ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 26 aprile 2022

Da Donatello ad Alessandro Vittoria, centocinquanta anni di scultura a Venezia

Nel 1450 Venezia è all’apice della sua potenza, grazie al ruolo di cerniera tra l’Oriente e il nord Europa. In questo scenario il gotico viene gradualmente abbandonato per lasciare spazio a uno stile nuovo e, allo stesso tempo, eterno che parte dal ritorno all’antico per dare vita al Rinascimento. È in questo periodo che Donatello (Firenze, 1386 – Firenze, 13 dicembre 1466), fa tappa a Padova, dove soggiornerà per dieci anni, dal 1443 al 1453. Il suo arrivo sancisce il sopraggiungere di influenze esterne al panorama artistico veneto, ancora tardo gotico, e contribuisce alla formazione di una nuova generazione di artisti che si specializzano nella fusione del bronzo e nelle sculture in terracotta. Simbolo di questa nuova plasticità è il «San Lorenzo», un busto in terracotta del 1440, scelto per aprire il percorso espositivo della mostra «Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 - 1600. 150 anni di scultura nella Repubblica di Venezia», allestita negli spazi della Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, per la curatela di Toto Bergamo Rossi e Claudia Cremonini.
Originariamente nella lunetta del portale della Pieve di San Lorenzo a Firenze, il busto di «San Lorenzo» fu acquistato da Giovanni II, principe del Liechtenstein, nel 1889, e fino al 1938 esposto nella residenza estiva della famiglia a Vienna. Solo studi recenti di Francesco Caglioti, condotti tra il 2013 e il 2014 con l’ingresso del lavoro nella collezione di Peter Silverman e Kathleen Onorato, hanno dimostrato l’autografia donatelliana.
L’iconografia della scultura è quella tradizionale, presente in tanti busti reliquari del Medioevo: il santo levita, in eleganti fattezze giovanili, è raffigurato con la dalmatica diaconale, mentre nella mano destra tiene la palma del martirio e in quella sinistra il libro sacro (il Vangelo). Innovativa, invece, è la resa plastica di questa scultura che la mostra veneziana mette a confronto con una «Madonna in trono», sempre in terracotta, di Andrea Briosco detto il Riccio (fine XV secolo) e due raffigurazioni di San Sebastiano, un rilievo della bottega dei Lombardo, proveniente dalla sacrestia della chiesa veneziana dei Santi Apostoli, e un dipinto di Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 – Mantova, 1506), tra i simboli della collezione di Giorgio Franchetti esposta alla Ca’ d’Oro.
L’esposizione, la prima dedicata alla scultura del Rinascimento e della Tarda Maniera a Venezia, dedica, quindi, una sala al «Ritorno all’antico». La caduta di Costantinopoli prima (1453) e il ritrovamento del gruppo scultoreo del Laocoonte poi (1506) stimolano, infatti, negli scultori del tempo un nuovo modo di intendere l’estetica, fortemente ispirato alla classicità e allo stesso tempo aperto a nuove idee e tecniche. A rappresentare pienamente questo nuovo corso della storia della scultura è stato scelto il rilievo in marmo «La morte di Lucrezia», recentemente attribuito ad Antonio Lombardo e mai esposto fino a ora in un contesto museale. Realizzato probabilmente nel periodo ferrarese dell’artista, in cui fu eseguito anche il Camerino di alabastro per il duca Alfonso I, quest’opera è esemplificativa della volontà dell’epoca di rappresentare esempi di moralità e virtù patrizie. In questa seconda sala, è possibile ammirare anche l’«Apollo» di Antonio Minello e la «Cleopatra» di Giammaria Mosca, due opere esposte fino insieme, fino al 1624, nella collezione del marchese Costanzo Patrizi a Roma e per la prima volta riunite dopo quasi quattro secoli.
I rimandi alla classicità si notano anche nella rappresentazione dei soggetti sacri: le statue del «Cristo risorto» di Giovanni Battista Bregno rimandano rispettivamente al Doriforo di Policleto e all’Apollo del Belvedere, mentre il Cristo di Lorenzo Bregno, proveniente dalla Scuola Grande di San Rocco a Venezia, si ispira ai ritratti romani sia nel formato che nella veste del soggetto, simile a una toga. Ha abiti di ispirazione classica anche la «Figura allegorica» di Antonio Rizzo, appartenente alle collezioni della Ca’ d’Oro, che indossa un peplo con un diploide stretto in vito da una cinta come una Nike ellenistica.
L’ultima sala del piano nobile del museo veneziano, sede dell’esposizione, è dedicata, invece, alla «Renovatio Urbis», quel momento in cui Venezia diventa rifugio per artisti e architetti in fuga dalla Roma pontificia, dopo il sacco del 1527. Tra di loro c’è Jacopo Sansovino, architetto e scultore che giunge nella città lagunare sostenuto dal grande collezionista e mecenate Domenico Grimani, che lo presenta al doge Andrea Gritti assicurandogli una rapida ascesa nel contesto culturale della Serenissima. Il suo stile influenza il gusto della città unendo scultura e architettura, come si può notare nella sua «Madonna del Bacio» o nei rilievi bronzei con episodi della vita di San Marco, realizzati per il pulpito della Basilica ed eccezionalmente esposti a Ca d’Oro grazie all’ottimo lavoro della Fondazione Venetian Heritage, organizzatrice dell’evento espositivo con la Direzione regionale musei veneto
Conclude il percorso una serie di busti patrizi, esempi di un modo nuovo di intendere il ritratto commemorativo in una società, quella veneziana, profondamente oligarchica e repubblicana, in cui l’esaltazione del singolo non era ben vista. Si deve ad Alessandro Vittoria lo sdoganamento definitivo di questa raffigurazione, espressamente ispirata agli ideali romani del patriziato in Età repubblicana. Fondendo fantasia antiquaria e verosimiglianza – come si evince dai busti in mostra che ritraggono Marino Grimani, Tommaso Rangone e Francesco Duodo – queste opere esaltano e rendono immortale una classe dirigente dedita a proiettare l’immagine di un governo saggio e sereno, animato dalla linfa vitale della Serenissima.
La rassegna, visitabile fino al 30 ottobre, ha il pregio di restituire ai visitatori, grazie all’esposizione di opere note e di lavori mai visti in contesti museali, la varietà interpretativa della tecnica scultorea, sottolineandone la ricchezza di materiali, le potenzialità espressive e le declinazioni estetiche all’interno di un contesto storico-artistico che troppo spesso predilige, nel discorso su Venezia, la pittura.
Altro punto di forza della mostra è la scelta della cornice espositiva, la Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, forte di una raccolta museale tra le più importanti in città per la qualità delle opere di diverse epoche e tipologie, da sempre uno dei capisaldi del collezionismo privato confluito in raccolte pubbliche e il luogo per eccellenza di concentrazione di capolavori scultorei provenienti da contesti monumentali dispersi, in larga parte concepiti per complessi ecclesiastici smembrati o non più̀ esistenti del territorio lagunare. Per questo motivo assume grande interesse anche la notizia che, al termine dell’esposizione, Venetian Heritage sottoporrà il palazzo a «un generale intervento di restyling e update espositivo».
La mostra «Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 – 1600. 150 anni di scultura nella Repubblica di Venezia» si prefigge, inoltre, di accompagnare il visitatore in un itinerario diffuso per calli e campielli veneziani: è stata, infatti, progettata un’apposita segnaletica che indica la presenza di capolavori scolpiti conservati all’interno delle chiese e dei musei cittadini per creare un dialogo integrato e diffuso tra diversi punti di interesse. Un’occasione, questa, per visitare Venezia con occhi nuovi. 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello (Firenze, 1386 ca. - Firenze, 1466) San Lorenzo, 1440 ca. Terracotta. Londra, Collezione privata. Curtesy Colnaghi Gallery; [fig.2] Tullio Lombardo (Venezia 1455 - 1532), Doppio ritratto. Marmo di Carrara, 47 x 50 cm. Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro - Direzione regionale Musei Veneto, su concessione del Ministero della Cultura; [fig. 3] Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 - 1600, a cura di Toto Bergamo Rossi e Claudia Cremonini. Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro, dal 22 aprile al 30 ottobre 2022. Installation view. Foto: Matteo De Fina; [fig. 4] Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 - 1600, a cura di Toto Bergamo Rossi e Claudia Cremonini. Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro, dal 22 aprile al 30 ottobre 2022. Installation view. Foto: Matteo De Fina; [fig. 5] Antonio Lombardo (Venezia, 1458 ca. - Ferrara, 1516) Morte di Lucrezia, 1508 - 1516 ca. Marmo di Carrara. Londra, Collezione privata. Courtesy of Colnaghi Gallery; [fig. 6] Gianmaria Mosca (Padova 1495/99 – Cracovia 1573), Porzia. Marmo, 45,5 x 33 cm. Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro - Direzione regionale Musei Veneto, su concessione del Ministero della Cultura

Informazioni utili 
«Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 – 1600. 150 anni di scultura nella Repubblica di Venezia». Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, Calle Ca' d'Oro, 3934 – Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 10-19; la biglietteria chiude alle ore 18:30.Ingresso: intero € 13,00, ridotto € 9,00, ridotto per cittadini UE dai 18 ai 25 anni € 2,00. Sito internet: https://www.cadoro.org/. Fino al 30 ottobre 2022

lunedì 25 aprile 2022

Da Tony Cragg a Vera Molnár: vetro e arte contemporanea sull’isola di Murano

«Solve et coagula», «Sciogli e condensa», dicevano i romani. È racchiusa in queste parole la magia del vetro, materiale figlio di un processo alchemico che, nel passaggio di dissoluzione e ricomposizione di un pugno di sabbia e silicio, arso dal fuoco e «coreografato» dal soffio e dalla sapienza manuale dell’uomo, genera forme trasparenti e opache, fragili e resistenti, colorate o bianche, meraviglie che fanno – giustamente - definire l’alto artigianato un’arte.
Questa tecnica dalle origini antiche ha in Italia un importante centro creativo, l’isola di Murano, dove nel 1291 furono trasferite, in seguito a un editto del doge Tiepolo, tutte le fornaci attive a Venezia al fine di preservare la città, allora centro di scambi commerciali con l’Oriente lungo le vie della seta e delle spezie, dai frequenti incendi che, purtroppo, si sviluppavano frequentemente all’interno delle botteghe compromettendo la vita degli edifici vicini, costruiti in legno.
La concentrazione delle vetrerie a Murano permise alla Serenissima anche di controllarne l’attività, impedendo che i segreti di quest’arte venissero esportati all'estero e facendo così fiorire il commercio del vetro veneziano, le cui fornaci erano sempre foriere di nuove invenzioni. Sulla piccola isola lagunare vide, infatti, la luce, verso la metà del XV secolo, il cristallino o «cristallo veneziano», un vetro estremamente chiaro e trasparente, nato dalla fantasia e dalla perizia creativa di Angelo Barovier (1405-1460 circa), che garantì a Venezia il predominio artistico per oltre due secoli, fino alla comparsa sul mercato del vetro boemo.
Murano fu anche la patria del vetro placcato, che permetteva di far risaltare colori e decorazioni, del vetro ghiaccio, una lavorazione estremamente complessa per ottenere un effetto rugoso con piccole crepe, del lattimo, bianco come la porcellana, del vetro smaltato, del vetro calcedonio, della filigrana, dell’avventurina, del millefiori o vetro colorato, delle conterie e delle murrine.
Di secolo in secolo, l’isola lagunare ha saputo, dunque, mantenere viva la sua peculiare tradizione traghettandola nel Novecento, epoca che ha visto l’affermarsi di tanti importanti marchi come, per esempio, Barovier & Toso, Seguso, Venini, Avem e Vistosi, interessati a far incontrare l’artigianalità dei maestri «fiolari» con il mondo del design e dell’arte.

Questa storia, millenaria, rivive tra le sale del Museo del vetro, «uno dei simboli della venezianità nel mondo», fondato nel 1861 all’interno del gotico Palazzo Giustinian, che attualmente ospita uno dei progetti di «Muve contemporaneo», l’offerta dei Musei civici veneziani per la cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte: «Silicon Dioxide».
Curata da Berengo Studio, la mostra, che trae il suo titolo dal materiale all’origine del vetro (il diossido di silicio, appunto), ripercorre - attraverso una quarantina di opere, alcune totalmente inedite, e un gruppo disegni, acqueforti e acquerelli - le tappe più significative della carriera di Tony Cragg (Liverpool, 9 aprile 1949), esponente di rilievo della scultura britannica (premio Tuner nel 1988) che ha incentrato la sua ricerca sull’uomo e sull’ambiente, naturale e artefatto.
Accanto agli storici assemblage, lavori di grandi dimensioni che accostano e sovrappongono gruppi di oggetti, sono esposte opere più recenti, alcune appena ultimate, che manifestano la curiosità dell’artista inglese per i vari effetti del vetro colorato, per la sua duttilità alchemica e la sua energia dinamica. Si tratta di lavori realizzati a partire dal 2009, quando Tony Cragg inizia la sua collaborazione con la fornace muranese di Berengo Studio. In mostra sono, dunque, affiancate installazioni su larga scala come «Bromide Figures» (1992), «Blood Sugar» (1992), «Cistern» (1999), collage di bottiglie in vetro satinato, e «Larder» (1999), colorato insieme di vasetti di conserve, a opere più intime come «Curl» (2000), «Spindles» (2021), «Bi» (2021) e la giocosa scultura «Climate» (2021). Tutti questi lavori, visibili fino al 21 agosto, riflettono sulla complessità della physis (il principio e la causa di tutte le cose), «conciliando la totale comprensione della natura organica della realtà con l’accettazione delle sue caratteristiche meno intelligibili», e, nello stesso, raccontano quello che Tony Cragg definisce il «potenziale infinito» del diossido di silicio.

In questi giorni, la piccola isola lagunare è anche sede di uno degli eventi collaterali della cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte: «Icône 2020». La mostra - ideata, prodotta e curata da Francesca Franco per l’Atelier muranese - esplora, attraverso schizzi preparatori, dipinti e materiale di documentazione, il processo di creazione della prima scultura in vetro realizzata da Vera Molnár, artista ungherese di nascita e parigina d’adozione, classe 1924, pioniera della computer art con oltre ottant’anni di carriera alle spalle, le cui opere fanno parte delle collezioni del Museum of Modern Art di New York, del Victoriam and Albert Museum di Londra e del Centre Pompidou di Parigi. Partendo dalla prima opera d’arte digitale dell’artista, creata su tela nel 1975 («Computer-Icône/2») a partire da una serie di disegni realizzati al computer nel 1974 («Trapèzes»), la scultura «Icône 2020» esplora il concetto di dicotomia, dando forma all’equilibrio, difficile, tra ordine e disordine.

L’isola lagunare ospita, in concomitanza con la cinquantanovesima Biennale d’arte, anche la collettiva «Le forme del bere», che Elisa Testori ha curato per le sale di «InGalleria», l’art gallery di Punta Conterie, l’hub dall’anima poliedrica dove il design, le arti visive e l’enogastronomia contemporanea si compenetrano stimolando percorsi culturali e del gusto inusuali. La mostra, aperta fino al 31 dicembre, rende omaggio al bicchiere in vetro, oggetto della quotidianità e manufatto che, lungo la sua evoluzione, ha stimolato la creatività dei designer. Accanto a pezzi storici, vere e proprie icone ancora oggi sulle tavole di tutto il mondo, come l’elegante «Ovio» (1983) di Achille Castiglioni, i leggeri calici «Plume» (2000) di Aldo Cibic, i colorati «Goti de fornasa» (1992) di Barovier e Toso, lo scenografico «Esimio» (1993) di Alessandro Mendini, la «Corolla d’autore» (2000) di Vico Magistretti e le «Ballerine fortunate» (1986) di Matteo Thun, ma non solo, sono esposti i lavori di nove designer contemporanei
Lorenzo Damiani
, Giulio Iacchetti, Astrid Luglio, lo Studio Martinelli Venezia, mischer'traxler studio, Luca Nichetto, Philippe Nigro, Ionna Vautrin e Zaven sono stati invitati – racconta la curatrice - a progettare ognuno «una diversa tipologia di bicchiere: il set acqua-vino-digestivo, un bicchiere dedicato all’acqua, un bicchiere per il vino «della casa», la coppia acqua e vino, il boccale da birra, la coppetta da cocktail, la coppa da champagne, il bicchiere da whisky e il tipetto, ovvero il calice veneziano». Ecco così lavori che stupiscono per i loro nuovi codici formali e per le variazioni su forme archetipiche, come il «Filo di Zaven», con una sottile canna di vetro colorato che si fa stelo, i sette bevanti di «Amurius», omaggio alle sette isole muranesi (San Pietro, San Stefano, San Donato, dei Conventi, Sacca San Mattia, Navagero, Sacca Serenella), la coppa in vetro a bolle «Champagne!», «Tulipe», con la sua forma basculante ispirata alle forme femminili, o «Access», un set di sei pezzi che propone una riflessione sulla disponibilità e sull’accesso all’acqua potabile in alcune aree geografiche del mondo.
I processi produttivi sono diversi e i linguaggi artistici aprono nuove frontiere di ricerca, mettendo sotto i riflettori la contemporaneità di un materiale dalla storia antica: il vetro. Ma non un vetro qualunque. Il vetro di Murano, sinonimo di bellezza e pregio nel mondo .

Vedi anche 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Tony Cragg, Larder, 1999. Preserve jars, 100 x 90 x 65 cm. Photo credit Lasse Koivunen; [fig. 2] Tony Cragg, Blood Sugar, 1992. Glass. Photo credit Michael Richter;  [fig. 3 e fig. 4] Tony Cragg: Silicon Dioxide. Exhibition view. Photo credit Michael Richter; [fig. 5] Vera Molnár, Icône 2020 (detail), 2021, Murano glass and 24K gold leaf, 60 x 60 cm, photo by Cristiano Corte ©, Courtesy New Murano Gallery; [figg. 6, 7 e 8] Mostra Forme del bere. Photo: Roberta Orio

Notizie utili 
Tony Cragg. Museo del vetro - Fondamenta Giustinian 8, 30121 Murano. Orari: Aperto tutti i giorni, dalle 10:00 alle 17:00; ultimo ingresso ore 16:00. Ingresso: intero € 10,00, ridotto (Ragazzi da 6 a 14 anni; studenti dai 15 ai 25anni; visitatori over 65 anni; personale del Ministero della Cultura (MiC); titolari di Carta Rolling Venice; titolari di ISIC – International Student Identity Card) € 7,50; gratuito per esidenti e nati nel Comune di Venezia; bambini da 0 a 5 anni; persone con disabilità e accompagnatore e altre categorie aventi diritto per legge. Informazioni: https://museovetro.visitmuve.it. Fino al 21 agosto 2022

Vera Molnár: Icône 2020. New Murano Gallery, spazi Atelier Muranese, Calle Alvise Vivarini, 6 - Murano (Venezia). Orari: tutti i giorni, dalle 10:00 alle 16:00. Ingresso libero. Informazioni: info@ateliermuranese.com. Sito dell'evento: www.ateliermuranese.com/icone2020. Fino al 27 novembre 2022 

Forme del bere. Punta Conterie, Fondamenta Giustinian, 1 - Murano (Venezia).Orari: da martedì a domenica, dalle 10:00 alle 18:00. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 041.5275174. Sito web:https://puntaconterie.com. Fino al 31 dicembre 2022

venerdì 22 aprile 2022

Venezia, a Palazzo Cini i disegni di Joseph Beuys

Con la sua poetica e la sua inconfondibile pratica artistica ha affrontato tematiche che, molti anni dopo, appaiono ancora urgenti e attuali: il problema ecologico, la spiritualità come strumento per imprimere una svolta nella Storia, l’istanza pacifista, il rapporto tra l’uomo e la natura, la volontà di stabilire una connessione profonda tra la pratica artistica e l’impegno sociale, la manipolazione dell’informazione e la partecipazione democratica alle scelte della politica.
Difficilmente etichettabile e inserito dalla critica ora tra i maestri del Minimalismo, ora tra i padri dell’Arte povera o tra i Concettuali, Joseph Beuys (Krefeld, 12 maggio 1921 – Düsseldorf, 23 gennaio 1986) è stato uno tra gli artisti più emblematici, profetici, anticonformisti e rivoluzionari del Novecento e uno tra i pochi realmente capaci di fare della propria vita un’opera d’arte.
Le performance degli anni Sessanta e Settanta, con i gesti ieratici, il silenzio colloquiante e il carisma dell’azione che vede in scena animali e materiali dalla forte valenza simbolica, gli valgono l’appellativo di «sciamano dell’arte». È lo stesso Joseph Beuys, in realtà, a suggerire il soprannome con il suo racconto, per molti fittizio e leggendario, di ciò che trasforma un aspirante medico in un utopista con il sogno di migliorare il mondo grazie all’arte. L’evento apocrifo accade nel marzo del 1944, durante la Seconda guerra mondiale: il ventitreenne, arruolato con la Luftwaffe (l’aviazione militare tedesca), nel ruolo di sergente radio-mitragliere, partecipa a una missione sul Fronte orientale. Il suo aereo precipita in una foresta della Crimea ed è lì, secondo la leggenda, che avviene la svolta. Joseph Beuys, in fin di vita, viene «magicamente» salvato da un gruppo di nomadi tartari che guariscono le sue gravi ferite con antiche pratiche della loro medicina tradizionale, facendo ricorso a grasso animale e fogli di feltro, materiali che, negli anni a venire, sarebbero tornati in continuazione nella pratica dell’artista, diventando simboli di salvezza e di connessione con la parte più pura e incontaminata dell’umanità.
Forte è anche il legame di Joseph Beuys con l’Italia, in particolare con Napoli, dove diventa amico del gallerista Lucio Amelio, e con il borgo abruzzese di Bolognano, dove, invitato da Lucrezia De Domizio e Buby Durini, porta avanti una serie di attività incentrate sull’agricoltura e sulla sostenibilità ambientale, a partire dalla creazione della «Piantagione Paradise» (1982) con la messa a dimora di settemila piante per il ripristino della biodiversità.
Moderno, anzi modernissimo, anche con questa azione, che dava forma all’idea di un’Italia idilliaca, bucolica e legata alle tradizioni, l’artista non è stato celebrato dal nostro Paese, in occasione del centenario della nascita (1921-2021), come meritava. A risarcire in parte il debito ci pensa la Fondazione Giorgio Cini di Venezia che, nei giorni della cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte, presenta la mostra-dossier «Joseph Beuys. Finamente Articolato», curata da Luca Massimo Barbero e realizzata in collaborazione con la galleria Thaddaeus Ropac
Scenario dell’evento, in cartellone fino al 21 novembre, è Palazzo Cini a San Vio, raffinata casa-museo, nel sestiere di Dorsoduro, che custodisce al suo interno capolavori di Giotto, Guariento, Botticelli, Filippo Lippi, Piero di Cosimo e Dosso Dossi, raccolti dal mecenate Vittorio Cini nel corso della sua vita. La riapertura dello spazio veneziano, realizzata come consuetudine grazie al supporto di Assicurazioni Generali, offre anche l’occasione per tornare ad ammirare due capolavori recentemente restaurati: il trittico devozionale ad ante mobili con al centro la Crocifissione del Maestro del Polittico della Cappella Medici (anni venti del XIV secolo) e la «Madonna con il Bambino» dell’artista ferrarese Lorenzo Costa.
La mostra «Finamente Articolato» si propone di restituire un’immagine di Joseph Beuys specifica e distinta da quella maggiormente nota, legata alle celeberrime «azioni politiche e concettuali» e alle «performance sciamaniche», presentando una quarantina di opere, tra cui lavori su carta e disegni, molti dei quali eseguiti già alla fine degli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta. Il pubblico viene, dunque, condotto agli esordi dell’esperienza creativa del maestro tedesco, dominata da due temi chiave: la figura umana, spesso femminile, e quella animale, associate dalla terra, dai cicli stagionali e dalla fertilità.
Il percorso espositivo principia dalla scultura «Supporto per la schiena di un essere umano finamente articolato (tipo lepre) del XX secolo d.C.», fusa in ferro da un'originale forma in gesso che serviva come schienale terapeutico per sostenere un corpo ferito, nella quale c’è tutto l’immaginario beuysiano, «laddove si unisce il corpo, la protesi, l'uomo, l'animale, uniti in un'unica creatura, dai risvolti magici e mitologici». Tutto intorno ci sono opere come «Bleifrau (Lead Woman)», moderna Venere paleolitica di distillata eleganza, creata nel 1949 quando l’artista era ancora uno studente alla Staatliche Kunstakademie Düsseldorf, la scheggia di felce «Hirschkuh mit Jungem» (1948), la scultura in legno e cemento «Ofen mit Torso» (1948-1850), l’acquerello «Hirsch (Stag)» (1956) e il calco in cera di «Junges Pferdchen» (1955–86), ispirato al «Cavaliere polacco» di Rembrandt (1655).
Dai fogli selezionati «affiorano – si legge nella presentazione - l’interesse per le forme ancestrali delle culture arcaiche, l’attenzione alla febbricitante linea nordica di gotico-espressionista tedesca, l’evocativo richiamo alle pitture rupestri, tra le prime rappresentazioni umane che rimandano all’origine del pensiero mitico e simbolico».

Didascalie delle immagini 
1. Joseph Beuys, Zwei Frauen, 1955. Pencil, watercolour, gouache and iron chloride on paper. Image 21 x 29,5 cm Frame 41 x 50 x 3 cm (JB 1146). Photo: Ulrich Ghezzi; 2. Joseph Beuys, Weibliche Figur, 1954. Iron chloride on brown paper. Image 24 x 16 cm Frame 45,5 x 36,5 x 3,5 cm (JB 1154).Photo: Ulrich Ghezzi; 3. Joseph Beuys, Hirschkuh mit Jungem (Doe with Calf), 1948. Bronze 17,2 x 56,8 x 1,2 cm (JB 1208). Photo: Jessyka Beuys; 4. Joseph Beuys,  Backrest for a fine-limbed person (Hare-type) of the 20th Century AD, 1972; 5. Joseph Beuys, Bleifrau (Lead Woman), 1949. Lead cast 6 x 22,6 x 6 cm (JB 1202). Photo: Tom Carter; 6.  Joseph Beuys, Junges Pferdchen (Young Horse), 1955 - 1986. Wax cast 120 x 81,5 x 28,5 cm (47,24 x 32,09 x 11,22 in) (JB 1209). Photo: Tom Carter 

Informazioni utili 
«Finamente Articolato». Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 - Venezia. Orari: ore 11 – 19, chiuso il martedì (ultimo ingresso ore 18:15) | aperture straordinarie nelle giornate del 25 aprile 2022 (ingresso gratuito per i residente nel Comune di Venezia) 1° maggio e 18 giugno 2022 – Art Night (ingresso gratuito dalle ore 18-24: ultimo ingresso ore  23:15). Ingresso: intero 10,00 €; ridotto 8,00 € (gruppi superiori a 8 persone/ragazzi 15–25 anni/over 65/Soci Touring Club Italiano/Soci Coop/Soci ALI/Possessori biglietti Casa Tre Oci); Ridotto Dorsoduro Museum Mile 7,00€ (per possessori di biglietti Peggy Guggenheim Collection, Palazzo Grassi – Punta della Dogana, Gallerie dell’Accademia/possessori di voucher Generali e Visite guidate Fondazione Giorgio Cini); Ridotto 5,00 € (Residenti Comune di Venezia/Soci Guggenheim/studenti e docenti universitari U.E. delle facoltà di architettura, conservazione dei beni culturali, scienze della formazione, iscritti ai corsi di laurea in lettere o materie letterarie con indirizzo archeologico, storico artistico delle facoltà di lettere e filosofia, iscritti alle Accademie delle Belle Arti/ Aderenti alla convenzione Su e Zo per i Ponti); gratuito: minori di 15 anni (i minori devono essere accompagnati)/ membri ICOM (International Council of Museums)/diversamente abili accompagnati da un familiare o da un assistente socio-sanitario/giornalisti accreditati con tesserino/dipendenti Assicurazioni Generali/guide turistiche accreditate/ Amici San Giorgio. Sito web: www.palazzocini.it, www.cini.it. Fino al 21 novembre 2022