochi metri da me, protetti entro le mura delle loro case. Nonostante fosse così vicino, il silenzio regnava sovrano». Un silenzio parlante, che è una delle cifre stilistiche più evidenti della produzione di Ballester. 

Per saperne di più
https://www.guggenheim-bilbao.eus/
https://www.durst-group.com/

mercoledì 20 gennaio 2021

Porte aperte nei musei della Toscana. Sul pennone del Centro Pecci sventola la bandiera di Jeremy Deller; a Manifattura Tabacchi arriva l'omaggio a Pier Luigi Nervi

Dai giardini di Boboli al Museo Fattori di Livorno, dalla Certosa di Calci al Museo nazionale del Bargello, dalla Villa Medicea di Poggio a Caiano al Maec di Cortona, dall’Opificio delle pietre dure alla Casa Carducci di Valdicastello, dal Palazzo Blu di Pisa alle Residenze napoleoniche di Portoferraio: sono molti i luoghi d’arte della Toscana che in questi giorni sono tornati a ospitare i visitatori, in ottemperanza al Dpcm del 14 gennaio 2021 che ufficializza l’apertura dei musei nelle regioni in zona gialla.
Ingressi contingentati con prenotazione obbligatoria, mascherina, distanziamento sociale e apertura nei soli giorni feriali, dal lunedì al venerdì, sono le regole fissate per questa timida ripartenza dei luoghi della cultura, che vede ancora chiusi su tutto il territorio nazionale teatri e cinema.
In attesa di poter tornare tra le sale di uno dei musei fiorentini più amati nel mondo, gli Uffizi, la cui riapertura è fissata per la mattinata di giovedì 21 gennaio, sta per tornare accessibile uno degli spazi culturali della regione natale di Dante Alighieri che più di altri ha vivacizzato il dibattito culturale in questi lunghi mesi di lockdown: il Centro Luigi Pecci di Prato, diretto da Cristiana Perrella.

Da «Protext!» a «Litosfera», i progetti espositivi del Centro Pecci per la ripartenza

Il museo riapre da mercoledì 20 gennaio con la collettiva «Protext! Quando il tessuto si fa manifesto», prorogata fino al 14 marzo. Attraverso il lavoro di Pia Camil, Otobong Kkanga, Vladislav Shapovalov, Tschabalala Self, Marinella Senatore, Serapis Maritime e Güneş Terkol, la mostra esplora il ruolo del tessuto non solo nei dibattiti critici su lavoro, identità e cambiamento ambientale, ma anche come medium per eccellenza nella rappresentazione del dissenso. In occasione della riapertura sarà disponibile la pubblicazione di Nero Editions in due volumi: il catalogo della mostra, con il testo critico delle curatrici Camilla Mozzato e Marta Papini, le interviste agli artisti, le biografie e le fotografie delle opere esposte, e  un vero e proprio libro d’artista firmato da Marinella Senatore, introdotto da Cristiana Perrella.
Tornerà visibile anche il progetto «Litosfera», prorogato fino al 18 aprile, che mette in dialogo il video «A Fragmented World» (2016) di Elena Mazzi e Sara Tirelli con l’installazione ambientale «Produttivo» (2018-2019) di Giorgio Andreotta Calò. Si tratta di due progetti nati dal desiderio di rappresentare forze e materie che nel corso di ere geologiche hanno dato forma al nostro pianeta. Proseguirà anche l’esposizione della nuova acquisizione «RAID», video di Marcello Maloberti.
Dato il grande successo di pubblico e critica, si è deciso di prorogare fino al 30 gennaio anche «Jacopo Benassi. Vuoto», la prima personale in un museo dedicata al fotografo ligure. La riapertura della mostra, accompagnata dalla pubblicazione del libro «Fags», diventa l’occasione per rilanciare la campagna di fundraising: acquistando una fotografia di Benassi a tiratura limitata, sarà possibile sostenere le attività del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci.
In occasione della riapertura, per «Extra Flasg», sul pennone davanti al Centro Pecci verrà issata una nuova bandiera, quella di Jeremy Deller (Londra, 1966), intitolata «A flag for a new Pangolin Nation»
La bandiera riporta quello che l’artista considera come l’animale forse più perseguitato al mondo, indicato da alcuni centri di ricerca come il probabile ospite intermedio che ha consentito il passaggio del virus Covid-19 dal pipistrello all’uomo. Dedicargli una bandiera è dedicarla al capro espiatorio, alla vittima inconsapevole, ma è anche un commento sarcastico sulle strumentalizzazioni politiche nazionaliste e populiste generate dalla pandemia. 
Come sempre nel suo lavoro, Jeremy Deller, vincitore del prestigioso Turner Prize nel 2004, attiva anche qui un dialogo trasversale che cortocircuita tra significati opposti, creando un’immagine allo stesso tempo ironica e provocatoria, che rivela il rimosso dei nostri sistemi di convivenza ed espressione.
In parallelo alla riapertura fisica delle sale del museo, prosegue il palinsesto digitale «Pecci on»: un programma creato per alimentare il pensiero critico e il confronto con la scena culturale globale, ma anche un modo per sottolineare come un’istituzione d’arte contemporanea come il Centro Pecci abbia la vocazione e il ruolo di catalizzatore per la propria comunità, di antenna che capta il presente attraendo idee, voci, artisti per leggere le evoluzioni del nostro tempo per restituirle amplificate al territorio e al mondo.
«Abbiamo già dimostrato come un luogo della cultura possa essere un presidio importante e sicuro per la collettività in un periodo difficile come quello che stiamo tutti vivendo – ha dichiarato Cristiana Perrella, direttrice del Centro Pecci, a proposito di questo nuovo inizio –. Con la riapertura vogliamo continuare a dare un segnale positivo di energia e accoglienza. Le nostre procedure di sicurezza sono state sempre accurate: siamo un museo grande, con sale ampie e spazi esterni importanti, in cui il distanziamento fisico e la gestione contingentata del flusso di visitatori sono facili da attuare. Riaprire le porte del museo al pubblico è un’opportunità per aumentare la familiarità con il museo e con il suo ruolo di servizio d’interesse generale, per offrire ai cittadini cibo per la mente e una forma di socialità e condivisione sicura, in un momento in cui ce n’è un enorme bisogno». 
Il museo sarà visitabile dal mercoledì al venerdì dalle 12.00 alle 20.00; l’ingresso sarà gratuito per le prime due settimane, fatta eccezione per la la mostra «Protext! Quando il tessuto si fa manifesto», per la quale è stata pensata un biglietto a prezzo ridotto.

Manifattura Tabacchi apre la mostra «Pierluigi Nervi. Architettura come sfida»
Firenze riparte, tra l’altro, da una mostra su Pier Luigi Nervi, progettista e al tempo stesso costruttore, uomo di cultura del suo tempo alla continua ricerca di una assoluta padronanza del mezzo tecnico per infondere bellezza nel costruito.
«Architettura come sfida», questo il titolo della rassegna in programma dal 25 gennaio, allinea plastici, copie dei disegni originali, un ampio corredo fotografico di immagini di cantiere e foto di attualità, che illustrano, capitolo dopo capitolo, l’intero percorso creativo di Nervi e guidano i visitatori all'esplorazione dei principali lavori della sua attività: dal cinema-teatro Augusteo di Napoli, una delle opere a lui più care, alla sede dell'Unesco a Parigi, dall'Aula Paolo VI in Vaticano alla Torre della Borsa di Montreal, per approdare all' ultimo progetto realizzato, l'Ambasciata Italiana a Brasilia, concepito nel 1969 insieme con il figlio Antonio.
La mostra, per la quale è stato pensato anche il progetto digitale «Cinema Nervi», approfondisce, tra le altre opere di Nervi, due opere legate alla storia di Firenze: lo Stadio municipale Berta del 1932 e, ovviamente, Manifattura Tabacchi. L'architettura, costruita tra il 1933 e il 1940 su progetto dei tecnici del Monopolio, presenta linee architettoniche e strutture di modernità ed eleganza tali che hanno fatto ipotizzare la mano di Pier Luigi Nervi. Il recupero in atto è affrontato nel rispetto materiale e figurale del bene, in assidua collaborazione con la Soprintendenza, e affronta le note difficoltà concettuali e metodologiche proprie della conservazione dell’architettura moderna.
Il complesso sarà recuperato secondo un masterplan risultato dai contributi successivi di Concrete, Sanaa, Studio Mumbai e q-bic, che si propone di preservare lo spirito industriale dell’architettura storica con interventi di carattere contemporaneo capaci di valorizzare la monumentalità degli edifici e la qualità unica degli spazi e dei materiali. Particolare attenzione è posta nella progettazione del paesaggio, affidata al paesaggista Antonio Perazzi, dove il verde è inteso come dispositivo di rigenerazione che si riappropria dello spazio nell’ex fabbrica di sigari per creare aree comuni accoglienti, confortevoli e favorevoli all’aggregazione.
L’ambizioso progetto di riqualificazione, avviato nel 2016, si propone di dar vita a un nuovo quartiere per la città e un centro per la cultura contemporanea, l’arte e la moda che sia complementare al centro storico, aperto a tutti e connesso col mondo.
A Firenze si racconta così la storia di un progettista che, trent’anni fa, ha scritto pagine importanti per il futuro dell’architettura, mettendo la grande tradizione artigianale italiana al servizio della prefabbricazione e delle dimensioni monumentali.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1,2,3,4 e 5] Centro Pecci di Prato. Foto di Margherita Villani; [figg. 6,7 e 8] Manifattura Tabacchi di Firenze. Foto di Massimo Sestini

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