ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 17 novembre 2021

«Fuori dai cori»: fra’ Damiano Zambelli da Bergamo e l’arte dei «quadri di tarsia»

Ci fu un momento storico in cui Bologna fu caput mundi. L’episodio risale a cinque secoli fa, più precisamente al 24 febbraio 1530, quando Carlo V d’Asburgo, uno dei più importanti imperatori del Sacro romano impero, veniva incoronato da papa Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici, con una solenne cerimonia nella basilica di San Petronio, dopo essere stato cinto della Corona ferrea di re d' Italia due giorni prima, il 22 febbraio, nel Palazzo pubblico. Per preparare l’evento, che si sarebbe tenuto nello stesso giorno del suo compleanno, l’imperatore partì con una flotta navale da Barcellona alla volta di Genova nel mese di luglio del 1929 e giunse a Bologna quattro mesi dopo, il 5 novembre, facendo prima tappa nei centri di Piacenza, Reggio Emilia, Castelfranco Emilia e Borgo Panigale.
Nei mesi precedenti all’incoronazione, la città si trasformò in un cantiere febbrile: le fonti descrivono archi trionfali dipinti, scenografie con architetture classiche, finte statue, sculture effimere che non esistono più. Tutto ciò faceva parte di una strategia: l’arte italiana era, per Carlo V, il linguaggio adatto a celebrare un dominio «su cui non tramontava mai il sole» («in meinem Reich geht die Sonne niemals unter», diceva l’imperatore) e Bologna doveva diventare una seconda Roma. Per questo motivo, vennero chiamati in città i più capaci architetti, artisti, artigiani del tempo e tra loro c’erano pittori e scultori di grande fama, come Aspertini, Vasari, Parmigianino e Tiziano. Proprio in quei mesi, al convento di San Domenico, si stavano realizzando i «quadri di tarsia» per il dossale del presbiterio, ora visibile sul fondo della cappella maggiore. L’opera era stata commissionata al converso domenicano fra’ Damiano Zambelli (Bergamo, 1480 circa - Bologna, 1549), il «principe degli intarsiatori» rinascimentali, trasferitosi nel 1528 a Bologna, dove rimase attivo per circa un ventennio.
Carlo V – racconta una cronaca autografa, recentemente ritrovata nella Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna - fece visita all’artista e vide quelle opere «così misteriosamente lavorate, e così ben colorite senza punta di pennello, ma si bene coloriti legnami». In quell’occasione il frate domenicano fece dono al sovrano di una Crocifissione e incise anche il nome dell’imperatore in uno dei riquadri del registro inferiore del dossale, dove ancora oggi è visibile.
Questo racconto, già noto alla storiografia, è in parte pubblicato nel catalogo di Éditions Ligéa di Parigi che accompagna la mostra «Fuori dai cori. Tre «quadri di tarsia» di fra Damiano Zambelli da Bergamo», allestita fino al 5 dicembre al Museo Davia Bargellini, in occasione delle celebrazioni internazionali per l’ottavo centenario della morte di San Domenico.
La piccola esposizione bolognese - curata da Mark Gregory D’Apuzzo, Lorenzo Mascheretti e Massimo Medica - presenta per la prima volta al pubblico due nuovi «quadri di tarsia» di collezione privata - in passato nella raccolta di Longari Arte Milano - rappresentanti una Flagellazione e una Crocifissione, affiancati per la prima volta al commesso ligneo conservato, almeno dal 1851, al Museo Davia Bargellini, anch’esso raffigurante una Crocifissione (1530-1540). L’intento dei curatori è stato quello di raccogliere manufatti affini per dimensione e destino, così da raccontare una tecnica artistica posta all’«incrocio di tutte le arti» - per usare le parole di André Chastel - e particolarmente diffusa nel corso del Quattrocento e del Cinquecento, che consisteva nel realizzare mosaici con tasselli di essenze lignee differenti, per colore e texture, che raffiguravano scorci architettonici o paesaggi naturali.
Completa il percorso espositivo un focus, attraverso pannelli esplicativi, all’interno del coro della basilica di San Domenico a Bologna, capolavoro del frate artista bergamasco, eseguito con aiuti a partire dal 1541 e terminato poco dopo la morte dell’artista.
La carriera di fra’ Damiano coincise con la stagione più esuberante, seppur terminale, della pratica artistica dei «quadri di tarsia». Come documenta la mostra bolognese, la sua produzione non si limitò alla realizzazione tradizionale di arredi liturgici e mobili presbiteriali, ma «uscì dai cori» attraverso l’esecuzione di veri e propri lavori destinati a un precoce collezionismo privato. Tra i primi estimatori dell’arte di fra’ Damiano, accanto ai grandi nomi di Carlo V, Alfonso d’Este e Paolo III, si registrano quelli di Francesco Guicciardini, Leandro Alberti e Sabba da Castiglione. Le opere esposte a Bologna sono un esempio di questa fortuna collezionistica e dimostrano la larga richiesta di simili oggetti da parte della committenza aristocratica.
Oltre a creare l’occasione per riflettere sul fenomeno di collezionismo di tale tipologia di prodotti artistici a partire dal XVI secolo, riunire le tre tarsie offre il pretesto per un ragionamento sulle loro tecniche di produzione: l’eccezionale accostamento dei due pezzi gemelli raffiguranti la Crocifissione consente di meditare sulla pratica del riuso dei cartoni preparatori, assai diffusa all’interno delle botteghe coeve.
Infine, si segnala una curiosità. Non è possibile, al momento, correlare la Crocifissione presente in mostra a quella che fra’ Damiano Zambelli donò a Carlo V durante la visita al Convento di San Domenico. Ma la straordinaria ricchezza del manufatto, composto da essenze diverse e dalla presenza di ornamenti in peltro, fa pensare a una destinazione prestigiosa. La riscoperta provenienza del «quadro a tarsia» - la rinomata collezione Krupp von Bohlen und Halbach, famiglia di imprenditori siderurgici tedeschi legata alla dinastia imperiale germanica – fa correre la fantasia.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1,2 ,3 e 4] Fra Damiano Zambelli (1480 circa - 1549) Crocifissione, 1530 circa (dettaglio) cm 80 x 55,5 Milano, collezione privata Foto Roberto Serra;  [fig. 5]Fra Damiano Zambelli (1480 circa - 1549) Crocifissione, 1530-1540 cm 87 x 63 Bologna, Museo Davia Bargellini Foto Roberto Serra Courtesy Istituzione Bologna Musei  

Informazioni utili 
«Fuori dai cori. Tre «quadri di tarsia» di fra Damiano Zambelli da Bergamo». Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, Strada Maggiore, 44 – Bologna. Orari: martedì, mercoledì, giovedì, ore 10:00 – 15:00, venerdì, ore 14:00 – 18:00; sabato, domenica, festivi, ore 10:00 – 18:30; chiuso lunedì non festivi. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. +39.051.236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet. www.museibologna.it/arteantica. Fino al 5 dicembre 2021.

martedì 16 novembre 2021

«Anatomia umana», un’opera di Salvatore Astore per Torino

«Da bambino, quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, io candidamente rispondevo che non avrei voluto fare ma essere Leonardo da Vinci, perché vedevo la sua figura in modo fiabesco, come un mago buono alla Merlino con tanto di barba lunga e bianca, con il pennello e la matita che apparivano ai miei occhi strumenti magici con cui creare pitture incantate e disegni che sembravano formule alchemiche». Così, con la passione per il genio toscano nel cuore e l’interesse per la natura e la condizione dell’essere umano in testa, Salvatore Astore (San Pancrazio Salentino, Brindisi, 1957) inizia il suo viaggio nel mondo dell'arte sperimentando soprattutto tecniche e materiali legati al contesto urbano industriale e realizzando principalmente sculture di medie e grandi dimensioni in ferro o in acciaio saldato.
«Minimalismo organico» e «moderno antropocentrismo» sono i termini usati per definire questo stile, che trova ulteriore linfa dall’incontro, a metà degli anni Novanta, con l’artista americano Sol Lewitt.
In questo solco si muove anche l’ultimo lavoro dello scultore pugliese di nascita e torinese d’adozione: il gruppo scultoreo «Anatomia umana», un regalo della galleria Mazzoleni alla sua città, Torino.
Il lavoro è composto da una coppia di grandi sculture verticali in acciaio inox (altezza 5,20 - 5,50 metri, larghezza della base circa 3,6 metri), simili fra loro ma con sviluppi formali diversi, appositamente studiate e realizzate per instaurare un dialogo con lo spazio urbano circostante.
Nei giorni scorsi, le due strutture verticali sono state incardinate al suolo, senza piedestallo, una di fronte all’altra in posizione leggermente asimmetrica, nello spazio pedonale lastricato in pietra, contornato da due bande erbose, in corso Galileo Ferraris, all' incrocio con via Cernaia. L’essenzialità enigmatica e minimale delle forme scultoree si impone, dunque, in uno degli incroci cardine della viabilità torinese, di fronte al Mastio della Cittadella, maestosa fortezza militare, rimando all’illustre passato di capitale della città di Torino.
Le sculture acquistano, inoltre, uno specifico senso urbanistico e diventano segni plastici che valorizzano esteticamente l’inizio della lunga prospettiva dove svetta sullo sfondo il monumento a Vittorio Emanuele II.
La dimensione degli spazi concavi interni delle opere, in contrapposizione alle superfici convesse esterne, si impone come protagonista e si inserisce all’interno di una dinamica dove l’alternanza tra vuoto e pieno viene scandita dal nostro immaginario.
L’artista, in una sapiente retorica concettuale, sperimenta geometrismo e volumi, giungendo a una frontiera labile dove svanisce l’intervento umano e prosegue quello della natura, dando nascita a nuove forme, nuove anatomie, delle sorte di calotte craniche, la cui compattezza è attraversata da profonde saldature. 
«Le saldature – racconta Francesco Poli - diventano un analogo delle strutture ossee con scansioni e connessioni di armonica simmetria: le curvature hanno una tensione adeguata; le superfici fredde sono allo stesso tempo cariche di una particolare energia; le convessità esterne danno forza di suggestione alle cavità interne». 
«Questo recente mio lavoro scultoreo in cui volutamente risaltano due enormi fori sagomati a forma di calotta cranica, sono – a mio modo di vedere – la traduzione plastica di concetti come materia, peso, forma, vuoto che ho sempre indagato nel mio fare scultura - racconta Salvatore Astore -. Il tentativo di mettere in relazione la parte con il tutto, la forma visibile delle cose con l’aspetto immateriale della conoscenza, così come l’urgenza di ricercare l’organicità della forma, è il mio modo di proseguire la ricerca sull’uomo e sul rapporto fra l’uomo e il mondo. In questo, «Anatomia umana», è sicuramente un omaggio personale al grande genio del Rinascimento, l’artista che, più di ogni altro, ha messo l’uomo in relazione alla conoscenza». Leonardo e i suoi disegni anatomici sono, dunque, ancora il modello di Salvatore Astore, il faro luminoso di un’arte dalla sapiente retorica concettuale e dallo sperimentalismo geometrico.

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Le fotografie sono di Cecilia Allemandi 

Informazioni utili 
www.mazzoleniart.com

lunedì 15 novembre 2021

Tra fragilità e trasparenza, tra eleganza e eccentricità: alla scoperta dei vetri della collezione Cappagli Serretti

Sono i primi anni Sessanta quando Bruno Cappagli e Liana Serretti, passeggiando per una strada di Modena, comprano il primo pezzo della loro collezione: un vasetto di vetro di Murano, secondo l’antiquario risalente al XVI- XVII secolo. Quell’acquisto è l’inizio di un viaggio alla scoperta delle meraviglie alchemiche del vetro, fatto di ricerche in biblioteche, librerie e bancarelle e di acquisizioni tra mercati antiquari, rigattieri e case d’asta.
Quando, nel 2013, Liana Serretti, toscana di origine e bolognese di adozione, si ritrova sola decide che quel patrimonio non deve essere disperso e, sicura di interpretare anche il pensiero del marito, sceglie di farne dono ai Musei civici di arte antica di Bologna, quale segno di ringraziamento e riconoscenza verso la città che ha ospitato la sua famiglia con «gentilezza, capacità di inclusione e spirito di accoglienza». 
L’intera raccolta diventa di proprietà del Comune felsineo nel 2020, assicurando così alla fruizione e alla valorizzazione pubblica un nucleo collezionistico composto da 117 vetri - per oltre 150 pezzi tra manufatti singoli, coppie e servizi – databili dal XVII al XIX secolo. 
La donazione si completa con la cessione di oltre cinquanta pubblicazioni specialistiche sulla storia dell'arte vetraria acquistate nel corso di oltre quarant’anni di passione collezionistica, ora consultabili alla Biblioteca dei Musei civici d’arte antica, situata al primo piano del Lapidario del Museo civico medievale.
Per l’occasione è stata organizzata, con la preziosa collaborazione della Fondazione Musei civici di Venezia, la mostra «Vetri dal Rinascimento all’Ottocento. La donazione Cappagli Serretti per i Musei civici d’arte antica di Bologna», a cura di Mark Gregory D’Apuzzo, Massimo Medica e Mauro Stocco, di cui rimarrà documentazione in un catalogo di Silvana editoriale.
La raccolta si distingue non solo per l’indubbia qualità artistica dei suoi manufatti, frutto di un preciso e raffinato gusto estetico, ma anche e soprattutto per la capacità di offrire un'ampia ed esaustiva panoramica su tutte le principali manifatture europee dal Seicento all’Ottocento. La collezione allarga, infatti, lo sguardo ben oltre gli orizzonti italiani facendo conoscere ai visitatori anche il mondo vetrario anglosassone e spagnolo del Settecento, documentati rispettivamente da calici decorati a spirali di lattimo e da motivi decorativi di matrice islamica dalla brillante tavolozza cromatica, nonché dalla colorata produzione boema del periodo Biedermeier, caratterizzato da una vasta produzione di vetri smaltati e incisi, che molto influenzò la produzione della Real Fábrica de La Granja di San Ildefonso, fondata nel 1727 a Segovia, nei pressi di Madrid, ma anche di altre manifatture europee.
Le varie fabbriche sparse nel continente non costituivano, infatti, mondi a sé stanti, isolati gli uni dagli altri; erano in realtà in stretta relazione condividendo tecniche, forme e motivi decorativi, pur mantenendo sempre caratteri specifici, in relazione alle differenti condizioni storiche, sociali e politiche di ogni singolo Paese.
Spicca per unicità e qualità tecnica il gruppo di opere del Seicento veneziano, noto per lo stile fantasioso, talvolta addirittura bizzarro, che ama sperimentare nuove tecniche decorative, caratterizzate da un virtuosismo che predilige la funzione decorativa a quella d’uso. Raro e curioso, in collezione, ed esemplificativo di questo stile, è il calice con gambo a stelo di fiore, un tipo vetrario risalente alla fine del XVII o all’inizio del XVIII secolo di cui si conservano ben pochi esemplari nelle raccolte pubbliche, a motivo della loro estrema fragilità.
Nata nel XVI secolo sulla scia del successo del vetro veneziano in Europa e in conseguenza della massiccia diaspora dei vetrai muranesi verso Paesi Bassi, Germania, Inghilterra e Spagna, la vasta produzione à la façon de Venise prosegue per circa due secoli, risentendo sempre di più delle tradizioni del luogo di origine.
Ben documentato dalla collezione è anche il fenomeno, ancora poco studiato, della produzione veneziana ed europea settecentesca a imitazione di quella boema, che testimonia la progressiva crisi economica dell’industria muranese e l’affermazione di nuovi centri produttivi che stimolano un cambiamento di gusti e forme. La grande svolta settecentesca nella storia del vetro è rappresentata dal diffondersi di nuove tecniche originate nell’Europa settentrionale, che già verso la fine del XVII secolo segnano la fine della supremazia del vetro veneziano dopo secoli di incontrastato predominio. Il superamento dell’influenza muranese si deve principalmente all’innovazione del processo di composizione delle paste vitree con l’utilizzo di nuovi materiali, come il piombo e il potassio. Fanno così la loro comparsa soffiati incisi a rotina prodotti per il mercato interno della Repubblica, che rivelano la loro origine veneziana nelle forme memori della tradizione rinascimentale, nel tipo di intaglio più superficiale e nel diverso gusto decorativo. Motivi vegetali e floreali, animali, scene di caccia e motivi geometrici affollano le superfici di bicchieri, calici, piatti, ampolle e oliere.
Accanto a oggetti pregiati presenti nelle tavole aristocratiche o borghesi come alzate, bottiglie, calici, fiaschi, bicchieri da vino o da liquore, è presente nella collezione un notevole gruppo di oggetti «popolari» o di uso più corrente, utilizzati nelle spezierie come strumenti da laboratorio (storte, imbuti, versatoi).
C’è anche un gruppo di oggetti legati al settore dell’illuminazione come la settecentesca lanterna veneziana in legno dorato, le cui pareti sono costituite da lastrine di vetro dipinte con motivi a candelabra e tralci di fiori e foglie, o la splendida lampada «fiorentina» a tre becchi in vetro e metallo argentato, risalente al XVIII-XIX secolo. Il lume a olio con corpo di forma sferica e gambo a balaustro era, invece, un modello prodotto in larga misura sia in Europa sia negli Stati Uniti nel corso del XVIII secolo.
Oltre a determinare un ingente incremento del patrimonio civico, la donazione della collezione Cappagli Serretti ha consentito lo sviluppo di collaborazioni virtuose sia sul piano della ricerca che della didattica. Grazie alla preziosa consulenza tecnico-scientifica della direzione e dello staff curatoriale del Museo del vetro di Murano, tutti i pezzi della collezione sono stati studiati e catalogati, con il fine di ricostruirne epoca di costruzione, manifattura di produzione, area di provenienza, materiali costitutivi, caratteristiche stilistiche e formali. La progettazione dei materiali di comunicazione visiva dedicati alla mostra è, invece, stata realizzata coinvolgendo oltre cinquanta allievi del quinto anno del Liceo artistico «Arcangeli» di Bologna.
La collezione Cappagli Serretti dona, dunque, valore aggiunto alle raccolte museali bolognesi, che nelle sedi del Museo civico medioevale e del Museo Davia Bargellini ospitano alcuni pregevoli capolavori dell’arte vetraria, come il rarissimo calice blu decorato a smalto e dorature con l’«Adorazione dei Magi», considerato uno dei vetri più antichi e preziosi del Rinascimento italiano e attribuito alla mano del muranese Angelo Barovier (1405- 1460), celebre inventore del vetro cristallino simile al cristallo di rocca.
Per una circostanza tanto singolare quanto fortuita, nello stesso periodo di apertura della mostra dedicata alla collezione Cappagli Serretti, alcuni di questi vetri sono esposti nella mostra «Émailler le verre à la Renaissance. Sur les traces des artistes verriers, entre Venise et France», organizzata dal Musée du Louvre al Musée national de la Renaissance - Château d’Écouen, alle porte di Parigi. Un riconoscimento importante, questo, per una storia collezionista, quella di Bologna e dei suoi donatori, che parla il linguaggio della fragilità e delle trasparenze, dell’eleganza e dell’eccentricità.

Didascalie delle immagini
1. Copertina catalogo (Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2021); 2. Manifattura inglese, Calici con stelo a spirali di lattimo, 1760 circa. Vetro incolore soffiato; fili di vetro lattimo h 14 cm, diam. base 6 cm. Bologna, Musei Civici d’Arte Antica - collezione Cappagli Serretti, inv. DCS 28°. Foto Roberto Serra. Courtesy Istituzione Bologna Musei; 3. Manifattura europea (Venezia?), Sei bicchieri dorati, seconda metà del XVIII secolo. Vetro incolore soffiato e dorato h 16 cm, diam. base 7,1 cm. Bologna, Musei Civi-ci d’Arte Antica - collezione Cappagli Serretti, inv. DCS 56. Foto Roberto Serra. Courtesy Istituzione Bologna Musei; 4. Manifattura veneziana, Bottiglietta a costolature, fine del XVII - inizio del XVIII secolo o seconda metà del XIX secolo. Vetro incolore soffiato a stampo h 19,5 cm. Bologna, Musei Civici d’Arte Antica - collezione Cappagli Serretti, inv. DCS 12. Foto Roberto Serra. Courtesy Istituzione Bologna Mu-sei; 5. Manifattura veneziana, Reliquiario con coperchio, inizio del XVII secolo. Vetro incolore soffiato a stampo e a mano libera; applicazioni a caldo h 22 cm (con coperchio h 35 cm), diam. piede 11,8 cm. Bologna, Musei Civici d’Arte Antica - collezione Cappagli Serretti, inv. DCS 6. Foto Roberto Serr. Courte-sy Istituzione Bologna Musei; 6. Manifattura centroeuropea, Zuccheriera e cinque tazzine in vetro latti-mo dipinto a smalti, inizio del XIX secolo. Vetro lattimo soffiato, dorato e dipinto a smalti zuccheriera: h 7,7 cm, diam. base 9,4 cm; tazzine: h 6,5 cm, diam. 4,3 cm. Bologna, Musei Civici d’Arte Antica - collezione Cappagli Serretti, inv. DCS 70. Foto Roberto Serra. Courtesy Istituzione Bologna Musei; 7. Manifattura veneziana, Calice con stelo a forma di fiore, fine del XVII - inizio del XVIII secolo. Vetro in-colore soffiato a mano libera e a stampo; applicazioni h 19,5 × 9,5 cm. Bologna, Musei Civici d’Arte Antica - collezione Cappagli Serretti, inv. DCS 5

Informazioni utili
Vetri dal Rinascimento all’Ottocento. La donazione Cappagli Serretti per i Musei civici d’arte antica di Bologna. Museo civico medievale, Via Manzoni 4 – Bologna. Orari: martedì e giovedì, ore 10:00-14:00; mercoledì, venerdì, ore 14:00-19:00; sabato, domenica, festivi, ore 10:00-19:00; chiuso i lunedì non festivi e a Natale. Ingresso: intero € 6 | ridotto € 3 | ridotto speciale giovani tra 18 e 25 anni € 2 | gratuito possessori Card Cultura. Informazioni: tel. +39.051.2193916 / 2193930 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 18 aprile 2022