ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 2 luglio 2025

Festival shakespeariano, Verona omaggia il «Bardo» con quattro prime nazionali

«Nella bella Verona, / dove noi collochiam la nostra, / due famiglie di pari nobiltà; ferocemente l’un l’altra oppone / da vecchia ruggine nuova contesa …». Si apre così uno dei più conosciuti e amati testi teatrali di William Shakespeare: la tragedia «Romeo e Giulietta», composta tra il 1594 e il 1596. La città veneta - già scenario di un esperimento giovanile del «Bardo», ovvero «I due gentiluomi di Verona» del 1590-95 – diventa così, nell’immaginario collettivo, il simbolo dell’amore giovanile e della passione che sfida ogni convenzione. Forte di questa storia Verona ospita, dal 1948, il Festival shakespeariano, nucleo storico dell’Estate teatrale veronese, giunta alla sua 77esima edizione.

Cornice della manifestazione, in programma quest’anno da giovedì 3 a venerdì 25 luglio, è come sempre il Teatro romano, sito archeologico ai piedi del colle di San Pietro, a ridosso dell’Adige, custode della storia cittadina fin dal I sec. a.C., che l’Amministrazione comunale ha recentemente sottoposto a impegnativi e articolati interventi allestitivi per riportarlo alla sua funzione primaria di palcoscenico per la drammaturgia impegnata, ma anche per la danza e per la musica.
In un dialogo costante tra tutela e creatività, tra memoria e futuro, le strutture realizzate, all’interno di quello che è ancora oggi uno dei più grandi teatri in pietra del nord Italia, daranno vita, nel segno di William Shakespeare, a un magico e moderno Globe Theatre all’aperto.

Quattro sono i titoli, proposti in prima nazionale, che per tutto il mese di luglio mostreranno l’assoluta attualità del «Bardo» nelle riflessioni al centro delle sue opere e nei personaggi archetipici resi eterni dalla sua penna, così come nella sua capacità straordinaria di affrontare il confine, spesso labile, tra la vita e il sogno.

A inaugurare il cartellone, sarà, giovedì 3 e venerdì 4 luglio, Francesco Pannofino - affiancato da Francesco Acquaroli e Paolo Sassanelli – in «Rosencrantz e Guildenstern sono morti», esilarante tragicommedia scritta dal commediografo inglese Tom Stoppard a partire da due figure minori dell’«Amleto», con la regia di Alberto Rizzi.
L’autore, noto al grande pubblico per aver scritto la sceneggiatura di «Shakespeare in love», trasforma la più grande tragedia shakespeariana di tutti i tempi in una farsa sull’esistenza umana. I due fedeli amici di Amleto, chiamati a capire che cosa si celi dietro la follia del principe, distorcono le prospettive e fanno crollare le certezze con l’insensatezza del loro agire, fatto di battute esilaranti, vaneggiamenti, doppi sensi, insinuazioni, giochi di parole.
Lo spettacolo - perfetto per il talento caleidoscopico di Francesco Pannofino (attore apprezzato anche sul piccolo schermo e voce inconfondibile di alcuni divi americani come George Clooney, Antonio Banderas, Kevin Spacey) - verrà reso ancora più esilarante dalla scelta di mescolare, in questo nuovissimo allestimento, l’umorismo inglese di Tom Stoppard alla tradizione comica della Commedia dell’Arte, dando vita a una pièce che esplora la profonda riflessione esistenzialista/filosofica del testo originale, esaltandone la potenza comica ed emotiva.

Il cuore dello spettacolo sarà – si legge nella presentazione - «un grande carro, ispirato ai tradizionali carri da strada, simbolo di movimento, trasformazione e gioco teatrale: si trasformerà continuamente, diventando castello, teatro, prigione o strada, in un susseguirsi di scenari sempre nuovi».

I riflettori saranno, quindi, puntati su quello che è considerato il dramma della gelosia per antonomasia: l’«Otello», proposto in una drammaturgia inedita di Dacia Maraini, Lo spettacolo, in cartellone il 10 e l’11 luglio, vedrà in scena Giorgio Pasotti, nella duplice veste di regista e di attore protagonista, nella parte di Iago. A interpretare il Doge nero - capitano leale e coraggioso, ma incapace di gestire le proprie emozioni - sarà il promettente Giacomo Giorgio, amatissimo dal pubblico nella fiction televisiva «Mare fuori»; mentre Claudia Tosoni sarà Desdemona, una donna moderna che sfida le convenzioni del tempo e lotta per la propria libertà di scelta, subendo comunque le conseguenze di un mondo maschilista e retrogrado.
La rappresentazione, adatta soprattutto alle nuove generazioni, metterà in luce i temi attualissimi della misoginia e del bisogno di controllo e possesso dell’uomo sulla donna, cercando di dare risposta a tre domande: «cosa succede quando l’amore si trasforma in controllo? Quando il desiderio di libertà viene soffocato dal bisogno di possesso? E soprattutto: possiamo ancora imparare qualcosa da Otello?». 

Sarà, quindi la volta, il 17 e il 18 luglio, di «Riccardo III», opera emblematica dello sconfinamento del potere nelle libertà e nei diritti di singoli e comunità, ma anche archetipo di malvagità feroce ed esempio di un mondo governato dalla violenza, dalla frode e dalla paura. Al centro della narrazione ci sono l’ascesa al trono e la repentina caduta del malvagio Riccardo, duca di Gloucester, archetipo del politico machiavellico.
Una delle particolarità dell’allestimento, firmato dal regista Andrea Chiodi, è la scelta di affidare il ruolo di protagonista a una donna: Maria Paiato, considerata una delle più sensibili e raffinate interpreti italiane, recuperando così un’antica tradizione che ha visto spesso corpi femminili incarnare questo personaggio, quintessenza del male anche nel rapporto di potere sulle donne.

A chiudere il cartellone sarà, il 24 e il 25 luglio, «La tempesta», un mix sorprendente di sogno, realtà, magia, illusioni e follia, in un mondo bizzarro in cui nulla è ciò che sembra, ma tutto è reale. La nuova versione proposta al Teatro romano si avvale di una delle più prestigiose firme internazionali della regia di teatro, l’argentino Alfredo Arias, che già si era confrontato con questo testo nei primi decenni della sua sfolgorante carriera, nell’ambito del Festival di Avignone del 1986.
Protagonista dello spettacolo, poetico e visionario, sarà l’attore Graziano Piazza nel ruolo di Prospero: il mago, il demiurgo, il sovrano dell’isola su cui approdano i naufraghi di una tempesta, che egli stesso ha scatenato, con l’aiuto di Ariel, uno spirito che ha liberato dal dominio della strega Sicorace e che ora è al suo servizio. A dominare il tutto è un elemento naturale, lo stesso scelto come filo conduttore della 77esima Estate teatrale veronese: l’acqua, sinonimo di mutamento e adattabilità, di transizione e di rinnovamento.

Informazioni utili
Programma completo sul sito www.estateteatraleveronese.it e sulla pagina Facebook Estate Teatrale Veronese-Comune di Verona. Biglietti disponibili da Box Office Verona - via Pallone 16 - tel. 045 80 11 154. Biglietti online disponibili sui circuiti: www.boxol.it/BoxofficeLive/it, www.boxofficelive.it e www.arteven.it

domenica 29 giugno 2025

Una mostra e una nuova edizione facsimilare per il «Très Riches Heures du duc de Berry»

«Questo libro occupa un posto importante nella storia dell'arte: io posso dire che non ha rivali». Con queste parole l’aristocratico, politico e generale Enrico d’Orléans (Parigi, 16 gennaio 1822 – Lo Zucco, 7 maggio 1897), quinto figlio del re Luigi Filippo I di Francia e duca d’Aumale, parlava di un prezioso codice miniato medioevale che aveva acquistato a Genova, il 20 gennaio 1856, per 18mila franchi. Quel libro - che è oggi uno dei gioielli più preziosi del Musée Condé, allestito all’interno del Castello di Chantilly (donato nel 1886, insieme a circa 14.500 libri antichi e quasi mille dipinti, all’Institut de France) – era «la Gioconda dei manoscritti»: il «Très Riches Heures du duc de Berry», capolavoro della pittura franco-fiamminga del XV secolo e opera fondante per la storia della cultura occidentale, tanto che si dice essere stata fonte di ispirazione per i disegni preparatori del cartoon «La bella addormentata» (1959) di Walt Disney, per la sceneggiatura del film «L'amore e il diavolo» (1942) di Jacques Prévert e per le scenografie dell’«Enrico V» (1944) di Laurence Olivier.

Commissionato intorno al 1411 dal raffinato e facoltoso mecenate e collezionista Jean de Valois (Vincennes, 30 novembre 1340 – Parigi, 15 giugno 1416), duca di Berry, terzo figlio di Giovanni II il Buono e fratello di re Carlo V di Francia, questo pregiato codice miniato è un «Libro d’Ore» destinato alla devozione privata. È cioè una forma semplificata di breviario per l’utilizzo da parte dei laici, contenente salmi, preghiere e, in apertura, un pregevole calendario, oggi considerato uno dei più alti esempi di rappresentazione della vita quotidiana e della natura nell’arte medievale. Tra le sue pagine rivivono, infatti, «gli svaghi dei ceti aristocratici e l’umile fatica dei campi, la struggente bellezza del paesaggio rurale e la poderosa presenza di castelli e città murate, gli sfarzosi costumi dell’alta società francese e gli abiti semplici e dimessi dei contadini».

Nella fase iniziale, il libro vide all’opera i celebri fratelli Limbourg (Nimega, 1380-1390 circa – Digione, 1416)- Pol, Jehannequin e Hermant -, miniatori olandesi dall’acuto spirito di osservazione, nipoti del pittore Jean Malouel (1370-1415 circa) e autori anche delle illustrazioni per «Les Très Belles Heures de Notre-Dame» e per la «Bibbia moralizzata» di Filippo l’Ardito, oggi alla Biblioteca nazionale di Francia, conosciuti per le loro creazioni dai colori brillanti, dal minuzioso naturalismo, dal sereno equilibrio compositivo e dall’incredibile freschezza narrativa, tutti elementi che ben raccontano quel periodo storico segnato dal crepuscolo del Gotico e dall’alba del Rinascimento.

Nel 1416, alla morte del Duca di Berry e dei fratelli Limbourg, probabilmente per un’epidemia di peste, i lavori per il codice miniato rimasero incompiuti e vennero ripresi una trentina di anni dopo, negli anni Quaranta del Quattrocento, su commissione della famiglia reale francese dal pittore fiammingo Barthélemy d’Eyck (? - + post 1470), per poi essere completati tra il 1485 e il 1489 da un altro eccellente maestro della miniatura, Jean Colombe di Bourges (? - + Bourges, 1529), su invito di Carlo I di Savoia, che aveva ereditato il manoscritto intorno al 1480.

Composto da 206 fogli di pergamena, pari a 412 pagine, con all’interno più di tremila iniziali dorate e ben 131 miniature (66 grandi e 65 piccole) in oro e in argento di stupefacente ricchezza e varietà, il «Très Riches Heures du duc de Berry», del quale si è persa la legatura originaria (sostituita da una in marocchino rosso del XVIII secolo di fattura italiana), non è solo un libro prezioso, ma è anche un oggetto fragile da conservare al riparo della luce (come avviene per la maggior parte dei manoscritti).

Nell’ultima campagna diagnostica, risalente al biennio 2023-2024 e realizzata dagli esperti del Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France (C2rmf), su 36 delle principali miniature, il manoscritto ha mostrato diversi segni di degrado, distorsioni dei fogli, instabilità dei pigmenti e alterazioni della rilegatura, tanto da rendere urgente un intervento conservativo.

In seguito al recente restauro, il Musée Condé ha deciso di organizzare una mostra, allestita fino al prossimo 5 ottobre nella sala del Jeu de Paume, con 26 pagine miniate, compresi i primi 12 fogli del manoscritto, quelli del «leggendario calendario», che, grazie a un delicato processo di separazione dalla rilegatura, vengono presentati verticalmente, all’interno di apposite scatole climatiche, così da essere leggibili su entrambi i lati. Il manoscritto è a sua volta esposto in una teca speciale e verrà aperto a rotazione su una doppia pagina diversa, rinnovata ogni quindici giorni.

L’esposizione, curata da Mathieu Deldicque, si configura, dunque, come un'occasione più unica che rara per i bibliofili e gli amanti dell’arte, considerato anche che questo straordinario capolavoro è stato esposto al pubblico soltanto due volte dalla fine del XIX secolo, nel 1954 e nel 2000, e che, per rispetto al lascito testamentario di Enrico d’Orléans, non può lasciare il Castello di Chantilly per essere dato in prestito ad altri enti culturali.
 
La mostra, con un centinaio di opere provenienti da tutto il mondo che indagano anche il contesto storico nel quale nacque il codice miniato e ne svelano la sua fortuna nel corso dei secoli, permette, inoltre, di scoprire alcune curiosità sui fratelli Limbourg: la loro fascinazione per l’arte italiana, principalmente quella di Simone Martini e del suo entourage senese, presente nelle collezioni dei principi francesi e della corte di Avignone, e l’attenzione all’uso dei materiali usati, pigmenti preziosi come lapislazzuli di alta qualità e lacche rosse pregiate, che rendono ancora più incantato e vivido il mondo ritratto.

In questa sontuosa cornice, la Franco Cosimo Panini di Modena ha recentemente presentato uno dei suoi ultimi progetti editoriali: la pubblicazione di un nuovo facsimile de «Le Très Riches Heures del Duca di Berry», realizzato in collaborazione con l’Universal Art Group, la cui uscita è prevista per il 2026.
 
La nuova riproduzione, che fa seguito a quella del 2010, è stata eseguita con la fedeltà filologica e l'attenzione al dettaglio che da sempre contraddistinguono la casa editrice emiliana, specializzata in facsimili di codici miniati con il progetto «La biblioteca dell’impossibile».
 
Il volume è il frutto di un lungo processo che coniuga tecnologie avanzate di acquisizione digitale, stampa di altissima qualità e un'accurata legatura artigianale. Non si tratta, dunque, di una ristampa della precedente edizione, ma di una novità che sfrutta i progressi fondamentali compiuti dall’editoria negli ultimi anni. 

«Pigmenti più brillanti, nuovi ori, e, per la prima volta, l’impiego della carta pergamenata caratterizzeranno la pubblicazione», che – racconta Lucia Panini - rappresenta «un salto qualitativo che ci consente di avvicinarci come mai prima alla materia viva delle miniature». Un’occasione importante, dunque, questa nuova edizione per scoprire o riscoprire un codice miniato, considerato il manoscritto medioevale più famoso al mondo, di cui anche Umberto Eco sottolineò la preziosità con queste parole: «Le «Très Riches Heures» sono un documento cinematografico, una macchina visiva che ci racconta la vita di un’epoca. Nessun film potrà mai eguagliare la fedeltà, il fulgore, la toccante bellezza di questa ricostruzione».

Per saperne di più

venerdì 27 giugno 2025

Un nuovo museo a cielo aperto sul Lago Maggiore: aprono i Castelli di Cannero

«Per anni siamo stati solo rovine tra le onde. Una fortezza difensiva. Ma ascoltateci bene: le nostre pietre parlano. E la nostra storia è più viva che mai. (…) Siamo stati presidio, passaggio, confine. Abbiamo attraversato guerre, silenzi, oblio. Oggi, dopo oltre cinquecento anni, torniamo a parlarvi. Non con effetti, ma con la voce della memoria. (…) Potrete camminare tra le nostre mura e ascoltare il nostro racconto (…). Vi aspettiamo». A prendere idealmente la parola, in un video promozionale diffuso sui suoi canali social dal circuito Terre Borromeo (il brand che riunisce le principali attrazioni turistiche del Lago Maggiore, dalla Rocca di Angera alle isole Madre e Bella), sono i Castelli di Cannero, o meglio le rovine del complesso fortificato di origine quattrocentesca, conosciuto anche con il nome di «Malpaga», edificato a pelo d’acqua su due isolotti rocciosi dell’Alto Verbano, nel Comune di Cannobio, a pochi chilometri dal confine svizzero.

Abbandonate per secoli, queste antiche mura in pietra, testimoni silenziose di una storia dal sapore romantico e romanzesco che intreccia leggendarie avventure piratesche con spericolate vicende di contrabbando, si svelano per la prima volta al pubblico, dopo un lungo e ambizioso intervento di restauro conservativo e di valorizzazione, curato dallo Studio Simonetti Architettura di Torino per conto del principe Vitaliano Borromeo Arese e di sua moglie Marina, discendenti di quel Ludovico Borromeo che, a partire dal 6 ottobre 1519 ridisegnò il volto della fortezza, utilizzata in precedenza per scopi bellici dalla potente famiglia Mazzardi (i temibili pirati «Mazzarditi» sconfitti, nel 1414, dal duca di Milano Filippo Maria Visconti), facendo costruire la Torre Vitaliana.

L’appuntamento è per sabato 28 giugno, quando i visitatori, dopo un breve viaggio in barca da Cannero Riviera o da Luino (per chi proviene dalla Lombardia o si trova in vacanza sulla sponda varesina del Lago Maggiore), potranno finalmente accedere alle rovine dei bastioni di proprietà della famiglia Borromeo, un luogo sospeso nel tempo e nello spazio che affascinò anche il genio creativo di William Turner per quel suo emergere dalle acque come un miraggio. Ad attenderli ci sarà un museo a cielo aperto, dove il passato si fa contemporaneo attraverso un'esperienza immersiva che fonde ricerca storica e innovazione tecnologica, grazie all’intelligente progetto di visita ideato dallo studio milanese Dotdotdot.

L’intervento di restauro, che ha inteso conservare «l’identità materiale e immateriale» del luogo senza ricorrere ad alterazioni e ricostruzioni posticce che ne avrebbero negato il valore storico e simbolico, è stato realizzato attraverso un investimento di circa 15 milioni di euro, con il contributo del Ministero per i beni e le attività culturali per il turismo (Soprintendenza archeologica Belle arti e Paesaggio per le provincie di Biella, Novara, Verbano Cusio Ossola e Vercelli) e di Intesa Sanpaolo.

Per l’accoglienza con bookshop, la toilette e i locali tecnici, sono stati ideati nuovi elementi architettonici smontabili ispirati alle strutture lignee temporanee degli assedi, con finiture in larice, che si inseriscono con delicatezza nei resti medioevali degli antichi complessi fortificati, formati dalla rocca principale e dall'adiacente edificio delle prigioni. Mentre passerelle in acciaio e tek recuperano gli antichi cammini di ronda, grazie ai quali ci si può aggirare tra le corti, il mastio e le mura.

Alcuni numeri testimoniano la portata dell’intervento conservativo, iniziato nel 2011 con un’approfondita campagna di studi documentaristici e archivistici, nonché di scavi archeologici, grazie alla quale si sono scoperte alcune curiosità sulla fortezza, dimora di Giuseppe Garibaldi dopo la battaglia di Luino del 1848 e attrazione romantica tra le onde per la regina Vittoria, che la richiese in affitto nel 1879.
Per la precisione, nella relazione dello Studio Simonetti Architettura di Torino si legge che sono stati usati «54.000 kg di malta di calce per il consolidamento delle strutture murarie del castello, 100.000 kg di carpenterie metalliche a profilo complesso per realizzare le strutture interne dedicate al percorso di visita», «70 mc di legname di larice per le pavimentazioni e i rivestimenti delle nuove strutture, circa 37 km di cavi di varia tipologia per gli impianti elettrici e antincendi», «500 metri di cavo subacqueo di media tensione e fibra ottica integrata e per la realizzazione dei pontili di sbarco».

Il progetto espositivo è, invece, firmato dallo studio milanese Dotdotdot che ha ideato per l’occasione il «Cannero Walking Tales», un «percorso esperienziale immersivo, dal carattere narrativo ma non didascalico» che si snoda tra installazioni multimediali, realtà aumentata e un gioco interattivo per i più piccoli.

Una app di visita location-based accompagna i visitatori alla scoperta dei luoghi più significativi della fortezza: dalla Corte d’ingresso alla Sala della Guardia, dalla Stanza della Contessa alla Torre del Belvedere. La narrazione è affidata direttamente ai Castelli, che diventano voce di una storia, filologicamente attenta, resa «inclusiva e coinvolgente per un pubblico il più ampio possibile», attraverso il racconto di aneddoti, battaglie e personaggi storici rielaborati in chiave poetica. Grazie a un sistema di beacon, i contenuti audio della guida si attivano automaticamente durante la passeggiata, senza richiedere interazioni.

Con questo utile strumento, una sorta di «audio-libro che si svela passo dopo passo», il viaggio tra le rovine di Cannero, cullati dallo sciabordio delle onde e dal fischio leggero del vento, con negli occhi il riverbero della luce sull’acqua del lago, non può che partire dalla lapide che ricorda la missione difensiva di queste mura, apparse anche nel film giallo «La stanza del vescovo» di Dino Risi (1977), e la vitalità di un’eredità più culturale che materiale: «Il mio nome è Torre Vitaliana, eretta tra le onde del Verbano e battezzata dal nome della stirpe primitiva. Ludovico Borromeo mi volle così alta, affinché diffondessi la gloria dei Vitaliani, aperta agli amici, ma inaccessibile ai nemici».

Didascalie delle immagini
1., 2.,  ,3. e . 4. Terre Borromeo, Castelli di Cannero, Cannero Walking Tales by Dotdotdot, photo by Andrea Martiradonna; 5. e 6. T
erre Borromeo, Castelli di Cannero, Cannero Walking Tales by Dotdotdot, photo by Susy Mezzanotte

Informazioni utili
Per visitare i Castelli di Cannero, i titoli d'ingresso sono disponibili sul sito
https://terreborromeo.it/ticket oppure nelle biglietterie dei siti museali di Terre Borromeo e all'infopoint di Stresa. Il costo dell'ingresso adulti è di 25 euro, incluso il tour in barca da Cannero e l'audioguida del percorso museale.