ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 28 luglio 2025

L’inquietudine del genio "incontra" la quiete del sapere: al Palazzo Ducale di Urbino l’estro di barocco di Cantarini e il rinnovato Studiolo del Duca Federico di Montefeltro

Importante testimonianza del Rinascimento italiano e cuore pulsante del Palazzo Ducale di Urbino, lo Studiolo del Duca Federico da Montefeltro (1422-82) si presenta, quest’estate, ai suoi visitatori in una veste totalmente nuova. L’ambiente, affacciato sull’ultima e più decorata loggia tra i due Torricini, è stato sottoposto, negli scorsi mesi (tra novembre 2024 e maggio 2025), a un importante intervento di restauro e di riallestimento al fine di restituirne l’aspetto originario, quello che aveva sul finire del Quattrocento, al termine dei lavori di progettazione, probabilmente eseguiti dall’architetto Donato Bramante, e di quelli di decorazione, a opera dei fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano, maestri della tarsia prospettica e dell’illusione ottica, lodati anche da Giorgio Vasari nel suo libro «Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori».
I due intagliatori toscani idearono per lo Studiolo urbinate - una stanza piccola con un’altezza inusuale e un perimetro irregolare (3,60x3,35 metri) che aveva, dunque, bisogno dell’inganno dell’arte per dilatare profondità e contorni - una decorazione a trompe-l’œil a fasce sovrapposte, costruita con minuscole tesserine di essenze diverse o della stessa essenza, ma con stagionature e tagli differenti.
Le raffigurazioni erano emblematiche degli ideali umanistici della vita attiva e della vita contemplativa, a ribadire la duplice natura di condottiero e di uomo di cultura di Federico da Moltefeltro. E presentavano un repertorio iconografico che spaziava da libri a strumenti musicali, da armature a clessidre e conchiglie, da apparecchi scientifici alle personificazioni delle Virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) e cardinali (Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza), dai simboli delle Arti liberali del Trivio (Dialettica, Grammatica, Retorica) e del Quadrivio (Aritmetica, Astronomia, Geometria, Musica) a candele consunte dal fuoco e dal tempo.

Luogo di studio, meditazione e crescita personale e, al contempo, sala di rappresentanza, dove il duca urbinate conduceva i suoi ospiti più illustri, lo Studiolo mantenne la sua disposizione iniziale dal 1476, data di termine dei lavori (come conferma l’iscrizione che corre sotto il soffitto a lacunari), al 1632, anno in cui il cardinale Antonio Barberini, nipote di papa Urbano VIII e legato dello Stato pontificio, asportò le tavole della serie «Uomini illustri», progettata dal fiammingo Giusto di Gand e terminata dal castigliano Pedro Berruguete (detto «Pietro Spagnolo», del quale rimane significativa l’opera «Federico di Montefeltro con il figlio Guidubaldo» del 1475 circa), per portarle a Roma, nella residenza di famiglia.
Questi ventotto dipinti con personalità del mondo greco-romano e medioevale, ciascuno di 115x70 centimetri circa, rimasero nella dimora capitolina dei Barberini fino al 1812, quando quattordici di essi passarono, in eredità, alla famiglia Colonna di Sciarra e poi, dopo una vendita, al marchese Giampietro Campana per arrivare infine, nel 1863, nelle collezioni del Louvre di Parigi grazie a una felice intuizione di Napoleone III. Le altre quattordici opere fecero, invece, ritorno a Urbino nel 1934, acquistate dallo Stato italiano per la Galleria nazionale delle Marche, dove vennero, però, riallestite solo nel 1983.

Nel progetto globale di attualizzazione della Galleria nazionale delle Marche - che sta intraprendendo il direttore Luigi Gallo e che per l’occasione ha visto al lavoro l'architetto Francesco Primari, lo storico dell’arte Giovanni Russo e la restauratrice Giulia Papini - lo Studiolo federiciano è stato interessato da un ammodernamento degli impianti, che ha portato anche allo smontaggio e al rimontaggio di tarsie, porte e soffitto ligneo, alla pulitura del pavimento in cotto e alla realizzazione di un nuovo sistema di illuminazione.
Il nuovo allestimento riporta, inoltre, a Urbino, grazie a riproduzioni high tech, i quattordici ritratti di proprietà del Louvre, restituendo così l’aspetto originale dello Studiolo, al quale sono state tolte anche le superfetazioni ottocentesche per far respirare appieno il colto e raffinato clima rinascimentale di questa stanza, dove dominano armonia e bellezza.

La visita al Palazzo Ducale di Urbino diventa, questa estate, anche l’occasione per ammirare la mostra «Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma», curata da Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa, in collaborazione con le Gallerie nazionali Barberini Corsini di Roma.
Una selezione di cinquantasei dipinti, allestita fino a domenica 12 ottobre, ricostruisce la breve, ma intensa carriera dell’artista pesarese, talento inquieto e innovativo del Barocco, morto in circostanze ancora misteriose ad appena trentasei anni, che, tra il 1630 e il 1639, fu allievo di Guido Reni a Bologna.

Straordinario disegnatore, fine incisore e pittore capace di coniugare gli insegnamenti reniani con la lezione del massimo artista italiano del tardo Cinquecento, Federico Barocci, e di due ottimi maestri appartenenti alla tendenza caravaggesca, Orazio Gentileschi e Giovanni Francesco Fossombrone, guardando anche al colorismo veneto del Sassoferrato, Simone Cantarini, «petit-maître di rara sensibilità stilistica» (per usare un’espressione di Andrea Emiliani), dà vita a un linguaggio proprio e personalissimo, delicato e intimista, caratterizzato da un dialogo costante tra classicismo e naturalismo, dove emergono il tratto morbido della composizione, l’uso atmosferico del colore, la resa luministica di taglio teatrale e un’impareggiabile finezza psicologica nel dare voce ai sentimenti dei personaggi raffigurati.

Sono proprio i ritratti, per i quali secondo il biografo Carlo Cesare Malvasia l'artista era «provisto di una particolar dote», uno dei nuclei tematici della mostra urbinate, che allinea anche pitture sacre, quadri di devozione e composizioni filosofiche e profane, in un percorso che permette di vedere, tra l’altro, una raffinata «Allegoria della pittura» (dalla Collezione Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino), una delicata «Madonna della Rosa» (da una raccolta privata), il «Ritratto di Guido Reni» (dalla Pinacoteca nazionale di Bologna), l’«Autoritratto», risalente gli anni Trenta del XVII secolo (dalle Gallerie nazionali di arte antica di Roma), e, per finire, l’inedito dipinto «Ercole e Iole» (da una raccolta privata), quadro che si meritò  anche le lodi  di Carlo Cesare Malvasia. Ci sono, poi, in mostra lavori come i «Santi Barbara e Terenzio» e la «Visione di Sant’Antonio», provenienti dai depositi della Pinacoteca di Brera, nell’ambito del progetto «100 opere tornano a casa», voluto dal Ministero della Cultura.

Di opera in opera, la mostra di Urbino ci parla, dunque, di «un’arte fatta di sguardi e silenzi, momenti intimi e quotidiani». Emerge in toto la vena delicata, poetica, malinconica ed elegante della pittura di Simone Cantarini. E sembra quasi impossibile far combaciare questo estro creativo, che ha contribuito alla grandezza della scuola bolognese, con la biografia dell’artista pesarese, con il suo essere pungente, polemico, iroso o – come scrisse Carlo Cesare Malvasia – «troppo fiero per essere discepolo, troppo giovane per essere maestro».

Didascalie delle immagini
1. e 2. e 3. Allestimento dello Studiolo del Duca. Urbino, Palazzo Ducale; 4. Simone Cantarini, Autoritratto, anni Trenta del XVII secolo. Roma, Gallerie nazionali d'arte antica; 5.6. e 7. Allestimento della mostra Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma,

Informazioni utili
Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma, a cura di Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa. Galleria Nazionale delle Marche - Palazzo Ducale di Urbino, Piazza Rinascimento 13, 61029 Urbino (PU).Orari: da martedì a domenica: dalle ore 8:30 alle ore 19:15 (chiusura biglietteria ore 18:15); Lunedì chiuso. Ingresso: € 12 intero; € 2 ridotto. Catalogo edito da Officina Libraria. Informazioni: https://www.gallerianazionalemarche.it. Fino al 12 ottobre 2025

Nota apertura estive: fino al 15 settembre 2025 il Palazzo Ducale di Urbino sarà visitabile in via straordinaria anche il lunedì pomeriggio dalle ore 15 alle ore 19 (ultimo ingresso alle ore 18); l'ingresso è consentito con biglietto ordinario, o abbonamento annuale, e include anche la visita alla mostra di Simone Cantarini. Per venire incontro alle richieste dei visitatori, anche durante il mese di agosto lo staff della Galleria nazionale delle Marche offre la visita guidata gratuita all'esposizione (già inclusa nel biglietto di ingresso) ogni mercoledì alle ore 17

venerdì 25 luglio 2025

Carlo Scarpa e il Museo Correr, quando esporre è un’arte

È stato «un artigiano della materia», un poeta del dettaglio, un architetto che ha saputo unire la tradizione italiana alla modernità, senza mai tradire l’anima storica dei luoghi, mettendo, anzi, al primo posto la dimensione spirituale del progetto, quel quid unico che va oltre la funzionalità e l’estetica per generare un’esperienza emotiva, in un alternarsi continuo di pace, inquietudine, mistero, silenziosa meditazione e bellezza. Lo provano i tanti progetti disegnati per la «sua» Venezia, dall’ingresso della Fondazione Querini Stampalia, dove l’acqua diventa parte integrante dello spazio, all’innovativo allestimento per il negozio Olivetti in piazza San Marco, con la scala centrale quasi sospesa nel vuoto, senza dimenticare il Giardino delle sculture nel Padiglione centrale della Biennale, un angolo zen con una sinfonia di curve sinuose in cemento e una copertura in legno a sbalzo che ricorda lo scafo di una barca.
Lo documenta anche la mostra «Il Correr di Carlo Scarpa 1953-1960», allestita fino al 19 ottobre nella Sala delle Quattro Porte, per la curatela di Chiara Squarcina e Andrea Bellieni. Si tratta di un’occasione di studio, documentazione e censimento dei materiali originali usati dal progettista veneto nei suoi due interventi alle Procuratie nuove, il nobile edificio rinascimentale che domina il lato sud di piazza San Marco, in vista del futuro riallestimento del museo.

Fotografie d’epoca e arredi originali
– teche, vetrine, il celebre cavalletto per dipinti, supporti, snodi e incastri – raccontano un approccio radicalmente nuovo nel modo di esporre l’arte, che diventa modello esemplare della linea italiana nella museografia, elegante e innovativa, ispirata al razionalismo internazionale.

Carlo Scarpa (Venezia, 1906 - Giappone, Sendai, 1978) opera in due differenti occasioni all’interno del Correr: nel 1952–53 è attivo nelle sale di Storia veneziana al primo piano, in occasione della riapertura dopo la lunga interruzione bellica; nel 1959–60 lavora nella Quadreria al secondo piano, che custodisce importanti capolavori della pittura veneziana e italiana del Rinascimento.
La sua visione di restyling si fonda sull’ascolto del contesto, sulla valorizzazione dei materiali, sull’equilibrio tra luce, forma e funzione. Questo metodo prevede un posizionamento dell’opera meditato e accurato, tale da generare «risonanze» significative, talvolta sorprendenti o persino rivelatrici, nella sua interazione con lo spazio e il resto della collezione.

Per quando riguarda il primo intervento, le sale vengono semplicemente ripulite nelle pareti bianche e nei soffitti lignei. Carlo Scarpa vi inserisce pochi ma incisivi elementi museografici originali: teche che espongono le toghe dei senatori e procuratori accanto ai ritratti a figura intera degli stessi patrizi veneziani; pannelli per i vivaci scudi ottomani delle guerre di Morea, disposti in file alte accanto al busto del vittorioso Francesco Morosini. Particolarmente riuscite appaiono anche soluzioni espositive come le appensioni di antichi stendardi su fondi in tessuto grezzo o i sostegni per i monumentali fanali da galera, tra cui quello triplice della capitana di Morosini, realizzati con raffinata complessità e proporzionati con giustezza agli oggetti storici esposti.

Più radicale è il secondo intervento, che avviene in ambienti ormai privi di configurazioni significative precedenti (a eccezione della sala centrale, lasciata nella sua essenzialità).
Le superfici delle stanze, trattate con calce rasata, esaltano il ruolo della luce, quella naturale, diffusa dai balconi su piazza San Marco o filtrata da moderne veneziane industriali nelle finestre interne.
Con l’occhio di un curatore più che di un architetto, Carlo Scarpa posiziona i dipinti su cavalletti in palissandro ad angolo retto rispetto alle pareti, come se fossero tornati negli studi degli artisti.
Vengono, inoltre, progettate piccole sale dedicate: il cubicolo per la «Pietà» di Cosmè Tura; quello per le «Due dame veneziane» di Carpaccio; o ancora la saletta rivestita in travertino per il «Cristo morto sostenuto dagli angeli» di Antonello da Messina, dove la luce riverbera calda, dorata, in armonia con quella interna al dipinto, esposto su un supporto inclinato per accogliere al meglio l’illuminazione, grande protagonista dell’intero progetto di riallestimento.

La mostra al Correr non celebra, dunque, solo il lavoro di Carlo Scarpa, uno dei grandi maestri del Novecento, ma offre anche spunti di riflessione sull'evoluzione del concetto di museo e sull'importanza della sua progettazione. Con l'architetto veneziano gli allestimenti vanno a creare un'opere d'arte totale, dove contenuto e contenitore dialogano costantemente. Accade a Venezia, ma anche al Museo di Castelvecchio a Verona, al Museo Gypsotheca Antonio Canova a Possagno, al Palazzo Abatellis di Palermo, ma non solo. È una vera e propria rivoluzione per la museografia del XX secolo, tanto che negli anni Settanta lo storico dell’arte francese André Chastel scriveva di Carlo Scarpa: «Molti di coloro che viaggiano in Italia lo conoscono senza saperlo: è il più grande allestitore di mostre d’arte lì e forse in tutta Europa».

Informazioni utli
Il Museo Correr di Carlo Scarpa. Museo Correr San Marco 52 - 30124 Venezia. Orari: aperto tutti i giorni; dal 1° aprile al 31 ottobre, 10.00 – 18.00 (ultimo ingresso ore 17.00); dal 1° novembre al 31 marzo: 10.00 – 17.00 (ultimo ingresso ore 16.00). Speciali aperture serali: fino al 30 settembre 2025, ogni venerdì e sabato apertura fino alle 23.00 (ultimo ingresso ore 22.00). Per informazioni sul costo dei biglietti o per altre notizie sulla visita alla mostra si rimanda alla pagina https://correr.visitmuve.it/. Fino al 19 ottobre 2025

mercoledì 23 luglio 2025

«Dédale», una nuova preziosa collana di letteratura e immagini per Franco Maria Ricci

Sono dei piccoli e preziosi gioielli fatti di parole e colori i libri che compongono «Dédale», la nuova collana illustrata di classici intramontabili e repêchages d’autore nata dall'incontro tra l'editore Franco Maria Ricci - conosciuto per l’elegante e colta rivista «FMR», curatissima nei contenuti e nella veste grafica tanto da essere stata definita da Federico Fellini «la perla nera» - con la prestigiosa «L’École - School of Jewelry Arts», istituzione formativa francese, fondata nel 2012, con il supporto di Van Cleef & Arpels, per promuovere la cultura dell’alta gioielleria nel mondo.

Concepita e realizzata con estrema cura, la nuova collana, il cui nome si ispira al celebre Labirinto del Masone, realizzato da Franco Maria Ricci (1937-2020) nel Parmense, sarà redatta in tre lingue: italiano, francese e inglese.

Classici intramontabili scritti dai più rilevanti autori della letteratura del passato si alterneranno a gemme rimaste nascoste al grande pubblico, oggi introvabili o inedite, come ben documentano i primi tre titoli: «L’isola del tesoro» di Robert Louis Stevenson (1850-1894), «La collezione invisibile» di Stefan Zweig (1881-1942) e «Laura. Viaggio nel cristallo» di George Sand (1804-1876), la cui ultima traduzione in italiano risale agli anni Ottanta.
Dopo questi volumi sono previste due nuove uscite ogni anno, una in primavera e una in autunno. Ogni pubblicazione sarà identificata dal simbolo della chiocciola, ispirato a un disegno di Francesco Segala, artista veneto noto per le sue rappresentazioni di labirinti figurativi o antropomorfi.

Tutti i titoli verranno offerti in un duplice formato: a un’edizione brossurata, reperibile in tutte le migliori librerie, ne sarà associata una «da collezione», a tiratura numerata, rilegata in seta, stampata su carta vergata e arricchita da illustrazioni applicate a mano e riprodotte su carta patinata del Garda.
Quest’ultima versione di pregio, racchiusa in un cofanetto e con la copertina rigida con il titolo in caratteri d’oro, sarà reperibile solo on-line, sul sito di FMR (la casa editrice oggi presieduta da Laura Casalis Ricci e diretta da Edoardo Pepino), e nelle librerie «L’Escarboucle» di Parigi e «Franco Maria Ricci» di Fontanellato (Parma). Qui si trova, oltre al grande labirinto di bambù ispirato allo scrittore argentino Jorge Luis Borges (1899-1986), un museo con capolavori di Annibale Carracci, Antonio Canova e Gian Lorenzo Bernini, un Cristo benedicente di Filippo Mazzola (1640-1505 circa), un pastello di gentiluomo su pergamena di Jean-Etienne Liotard (1702-1789), una testa di tigre del 1957 di Antonio Ligabue (1899-1965) e l’unico grande ritratto della duchessa d’Aiguillon di Philippe de Champaigne (1602-1674).

Ogni libro si apre con il manifesto del progetto, seguito da una prefazione liberamente scritta da un autore ospite e da un’introduzione tematica redatta da uno degli specialisti de L’École, School of Jewelry Arts. Accompagnano il testo le illustrazioni di artisti di fama internazionale.

A fare da filo rosso tra le prime tre uscite sono i tempi del simbolo, del prezioso e del meraviglioso. 

Racconto di avventura e di formazione insieme, «L'Isola del tesoro» di Robert Louis Stevenson, pubblicato per la prima volta tra il 1881 e il 1882, è un classico senza tempo che intreccia azione e introspezione, invitando a riflettere, attraverso lo strabiliante viaggio del suo protagonista, sul valore morale dell’onestà e sul sottile confine che separa bene e male.
Nell'edizione di «Dédale», la prefazione porta la firma dello scrittore argentino-canadese Alberto Manguel. L’introduzione è di Léonard Pouy. Le illustrazioni, pubblicate per la prima volta, sono di David B, che le aveva originariamente immaginate per accompagnare l’ultima proposta di alta gioielleria di Van Cleef & Arpels.

«La collezione invisibile» di Stefan Zweig, pubblicato per la prima volta a Vienna nel 1925, è, invece, un racconto delicato e toccante che attraverso l’incontro tra un antiquario e un collezionista cieco, ignaro che i suoi preziosi oggetti d’arte siano stati venduti, riflette sul potere dell’illusione, sulla dignità umana e sulla perdita in tempi di crisi.
La prefazione di questa nuova edizione è dello storico e collezionista brasiliano Pedro Corrêa do Lago; mentre l’introduzione, intitolata «Voir l’invisible», è scritta da Guillaume Glorieux. Il testo è accompagnato dai dipinti della serie «I collezionisti di stampe» dell’illustratore Honoré Daumier (1808-1879).

Infine «Laura. Viaggio nel cristallo» di George Sand, pubblicato per la prima volta nei primi due numeri de «La Revue des Deux Mondes» nel 1864, è un racconto romantico e visionario che mescola elementi fantastici e scientifici. 
Pagina dopo pagina, si esplora il confine tra realtà e immaginazione, ma si riflette anche sull’invisibile e sull’amore ideale attraverso la storia di Alexis Hartz, un giovane studente pigro innamorato della cugina, sua insegnante di mineralogia.
Nell'edizione di «Dédale», la prefazione è di Isabelle Bardiès-Fronty, curatrice del patrimonio del Musée de Cluny (Musée National du Moyen Âge). L’introduzione è a cura della gemmologa Charline Coupeau, che ha realizzato il dossier digitale «Bijoux et littérature», inserito nella sezione «Les Essentiels», il sito di risorse pedagogiche e culturali della Biblioteca nazionale di Francia. I dipinti, che suggeriscono una dimensione onirica anche grazie all’uso di colori accesi, portano la firma dell’artista espressionista boemo, naturalizzato tedesco, Wenzel Hablik (1881-1934).
Proprio in vista dell’uscita della nuova collana è stata, poi, realizzata una nuova traduzione a opera di Cinzia Bigliosi, che è riuscita a mantenere l’atmosfera sognante del romanzo pur modernizzandone il vocabolario.

Fonte di ispirazione per questo nuovo progetto editoriale è - spiega Lise Macdonald, presidente de L’École, School of Jewelry Arts - «la Biblioteca di Babele, collezione letteraria che comprende una trentina di titoli pubblicati tra il 1975 e il 1985 – spaziando tra Voltaire, Poe, Chesterton, Kafka, Kipling…– e che fu creata dallo scrittore argentino Jorge Luis Borges con Franco Maria Ricci». Un tesoro per i bibliofili e gli amanti dell’arte, che a colori e parole univa il saper fare dell’alto artigianato.

Didascalie delle immagini
1. e 2. Le prime tre uscite della nuova collana «Dédale» © L'École des Arts Joailliers - Photo Benjamin Chelly; 3. Copertina del L'Isola del tesoro» di Robert Louis Stevenson. © L'École des Arts Joailliers - Photo Benjamin Chelly; 4. Wenzel Hablik, Paesaggio di architetture utopistiche, 1921, Schleswig, Museum für Kunst und Kulturgeschichte, Schloss Gottorf, ©Stiftung Schleswig-Holsteinische Landesmuseen, Schloss Gottorf; 5. Honoré Daumier, L’appassionato di stampe, c. 1860, Parigi, Petit Palais, musée des Beaux-arts de la Ville de Paris, ©Petit Palais - Roger-Viollet
 
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