ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 4 agosto 2025

Non sono Biennale e architettura, mostre e progetti artistici da vedere a Venezia nell'estate 2025

 Cosa succede quando l’architettura incontra l’intelligenza artificiale, naturale e collettiva? È questa la domanda che anima la diciannovesima edizione della Mostra internazionale d'architettura, uno dei progetti della Biennale di Venezia, in calendario fino al prossimo 23 novembre.

Oltre 750 partecipanti tra architetti, ingegneri, scienziati e artisti presentano, negli spazi dell'Arsenale e dei Giardini, ma anche in vari luoghi del centro storico, circa trecento progetti che intendono raccontare un futuro più sostenibile, adattivo e umano.
Il curatore di quest’anno è Carlo Ratti, architetto e innovatore con base al MIT, che ha trasformato l’intera mostra in un «laboratorio vivente», dove interrogarsi sulle grandi sfide del nostro tempo, dalla crisi climatica al problema delle migrazioni.
«Intelligens. Natural. Artificial. Collective.», questo il titolo della rassegna, ci sfida, dunque, a ripensare il nostro modo di abitare il mondo, anche sfruttando le potenzialità della robotica e dell’intelligenza artificiale o usando materiali circolari come il legno riciclato, il vetro di recupero, le bioplastiche.
Tra le installazioni più sorprendenti di questa edizione, ci sono la «Cool Forest», una foresta multisensoriale che simula il clima futuro della Laguna veneziana, e il «Rolex Pavilon», una struttura, elegante e minimalista, progettata dalla nigeriana Mariam Issoufou con materiali naturali e a basso impatto ambientale, pensata per essere smontata e riutilizzata altrove.
Interessante è anche «Canicola» di Andrea Faraguna, il progetto del Regno del Bahrain, premiato con il Leone d’oro per la miglior partecipazione nazionale, che riflette sull’aumento delle temperature globali attraverso un’installazione capace di combattere il caldo, avvalendosi di tecniche tradizionali di raffrescamento passivo come le torri del vento e i cortili ombreggiati.
Merita, infine, una segnalazione il Padiglione della Santa Sede, premiato con una Menzione speciale dalla giuria della Biennale di architettura, presieduta da Hans Ulrich Obrist. Il progetto, intitolato «Opera aperta», trasforma, sotto la curatela di Marina Otero Verzier e Giovanna Zabotti, il Complesso di Santa Maria Ausiliatrice di Castello in «un laboratorio vivente di riparazione collettiva», in un cantiere di restauro aperto alla comunità.

Tutto intorno c’è una città che indossa il suo abito migliore. I Musei civici propongono, per esempio, una ricca offerta espositiva, tra cui spiccano le mostre «L’oro dipinto. El Greco e la pittura tra Creta e Venezia», con centocinquanta opere che, negli Appartamenti del Doge a Palazzo Ducale, propongono un raffinato confronto tra l’Oriente bizantino e l’Occidente latino seguendo il filo rosso delle icone cristiane, e «Poema della vita umana» di Giulio Aristide Sartorio Ca’ Pesaro, una narrazione monumentale e visionaria sul nostro vivere, di impronta simbolista, nata per il Salone centrale dell’Esposizione Internazionale del 1907. 
Mentre al Museo Correr c'è un significativo omaggio a Carlo Scarpa, artigiano della materia e poeta del dettaglio, del quale vengono ricordati i due interventi di restyling alle Procuratie nuove, il nobile edificio rinascimentale che domina il lato sud di piazza San Marco, avvenuti nel 1952-53 e nel 1959-60 (dei quali vi abbiamo già parlato nei giorni scorsi), ancora oggi considerati un modello esemplare della linea italiana nella museografia, elegante e innovativa, ispirata al razionalismo internazionale.
Per gli amanti della fotografia sarà, invece, imperdibile la grande retrospettiva «Robert Mapplethorpe. Le forme del classico», che porta sull’Isola di San Giorgio Maggiore oltre duecento immagini, alcune delle quali presentate in Italia per la prima volta, che pongono l’attenzione sulla perfezione aulica che permea le composizioni del maestro statunitense (New York, 1946 - Boston, 1989), assente dalla scena artistica veneziana da circa trent’anni, spaziando tra i tanti soggetti esplorati, dalla sensualità del corpo umano alla bellezza dei fiori, dalla statuaria antica ai ritratti di grandi protagonisti del Novecento.
Sempre sull’isola di San Giorgio è visitabile la mostra «1932-1942. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia» (della quale vi abbiamo già parlato nei giorni scorsi), idealmente collegata alla rassegna muranese proposta dai Musei civici sulla produzione vetraria dei Fratelli Toso.
Mentre la Pinault Collection, le cui esposizioni sono sempre amate dagli art addicted, presenta, a Punta Dogana, la prima grande retrospettiva in Italia di Thomas Schütte (Oldenburg, Germania, 1954), con opere realizzate a partire dagli anni Settanta che gettano uno sguardo inquieto e ironico sulla condizione umana, e, a Palazzo Grassi, «La strana vita delle cose», una personale della cosentina Tatiana Trouvé, classe 1968, con sculture, disegni e installazioni site-specific che invitano i visitatori ad ampliare la propria conoscenza fisica e mentale, a guardare al di là della superficie.

Accanto alle cosiddette «grandi mostre», quelle che tutti i turisti in visita a Venezia hanno sul loro taccuino delle vacanze, alcune volte più attratti dal contenitore che dal contenuto, ci sono anche progetti artistici colti come i cantieri di restauro aperti al pubblico della Peggy Guggenheim e delle Gallerie dell’Accademia, ma anche eventi incentrati su un’unica opera, come quelli in corso a Palazzo Cini a San Vio (con Antoon Van Dyck) e alla Querini Stampalia (con Giovanni Bellini), o rassegne che profumano di buono e che, come in una macchina del tempo, ci trasportano in una Venezia di trine e merletti, di divertimenti raffinati e momenti conviviali, quella degli anni d’oro della Serenissima.

Per #Notizieinpillole, la rubrica collegata alla nostra pagina Facebook, abbiamo scelto di raccontarvi nove progetti artistici che si possono vedere a Venezia in questi caldi giorni estivi. 

#  «DI STORIE E DI ARTE», UNA MOSTRA RACCONTA TRE SECOLI DI VITA A PALAZZO VENDRAMIN GRIMANI
A Venezia ogni pietra racconta una storia. Palazzi, piazze e calli custodiscono, silenziosamente, la memoria di un passato glorioso che parla di commerci con l’Oriente, Dogi e intrighi politici, sfarzose feste di Carnevale, civettuole chiacchiere da salotto, trine e merletti, scoperte scientifiche, amori appassionati e libertini. 

Questa estate, sul Canal Grande, nel sestiere di San Polo, un’antica dimora nobiliare, a mezza via fra il ponte di Rialto e la Volta de Canal, apre le proprie porte al pubblico per mostrare la bellezza delle sue sale e far rivivere le storie di chi quegli ambienti li ha pensati, li ha vissuti, li ha amati. Si tratta di Palazzo Vendramin Grimani, simbolo di potere, cultura e mondanità nella Venezia aristocratica, oggi sede della Fondazione dell’Albero d’Oro, dove è allestita la mostra «Di storie e di arte», per la curatela di Massimo Favilla e Ruggero Rugolo, e con l’allestimento di Daniela Ferretti.

Frutto di una ricerca iniziata nel 2020, pubblicata in un corposo volume, l’esposizione ha l’ambizione di farci varcare la soglia del tempo e di immergerci nelle emozioni, nei riti e nei ritmi della Serenissima, tra giochi e svaghi colti come il teatro e la musica, tra ricevimenti conviviali e passioni collezionistiche.

Nelle sale del piano nobile e del pianoterra trovano posto documenti d’archivio, libri, mobili, argenti, ceramiche, porcellane, vetri, tessuti, abiti originali, fotografie storiche, antichi menù e opere d’arte inedite, tra le quali quattro pastelli di Rosalba Carriera (Venezia, 1673-1757) e un dipinto di Angelica Kauffmann (Coira, 1741 - Roma, 1807).

«Di storie e di arte» è, inoltre, arricchita da una selezione di video e animazioni, che intensificano il coinvolgimento del visitatore, fornendo la possibilità di incontrare «redivivi» i protagonisti della storia del palazzo, a cominciare dal doge Pietro Grimani (1677-1752), letterato di respiro internazionale, conferendo loro voce e corpo virtuali.

I Vendramin, i Grimani Giustinian e i Marcello - le famiglie che, nell’arco di tre secoli, hanno abitato queste stanze – si raccontano, dunque, e ci svelano come, attraverso una costante sedimentazione, risultato dei mutamenti del gusto proprio di ogni epoca, hanno trasformato un elegante edificio veneziano, con la facciata in pietra d’Istria lambita dall’acqua salmastrata, in uno scrigno colmo di storia, arte e alto artigianato.

Per saperne di più: https://www.fondazionealberodoro.org

Didascalie delle foto: Allestimento della mostra «Di storie e di arte», per la curatela di Massimo Favilla e Ruggero Rugolo, e con l’allestimento di Daniela Ferretti.. Palazzo Vendramin Grimani a Venezia, sede della Fondazione dell'Albero d'Oro. Foto: © Ugo Carmeni, 2025

# A PALAZZO CINI IL «CRISTO CROCIFISSO» DI ANTOON VAN DYCK
Un altro ospite illustre anima il percorso espositivo della Galleria di Palazzo Cini a San Vio, straordinaria casa-museo veneziana, un tempo dimora dell’industriale e politico Vittorio Cini (Ferrara, 1885-Venezia, 1977), «un vero raccoglitore di pittura antica», per usare una felice espressione di Federico Zeri, la cui collezione vanta mirabili testimonianze del Rinascimento toscano e ferrarese, tra cui il «San Giorgio» di Cosmè Tura.

Iniziata nel 2014 con l’«Adorazione dei pastori» di Lorenzo Lotto, in arrivo dai Musei civici di Brescia, la serie espositiva «L’ospite a Palazzo» ha portato in Laguna, anno dopo anno, capolavori come la «Madonna di Pontassieve» del Beato Angelico (2015), il «San Marco» di Andrea Mantegna (2016), il «San Giorgio e il drago di Paolo Uccello (2021) e la veduta di «Santa Croce» del Bellotto (2023), provenienti rispettivamente dagli Uffizi di Firenze, dallo Städel Museum di Francoforte, dal Musée Jacquemart-André di Parigi e dal Castello di Varsavia.
Quest’anno a intrecciare inedite relazioni dialogiche e contenutistiche con la collezione della casa-museo veneziana, uno dei gioielli del Dorsoduro Museum Mile, è il «Cristo crocifisso» di Antoon van Dyck (Anversa 1599 - Londra 1641), proveniente dal Palazzo Reale di Genova, che a sua volta ospiterà, questo autunno, una coppia di dipinti ferraresi della raccolta Cini, nell’ambito di una mostra su San Giorgio.

Dipinta nel 1627, la tela raffigura il corpo di Gesù inchiodato sulla croce, che si si staglia contro un cielo cupo addensato di nubi livide, spezzate da guizzi di luce abbacinante, appena addolciti da venature rosate. Un voluminoso, quasi ingombrante, drappo bianco copre la vita, accartocciandosi sinuosamente al vento ed esaltando la figura ancora viva del Cristo che volge lo sguardo, intenso e dolente, verso il cielo.
Ad oggi non sono state trovate notizie, sulla committenza e sulla storia del dipinto, antecedenti al 1821, l’anno dell’acquisizione da parte di Carlo Felice di Savoia insieme ai dipinti di Andrea Caerlo Gabaldoni. Venne pagato mille lire, contro le duemila che pretendeva l’antico proprietario.
Buona parte della critica considera questo lavoro, dove è chiara l’influenza di Peter Paul Rubens nella struttura compositiva e la fascinazione per il colorismo veneto nella stesura della pittura, l’unico Crocifisso autografo del maestro anversano sopravvissuto tra quelli eseguiti nei suoi anni italiani, ovvero nel periodo tra il 1621 e il 1627.

In contemporanea, e sempre fino all’8 settembre, la Galleria di Palazzo Cini a San Vio ospita l’esposizione «Spazi, soglie, luci» di Ljubodrag Andric: un’indagine fotografica su luoghi e architetture, a cura di Francesco Tedeschi, con diciassette lavori dal carattere enigmatico e sospeso, dove luce, materia e colore dialogano elegantemente tra di loro, raccontando, in un gioco di rimandi e risonanze, le corrispondenze tra le architetture veneziane e quelle indiane, conosciute dall’artista durante una serie di viaggi compiuti tra il 2021 e il 2024.

Per saperne di più: https://www.palazzocini.it/

# ALLA QUERINI STAMPALIA UN ALLESTIMENTO IMMERSIVO E SENSORIALE PER GIOVANNI BELLINI 
Si intitola «How to deal with a masterpiece. A tribune» l’omaggio che la Fondazione Querini Stampalia di Venezia fa a una delle opere più famose della sua collezione: la «Presentazione di Gesù al Tempio» (1460 ca) di Giovanni Bellini (1433 ca-1516), capolavoro del Rinascimento che ritorna a casa dopo essere stato esposto per quattro mesi a Forlì, al Museo civico di San Domenico, nella mostra «Il ritratto dell’artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie».

Non è la prima volta che questa preziosa tempera su tavola (80 x 105 centimetri), dai colori morbidi e dal taglio narrativo intimo, lascia la sua sede storica: negli ultimi anni è stata esposta alla National Gallery di Londra, alla Gemäldegalerie di Berlino e alle Scuderie del Quirinale. Ma è la prima volta che, al suo ritorno, trova ad accoglierla, nel Salotto verde, un'architettura effimera e colorata, una sorta di guscio protettivo, che ne esalta l'importanza all'interno del percorso espositivo del museo, da poco diretto da Cristiana Collu, e consente anche una modalità di visita più riservata e avvolgente.

A firmare l’allestimento è la madrilena Izaskun Chinchilla, progettista che ha fatto del colore, della sperimentazione materica e del gusto per il dettaglio gli elementi distintivi della sua poetica visiva. Il suo stile – riconoscibile per le forme sinuose, i materiali leggeri e l’uso sorprendente della luce – trova espressione a Venezia e dà origine a uno spazio quasi fiabesco: una struttura rigida in legno di betulla, dalle curvature bombate, contiene un feltro acustico, ottenuto da bottiglie di plastica riciclate. Il tutto è circondato da tende in velluto, omaggio ai quadri di Gabriel Bella, esposti in una sala vicina, che documentano come in Laguna, ai tempi della Serenissima, «le costruzioni tessili – si legge nella presentazione - fossero funzionali a colmare, e talvolta a sfidare, gli spazi progettati per restare immutabili, trasformandoli con teatralità e imprevedibilità».

L'esperienza di visita è resa, inoltre, multidisciplinare e sensoriale, restituendo al dipinto anche i suoni e gli odori del suo tempo. L’ambiente è, infatti, pervaso da una composizione sonora originale ideata da Gavino Murgia, con ritmi arcaici che vogliono evocare «echi di spiritualità e memorie ancestrali». Mentre un profumo caldo e avvolgente, il «Mystic Incense di The Merchant of Venice – Murano Collection», ricrea suggestioni orientali e offre informazioni sulle spezie e le essenze comuni nella Venezia del XV secolo.

Per saperne di più: https://www.querinistampalia.org/it/mostre-eventi/how-to-deal-with-a-masterpiece/.

Nella foto:  Giovanni Bellini, Presentazione di Gesù al Tempio, 1475 ca. Fondazione Querini Stampalia, Venezia. Photo Adriano Mura

# A CA’ PESARO LE GEOGRAFIE EVANESCENTI DI ANTONELLO VIOLA E ELEONORA RINALDI
È Venezia, con la sua luce e la sua acqua, la protagonista della mostra «L’oro della Laguna», per la curatela di Elisabetta Barisoni, che Antonello Viola (Roma, 1966) presenta, fino al 28 settembre, nelle sale Dom Pérignon, al secondo piano di Ca’ Pesaro a Venezia. Una selezione di dipinti ad olio su vetro e su carta giapponese, realizzati negli ultimi quattro anni, molti dei quali esposti per la prima volta, compongono una geografia astratta e interiore, dai confini incerti e mutevoli, frutto di una pratica lenta e meditativa.
Antonello Viola lavora, infatti, per sovrapposizione e sottrazione, costruendo per strati e poi riducendo all’essenziale. Ne scaturisce una pittura che non descrive, ma suggerisce, abitata da immagini interiori, aperte all’interpretazione di chi guarda. Le superfici sono così luoghi sospesi e silenziosi, dove si intrecciano pigmenti, foglia d’oro, trasparenze e cancellature.
«Le fondamenta – elemento architettonico e urbanistico che argina e ridefinisce la dimensione liquida di Venezia – sono evocate – da linee essenziali che affiorano e si immergono tra le velature pittoriche, come strutture sommerse trattenute dalla memoria del colore».
Alessandro Viola instaura così un dialogo silenzioso con Giulio Aristide Sartorio, maestro simbolista in mostra in questi giorni nel museo veneziano con «Il poema della vita umana», del quale condivide l’idea dell’arte come esperienza spirituale, che trasforma la materia in veicolo di trascendenza.

Una natura sospesa tra sogno e realtà, tra visibile e invisibile, è al centro anche di «Órama», la personale di Eleonora Rinaldi (Udine, 1994) allestita, fino al 27 settembre, nella Project Room di Ca’ Pesaro. La mostra, per la curatela di Francesco Liggieri e Christian Palazzo, presenta sette opere realizzate dall’artista friulana a Parigi nel 2025, con visioni evanescenti nelle quali «la vegetazione si fa protagonista attiva, avvolgendo le figure umane e dissolvendone i contorni in un intreccio cromatico ipnotico».

Per saperne di più: https://capesaro.visitmuve.it/. 

Didascalie delle immagini: 1. Veduta dell'allestimento della mostra «L'oro della Laguna» di Antonello Viola, Venezia, Ca' Pesaro, 2025. 2.Veduta dell'allestimento della mostra «Órama» di Eleonora Rinaldi,, Venezia, Ca' Pesaro, 2025. Foto: Matteo De Fina

# «VENEZIA E LE EPIDEMIE», UNA MOSTRA ALLA FONDAZIONE CINI
È riconosciuto dagli storici come la Serenissima fosse uno stato all’avanguardia in molti campi della vita economica, istituzionale, sociale e culturale. Uno degli esempi più importanti, il cui lascito è arrivato sino ai giorni nostri, è stata la sua capacità di risposta di fronte alle epidemie, principalmente quelle di peste, che hanno colpito a più riprese la città tra la metà del Trecento e la metà del Seicento, con situazioni particolarmente drammatiche nei periodi 1348-49, 1575-77 e 1630-31.

A questa storia guarda la nuova mostra della Fondazione Giorgio Cini, allestita fino al 19 dicembre sull'isola di San Giorgio Maggiore, negli spazi della Biblioteca del Longhena, per iniziativa dell'Istituto di Storia della società e dello Stato veneziano (che quest’anno festeggia i settant’anni di attività).
«Venezia e le epidemie» (catalogo Marsilio editore), questo il titolo della rassegna, allinea, nello specifico, rari esemplari di testi e libri d’epoca, disegni e incisioni, eccezionali «fedi sanità» (i pass sanitari del tempo), oltre a editti e carteggi dei Provveditori alla sanità della Repubblica veneta.

La mostra include anche un'installazione multimediale interattiva dello studio camerAnebbia, collettivo di tre artisti - Lorenzo SartiMarco Barsottini e Matteo Tora Cellini - con sede a Milano, cresciuti nel contesto dello storico Studio Azzurro. Dai materiali digitalizzati, grazie al lavoro del Centro Digitale – ARCHiVe della Fondazione Cini, sono stati realizzati libri interattivi, che permettono non solo di sfogliare digitalmente documenti storici, ma anche di esplorare gli interni dei palazzi, immergersi nei dipinti, percorrere calli e campi della città.
Inoltre, grazie al progetto Venice Long Data, l'intelligenza artificiale ha permesso di trasformare tracce d'archivio in storie vive di veneziani vissuti durante la peste.
La mostra è aperta tutti i giorni dalle 11:00 alle 17:00, eccetto il mercoledì. Per informazioni: veneziaepidemie@cini.it | https://www.cini.it.


# ALLE GALLERIE DELL’ACCADEMIA UNO SPAZIO MULTIMEDIALE PER CONOSCERE I RESTAURI E GLI STUDI SCIENTIFICI DEI LABORATORI DELLA MISERICORDIA 
È uno sguardo inedito sulle alacri attività delle Gallerie dell’Accademia di Venezia quello che offre il nuovo Spazio multimediale, una vetrina per conoscere i Laboratori della Misericordia, moderne strutture dedicate allo studio scientifico e al restauro, con un team interno dipendente dal museo lagunare e performanti strumenti di diagnostica a disposizione, come il moderno microscopio 3D-Hirox.

All’interno di questa stanza sono presentati alcuni interventi conservativi in corso e le tecniche utilizzate per la salvaguardia delle opere d’arte.
I visitatori avranno, per esempio, l’opportunità di esplorare da vicino, anche grazie a immagini ad alta definizione, uno tra i più straordinari disegni di Leonardo da Vinci: lo «Studio di proporzioni del corpo umano», universalmente noto come «Uomo vitruviano» (1490-1497 circa). Le recenti ricerche, frutto di preziosi e inediti ingrandimenti, hanno svelato curiosi dettagli mai notati, come il foro visibile nell’ombelico, testimone dell’utilizzo di un compasso, o il piccolo timbro circolare, presente nel bordo inferiore del foglio, in cui è possibile distinguere le lettere maiuscole AV (Accademia Veneta), il marchio apposto nel XIX secolo, quando il disegno entrò nelle collezioni lagunari.

Lo Spazio multimediale permette anche di mostrare immagini e dati relativi a opere d’arte estremamente delicate, che talvolta non possono essere esposte per motivi conservativi. È il caso del pastello su carta azzurra «Ritratto di bambina con ciambella» di Rosalba Carriera, che giunse alle Gallerie dell’Accademia nel 1888 con il legato di Vincenzo Omoboni Astori. Il lavoro, prezioso e fragilissimo, raffigura una bambina in posa, vestita di trine e stoffe leziose, che trattiene a sé un biscotto a forma di ciambella, un Bussolà, dolce tipico veneziano. A questa capacità descrittiva si accosta una predisposizione all’introspezione psicologica.
 
Parallelamente, la nuova sala offre la possibilità di scoprire un’altra opera del museo, «L’Allegoria della Prudenza o della Vanità» di Giovanni Bellini, che è stata recentemente esposta nella grande mostra «Corpi moderni. «La costruzione del corpo nella Venezia del Rinascimento. Leonardo, Michelangelo, Dürer, Giorgione», a cura di Guido Beltramini, Francesca Borgo e Giulio Manieri Eli. La tavoletta, che ritrae una donna nuda, in piedi su un piedistallo, mentre addita con una mano uno specchio, è analizzabile nel dettaglio grazie agli ingrandimenti digitali del microscopio 3D. 

Per maggiori informazioni: https://www.gallerieaccademia.it

Nelle fotografie: Laboratorio muldimediale delle Gallerie dell'Accademia di Venezia. © Foto di Matteo Panciera 2025

# ALLA COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM APRE UN LABORATORIO PER LO STUDIO E LA CONSERVAZIONE DELLE OPERE 
Il restauro rappresenta un tassello importante per la storia dell’arte perché è quella disciplina ponte tra passato e futuro che consente di conservare nel tempo un’opera, riparandone le ferite e, contemporaneamente, ampliando la conoscenza su un artista e il suo lavoro. Forte di questo pensiero, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ha aperto, negli spazi di Palazzo Venier dei Leoni, un Conservation Lab, uno spazio innovativo che segna una svolta nel percorso di studio, manutenzione e cura delle opere collezionate nel corso di oltre trent’anni dalla lungimirante mecenate Peggy Guggenheim.

Concepito come centro di eccellenza dove rigore scientifico e innovazione tecnologica dialogano con una forte vocazione alla divulgazione, con l’intento di formare soprattutto le nuove generazioni, il nuovo laboratorio è il risultato di oltre un decennio di impegno da parte del Dipartimento di conservazione del museo, diventato oggi un punto di riferimento internazionale per lo studio delle tecniche artistiche e dei materiali utilizzati dai più importanti artisti del Novecento.

Il progetto - realizzato con il sostegno di Efg, che in passato ha affiancato l’ente culturale lagunare nel restauro di opere come «Lo studio» (1928) di Pablo Picasso, «La ragazza con il bavero alla marinara» (1916) di Amedeo Modigliani e «Scatola in una valigia» (1935–41) di Marcel Duchamp - si distingue per il suo duplice carattere di «open lab» e «open storage». Parte delle attività del laboratorio è, infatti, visibile al pubblico, offrendo ai visitatori l’opportunità di osservare da vicino il rigoroso e delicato lavoro quotidiano di conservazione. In questo luogo trovano, inoltre, spazio anche alcune sculture della collezione, attualmente non esposte, che diventano così accessibili in un contesto che unisce studio, conservazione e narrazione museale.

Tra gli interventi attualmente in corso nel nuovo spazio figurano i restauri di capolavori come «Finestre aperte simultaneamente 1° parte, 3° motivo» (1912) di Robert Delaunay, «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso» (1938–39) di Piet Mondrian, «Movimento gracidante» (1946) di Jackson Pollock. Queste opere, emblematiche del linguaggio e delle sperimentazioni dei rispettivi autori, saranno oggetto di interventi altamente specializzati, riflettendo il desiderio del museo di diventare un interlocutore autorevole a livello internazionale anche nel campo della ricerca della scienza d’avanguardia applicata alla conservazione.

Il laboratorio sarà, inoltre, un centro di formazione e innovazione, aperto a giovani conservatori e studiosi che potranno apprendere le tecniche più avanzate e contribuire a progetti di ricerca, anche in collaborazione con enti accademici e partner europei. Il Dipartimento di conservazione partecipa, infatti, da anni a numerosi progetti sperimentali su materiali green e approcci sostenibili alla conservazione, contribuendo allo sviluppo di pratiche sempre più responsabili e consapevoli.

Questa estate la Collezione Peggy Guggenheim accoglie, nei suoi spazi di Palazzo Venier dei Leoni, anche la mostra «Maria Helena Vieira da Silva. Anatomia di uno spazio», a cura di Flavia Frigeri. Settanta opere (provenienti dal Centre Pompidou di Parigi, dal Guggenheim di New York e dalla Tate Modern di Londra, ma non solo) ripercorrono l’intera carriera dell'artista portoghese, naturalizzata francese, nel periodo compreso tra gli anni Trenta e la fine degli anni Ottanta, raccontando la maturazione di un linguaggio creativo, influenzato da Paul Cézanne e dai movimenti d’avanguardia del Novecento, nel quale si ravvisa un'alternanza tra astrazione e figurazione. 

 Le composizioni di Maria Helena Vieira da Silva, caratterizzate da strutture labirintiche, ritmi cromatici e prospettive frammentate, catturano l’essenza di un mondo in perenne trasformazione. Opere come «La camera piastrellata» o «Figura di balletto» riflettono il suo interesse per l’architettura e il movimento, dove la distinzione tra figura e sfondo si dissolve, lasciando emergere una visione profondamente personale dello spazio. 


Nelle foto: Il Conservation Lab della Peggy Guggenheim Collection a Venezia. © Photo Matteo De Fina. Didascalia dell'ultima immagine: Maria Helena Vieira da Silva, Il gioco delle carte (Le Jeu de cartes), 1937. Olio e grafite su tela, 73 x 92 cm. Francia-Portogallo, Collezione privata. Courtesy Galerie Jeanne Bucher Jaeger, Parigi-Lisbona. © Maria Helena Vieira da Silva

# «ILLUSTRE SIGNORA DUSE»: ALLA FONDAZIONE CINI UNA STANZA DI LETTERE E CARTEGGI TRA ELEONORA DUSE E GLI INTELLETTUALI DELL’EPOCA 
Luigi Pirandello
 e Grazia DeleddaMariano Fortuny e Sibilla AleramoAda Negri e Giovanni PapiniIsadora Duncan e Margherita Sarfatti: sono, questi, alcuni degli artisti, scrittori e intellettuali del Novecento, con cui, nel corso della sua vita, Eleonora Duse ha avuto un intenso scambio epistolare. Questi carteggi, custoditi dall’archivio dell'attrice all’Istituto per il teatro e il melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, sono al centro del libro «Illustre Signora Duse» (Marsilio, 2024), curato da Marianna Zannoni, che accoglie una selezione di cento voci che hanno intrattenuto rapporti artistici e amicali con l'artista veneta. Ricordi di incontri, scambi di opinioni, condivisione di progetti e visioni creative rivivono tra queste pagine, spunto per il nuovo allestimento della Stanza Duse, lo spazio espositivo e di ricerca che da quindici anni è aperto nell’area monumentale della Fondazione Cini, sull'isola di San Giorgio Maggiore, proprio davanti a piazza San Marco.

Fino al 6 gennaio 2026, in questo luogo, carico di fascino, viene proposto un percorso attorno a lettere, fotografie, copioni, documenti amministrativi, locandine e materiali d’epoca. Attraverso le parole di scrittori, artisti e intellettuali, l’esposizione restituisce «un omaggio intimo e corale alla grande attrice, figura centrale del teatro europeo tra Otto e Novecento», come lo definisce Maria Ida Biggi, direttrice dell’Istituto e docente di Storia del teatro all’Università Ca’ Foscari Venezia. Il nuovo allestimento si presenta, quindi, come un viaggio tra parole, immagini e documenti.

L'Archivio Eleonora Duse, custodito dalla Fondazione Giorgio Cini, rappresenta la collezione più ampia e completa di documenti sulla vita e sull'arte della grande attrice italiana. La raccolta comprende diverse tipologie di materiali: autografi, tra cui lettere e copioni, fotografie, documenti amministrativi, abiti e oggetti.

Per visitare la Stanza Duse: visitcini.com

# DALL’ANTICO EGITTO AI GIORNI NOSTRI: A VENEZIA «UN VIAGGIO NELLA STORIA DEL PROFUMO»
Era al 1911 quando Bruno Storp e sua moglie Dora, entrambi appassionati di flaconi di profumo, iniziarono a creare una delle collezioni più belle e significative mai viste. Quella raccolta, oggi custodita dai Musei civici di Venezia, comprende oltre 3.000 pezzi rari, alcuni dei quali risalenti a quasi 6.000 anni fa.
In questi mesi estivi, Palazzo Mocenigo, elegante dimora nobiliare di impronta settecentesca, con annesso un Centro studi di storia del tessuto e del costume, presenta una selezione significativa di questi preziosi oggetti nella mostra «Viaggio nella storia del profumo», prodotta da Mavive Parfums e Zignago Vetro, con il supporto di Givaudan e la collaborazione dell’Università degli Studi di Padova.

In un viaggio nella memoria estetica e olfattiva dell’umanità, che spazia dall’antico Egitto alla modernità industriale, il visitatore può scoprire oltre cinquecento manufatti, custoditi come scrigni sotto campane di vetro.
Reperti rarissimi, dagli unguentari ai flaconi in porcellana di Meissen, fino ai capolavori d’oreficeria ottocenteschi e ai contenitori industriali del Dopoguerra, raccontano come la profumeria rifletta le civiltà che l’hanno prodotta e come questa abbia accompagnato ogni sfera della vita, trasformando essenze ora in rimedi medicinali ora in gesti estetici.
Ai reperti originali è affiancata la ricostruzione contemporanea di sette fragranze storiche realizzate partendo dalle formule originali dalla casa essenziera Givaudan.
Non manca in mostra, poi, un videomapping immersivo che attraverso proiezioni suggestive e paesaggi sonori, racconta la storia millenaria del vetro, quella «pietra liquida» che ha da sempre custodito fragranze e memorie.

Il filo rosso che collega tutto l’allestimento, di grande impatto scenografico, è un messaggio specifico: «il profumo può svanire, ma il flacone ne conserva la memoria».

Per saperne di più: https://mocenigo.visitmuve.it/.

Didascalie delle immagini: 1. Jean Paul Gaultier Le Male. Flacone a forma di torso maschile. Francia, 1995. Vetro trasparente con dettagli a rilievo; 2. Flacone a bulbo appuntito dipinto con decoro floreale. Francia, ca.1850. Porcellana e metallo. Foto: Andrea Morucchio

* [Didascalie delle immagini di copertina sulla Mostra internazionale di architettura - La Biennale di Venezia:1. AVZ. photo by Andrea Avezzù, courtesy of La Biennale di Venezia; 2. AVZ-LA LIBRERIA. Photo by Andrea Avezzù, courtesy La Biennale di Venezia; 3. LC-Underground climate change. Photo by Luca Capuano, courtesy La Biennale di Venezia; 4. MZO-Deserta Ecofolie. Photo by Marco Zorzanello, courtesy of La Biennale di Venezia; 5. MZO-Elephant Chapel. Photo by Marco Zorzanello, courtesy La Biennale di Venezia; MZO-The Third Paradise Perspective. Photo by Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia] 



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