La grande arte ritorna protagonista al cinema, forte dei risultati della passata stagione che ha visto la presenza di oltre 650mila spettatori in più di trecentocinquanta sale italiane.
Dal 24 settembre prende il via un nuovo ciclo di eventi, capace di offrire al pubblico un’esperienza visiva innovativa e di far vivere sul grande schermo tutta la ricchezza delle mostre, degli artisti e dei musei più importanti del mondo.
Ad aprire la rassegna «Grande arte al cinema» sarà l’omaggio a uno degli artisti più fantasiosi, irruenti e imprevedibili del Novecento, di cui nel 2019 ricorre l’anniversario dei trent’anni dalla morte: Salvador Dalí (1904-1989).
Il film sull’artista surrealista, in cartellone dal 24 al 26 settembre, permetterà agli spettatori di conoscere da vicino il pittore e l'uomo, così come agli spazi da lui ideati e che hanno contribuito a plasmarne il mito.
«Salvador Dalí. La ricerca dell’immortalità», questo il titolo del progetto cinematografico, proporrà, nello specifico, un viaggio esaustivo attraverso la vita e l'opera dell’artista catalano e anche di Gala, sua musa e collaboratrice.
Il regista David Pujol ci guiderà, assieme a Montse Aguer Teixidor, direttrice del Museo Dalí, e Jordi Artigas, coordinatore delle Case Museo Dalí, in un percorso che ha inizio nel 1929, anno cruciale per il pittore sia dal punto di vista professionale che personale, fino alla sua morte, avvenuta nel 1989.
È nel 1929, infatti, che l’artista catalano si unisce al gruppo surrealista, suscitando le ire del padre che non accetta un cambiamento così radicale e tenta di allontanarlo da Cadaqués, luogo dove l’artista trascorre le estati soleggiate con la famiglia prima della rottura. Nello stesso anno il pittore incontra Gala, l’amore intenso di una vita, una donna che comprende il suo talento e le sue ossessioni, una musa che lo ispira e con cui sperimenta piaceri e divertimenti, ma che allo stesso tempo sa riportarlo alla realtà e gli restituisce l’equilibrio necessario.
Percorrendo vicende non scontate, il progetto filmico attraversa intere geografie vitali. Si può visitare virtualmente l’adorata casa a Portlligat, l’officina casalinga che, dalle finestre che si ingrandiscono con i progressivi ampliamenti dell’edificio, accoglie tutti i colori della Catalogna e i paesaggi tipici delle opere Dalí. In origine una cella di soli ventidue metri quadri, proprietà di Lidia, una figura paesana che con la sua «follia plastica» e «cerebro paranoica» influenzò spiritualmente l’artista: un piccolo nido appena sufficiente per due che negli anni si trasforma in un’enorme casa studio circondata da uliveti, frequentata da artisti, personaggi pubblici e giornalisti.
In questo viaggio tra luoghi, emozioni e arte, non può mancare Figueres, la città natale dove l’artista crea il museo-teatro Dalí, il suo testamento artistico. Proprio qui, nella Torre Galatea, l’artista decide di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in una dimensione più intima con studi volti a comprendere il caos e a carpire l’agognato segreto dell’immortalità.
Anche Púbol è un luogo caro a Dalí. In questo castello, donato all’amata Gala e simbolo di un amor cortese pensato per restituire una desiderata dimensione intima che a Portlligat si era persa, l’artista torna a un corteggiamento quasi antico: qui egli può accedere solo su invito scritto della stessa Gala.
Ma sono anche la Parigi surrealista di «Un Chien Andalou», prodotto e interpretato da Dalí e da Luis Buñuel, e la New York moderna e simbolo di speranza e risurrezione, ad essere protagoniste di «Salvador Dalí. La ricerca dell’immortalità», un film evento capace di farci penetrare nell’animo creativo, geniale, tormentato, di colui che secondo il regista Alfred Hitchcock era «il miglior uomo in grado di rappresentare i sogni» e replicare il mondo del subconscio.
Il film si configura così come un tour tra le creazioni dell’artista. La contemplazione della sua vita intrecciata a quella di Gala, immagini e documenti, alcuni dei quali completamente inediti, avvicinano lo spettatore a un genio unico nella storia dell’arte, un pittore che ha fatto di se stesso una straordinaria ed eccentrica opera, capace di assicurargli un posto tra i grandi maestri e nel mito e di regalargli quell’immortalità che ha cercato per tutta la vita.
La rassegna «Grande arte al cinema» proseguirà con il film «Klimt & Schiele. Eros e Psiche», che dal 22 al 24 ottobre porterà il pubblico nel 1918, a Vienna. Il progetto cinematografico si apre nella notte del 31 ottobre quando, nel letto della sua casa, muore Egon Schiele, una delle 20milioni di vittime dell’influenza spagnola. L’artista si spegne guardando in faccia il male invisibile, come solo lui sa fare: dipingendolo. Ha 28 anni e solo pochi mesi prima il salone principale del palazzo della Secessione si è aperto alle sue opere, diciannove oli e ventinove disegni, con la celebrazione di una pittura che rappresenta le inquietudini e i desideri dell’uomo. Qualche mese prima è morto anche il suo maestro e amico Gustav Klimt, che dall’inizio del secolo aveva rivoluzionato il sentimento dell’arte, fondando un nuovo gruppo: la Secessione.
Oggi i capolavori di questi due artisti attirano visitatori da tutto il mondo, a Vienna come alla Neue Galerie di New York, ma sono anche diventati immagini pop che accompagnano la nostra vita quotidiana su poster, cartoline e calendari.
Ora, cent’anni dopo, le opere di questi artisti visionari –tra Jugendstil e Espressionismo– tornano protagoniste assolute nella capitale austriaca, insieme a quelle del designer e pittore Koloman Moser e dell’architetto Otto Wagner, morti in quello stesso 1918, sempre a Vienna.
Prendendo spunto da alcune delle tante mostre che stanno per aprirsi in occasione del centenario, il film evento ci guida tra le sale dell’Albertina, del Belvedere, del Kunsthistorisches, del Leopold, del Freud e del Wien Museum, ripercorrendo questa straordinaria stagione: un momento magico per arte, letteratura e musica, in cui circolano nuove idee, si scoprono con Freud i moti della psiche e le donne cominciano a rivendicare la loro indipendenza. Un’età che svela gli abissi dell’Io in cui ci specchiamo ancora oggi.
Mentre il 26, 27, 28 novembre il pubblico si sposterà nella Francia di Giverny con «Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce», che narra la storia della nascita di una delle più grandi opere d’arte del ‘900, anzi di trecento capolavori che hanno rivoluzionato l’arte successiva. Il racconto di una passione viscerale che diventerà una vera ossessione e dell’uomo che da questa ossessione si è lasciato divorare: Claude Monet.
La dimora di Giverny è la villa più costosa della zona ma le manca ancora qualcosa. Appena vi si trasferisce, infatti, Monet decide immediatamente di mettersi al lavoro: desidera creare un giardino «per il piacere degli occhi», ma si accorge presto che questa meravigliosa tavolozza naturale può offrirgli innumerevoli soggetti per la sua pittura. È così che, attirandosi le ire dei suoi confinanti, sradica tutti gli alberi da frutto, distrugge l’orto e inizia a creare il suo atelier en-plein-air. Nel sud della Francia sorge ancora lo storico vivaio Latour-Marliac, presso il quale Monet acquista quei fiori esotici, dei quali si è innamorato all’esposizione universale di Parigi del 1889. Si tratta di sei bulbi di ninfee: quattro gialle e due bianche. Pur tra le mille difficoltà, nel 1895, l’artista piazza il cavalletto sulla riva del lago. Per la prima volta dai suoi pennelli prende vita un fiore di ninfea. È da queste prime pennellate che nasce il film evento che racconta l’amore e l’ossessione di Monet per le sue ninfee attraversando il giardino e la casa dell’artista a Giverny, ma anche il Musée D’Orsay, l’Orangerie e il Marmottan di Parigi, la grande mostra del Vittoriano di Roma.
A chiudere il 2018 della rassegna «Grande arte al cinema» sarà, l’11 e 12 dicembre, «L’uomo che rubò Banksy», diretto da Marco Proserpio e narrato da Iggy Pop, che ha riscosso successo all’ultima edizione del Tribeca Film Festival.
Il film-evento sull’artista e writer inglese, considerato uno dei maggiori esponenti della Street Art, racconta di arte, culture in conflitto, identità e mercato nero. L’inizio mostra la percezione dei palestinesi sul più importante artista di strada dei nostri tempi, ma si trasforma presto nella scoperta di un vasto mercato nero di muri e dipinti rubati nelle strade di tutto il mondo, ma anche in un dibattito sulla commercializzazione o conservazione della Street Art.Il docu-film porterà così lo spettatore a capire cosa abbia portato le opere d’arte di Banksy da Betlemme a una casa d’aste occidentale, insieme al muro su cui sono state dipinte.
Informazioni utili
«La grande arte al cinema» - Nuova stagione 2018. Salvador Dalí. La ricerca dell’immortalità - 24, 25, 26 settembre | Klimt & Schiele. Eros e Psiche - 22, 23, 24 ottobre | Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce - 26, 27, 28 novembre | L’uomo che rubò Banksy - 11 e 12 dicembre. Progetto Scuole: tutti i titoli possono essere richiesti anche per speciali matinée al cinema dedicate alle scuole; per prenotazioni: Maria Chiara Buongiorno, progetto.scuole@nexodigital.it, tel. 02.8051633. Sito internet: www.nexodigital.it.