ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

sabato 17 ottobre 2009

Lazio, a Gaeta l’«ultimo» Hans Hartung

«L'arte astratta mi sembra essere il momento più puro nella vicenda dell'arte moderna. Con essa, dopo un lungo rilassamento sul piano formale, si ha una tendenza purificatrice che era già cominciata con Paul Cézanne ed era proseguita, in Francia, con il cubismo analitico. La macchia ridiventa una macchia, il tratto un tratto, la superficie ridiventa superficie. Più che mai le opere vivono autonome, libere dalla sottomissione alla mimesi». Così Hans Hartung (Lipsia, 1904 - Antibes, 1989), uno tra i più grandi pittori informali del Novecento, dava ragione della propria ricerca creativa, del proprio interesse per un'arte che alla rappresentazione figurativa preferiva l'automatismo del gesto.
I segni netti o zigzaganti e le brillanti chiazze di colore che furono perenni compagnie di vita dell'artista, fatta eccezione per un breve iniziale periodo dalle influenze espressioniste, sono al centro della mostra Hans Hartung. L’oeuvre ultime, allestita fino al 18 ottobre a Gaeta, negli spazi della Caserma Cosenz.
L’esposizione raccoglie, in una scenografia ingegnosa costruita attorno a pilastri, sedici tele di grandi dimensioni realizzate dall’artista poco prima della sua morte (di cui si celebra quest’anno il ventesimo anniversario), ma anche fotografie e documenti.
Il ricordo di come queste ultime opere presero vita è nelle parole del gallerista Antonio Sapone, originario proprio di Gaeta: «Hartung aveva attraversato un lungo periodo di immobilità totale. Rattrappito su se stesso, quest’uomo vigoroso sentiva le sue forze abbandonarlo. Persino le sue braccia gli sembravano pesanti, inutili [...] Erano tutti consapevoli che la sua morte era vicina. Ma ci fu un ultimo sussulto. Un bel giorno, Hartung si è svegliato chiedendo di scendere con la sua sedia a rotelle fino al suo studio. Succedeva nella sua casa di Antibes, diventata in seguito la Fondazione Hartung Bergman. Ero lì. Vidi il suo sguardo meravigliato davanti agli strumenti e ai pennelli. Uno sguardo simile a quello di un bambino che scopre un regalo atteso a lungo». Due giorni più tardi, l'artista ordinava delle grandissime tele, di quattro metri per tre, e, armato di una pompa destinata al trattamento della vite, nebulizzava i suoi colori nello studio e, con il medesimo getto, le idee sulla sua opera.
Era l’ennesimo gesto di libertà creativa di un autore fuori dagli schemi, che conobbe tutti i maggiori movimenti avanguardisti del suo secolo – dagli sperimentalismi del cubismo all'astrattismo lirico di Vasilij Vasil'evich Kandinskij, dall'action painting e al tachisme - senza mai lasciarsi omologare da correnti o farsi imprigionare da definizioni, come egli stesso amava dichiarare: «in quanto a me, voglio rimanere libero di spirito, d'azione. Non lasciarmi rinchiudere, né dagli altri, né da me stesso».
Hans Hartung, vincitore del Premio di pittura alla Biennale di Venezia del 1960 con il collega Jean Faurtier, fu, dunque, ideatore di una propria personalissima e riconoscibile cifra pittorica, pressoché invariata dagli anni Venti agli ultimi giorni, che ha fatto proprie, dell'astrattismo, tutte le modalità formali: macchie e spruzzi di colore in chiave tachista, linee che sono delle vere e proprie graffiature dai cui affiora misteriosamente la fisicità della luce, segni liberi che hanno «l'aspetto zigzagante di una linea che corre attraverso la pagina» ed altri, raffinatissimi, dai colti richiami orientali creano un alfabeto ricco, come ebbe a dire Riccardo Passoni in occasione della mostra alla Gam di Torino del 2000, di «vibrazioni di un arcano lirismo». Nascono così, dunque, vere e proprie poesie coloristiche, con il loro gioco di segni dai raffinati accordi cromatici, apparentemente identici ma nuovi ad ogni sguardo, in cui si palesa un sapiente gusto musicale.
I colori di Hartung - principalmente toni di azzurro, rosa e giallo abbinati all'immancabile nero – sembrano, cioè, cantare sinfonie e provare a raccontare all'animo attento, con il loro dispiegarsi sulla tela in curve improvvise e in graffi acuti simili a ferite, di conflitti interiori. Non era stata, d'altronde, facile la vita dell'artista, a cui toccò in sorte di sperimentare il dolore della persecuzione nazista, quello della guerra e della vita militare, di cui gli rimase come indelebile ricordo l'amputazione di una gamba, e le continue schermaglie d'amore con l'artista scandinava Anna-Eva Bergman, sposata nel 1929, lasciata nel 1938, ritrovata nel 1952 e risposata nel 1957.
L'arte era stata l'ancora di salvezza di Hartung, lo strumento per raccontare i propri moti dell'animo: «scarabocchiare, grattare, agire sulla tela, dipingere infine, mi sembrano – affermava lo stesso artista - delle attività umane così immediate, spontanee e semplici come lo possono essere il canto, la danza o il gioco di un animale che corre, scalpita o si scrolla. Una pianta che cresce, la pulsazione del sangue, tutto quello che è germinazione, crescita, slancio vitale, forza viva, resistenza, dolore o gioia possono trovare la propria incarnazione particolare, il proprio segno, in una linea morbida o flessibile, curva e fiera, rigida o possente, in una macchia di colore stridente, gioioso o sinistro».

Informazioni utili
Hans Hartung. L'Oeuvre ultime
. Caserma Cosenz, via Annunziata – Gaeta. Orari: dal lunedì al venerdì 17.00-22.00; sabato e domenica 10.00-12.30 e 17.00- 22.00. Ingresso: intero € 5.00, ridotto € 3.00 [studenti universitari con attestato di iscrizione, oltre i 65 anni, gruppi solo se prenotati (minimo 15, massimo 25 con capogruppo gratuito), minorenni e scolaresche solo se prenotate (minimo 15, massimo 25 con due accompagnatori a titolo gratuito], gratuito per bambini fino a 12 anni, portatori di handicap, giornalisti con tesserino. Informazioni: 327 8387453 (dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 20.00). Sito web: www.hartung-gaeta.org. Fino al 18 ottobre 2009.

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