ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 29 marzo 2021

«Foresta M9», a Mestre seicento essenze arboree e duecento alberi per un’installazione green

Querce, carpini, farnie, oppi, olmi campestri, frassini, ciliegi, sanguinelle, noccioli, cornioli, sambuchi, frangole, biancospini, ligustri, rose canine, prugnoli e lantane: sono quasi seicento le essenze arboree scelte per la mostra, a cura di Luca Molinari e Claudio Bertorelli, che segna la ripartenza di M9 – Museo del Novecento a Mestre. Centoottanta alberi, alti fino a quattro metri, vanno a comporre una vera e propria foresta, un’oasi di pace e serenità, che sovrasta con la sua chioma la variegata vegetazione sottostante, tipica del sottobosco, con altezze tra i trenta e i quaranta centimetri, suggellando da un lato l’emblematico significato di risveglio, ripresa e rinascita, e celebrando dall’altro il forte legame con le radici della città lagunare e il territorio che le fa da cornice. L’installazione è riflessa sulle pareti del terzo piano del museo, grazie all’applicazione di una pellicola a specchio, sottolineando così il rapporto che unisce il territorio veneto ai suoi boschi e, nello stesso tempo, raccontando il fascino paesaggistico di un territorio che ha pochi eguali in Italia.
Quella foresta temporanea nel cuore di M9, luogo emotivo ed essenziale nella sua semplicità, vuole, dunque, essere anche una testimonianza della grande attenzione e lungimiranza del comprensorio veneziano, che, già dai tempi della Serenissima, rivolge la propria attenzione alla salvaguardia dell’ambiente. «Da almeno due decenni la terra veneta – ricordano, a tal proposito, i curatori - è teatro di pratiche di paesaggio finalizzate a rifondare, entro il 2050, il suo arcipelago di foreste, almeno fino alle dimensioni dei gloriosi tempi veneziani: 7.000 ettari di rovereti di pianura necessari alla flotta per mare, pari all’1% della superficie estesa. Tutto è cominciato grazie a comunità locali che hanno deciso di prendersi cura dei luoghi abitati, consapevoli e responsabili nei confronti delle generazioni future».
«Foresta M9. Un paesaggio di idee, comunità e futuro»
– questo il titolo della mostra a Mestre - non è, dunque, solo una suggestiva installazione temporanea, ma anche un dispositivo di orientamento culturale e politico per restituire senso a un territorio che è insieme urbano e rurale. L’esposizione vuole, inoltre, essere un gesto tangibile per le sue comunità di riferimento; per questo motivo, a conclusione della mostra, sette comuni di medie e grandi dimensioni della pianura veneta - Concordia Sagittaria, San Donà di Piave, San Stino di Livenza, Venezia, Padova, Treviso e Cessalto - riceveranno in dono da M9 alcuni degli alberi che animano l’installazione, per rinvigorire o dare avvio ad altrettante foreste che arricchiranno il territorio. Mentre le piante più giovani saranno donate, a fine mostra, ai cittadini per un collettivo guerrilla gardening che diffonda l'arte di coltivare la biodiversità, nel proprio giardino o nel proprio quartiere.
L’idea di questo dono nasce da un’idea vincente, che dovrebbe essere centrale nel fare di molti, se non di tutti noi: «gli alberi -raccontano ancora i curatori - non sono un ornamento alla moda, non lavano il nostro senso di colpa e l'indifferenza, ma sono nostri compagni di viaggio, vivono con noi, sono più di noi e ci ricordano che tutti apparteniamo a un mondo che sta soffrendo troppo e che merita conoscenza, cura e amore».
L’esperienza green di «Foresta M9» non si esaurirà con la mostra, ma prevede anche un «semestre verde» di laboratori e incontri, che si muove nel solco della vocazione ecosostenibile con cui il Polo M9, laboratorio permanente del contemporaneo ideato nel 2018, è stato progettato da Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton. Nei prossimi mesi saranno, dunque, approfonditi i temi dell’Agenda 2030 dell’Onu per l’ambiente, organizzati laboratori e iniziative per bambini e ragazzi, con visite e letture dedicate agli alberi, giungendo all’inaugurazione della prima mostra satellite dedicata ai grandi alberi della storia italiana.
La presentazione di «Foresta M9», avvenuta rigorosamente in streaming secondo le disposizioni vigenti in materia di contrasto alla diffusione del Coronavirus e delle sue varianti, è stata anche l’occasione per far conoscere «M9 Impatto Zero», il progetto greentech, eseguito da RnB4culture, che intende rendere il complesso veneto il più grande museo italiano a impatto energetico zero. Il progetto si avvia in questi giorni con l’installazione di un nuovo grande impianto fotovoltaico sui tetti degli edifici del distretto M9, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità energetica entro il prossimo triennio. «L'impianto - raccontano dal museo - porterà a una espansione della potenza da 80 a 270 kW. RnB4culture sta realizzando l'intervento con 995 metri quadri di pannelli solari senza impatto visivo, con una produzione totale attesa di 6,4 milioni di kWh».
L’installazione sarà aperta al pubblico appena le condizioni legate alla situazione pandemica lo renderanno possibile, ma può già essere vista on-line grazie a una serie di appuntamenti. Si spazia dai «Forest sound» (il prossimo ci sarà venerdì 23 aprile, alle ore 21), concerti nella natura diffusi sui canali social di M9, agli incontri della rassegna «Il mio 900 in verde» (lunedì 29 marzo con Daniele Zovi, mercoledì 31 marzo con Giustino Mezzalira e lunedì 5 aprile con Maurizio Dissegna), dalle attività per i più piccoli (giovedì 1°, 8, 15 e 22 aprile) alle quattro lezioni (sabato 3, 10, 17 e 24 aprile) in streaming di yoga con Laura Lena. Foresta M9 ci offre così una pausa virtuale a contatto con la natura e ci regala un piccolo, ma significativo, attimo di pace dell’anima, «un'esperienza sensoriale e culturale unica – racconta Luca Molinari - in un momento in cui tutti noi siamo stati costretti nelle nostre case».

Didascalie delle immagini
Le fotografie sono di Alessandro Scarpa. Si ringrazia per le immagini lo studio associato di giornalisti BonnePresse di Milano

Informazioni utili
L’installazione sarà aperta al pubblico non appena le condizioni legate alla situazione pandemica lo renderanno possibile. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.m9museum.it

venerdì 26 marzo 2021

Una nuova identità visiva per l’Asolo art film festival. Ola Niepsuj firma l’immagine guida dell’edizione 2021

Dagli anni Settanta racconta il meglio della produzione cinematografica legata ai film sull’arte e sulle biografie degli artisti. Stiamo parlando dell’Asolo art film festival, nato nel 1973 quale distaccamento della Biennale d’arte di Venezia su impulso della critica e saggista Flavia Paulon e patrocinato all’epoca da Unesco. Per la trentanovesima edizione, in agenda dal 24 al 27 giugno (pandemia permettendo), la manifestazione, che vede alla direzione artistica Thomas Torelli, si rinnova e trova a Sarmede, il «paese della fiaba», un’altra eccellenza veneta, la sua nuova identità visiva.
Alla selezione dell’immagine ha, infatti, preso parte la Mostra internazionale dell’illustrazione per l’infanzia e in particolare il suo presidente Umberto di Remigio, che ha messo a disposizione dell’Asolo art film festival, una rosa di opere ricevute nell’ultimo biennio da autori di tutto il mondo.
La scelta è caduta su un disegno dell’artista e illustratrice polacca Ola Niepsuj, scelto da Thomas Torelli per esprimere visivamente il tema del festival 2021: «Fai della tua vita un’opera d’arte».
L’immagine selezionata è stata, poi, elaborata graficamente da Saglietti.Branding+Digital di Torino.
«In questa raffigurazione – spiega il direttore del festival - ho riconosciuto quei sentimenti di allegria e speranza che dovranno accompagnare noi e le generazioni future nei prossimi decenni, fondamentali per creare quel futuro che tutti auspichiamo in cui possa rinascere un nuovo umanesimo e una coscienza maggiore di comunità come genere umano, non ‘proprietario’ del pianeta terra, ma ‘appartenente’ al sistema pianeta terra».
In questa immagine troviamo vari elementi che conducono verso questo auspicio. Ci sono tre figure che rappresentano: il nostro passato con un adulto, il nostro presente con un bambino e la natura con un cane, tutti rivolti verso destra, che guardano avanti, quindi, verso il futuro.
Sono vicini, formano un gruppo, una comunità, ma l’adulto, a differenza del bambino e del cane, raffigurati in cammino, è fermo, come a volerli accompagnare con lo sguardo verso il futuro, come a dire «andate avanti, io mi fermo qui, non voglio portare i miei errori nel futuro».
L’adulto disegnato con la testa piccola, quasi a simboleggiare il suo dolore per gli errori commessi, spinge il bambino, con la testa enorme, piena di idee rivoluzionarie, e il suo cane, a vivere le loro vite come opere d’arte.
A coronare il tutto abbiamo il sole, logo storico del festival, simbolo eterno di rinascita e speranza che rende tutto colorato, come in una sorta di nuova primavera che porterà a un’estate di pace e armonia.
Lo stile grafico dell’immagine è chiaramente di ispirazione futurista richiamando ancora una volta quella speranza nel futuro e nel cambiamento, sebbene basata su presupposti e strumenti decisamente diversi, che animò i primi decenni del XX secolo.
«Asolo Art film festival 2021 – spiega ancora Thomas Torelli - lancia così un messaggio di opposizione all’omologazione e alla cupezza del periodo, attraverso la spinta creativa che l’arte infonde in tutti gli individui. Invita a credere nella forza creativa che alberga in ognuno di noi e che attraverso la spinta catartica dell’arte può emergere facendoci trovare la nostra vera via». 

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giovedì 25 marzo 2021

Buon compleanno, Dams. A Bologna mostre, spettacoli e incontri per i cinquant’anni del corso di laurea che mette in cattedra l’arte

Ci sono idee che fanno la storia. È il caso della felice intuizione avuta negli anni Settanta del grecista Benedetto Marzullo, membro del Consiglio superiore di pubblica istruzione e grande amante del teatro, al quale si deve la nascita del Dams di Bologna, il corso di laurea in discipline delle arti, della musica e dello spettacolo che portò a insegnare sotto le Torri personalità del calibro di Umberto Eco, Renato Barilli, Luciano Anceschi, Gianni Polidori, Luigi Squarzina, Thomas Maldonato, Paolo Monti, Giuliano Scabia, Carlo Volpe, Roberto Leydi, Gianni Celati, Furio Colombo e molti altri.
Era il 1971 e chi voleva fare della cultura il suo lavoro aveva finalmente un ateneo dove studiare e specializzarsi. Ma non fu facile dare vita, all’interno della Facoltà di lettere e filosofia di Bologna, a quel laboratorio di sperimentazione, di utopia e di critica culturale che metteva in cattedra la creatività in ogni sua forma. Nell’Italia che viveva tutte le tensioni politiche ed economiche dei cosiddetti «anni di piombo», quella sfida visionaria «non aveva - affermò, tempo dopo, lo stesso Benedetto Marzullo - precedenti, ma solo avversari», sia all’interno della gloriosa Alma Mater Studiorum, che si avvicinava ai novecento anni di storia, sia in città, dove per molto tempo gli studenti del Dams vennero visti come un gruppo di scapestrati e «caciaroni», poco dediti allo studio, «da evitare assolutamente – ricorda Cristian Tracà -, come inquilini per i proprietari e come coinquilini per i ‘veri studenti’, la futura classe dirigente».
Ma il mondo, si sa, è di chi ha il coraggio di credere nei propri sogni e gli stereotipi e i pregiudizi, le etichette appiccicate velocemente e distrattamente, sono fatte solo per ingannare la mente.
Quei giovani intellettuali che riempivano a dismisura l’Aula Magna per ascoltare Umberto Eco in un pirotecnico assolo che mischiava semiotica e letteratura, cinema e fumetto, o che, con il drammaturgo Giuliano Scabia, coloravano Bologna lanciando in cielo piccole mongolfiere erano destinati a diventare la classe dirigente di un settore che, purtroppo, è ancora oggi la Cenerentola dell’economia italiana, quello dell’industria culturale, ma anche ad affermarsi nel giornalismo, nella televisione e persino in politica. Sui banchi del Dams si sono, infatti, seduti il musicista Paolo Fresu, la giornalista Milena Gabanelli, lo scrittore e saggista Pier Vittorio Tondelli, il fumettista Andrea Pazienza, il cantautore Roberto «Freak» Antoni, il regista Carlo Mazzacurati, il conduttore Patrizio Roversi, il politico Gianni Cuperlo e una schiera di ragazzi e ragazze con l’ambizione di diventare attori, registi, compositori, artisti, pubblicitari, curatori, drammaturghi, musicisti.
Talento, passione e sensibilità, talvolta voglia di andare controcorrente e di sfidare i limiti, ma anche rigore, disciplina e impegno: era questo che si insegnava, e tuttora si insegna, al Dams di Bologna, un progetto che è stato, poi, «esportato» in più parti d’Italia, da Torino a Firenze, da Roma a Palermo.
Da quel 1971 che vide nel capoluogo emiliano la nascita del primo corso di laurea in discipline delle arti, della musica e dello spettacolo sono passati cinquant’anni; per festeggiare questo importante traguardo è stato organizzato un lungo e ricco calendario di appuntamenti culturali, on-line e in presenza: incontri, dialoghi con ex alunni, mostre, una laurea honoris causa, convegni, spettacoli e, pandemia permettendo, una festa lunga tre giorni – dal 18 al 20 giugno – in piazza Maggiore e in diversi luoghi del centro storico.
«Smettere di evolverci: l’unica cosa che non impareremo mai»
è lo slogan scelto dall’agenzia creativa The Big Now/mcgarrybowen, con BAM! Strategie culturali, per pubblicizzare questa iniziativa, ribattezzata «Dams50», che raccoglie una trentina di eventi, a partire da una serie di live-streaming attraverso la pagina Facebook e YouTube di DAMSLAb/LaSoffitta, con professionisti passati dai banchi dell’ateneo bolognese. Fra le testimonianze in programma ci sarà, giovedì 25 marzo, quella del curatore e critico d'arte contemporanea Massimiliano Gioni, in conversazione con Roberto Pinto; mentre mercoledì 31 sarà Chiara Alessi a parlare di cultura materiale, di design e della sua ormai celebre rubrica #designinpigiama, insieme con Anna Rosellini e Francesco Spampinato.
Molto ricco è anche il programma di aprile e maggio: in agenda ci sono gli incontri con l’attore e regista Toni Servillo (laureato ad honorem nel 2015), il giornalista e scrittore Stefano Bartezzaghi, il regista Romeo Castellucci, il trombettista Paolo Fresu, il giornalista Riccardo Iacona e il cantautore Giovanni Lindo Ferretti, ma anche gli appuntamenti in absentia dedicati alla memoria di Tondelli, Pazienza, «Freak» Antoni e Mazzacurati.
Il cartellone prevede anche tre progetti espositivi. Si inizierà il 24 aprile, al Museo della musica in Strada Maggiore, con «No Dams! 50 anni di Corso di laurea in Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo»: fotografie, articoli di giornale, documenti ufficiali e filmati storici, materiali provenienti da archivi pubblici e privati, tessono la trama di un avvincente racconto, iniziato nel 1971 e ancora in corso, che si avvale dell’allestimento immersivo progettato dall’architetto Eric Lapierre. Dal 29 aprile è, invece, in programma, in SalaBorsa, una mostra di Mimmo Paladino sui suoi disegni dedicati alla grande letteratura universale, da Omero a Collodi, da Dante a Manzoni, preludio alla laurea ad honorem che sarà conferita all’artista il 14 maggio al teatro Comunale di Bologna. A corollario, per le vie del centro storico, in giugno, sarà, infine, possibile imbattersi nel progetto di public art ideato appositamente per «Dams50», che presenterà delle video-installazioni architettoniche realizzate da ex studenti dell’ateneo bolognese. Le sedi di Palazzo Marescotti-Brazzetti (via Barberia 4), del Complesso di Santa Cristina (piazzetta Morandi) e del DAMSLab (piazzetta Pasolini) verranno rispettivamente «accese» da tre interventi di Tommaso Arosio, Apparati Effimeri e Riccardo Benassi, mentre le sedi storiche di via Guerrazzi, Strada Maggiore e l’Ospedale dei Bastardini saranno oggetto di un intervento di Elisa Seravalli a partire dai materiali d’archivio esistenti.
Di un ex alunno, ovvero di Ambrogio Lo Giudice, è anche il docu-film «Andate a lavorare», realizzato per l’occasione, che ripercorre, in bilico tra finzione e realtà, la straordinaria avventura del Dams.
Non mancheranno, poi, appuntamenti teatrali: da un laboratorio con Marco Martinelli (attualmente previsto per i giorni dal 20 al 29 aprile) a una lectio magistralis di Giuliano Scabia. Completerà il cartellone un progetto dedicato a Torgeir Wethal, storico attore dell’Odin Teatret, a cura di Teatro Ridotto - Casa delle culture, che prevede, tra l’altro, dialoghi con Eugenio Barba, Roberta Carreri e Iben Nagel Rasmussen (2 maggio), oltre alla presentazione di «Fiori per Torgeir» (3 e 4 maggio), spettacolo che parla di lutto e di dolore, raccontando come la morte di una persona cara ci cambi per sempre e come la gratitudine per ciò che è stato è la chiave di volta per guardare al futuro. «Non sono la stessa che ero prima della morte di Torgeir, e mai tornerò ad esserlo - racconta Roberta Carreri, autrice e attrice dello spettacolo -. Ma sono ancora capace di cantare e di sorridere, accompagnata dalla sua assenza per il resto del mio cammino. Si dice che si muore due volte. La seconda è quando si viene dimenticati. Io non voglio che Torgeir sia dimenticato». Memoria e futuro si incontrano, dunque, in questo spettacolo così come nell’intero cartellone di «Dams50», un invito ad evolversi, guardando alla storia passata senza nostalgia, - racconta Giacomo Manzoli, direttore del Dipartimento delle arti al Dams - ma con un po’ orgoglio». 

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