ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 1 agosto 2025

«Il poema della vita umana»: Giulio Aristide Sartorio alla Biennale del 1907

È l’11 giugno del 1906 quando Antonio Fradeletto, allora segretario generale della Biennale di Venezia, invia un telegramma a Giulio Aristide Sartorio (1860-1932), artista simbolista noto per la sua collaborazione con Gabriele D’Annunzio e per la partecipazione al gruppo «In arte liberatas», nonché recente autore di un fregio per l’Expo del Sempione (28 aprile – 11 novembre 1906), proponendogli di realizzare un «progetto gigantesco» per il Salone centrale dell’Esposizione internazionale d’arte del 1907.

Basandosi su un ricco patrimonio di mitologia antica, il pittore romano, che aveva già partecipato alla prima edizione della Biennale, quella del 1985, con uno «Studio di testa», per poi diventarne un assiduo partecipante e collaboratore, decide di illustrare «Il poema della vita umana», ciclo pittorico destinato a divenire uno dei più grandi e significativi lavori di arte decorativa pubblica.
L’impresa è «titanica»: l’artista ha a disposizione solo nove mesi per concepire e portare a termine oltre 240 metri quadrati di pitture. Per questo sceglie di adottare una tecnica abbastanza rapida, che fa uso – per sua stessa ammissione - di «una miscela di cera, acquaragia e olio di papavero». La composizione è confermata dalle analisi del Laboratorio di scienze per la conservazione del Dais - Università Ca’ Foscari di Venezia, fatte in occasione del più recente restauro, avvenuto tra il 2018 e il 2019.

La complessa iconografia ideata - vista e avvallata anche da Gabriele D’Annunzio - viene raccontata per la prima volta in una lettera del Natale 1906 allo stesso Antonio Fradeletto: «Vedrai, - scrive Giulio Aristide Sartorio - ci saranno delle cose felici, il ripiglio di molti temi sì cari ai neo-platoni della nostra rinascenza. In alto (è la parte in via d’esecuzione) ci sarà la lotta della castità e la lussuria, ed i carri degli uomini casti e delle donne lussuriose sono tirati dai liocorni e dalle pantere bacchiche. Sotto le cariatidi maschili sorreggono la targa ed a destra ci sarà l’Invidia, Psiche ed Amore, ed a sinistra – Atropos (la parca che taglia il filo), Anteros e la Fortuna».
Il risultato finale è una visione drammatica e potente dell’esistenza umana, vista come lotta contro le forze ostili che sin dalla nascita ci insidiano, la cui complessa iconografia fonde mitologia mediterranea e cultura nordica. Il ciclo pittorico, privo di elementi architettonici e dal «clima teutonico», per usare un’espressione di Nico Stringa, ci sovrasta con «figure enormi, michelangiolesche, esagerate nella loro icastica espressività», che – afferma Elisabetta Barisoni - «ci catapultano immediatamente in un altro mondo, in un’epoca di classicità dove il dialogo con l’antico è felice e reale. Il colore, sapientemente dosato nei toni dei bruni e delle dorature, descrive un ambiente dove l’essere umano risulta piccolo rispetto ai simboli eterni rappresentati dalle figure».

Prima del 21 aprile 1907, giorno di inaugurazione della VII Biennale d’arte, le quattordici scene realizzate dall’artista per «Il poema della vita» vengono collocate ai Giardini e rimangono in situ anche nell’edizione successiva, fino a quando, nel 1909, il re Vittorio Emanuele III le dona a Ca’ Pesaro, sede dell’allora neonata Galleria internazionale d’arte moderna di Venezia.
Per tutta estate, in questo importante edificio barocco, progettato da Baldassare Longhena e donato nel 1902 alla città dalla duchessa Felicita Bevilacqua La Masa, una mostra, a cura di Matteo Piccolo e Elisabetta Barisoni, permette non solo di rivedere l’ambizioso fregio sartoriano, allestito nel salone del secondo piano, ma anche di rivivere le emozioni sperimentate dai visitatori della Biennale del 1907.
 
Accanto alle quattro composizioni principali (raffiguranti la «Luce», le «Tenebre», l’«Amore» e la «Morte») e ai dieci teleri verticali (dove sono rappresentate la «Grazia» e l’«Arte» sorrette dall’energia virile), l’esposizione presenta, infatti, due opere che erano esposte, quell’anno, nel Padiglione centrale dei Giardini: «La bagnante», scultura dalla classicità ideale, realizzata dal tedesco Max Klinger nel 1897, e «Il pensatore» di Rodin, opera dalla riflessione esistenzialista, datata 1907, entrata nelle collezioni del museo civico veneziano lo stesso anno per iniziativa del sindaco Giovanni Grimani.

La mostra rievoca, inoltre, lo spirito del tempo presentando, in altre sale del secondo piano, lavori esposti nelle Biennali degli anni 1907 e 1909, contestualmente giunti nelle collezioni capesarine, partecipi del sogno simbolista, del realismo, fino alle soglie delle avanguardie storiche. Unitamente, trova ampio spazio la documentazione dell’importante restauro a cui il ciclo pittorico è stato sottoposto.

Tra pitture di paesaggio, dove la natura diventa luogo dell’anima, scene di sogno e mistero, con visioni femminili languide e misteriose, e fondi in foglia d’oro, che donano un’aurea di lusso alla pittura simbolista e secessionista dei primi decenni del Novecento, il visitatore può ammirare lavori, tra gli altri, di Henri Fantin-Latour, Ettore Burzi, Galileo Chini, Jules Van Biesbroeck, Giacomo Grosso e della scuola belga, la prima ad avere un proprio Padiglione nazionale ai Giardini nel 1907, con artisti come Georges Minne e Jean Delvin.

Opera dopo opera, la mostra veneziana conduce al 1910, un anno simbolico per Ca’ Pesaro che, grazie all’intuizione del direttore Nino Barbantini, acquisisce quella che è ancora oggi la tela più celebre della sua raccolta: «Giuditta II» di Gustav Klimt, capolavoro esposto nelle sale del primo piano, prosecuzione ideale della mostra, con il suo conturbante erotismo e con il suo contorno in oro, simbolo di trascendenza ed eternità.

Didascalie delle immagini
1. Giulio Aristide Sartorio, Il Poema della Vita Umana / The Poem of Human Life, 1906-1907. Olio e cera su tela / oil and wax on canvas. Donazione / donated by Vittorio Emanuele III 1909. La Luce / Light, cm 515 × 642, inv. 431; 2. Giulio Aristide Sartorio, Il Poema della Vita Umana / The Poem of Human Life, 1906-1907. Olio e cera su tela / oil and wax on canvas. Donazione / donated by Vittorio Emanuele III 1909. La Morte / Death, cm 513 × 712, inv. 434; 3. Giulio Aristide Sartorio, Il Poema della Vita Umana / The Poem of Human Life, 1906-1907. Olio e cera su tela / oil and wax on canvas. Donazione / donated by Vittorio Emanuele III 1909. L’Amore / Love, cm 513 × 711, inv. 433; 4. Giulio Aristide Sartorio, Il Poema della Vita Umana / The Poem of Human Life, 1906-1907. Olio e cera su tela / oil and wax on canvas. Donazione / donated by Vittorio Emanuele III 1909. Le Tenebre / Darkness, cm 515 × 646, inv. 432; 5. Galileo Chini, Il giogo / The Yoke, 1907. Olio su tela / oil on canvas, cm 124 × 124, inv. 373. Donazione / donated by Società veneziana navigazione a vapore 1907

Informazioni utili
Giulio Aristide Sartorio. Il poema della vita umana. Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna, Santa Croce 2076  - Venezia. Orari: 10.00 – 18.00 (ultimo ingresso ore 17.00), chiuso il lunedì. Ingresso: € 14,00.   Sito web per informazioni. http://capesaro.visitmuve.it/en/sartorio. Fino al 28 settembre 2025

mercoledì 30 luglio 2025

Da Caravaggio a Maiorca: un viaggio tra le sale di Siramuse, il nuovo museo multimediale di Siracusa

Nell'antico grembo di Ortigia, tra pietre greche, respiri barocchi e la luce del mare, si è appena aperta una nuova «porta di ingresso» da cui partire per scoprire le stratificate e millenarie vicende di Siracusa, città Unesco - Patrimonio dell’Umanità. Negli spazi dell’ex Galleria civica d’arte contemporanea Montevergini, nota per aver ospitato importanti mostre di Enzo Cucchi ed Ettore Sottsass e sorta all’interno di un antico convento benedettino di origine tardo cinquecentesca, a pochi metri da piazza Duomo, è stato inaugurato Siramuse. Non si tratta del solito museo con teche impolverate e reperti antichi, ma di uno spazio multimediale e immersivo, con ambienti da vivere, nato da un accordo decennale di partenariato speciale tra pubblico e privato, tra il Comune e l’impresa Civita Sicilia, che, anche grazie al sostegno economico dell’Istituto per il Credito sportivo e culturale, mette in scena il patrimonio immateriale della città, in un percorso lungo 2.500 anni, dove arte, scienza e mito si intrecciano e si raccontano a chi ha sete di storia, ma ama anche tutto ciò che parla di sperimentazione e futuro. E così, come dentro a una macchina del tempo, Caravaggio dipinge ancora il silenzio con ombre sacre, il genio limpido di Archimede gioca con l’acqua e la luce, Eschilo si racconta nel teatro della sua città ed Enzo Maiorca si fa custode del blu profondo e respira l’abisso.

Tecnologie multimediali
, scenografie d’avanguardia e attori virtuali danno, infatti, vita a una galleria narrativa, articolata in sei sale immersive all’interno delle quali prendono parola, come in teatro della memoria, otto personaggi e personalità, protagonisti di varie epoche, che, a Siracusa e grazie ad essa sono stati capaci di dare vita a opere di straordinario valore. Il percorso, della durata di circa un’ora, intende stimolare anche una riflessione su temi attuali come la violenza sulle donne, la salvaguardia dell’ambiente e il turismo sostenibile.

Interpretando le linee guida di organismi internazionali come Unesco e Icom, il progetto vuole, inoltre, essere fortemente inclusivo e partecipativo. Ogni contenuto è fruibile in tre lingue straniere (inglese, francese e spagnolo), oltre all’italiano e alla Lis (la lingua dei segni). La visita include elementi pensati per i bambini e le famiglie, e, grazie al prezioso lavoro di Michela D’Agata, il museo presenta percorsi facilitati per accogliere persone con disabilità visive, uditive e cognitive.

Lo storytelling di Siramuse - che nella sua fase progettuale ha visto all’opera un qualificato comitato scientifico comprendente studiosi di archeologia, teatro antico, storia barocca e memoria locale come Monica Centanni, Giovanni Di Pasquale, Lorenzo Guzzardi, Patrizia Maiorca, Pucci Piccione, Cettina Pipitone Voza e Lucia Trigilia - è stato supervisionato dalla museologa e storica dell’arte Anna Villari. Mentre il progetto di brand identity è stato curato dalla graphic designer Francesca Pavese, con Vito Della Speranza e Gianni Napoleone, e, in una logica di attenzione alle eccellenze del territorio, ha coinvolto gli allievi del terzo anno del triennio in Arti visive dell’Accademia di belle arti «Rosario Gagliardi» di Siracusa.

Il percorso espositivo - lungo il quale si ascoltano le voci di Davide Bardi, Sergio Grasso, Massimo Popolizio e Gaetano Rizzo in qualità di narratori - parte con la sala «La luce e l’apparizione», dove Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, racconta il suo primo lavoro siciliano, il «Seppellimento di Santa Lucia», eseguito nel 1608, dietro commissione della Confraternita dei Ministri degl’Infermi, per il Santuario di Santa Lucia al Sepolcro. L’immersione nel capolavoro del maestro milanese, con la sua forza drammatica enfatizzata da un gioco di contrasti fra luci e ombre e con la sua palette cromatica nei toni dei rossi e dei bruni terrosi, introduce al racconto della vita della santa siracusana, giovane cittadina sotto l’impero di Diocleziano, morta martire nel 304 d.C. per la sua fede cristiana. Attraverso tecnologie innovative e l’interpretazione attoriale di Ilenia Antonizzi, il visitatore scopre anche l’evoluzione iconografica della figura di Santa Lucia nel corso dei secoli e l’apparato di usanze, riti e pratiche che ruotano intorno alla grande festa patronale del 13 dicembre.

Segue la sala «La scienza», che - attraverso ricostruzioni storiche, episodi biografici e un focus sulle macchine belliche - restituisce vita e opere di Archimede, matematico, fisico e inventore siracusano, universalmente riconosciuto come una delle figure più geniali dall’antichità a oggi.

Si entra, poi, in una struttura scenografica abitabile che ricalca una porzione della cavea di età arcaica del teatro greco di Siracusa. Qui si incontrano il drammaturgo Eschilo e il filosofo Platone, due figure che hanno segnato profondamente la cultura e il pensiero occidentale, interpretate, a video, da Gaetano Rizzo e Davide Bardi.

Dalla sala «Il teatro e la tribuna politica» si passa, quindi, a quella successiva, dedicata all’archeologo Paolo Orsi, che contribuì in modo straordinario alla ricostruzione della storia antica della città. In questa stanza, soprannominata «Lo scavo», il visitatore si trova a confrontarsi con un’installazione ludico-esplorativa, all’interno della quale sono collocate copie dei reperti conservati al Museo archeologico regionale di Siracusa, manufatti che abbracciano un ampio arco temporale, che spazia dall’età del bronzo antico sino al IV secolo d.C..

Non manca, quindi, un omaggio a Federico II di Svevia, il sovrano medioevale passato alla storia come lo «stupor mundi», noto per aver favorito nel Duecento la nascita della scuola poetica siciliana e amato a Siracusa per aver fatto costruire, sulla punta estrema dell’isola, il castello Maniace, roccaforte difensiva simbolo del prestigio e della forza del potere imperiale svevo. «Il volo del falco di Federico II» è il titolo della stanza a lui dedicata, nella quale si svela il suo rapporto con la falconeria, disciplina alla quale il re dedicò anche un trattato, oggi una dei diciannove elementi italiani iscritti nella Lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale Unesco.
In questo spazio, due «finestre» immersive invitano a entrare nel mondo federiciano attraverso un’esperienza di gaming che combina sonoro e immagini per restituire un’interpretazione poetica e dinamica della sua eredità.

Chiude il percorso espositivo la sala «Il profondo blu», un omaggio al mare e al legame profondo che unisce la città siciliana a questo elemento attraverso la memoria delle imprese straordinarie di Enzo Maiorca, il campione di apnea più volte detentore del record mondiale d’immersione. Un grande schermo circolare avvolge visitatrici e visitatori, offrendo un’immersione totale, molto scenografica, nelle profondità marine, che permette anche di interagire con elementi animati.

Fuori dal museo, nel cortile, si può vedere, infine, un intervento dell’artista romano Claudio Palmieri, che ha immaginato lo spazio - si legge nella presentazione scritta dallo stesso autore - come «un piccolo teatro dove potesse accadere una fantasia alchemica», ospitando «una danza scenografica suggerita dall'utilizzo delle reti dei pescatori, omaggio alle tradizioni marinare ma anche alla visione di Maiorca e al suo impegno per la difesa dell’ecosistema marino, green, ecosostenibile». 
In questa danza ondosa appaiono delle «”rose” a vortice, metalliche, di natura altra, come modellate dal vento, dalle forme barocche che alludono anche alle forme armoniose delle creature marine che abitano il mare». Quel mare che fa da cornice alla città e alle sue vestigie antiche, la cui bellezza ha conquistato, nel corso dei secoli, molti, da Cicerone a Gabriele D’Annunzio, da Tito Livio a Edmondo De Amicis.

Informazioni utili
Siramuse. Museo Multimediale delle storie di Siracusa, Via Santa Lucia alla Badia, 4 – Siracusa (pochi metri da Piazza Duomo).Orari: ► Dal 1° maggio al 30 settembre 11.00 - 19.00 (la biglietteria chiude alle 18.00) - Tutti i giorni aperto; ► Dal 1° ottobre al 30 aprile  10.00 - 17.00 (la biglietteria chiude alle 16.00) – Chiuso il martedì; ► Dal 7 gennaio al 28 febbraio apertura su prenotazione per scuole e gruppi; aperto sabato e domenica 10.00 - 17.00 (la biglietteria chiude alle 16.00). Chiusure: 1° gennaio, 13 dicembre, 25 dicembre (15 agosto aperto). Modalità di visita: ► percorso completo: 60 minuti; ► 40 persone per fascia, gruppi o singoli; ► la visita si svolge in autonomia con audioguide contemporaneamente in IT/EN/FR/ES. Biglietti:  intero € 12,00,tidotto € 8,00 (giovani dai 6 ai 25 anni e residenti), ridotto speciale € 6,00 (Scuole di ogni ordine e grado) Università? O intero o ridotto a seconda dell’età; integrazione di € 2,00 per la visita dell’Artemision (sito archeologico distante 100 metri); famiglie con 1 figlio € 25,00; famiglie con 2 figli € 30,00; gratuito: bambini 0/6 anni; Soci Icom; diversamente abili e accompagnatore; guide turistiche abilitate; giornalisti iscritti all’Ordine o accreditati dalla testata. Biglietti online: https://siramuse.madeticket.it/it/shop/biglietti. Prevendita online €1,50 a biglietto. Contact Center: +39 091 8488813

lunedì 28 luglio 2025

L’inquietudine del genio "incontra" la quiete del sapere: al Palazzo Ducale di Urbino l’estro di barocco di Cantarini e il rinnovato Studiolo del Duca Federico di Montefeltro

Importante testimonianza del Rinascimento italiano e cuore pulsante del Palazzo Ducale di Urbino, lo Studiolo del Duca Federico da Montefeltro (1422-82) si presenta, quest’estate, ai suoi visitatori in una veste totalmente nuova. L’ambiente, affacciato sull’ultima e più decorata loggia tra i due Torricini, è stato sottoposto, negli scorsi mesi (tra novembre 2024 e maggio 2025), a un importante intervento di restauro e di riallestimento al fine di restituirne l’aspetto originario, quello che aveva sul finire del Quattrocento, al termine dei lavori di progettazione, probabilmente eseguiti dall’architetto Donato Bramante, e di quelli di decorazione, a opera dei fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano, maestri della tarsia prospettica e dell’illusione ottica, lodati anche da Giorgio Vasari nel suo libro «Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori».
I due intagliatori toscani idearono per lo Studiolo urbinate - una stanza piccola con un’altezza inusuale e un perimetro irregolare (3,60x3,35 metri) che aveva, dunque, bisogno dell’inganno dell’arte per dilatare profondità e contorni - una decorazione a trompe-l’œil a fasce sovrapposte, costruita con minuscole tesserine di essenze diverse o della stessa essenza, ma con stagionature e tagli differenti.
Le raffigurazioni erano emblematiche degli ideali umanistici della vita attiva e della vita contemplativa, a ribadire la duplice natura di condottiero e di uomo di cultura di Federico da Moltefeltro. E presentavano un repertorio iconografico che spaziava da libri a strumenti musicali, da armature a clessidre e conchiglie, da apparecchi scientifici alle personificazioni delle Virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) e cardinali (Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza), dai simboli delle Arti liberali del Trivio (Dialettica, Grammatica, Retorica) e del Quadrivio (Aritmetica, Astronomia, Geometria, Musica) a candele consunte dal fuoco e dal tempo.

Luogo di studio, meditazione e crescita personale e, al contempo, sala di rappresentanza, dove il duca urbinate conduceva i suoi ospiti più illustri, lo Studiolo mantenne la sua disposizione iniziale dal 1476, data di termine dei lavori (come conferma l’iscrizione che corre sotto il soffitto a lacunari), al 1632, anno in cui il cardinale Antonio Barberini, nipote di papa Urbano VIII e legato dello Stato pontificio, asportò le tavole della serie «Uomini illustri», progettata dal fiammingo Giusto di Gand e terminata dal castigliano Pedro Berruguete (detto «Pietro Spagnolo», del quale rimane significativa l’opera «Federico di Montefeltro con il figlio Guidubaldo» del 1475 circa), per portarle a Roma, nella residenza di famiglia.
Questi ventotto dipinti con personalità del mondo greco-romano e medioevale, ciascuno di 115x70 centimetri circa, rimasero nella dimora capitolina dei Barberini fino al 1812, quando quattordici di essi passarono, in eredità, alla famiglia Colonna di Sciarra e poi, dopo una vendita, al marchese Giampietro Campana per arrivare infine, nel 1863, nelle collezioni del Louvre di Parigi grazie a una felice intuizione di Napoleone III. Le altre quattordici opere fecero, invece, ritorno a Urbino nel 1934, acquistate dallo Stato italiano per la Galleria nazionale delle Marche, dove vennero, però, riallestite solo nel 1983.

Nel progetto globale di attualizzazione della Galleria nazionale delle Marche - che sta intraprendendo il direttore Luigi Gallo e che per l’occasione ha visto al lavoro l'architetto Francesco Primari, lo storico dell’arte Giovanni Russo e la restauratrice Giulia Papini - lo Studiolo federiciano è stato interessato da un ammodernamento degli impianti, che ha portato anche allo smontaggio e al rimontaggio di tarsie, porte e soffitto ligneo, alla pulitura del pavimento in cotto e alla realizzazione di un nuovo sistema di illuminazione.
Il nuovo allestimento riporta, inoltre, a Urbino, grazie a riproduzioni high tech, i quattordici ritratti di proprietà del Louvre, restituendo così l’aspetto originale dello Studiolo, al quale sono state tolte anche le superfetazioni ottocentesche per far respirare appieno il colto e raffinato clima rinascimentale di questa stanza, dove dominano armonia e bellezza.

La visita al Palazzo Ducale di Urbino diventa, questa estate, anche l’occasione per ammirare la mostra «Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma», curata da Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa, in collaborazione con le Gallerie nazionali Barberini Corsini di Roma.
Una selezione di cinquantasei dipinti, allestita fino a domenica 12 ottobre, ricostruisce la breve, ma intensa carriera dell’artista pesarese, talento inquieto e innovativo del Barocco, morto in circostanze ancora misteriose ad appena trentasei anni, che, tra il 1630 e il 1639, fu allievo di Guido Reni a Bologna.

Straordinario disegnatore, fine incisore e pittore capace di coniugare gli insegnamenti reniani con la lezione del massimo artista italiano del tardo Cinquecento, Federico Barocci, e di due ottimi maestri appartenenti alla tendenza caravaggesca, Orazio Gentileschi e Giovanni Francesco Fossombrone, guardando anche al colorismo veneto del Sassoferrato, Simone Cantarini, «petit-maître di rara sensibilità stilistica» (per usare un’espressione di Andrea Emiliani), dà vita a un linguaggio proprio e personalissimo, delicato e intimista, caratterizzato da un dialogo costante tra classicismo e naturalismo, dove emergono il tratto morbido della composizione, l’uso atmosferico del colore, la resa luministica di taglio teatrale e un’impareggiabile finezza psicologica nel dare voce ai sentimenti dei personaggi raffigurati.

Sono proprio i ritratti, per i quali secondo il biografo Carlo Cesare Malvasia l'artista era «provisto di una particolar dote», uno dei nuclei tematici della mostra urbinate, che allinea anche pitture sacre, quadri di devozione e composizioni filosofiche e profane, in un percorso che permette di vedere, tra l’altro, una raffinata «Allegoria della pittura» (dalla Collezione Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino), una delicata «Madonna della Rosa» (da una raccolta privata), il «Ritratto di Guido Reni» (dalla Pinacoteca nazionale di Bologna), l’«Autoritratto», risalente gli anni Trenta del XVII secolo (dalle Gallerie nazionali di arte antica di Roma), e, per finire, l’inedito dipinto «Ercole e Iole» (da una raccolta privata), quadro che si meritò  anche le lodi  di Carlo Cesare Malvasia. Ci sono, poi, in mostra lavori come i «Santi Barbara e Terenzio» e la «Visione di Sant’Antonio», provenienti dai depositi della Pinacoteca di Brera, nell’ambito del progetto «100 opere tornano a casa», voluto dal Ministero della Cultura.

Di opera in opera, la mostra di Urbino ci parla, dunque, di «un’arte fatta di sguardi e silenzi, momenti intimi e quotidiani». Emerge in toto la vena delicata, poetica, malinconica ed elegante della pittura di Simone Cantarini. E sembra quasi impossibile far combaciare questo estro creativo, che ha contribuito alla grandezza della scuola bolognese, con la biografia dell’artista pesarese, con il suo essere pungente, polemico, iroso o – come scrisse Carlo Cesare Malvasia – «troppo fiero per essere discepolo, troppo giovane per essere maestro».

Didascalie delle immagini
1. e 2. e 3. Allestimento dello Studiolo del Duca. Urbino, Palazzo Ducale; 4. Simone Cantarini, Autoritratto, anni Trenta del XVII secolo. Roma, Gallerie nazionali d'arte antica; 5.6. e 7. Allestimento della mostra Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma,

Informazioni utili
Simone Cantarini (1612-1648). Un giovane maestro tra Pesaro, Bologna e Roma, a cura di Luigi Gallo, Anna Maria Ambrosini Massari e Yuri Primarosa. Galleria Nazionale delle Marche - Palazzo Ducale di Urbino, Piazza Rinascimento 13, 61029 Urbino (PU).Orari: da martedì a domenica: dalle ore 8:30 alle ore 19:15 (chiusura biglietteria ore 18:15); Lunedì chiuso. Ingresso: € 12 intero; € 2 ridotto. Catalogo edito da Officina Libraria. Informazioni: https://www.gallerianazionalemarche.it. Fino al 12 ottobre 2025

Nota apertura estive: fino al 15 settembre 2025 il Palazzo Ducale di Urbino sarà visitabile in via straordinaria anche il lunedì pomeriggio dalle ore 15 alle ore 19 (ultimo ingresso alle ore 18); l'ingresso è consentito con biglietto ordinario, o abbonamento annuale, e include anche la visita alla mostra di Simone Cantarini. Per venire incontro alle richieste dei visitatori, anche durante il mese di agosto lo staff della Galleria nazionale delle Marche offre la visita guidata gratuita all'esposizione (già inclusa nel biglietto di ingresso) ogni mercoledì alle ore 17

venerdì 25 luglio 2025

Carlo Scarpa e il Museo Correr, quando esporre è un’arte

È stato «un artigiano della materia», un poeta del dettaglio, un architetto che ha saputo unire la tradizione italiana alla modernità, senza mai tradire l’anima storica dei luoghi, mettendo, anzi, al primo posto la dimensione spirituale del progetto, quel quid unico che va oltre la funzionalità e l’estetica per generare un’esperienza emotiva, in un alternarsi continuo di pace, inquietudine, mistero, silenziosa meditazione e bellezza. Lo provano i tanti progetti disegnati per la «sua» Venezia, dall’ingresso della Fondazione Querini Stampalia, dove l’acqua diventa parte integrante dello spazio, all’innovativo allestimento per il negozio Olivetti in piazza San Marco, con la scala centrale quasi sospesa nel vuoto, senza dimenticare il Giardino delle sculture nel Padiglione centrale della Biennale, un angolo zen con una sinfonia di curve sinuose in cemento e una copertura in legno a sbalzo che ricorda lo scafo di una barca.
Lo documenta anche la mostra «Il Correr di Carlo Scarpa 1953-1960», allestita fino al 19 ottobre nella Sala delle Quattro Porte, per la curatela di Chiara Squarcina e Andrea Bellieni. Si tratta di un’occasione di studio, documentazione e censimento dei materiali originali usati dal progettista veneto nei suoi due interventi alle Procuratie nuove, il nobile edificio rinascimentale che domina il lato sud di piazza San Marco, in vista del futuro riallestimento del museo.

Fotografie d’epoca e arredi originali
– teche, vetrine, il celebre cavalletto per dipinti, supporti, snodi e incastri – raccontano un approccio radicalmente nuovo nel modo di esporre l’arte, che diventa modello esemplare della linea italiana nella museografia, elegante e innovativa, ispirata al razionalismo internazionale.

Carlo Scarpa (Venezia, 1906 - Giappone, Sendai, 1978) opera in due differenti occasioni all’interno del Correr: nel 1952–53 è attivo nelle sale di Storia veneziana al primo piano, in occasione della riapertura dopo la lunga interruzione bellica; nel 1959–60 lavora nella Quadreria al secondo piano, che custodisce importanti capolavori della pittura veneziana e italiana del Rinascimento.
La sua visione di restyling si fonda sull’ascolto del contesto, sulla valorizzazione dei materiali, sull’equilibrio tra luce, forma e funzione. Questo metodo prevede un posizionamento dell’opera meditato e accurato, tale da generare «risonanze» significative, talvolta sorprendenti o persino rivelatrici, nella sua interazione con lo spazio e il resto della collezione.

Per quando riguarda il primo intervento, le sale vengono semplicemente ripulite nelle pareti bianche e nei soffitti lignei. Carlo Scarpa vi inserisce pochi ma incisivi elementi museografici originali: teche che espongono le toghe dei senatori e procuratori accanto ai ritratti a figura intera degli stessi patrizi veneziani; pannelli per i vivaci scudi ottomani delle guerre di Morea, disposti in file alte accanto al busto del vittorioso Francesco Morosini. Particolarmente riuscite appaiono anche soluzioni espositive come le appensioni di antichi stendardi su fondi in tessuto grezzo o i sostegni per i monumentali fanali da galera, tra cui quello triplice della capitana di Morosini, realizzati con raffinata complessità e proporzionati con giustezza agli oggetti storici esposti.

Più radicale è il secondo intervento, che avviene in ambienti ormai privi di configurazioni significative precedenti (a eccezione della sala centrale, lasciata nella sua essenzialità).
Le superfici delle stanze, trattate con calce rasata, esaltano il ruolo della luce, quella naturale, diffusa dai balconi su piazza San Marco o filtrata da moderne veneziane industriali nelle finestre interne.
Con l’occhio di un curatore più che di un architetto, Carlo Scarpa posiziona i dipinti su cavalletti in palissandro ad angolo retto rispetto alle pareti, come se fossero tornati negli studi degli artisti.
Vengono, inoltre, progettate piccole sale dedicate: il cubicolo per la «Pietà» di Cosmè Tura; quello per le «Due dame veneziane» di Carpaccio; o ancora la saletta rivestita in travertino per il «Cristo morto sostenuto dagli angeli» di Antonello da Messina, dove la luce riverbera calda, dorata, in armonia con quella interna al dipinto, esposto su un supporto inclinato per accogliere al meglio l’illuminazione, grande protagonista dell’intero progetto di riallestimento.

La mostra al Correr non celebra, dunque, solo il lavoro di Carlo Scarpa, uno dei grandi maestri del Novecento, ma offre anche spunti di riflessione sull'evoluzione del concetto di museo e sull'importanza della sua progettazione. Con l'architetto veneziano gli allestimenti vanno a creare un'opere d'arte totale, dove contenuto e contenitore dialogano costantemente. Accade a Venezia, ma anche al Museo di Castelvecchio a Verona, al Museo Gypsotheca Antonio Canova a Possagno, al Palazzo Abatellis di Palermo, ma non solo. È una vera e propria rivoluzione per la museografia del XX secolo, tanto che negli anni Settanta lo storico dell’arte francese André Chastel scriveva di Carlo Scarpa: «Molti di coloro che viaggiano in Italia lo conoscono senza saperlo: è il più grande allestitore di mostre d’arte lì e forse in tutta Europa».

Informazioni utli
Il Museo Correr di Carlo Scarpa. Museo Correr San Marco 52 - 30124 Venezia. Orari: aperto tutti i giorni; dal 1° aprile al 31 ottobre, 10.00 – 18.00 (ultimo ingresso ore 17.00); dal 1° novembre al 31 marzo: 10.00 – 17.00 (ultimo ingresso ore 16.00). Speciali aperture serali: fino al 30 settembre 2025, ogni venerdì e sabato apertura fino alle 23.00 (ultimo ingresso ore 22.00). Per informazioni sul costo dei biglietti o per altre notizie sulla visita alla mostra si rimanda alla pagina https://correr.visitmuve.it/. Fino al 19 ottobre 2025

mercoledì 23 luglio 2025

«Dédale», una nuova preziosa collana di letteratura e immagini per Franco Maria Ricci

Sono dei piccoli e preziosi gioielli fatti di parole e colori i libri che compongono «Dédale», la nuova collana illustrata di classici intramontabili e repêchages d’autore nata dall'incontro tra l'editore Franco Maria Ricci - conosciuto per l’elegante e colta rivista «FMR», curatissima nei contenuti e nella veste grafica tanto da essere stata definita da Federico Fellini «la perla nera» - con la prestigiosa «L’École - School of Jewelry Arts», istituzione formativa francese, fondata nel 2012, con il supporto di Van Cleef & Arpels, per promuovere la cultura dell’alta gioielleria nel mondo.

Concepita e realizzata con estrema cura, la nuova collana, il cui nome si ispira al celebre Labirinto del Masone, realizzato da Franco Maria Ricci (1937-2020) nel Parmense, sarà redatta in tre lingue: italiano, francese e inglese.

Classici intramontabili scritti dai più rilevanti autori della letteratura del passato si alterneranno a gemme rimaste nascoste al grande pubblico, oggi introvabili o inedite, come ben documentano i primi tre titoli: «L’isola del tesoro» di Robert Louis Stevenson (1850-1894), «La collezione invisibile» di Stefan Zweig (1881-1942) e «Laura. Viaggio nel cristallo» di George Sand (1804-1876), la cui ultima traduzione in italiano risale agli anni Ottanta.
Dopo questi volumi sono previste due nuove uscite ogni anno, una in primavera e una in autunno. Ogni pubblicazione sarà identificata dal simbolo della chiocciola, ispirato a un disegno di Francesco Segala, artista veneto noto per le sue rappresentazioni di labirinti figurativi o antropomorfi.

Tutti i titoli verranno offerti in un duplice formato: a un’edizione brossurata, reperibile in tutte le migliori librerie, ne sarà associata una «da collezione», a tiratura numerata, rilegata in seta, stampata su carta vergata e arricchita da illustrazioni applicate a mano e riprodotte su carta patinata del Garda.
Quest’ultima versione di pregio, racchiusa in un cofanetto e con la copertina rigida con il titolo in caratteri d’oro, sarà reperibile solo on-line, sul sito di FMR (la casa editrice oggi presieduta da Laura Casalis Ricci e diretta da Edoardo Pepino), e nelle librerie «L’Escarboucle» di Parigi e «Franco Maria Ricci» di Fontanellato (Parma). Qui si trova, oltre al grande labirinto di bambù ispirato allo scrittore argentino Jorge Luis Borges (1899-1986), un museo con capolavori di Annibale Carracci, Antonio Canova e Gian Lorenzo Bernini, un Cristo benedicente di Filippo Mazzola (1640-1505 circa), un pastello di gentiluomo su pergamena di Jean-Etienne Liotard (1702-1789), una testa di tigre del 1957 di Antonio Ligabue (1899-1965) e l’unico grande ritratto della duchessa d’Aiguillon di Philippe de Champaigne (1602-1674).

Ogni libro si apre con il manifesto del progetto, seguito da una prefazione liberamente scritta da un autore ospite e da un’introduzione tematica redatta da uno degli specialisti de L’École, School of Jewelry Arts. Accompagnano il testo le illustrazioni di artisti di fama internazionale.

A fare da filo rosso tra le prime tre uscite sono i tempi del simbolo, del prezioso e del meraviglioso. 

Racconto di avventura e di formazione insieme, «L'Isola del tesoro» di Robert Louis Stevenson, pubblicato per la prima volta tra il 1881 e il 1882, è un classico senza tempo che intreccia azione e introspezione, invitando a riflettere, attraverso lo strabiliante viaggio del suo protagonista, sul valore morale dell’onestà e sul sottile confine che separa bene e male.
Nell'edizione di «Dédale», la prefazione porta la firma dello scrittore argentino-canadese Alberto Manguel. L’introduzione è di Léonard Pouy. Le illustrazioni, pubblicate per la prima volta, sono di David B, che le aveva originariamente immaginate per accompagnare l’ultima proposta di alta gioielleria di Van Cleef & Arpels.

«La collezione invisibile» di Stefan Zweig, pubblicato per la prima volta a Vienna nel 1925, è, invece, un racconto delicato e toccante che attraverso l’incontro tra un antiquario e un collezionista cieco, ignaro che i suoi preziosi oggetti d’arte siano stati venduti, riflette sul potere dell’illusione, sulla dignità umana e sulla perdita in tempi di crisi.
La prefazione di questa nuova edizione è dello storico e collezionista brasiliano Pedro Corrêa do Lago; mentre l’introduzione, intitolata «Voir l’invisible», è scritta da Guillaume Glorieux. Il testo è accompagnato dai dipinti della serie «I collezionisti di stampe» dell’illustratore Honoré Daumier (1808-1879).

Infine «Laura. Viaggio nel cristallo» di George Sand, pubblicato per la prima volta nei primi due numeri de «La Revue des Deux Mondes» nel 1864, è un racconto romantico e visionario che mescola elementi fantastici e scientifici. 
Pagina dopo pagina, si esplora il confine tra realtà e immaginazione, ma si riflette anche sull’invisibile e sull’amore ideale attraverso la storia di Alexis Hartz, un giovane studente pigro innamorato della cugina, sua insegnante di mineralogia.
Nell'edizione di «Dédale», la prefazione è di Isabelle Bardiès-Fronty, curatrice del patrimonio del Musée de Cluny (Musée National du Moyen Âge). L’introduzione è a cura della gemmologa Charline Coupeau, che ha realizzato il dossier digitale «Bijoux et littérature», inserito nella sezione «Les Essentiels», il sito di risorse pedagogiche e culturali della Biblioteca nazionale di Francia. I dipinti, che suggeriscono una dimensione onirica anche grazie all’uso di colori accesi, portano la firma dell’artista espressionista boemo, naturalizzato tedesco, Wenzel Hablik (1881-1934).
Proprio in vista dell’uscita della nuova collana è stata, poi, realizzata una nuova traduzione a opera di Cinzia Bigliosi, che è riuscita a mantenere l’atmosfera sognante del romanzo pur modernizzandone il vocabolario.

Fonte di ispirazione per questo nuovo progetto editoriale è - spiega Lise Macdonald, presidente de L’École, School of Jewelry Arts - «la Biblioteca di Babele, collezione letteraria che comprende una trentina di titoli pubblicati tra il 1975 e il 1985 – spaziando tra Voltaire, Poe, Chesterton, Kafka, Kipling…– e che fu creata dallo scrittore argentino Jorge Luis Borges con Franco Maria Ricci». Un tesoro per i bibliofili e gli amanti dell’arte, che a colori e parole univa il saper fare dell’alto artigianato.

Didascalie delle immagini
1. e 2. Le prime tre uscite della nuova collana «Dédale» © L'École des Arts Joailliers - Photo Benjamin Chelly; 3. Copertina del L'Isola del tesoro» di Robert Louis Stevenson. © L'École des Arts Joailliers - Photo Benjamin Chelly; 4. Wenzel Hablik, Paesaggio di architetture utopistiche, 1921, Schleswig, Museum für Kunst und Kulturgeschichte, Schloss Gottorf, ©Stiftung Schleswig-Holsteinische Landesmuseen, Schloss Gottorf; 5. Honoré Daumier, L’appassionato di stampe, c. 1860, Parigi, Petit Palais, musée des Beaux-arts de la Ville de Paris, ©Petit Palais - Roger-Viollet
 
Per saperne di più

lunedì 21 luglio 2025

«Visitate l’Italia!», a Torino una mostra sulla pubblicità turistica di inizio Novecento

Dalle verdi vette delle Dolomiti alle fascinose rovine archeologiche di Agrigento, dalle grandi spiagge della riviera romagnola alle terrazze fiorite di Amalfi, dalle suggestioni Liberty del lago Maggiore ai paesaggi bucolici dell'Abruzzo, senza dimenticare stazioni termali, città d’arte di antichissima fondazione e borghi pittoreschi con scorci da cartolina: è un viaggio tra le bellezze del nostro Paese quello che propone la mostra «Visitate l’Italia! Promozione e pubblicità turistica 1900-1950», per la curatela di Dario Cimorelli e Giovanni C.F. Villa, allestita fino al 25 agosto a Palazzo Madama – Museo civico d’arte antica di Torino, nella Sala del Senato.

Duecento manifesti provenienti in gran parte dalla ricca collezione del museo Salce di Treviso e dalla Raccolta Achille Bertarelli al Castello sforzesco di Milano, oltre a centinaia di guide, pieghevoli illustrati, oggetti vari e un video con materiali di proprietà dell’Archivio storico Luce di Roma ripercorrono, in un allestimento a firma di Emilio Alberti e Mauro Zocchetta, la storia degli strumenti reclamistici con cui è stata raccontata la vocazione turistica di un territorio ricco di cultura e bellezza paesaggistica come quello italiano - già meta del Grand Tour settecentesco delle élite europee -, tra gli anni, eleganti e gioiosi, della Belle époque a quelli, dinamici e confidenti nel futuro, del boom economico, seguito al secondo conflitto bellico.

Fra i pionieri di questa avventura per immagini, che avrebbe accompagnato la nascita del «turismo di massa» degli anni Sessanta, c’è un artista del Liberty come Leopoldo Metlicovitz (Trieste, 1868 – Ponte Lambro, 1944), pittore attivo nell’ambito milanese delle Officine Grafiche Ricordi e cartellonista per il Teatro alla Scala, che, con il suo stile inconfondibile, fatto di linee sinuose e colori piatti e uniformi, ritrae, tra l’altro, il fascino dei laghi della Lombardia e del Piemonte, con i battelli in navigazione tra onde schiumose e ordinate cornici naturali.

Altro protagonista della prima stagione della cartellonistica turistica italiana, probabilmente inaugurata nel 1893 dalla litografia G. Wenk e figli di Bologna con un manifesto per Fano, è Marcello Dudovich (Trieste, 1878 – Milano, 1962), che, con i suoi cromatismi accesi e con le sue atmosfere sognanti, racconta un’Italia di lussi e ozi, di sport e salute. Dell’illustratore triestino è, per esempio, un manifesto memorabile per la storia di Rimini, quello della stagione balneare 1922, scelto come immagine guida della mostra torinese, che raffigura un improbabile delfino-gambero rosso dall’occhio sornione, che si inarca in una capriola, cavalcato da una ragazza sorridente, vestita con un elegante e castigato costume, i cui capelli ramati, mossi dal vento, vogliono essere una citazione colta del Botticelli e della sua Venere.

Ci sono, poi, in mostra anche i lavori di Adolf Hohenstein (San Pietroburgo, 1854 – Bonn, 1928), Ettore Tito (Castellammare di Stabia, 15 dicembre 1859 – Venezia, 26 giugno 1941), Ettore Ximenes (Palermo, 11 aprile 1855 – Roma, 20 dicembre 1926), Galileo Chini (Firenze, 2 dicembre 1873 – Firenze, 23 agosto 1956) e Leonetto Cappiello (Livorno, 9 aprile 1875 – Cannes, 2 febbraio 1942), autori di interpretazioni raffinatissime e solari, dove città e borghi del nostro Paese non sono solo una destinazione di viaggio, ma anche l’occasione per sperimentare un modo di vivere dai ritmi lenti.

Sono esposti a Torino pure i cartelloni di Mario Borgoni, Giovanni Guerrini,Marcello Nizzoli e Virgilio Retrosi realizzati per conto dell'Enit (Ente nazionale per l’incremento delle industrie turistiche), realtà dipendente dal Ministero dell’Industria, Commercio e Lavoro, nata nel 1919 per iniziativa delle Ferrovie dello Stato, che in quegli anni stavano conoscendo un incredibile potenziamento della rete di viaggio, e del Touring Club italiano, a sua volta fondato nel 1896.
È bene ricordare che, nel corso dei primi nove anni della sua attività, l'Enit realizzò oltre 547mila manifesti, distribuiti in Italia e all’estero; questi materiali svolsero un ruolo chiave nel fissare e consolidare l’identità culturale dei singoli luoghi, combinando elementi visivi e simbolici capaci di impressionare il pubblico.

Accanto a Roma, Pompei e Agrigento, che con le loro antichità erano tappe imprescindibili per il Grand Tour di settecentesca memoria, si trovano lungo il percorso espositivo le vedute di Capri e Ischia disegnate da Mario Puppo (Levanto, 1905 – 1977), due luoghi che attraggono l’alta borghesia americana di inizio Novecento, ma anche manifesti con città d’arte come Milano e Bologna, scorci di lidi marini quali Senigallia e Portofino (qui in una raffinata illustrazione di Agostino Luigi Sacchi) e luoghi dove sperimentare sport acquatici o invernali, sempre con il sorriso sul volto, come suggerisce il bel disegno di Gino Boccasile realizzato nel 1940 per la Valle d’Aosta.

Didascalie delle immagini
1. Marcello Dudovich (1878 – 1962), Rimini. Stagione balneare 1922 (giugno-settembre), 1922. Milano, Propr. Artist. Grafiche Baroni & C., cromolitografia su carta, 139,5x100 cm. Treviso, Museo nazionale Collezione Salce, inv. 04123. ©️ Marcello Dudovich; 2. Gino Boccasile (1901 – 1952), Val d’Aosta. Sport invernali, 1940. Milano, Stabilimento Pezzini, cromolitografia su carta, 99x69 cm. Treviso, Museo nazionale Collezione Salce, inv. 05308; 3. Mario Borgoni (1869 – Napoli 1936), Amalfi, 1927 circa. Napoli, Richter & Company, litografia a colori su carta, 103x65 cm. Milano, Castello Sforzesco, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”, inv. Manifesti A 180; 4. Agostino Luigi Sacchi (1867 – 1940), Portofino Kulm. Panorama verso Ponente, 1905 circa. Milano, S.A.I.G.A. Fratelli Armanino, cromolitografia su carta, 100x70 cm. Treviso, Museo nazionale Collezione Salce, inv. 04870  

Informazioni utili
«Visitate l’Italia!». Palazzo Madama, piazza Castello - Torino. Orari: lunedì e da mercoledì a domenica: 10 – 18. Martedì chiuso. Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura. Biglietti: intero 12 € | ridotto 10 €. Gratuito per possessori di Abbonamento Musei e Torino + Piemonte Card. Informazioni: palazzomadama@fondazionetorinomusei.it - t. 011 4433501. Sito internet: www.palazzomadamatorino.it. Fino al 25 agosto 2025 

venerdì 18 luglio 2025

Storie di vetro, fornaci, famiglie e Biennali tra Murano e l’Isola di San Giorgio Maggiore

Murano
celebra il centosettantesimo anniversario dalla fondazione della ditta Fratelli Toso, una delle imprese familiari che ha segnato la storia della produzione vetraria a Venezia, la cui prima fornace fu aperta nel 1854 e che rimase in attività sull’isola fino alla fine degli anni Ottanta.

Fratelli Toso, una storia di alto artigianato e arte
Il Museo del vetro ospita, fino al 24 novembre, la mostra «Fratelli Toso. Storie di fabbriche. Storie di famiglie», a cura di Chiara Squarcina e Caterina Toso, con duecentocinquanta pezzi tra opere in vetro, murrine, schizzi originali, bozzetti, fotografie e documenti d’archivio.
Profondamente radicata nel territorio e già attiva da generazioni nel settore, poco dopo la metà del XIX secolo, la famiglia Toso inizia l’attività della sua fornace producendo repliche e imitazioni degli stili dei secoli precedenti, rievocando i fasti del Rinascimento e del Barocco, sulla scia del diffuso spirito revivalistico dell’arte di fine Ottocento. In questa fase iniziale vengono recuperate antiche tecniche come il murrino, il millefiori e la filigrana. 
La prima partecipazione pubblica di rilievo data al 1864, anno della prima Esposizione vetraria muranese, dove la fornace presenta un monumentale lampadario - oggi parte delle collezioni dei musei civici veneziani -, premiato con l’unica medaglia d’oro assegnata e un diploma d’onore.
Fino alla Prima guerra mondiale, la produzione si concentra su modelli in Stile antico e Stile moderno, e sulle celebri serie «Fenicio» e «Floreali», senza dimenticare le collaborazioni con artisti internazionali come Hans Stoltenberg Lerche, appassionato di arti applicate e profondamente influenzato dallo spirito dell’Art Nouveau nordico.
Con l’inizio degli anni Venti si apre una fase segnata da un’estetica più sobria e sofisticata: vetri soffiati leggeri, essenziali nelle forme e raffinati nelle decorazioni, in sintonia con il gusto Déco allora emergente. Tra questi spiccano alcuni modelli disegnati da Guido Cadorin, e nel decennio successivo, da Vittorio Zecchin, autore, tra l’altro, di calici sottilissimi, caratterizzati da steli allungati e minuscole foglie stilizzate applicate ai lati, presentati alla XXI Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia nel 1938.
La fornace è presente anche alla Biennale successiva, quella del 1940, con una serie di oggetti soffiati dalle forme naturalistiche che colpiscono per la loro leggerezza estrema e il forte impatto poetico, testimoniando la continua ricerca di equilibrio tra natura, forma e trasparenza.
Nel frattempo, intorno al 1930, entrano a far parte della produzione anche vetri meno eterei e più materici, come i pulegosi, gli incamiciati e le paste vitree. Parallelamente, si intensifica la sperimentazione sul tema della murrina, che evolve oltre la consueta ricerca di ordine e simmetria. Tra i risultati più originali si distinguono i «Mutras» e i «Marmorini», nuove tipologie che rompono volutamente con la composizione tradizionale per esplorare effetti scultorei, accostamenti irregolari e stratificazioni cromatiche di forte impatto visivo.
Negli anni del Dopoguerra, con la direzione artistica di Ermanno Toso, la vetreria rinnova la tecnica della murrina in chiave moderna, creando opere di grande forza espressiva. Accanto a lui, Pollio Perelda, con il suo linguaggio pittorico, e Rosanna Toso, unica donna in ruoli dirigenziali nella storia della ditta, firmano pezzi eleganti e contemporanei, capaci di interpretare anche il minimalismo degli anni Settanta.
In seguito, con Giusto e Renato Toso, la produzione si apre al design per l’arredo e l’illuminazione, con largo impiego di vetro cristallo e monocromatico, trasformando gli oggetti in vere e proprie sculture di luce.

Dalla nascita del Padigione Venezia alla Seconda guerra mondiale, il vetro di Murano alla Biennale
La fornace, con alcune sue opere tra le quali la serie «A spire d’argento» degli anni Trenta, è presente anche nel percorso della mostra «1932-1942. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia», seconda tappa di un progetto curato da Marino Barovier per «Le stanze del vetro», spazio espositivo nato dalla collaborazione tra la Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung, nello scenografico contesto dell’Isola di San Giorgio Maggiore, un’oasi di mare, natura e silenzio che si affaccia sul bacino di San Marco.
Temporalmente, la rassegna si apre con l’inaugurazione, nell’ambito della diciottesima edizione della Biennale, quella del 1932, del Padiglione Venezia, uno specifico spazio dedicato alle arti decorative, voluto dall’Istituto veneto per il lavoro, e si chiude poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, che causa un’interruzione dell’attività espositiva fino al 1948.
Sono questi anni di grande creatività e di sperimentazioni sulla materia e sui colori, sia attraverso la rivisitazione di antiche tecniche, sia tramite la messa a punto di nuove lavorazioni. Inizialmente vengono proposti soprattutto soffiati leggeri trasparenti insieme a vetri opachi dalle colorazioni intense, mentre dalla metà degli anni Trenta si va affermando il vetro pesante di grosso spessore, in molti casi impreziosito da bollicine, da nuances delicate o da applicazioni di foglia d’oro.
Grande protagonista del percorso espositivo, con una carrellata di circa centosessanta manufatti, è Carlo Scarpa, che nel 1931 lascia M.V.M. Cappellin per la Venini S.A., dove rimarrà fino al 1947. In questi anni, il giovane architetto dà il meglio di sé con i «Sommersi», i vetri a mezza filigrana, le Murrine romane o quelle opache, i sofisticati «Lattimi», i «Corrosi» dalla superficie scabra, i vetri a fasce, a spirale, a pennellate o a macchie, gli «Incamiciati Cinesi», i «Laccati».
Nello stesso periodo la Barovier Seguso Ferro, poi Seguso Vetri d’Arte, vede la presenza, alla direzione artistica, di Flavio Poli, designer premiato nel 1954 con il Compasso d’oro. Il pittore Dino Martens collabora con la Salviati & C., la Successori Andrea Rioda e Aureliano Toso. La Salviati & C. si avvalse anche della consulenza del pittore Mario De Luigi, che firma i suoi lavori, tra cui rari e pregevoli «Vetri musivi» realizzati con le tessere del mosaico, con lo pseudonimo di Guido Bin.
Sono, questi, anche gli anni di Ercole Barovier, che realizza, tra l’altro, i «Crepuscolo» in bruno-grigio, ottenuti introducendo filamenti metallici tra due o più strati di vetro, gli «Autunno Gemmato» o i «Laguna Gemmata», ma anche i più recenti «Oriente», dal vivace tessuto vitreo a canne e fasce policrome incrociate, impreziosito da foglia d’argento.
Ci sono in mostra anche le paste vitree rosso corallo e verde smeraldo di Napoleone Martinuzzi per Zecchin Martinuzzi, due bellissimi pannelli che all’epoca ornavano il Padiglione Venezia - «La mano di Atlante», su disegno di Tomaso Buzzi, e «Bagnante», su schizzo di Mario De Luigi con Carlo Scarpa – e, poi, opere di vetrerie come AVEM, Cirillo Maschio, Moretti Ulderico & C., S.A.I.A.R. Ferro Toso, V.A.M.S.A. e S.A.L.I.R., quest’ultima specializzata in «decorazioni a smalto e oro e incisioni su vetro», in prevalenza su disegno di Franz Pelzel.
Questa vivace stagione creativa, che vede le fornaci muranesi gareggiare tra di loro in bellezza e virtuosismo, viene silenziata dal rombo dei cannoni della Seconda guerra mondiale. Bisognerà attendere il 1948 perché i riflettori si riaccendano sulla Biennale di Venezia, che nella sua ventiquattresima edizione vede la presenza di Peggy Guggenheim e della sua leggendaria collezione d’arte. Ritorna protagonista, quell’anno, anche il vetro di Murano, con le sue suggestioni alchemiche, i suoi colori, le sue trasparenze e i suoi riflessi di luci.

Didascalie delle immagini
1., 2. e 3. Vista dell'allestimento della mostra «Fratelli Toso. Storie di fabbriche. Storie di famiglie» al Museo del vetro di Murano. © Sergio Camplone; 4., 5., 6. e 7. «1932-1942 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia», installation view, ph. Enrico Fiorese

Informazioni utili
«Fratelli Toso. Storie di fabbriche. Storie di famiglie». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian 8 - 30121 Murano. Aperto tutti i giorni, dalle 10.00 alle 18.00 (ultimo ingresso ore 17.00). Speciali aperture serali: fino al 30 settembre 2025, ogni venerdì e sabato apertura fino alle 20.00 (ultimo ingresso ore 19.00). Ingresso: intero € 10, ridotto € 7,50. Sito web: https://museovetro.visitmuve.it/. Fino al 24 novembre 2025

«Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia». Le stanze del vetro - Fondazione Giorgio Cini - Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia. Orari: 10.00-1900; chiuso il mercoledì. Ingresso libero. Sito web: https://www.lestanzedelvetro.org. Fino al 23 novembre 2025

mercoledì 16 luglio 2025

«Lerici Music Festival»: nel Golfo dei poeti le sette note incontrano l’arte e il cinema

«Oh Golfo dei Poeti, / tu sei il mio rifugio, / la mia oasi di pace in questo mondo tumultuoso». Così Lord Byron parlava del territorio intorno a La Spezia, profondo anfiteatro di roccia e di mare, con caratteristici borghi dalle architetture color pastello come Lerici, Portovenere, San Terenzo e Tellaro, che, di secolo in secolo, ha affascinato grandi nomi della letteratura come Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Percy Bysshe Shelley, D. H. Lawrence, Eugenio Montale, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. In questo incantevole scenario naturale, all’estremità orientale della Liguria, prende vita, per il nono anno consecutivo, il «Lerici Music Festival», manifestazione ideata e fondata nel 2017 da Gianluca Marcianò, ancora oggi alla direzione artistica, che, dal 24 luglio al 4 agosto, porterà in riva al mare grandi virtuosi internazionali e giovani talenti (tra i quali i sei protagonisti del progetto di masterclass «Next Gen Concert», alla sua prima edizione), tutti impegnati in una ventina di appuntamenti che spaziano dal repertorio barocco all’opera lirica, dal musical al jazz.
«Musica, Immagine, Movimento» è il titolo scelto per questa edizione, realizzata con il sostegno del Ministero della Cultura e della Regione Liguria, che vuole raccontare le relazioni tra il mondo delle sette note, il cinema e le arti visive.

Da «Una sera a Hollywood» a «Musical my life», quando la musica incontra il grande schermo

Il programma musicale inizierà a Villa Marigola, storica residenza che ispirò l’arte simbolista di Arnold Böcklin, con «Una sera a Hollywood», durante la quale il baritono Rodney Earl Clarke e il soprano britannico Melinda Hughes, voce lirica specializzata anche nel cabaret degli anni ’20-’30, si esibiranno in un recital con musiche di Cole Porter, George Gershwin, Leonard Bernstein, Ennio Morricone e Nino Rota.
Il giorno successivo i riflettori si accenderanno, invece, alla Rotonda Vassallo, piazzale Liberty al centro di Lerici, che ospiterà l’Orchestra da Camera di Perugia con una rilettura in musica del romanzo «Il barone rampante» di Italo Calvino, la storia di un giovane nobile, residente in un immaginario paesino della Liguria di nome Ombrosa, che, in segno di protesta, decide di vivere sugli alberi per il resto della sua vita, senza mai più tornare a terra. In scena ci sarà anche l’attore e regista Francesco Bolo Rossini, protagonista, sempre con l’Orchestra da Camera di Perugia e nell’incantevole scenario della Rotonda del Vassallo, anche della rilettura musicale di «Fuga senza fine» (il 26 luglio), romanzo di Joseph Roth che narra la crisi identitaria dell’Europa negli anni tra i due conflitti mondiali, e di «Candide» (il 1° agosto), operetta comica in due atti di Leonard Bernstein basata sull’omonimo racconto di Voltaire.
Tra gli appuntamenti più attesi spicca, poi, una serata nella quale si rivivrà il fascino delle prime proiezioni cinematografiche, quando le immagini erano accompagnate dalla musica live: il pianista Paul Lay firmerà la sonorizzazione dal vivo del film comico «Sherlock Jr.» (il 1° agosto), noto in Italia come «La palla n. 13», capolavoro di e con Buster Keaton del 1924, una delle vette del cinema muto, inserito dal «Time» tra i cento migliori film di sempre.
La «settima arte» sarà protagonista anche della serata «La morte e la fanciulla» (30 luglio), durante la quale si ascolterà il «Quartetto per archi n. 14 in re minore, D. 810» di Franz Schubert, uno dei capolavori della musica da camera europea, il cui secondo movimento è stato utilizzato in diversi film – dall’omonima pellicola di Roman Polański a «Barry Lyndon» di Stanley Kubrick - per creare un’atmosfera di tensione e di inquietudine. Durante l'appuntamento sarà possibile ascoltare anche il Quartetto n. 3 di Dmitrij Sostakovic, artista di cui quest’anno ricorrono i cinquant’anni anni della scomparsa, e il raro Duo per viola e violoncello «con due paia di occhiali obbligati» WoO 32 di Beethoven, dedicato al barone Nikolaus Zmeskall.
Al mondo del cinema guardano anche due dei quattro appuntamenti che porteranno «Musica, Immagine, Movimento» fuori dalle mura di Lerici, nella vicina Sarzana. Nella cornice duecentesca della Fortezza Firmafede, la Filarmonica Toscanini, nel cinquantesimo della sua fondazione, presenterà - sotto la bacchetta di Michael Cousteau e con i solisti Andrea Cicalese (violino) e Alexey Zhilin (violoncello) - un omaggio a «They shall have music» (26 luglio), pellicola del 1939 conosciuta in Italia con il nome di «Armonie di gioventù», che vide sotto i riflettori la leggenda del violino Jascha Heifetz.
La stessa formazione sarà in scena anche con Pinchas Zukerman, tra i più grandi violinisti dei nostri tempi, qui sul podio nella doppia veste di solista e direttore, per eseguire il concerto di Mozart n. 5 K 219 e dirigere la sinfonia n. 7 di Beethoven, colonna sonora del film «Il discorso del re» (27 luglio), affiancato dalla violoncellista Amanda Forsyth.
L’artista canadese e Pinchas Zukerman saranno, inoltre, protagonista di «Amadeus» (28 luglio), un appuntamento con il Quartetto di Cremona, che renderà omaggio non solo al genio di Mozart, ma anche a Pëtr Il'ič Ciaikovskij con l’esecuzione del sestetto per archi «Souvenir de Florence».
Ritornando a Sarzana, nella Fortezza di Firmafede sarà possibile assistere anche all’esecuzione del rarissimo «Concerto n. 1 per violoncello e orchestra» di Nino Rota, celebre autore di indimenticabili colonne sonore per oltre centocinquanta film, che ha collaborato con registi come Luchino Visconti, Franco Zeffirelli, Federico Fellini e Francis Ford Coppola, con il quale ha vinto l’Oscar per le musiche del film «Il padrino – parte II». Sul palco salirà ancora una volta la Filarmonica Toscanini, diretta da Gianluca Marcianò, e con la violoncellista Miriam Prandi. Nella stessa serata (quella del 31 luglio) il pianista macedone Simon Trpčeski si confronterà con il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninov.
A chiudere il programma di Sarzana sarà «La tragedie de Carmen» (2 agosto), ovvero l’adattamento cameristico della celebre opéra-comique di Georges Bizet, di cui quest’anno ricorrono i centocinquanta anni dalla prima rappresentazione, la cui regia sarà firmata dal dissidente russo Dmitry Krimov. Sul palco salirà l’Orchestra del Lerici Music Festival, diretta da Gianluca Marcianò, con i cantanti lirici Leonardo Caimi, Enrico Di Geronimo, Melinda Hughes e Carmen Giannattasio, soprano internazionale già applaudito alla Scala, al Covent Garden e al Metropolitan, qui al debutto nel ruolo di Carmen.
Tra i luoghi del festival c’è anche, in quel di Lerici, la secolare Chiesa di San Francesco, in cui si venera un dipinto del 1480 salvato da una tempesta. In questo elegante contesto l’«Ensemble Mare Nostrum» – venti anni di attività festeggiati proprio nel 2025 – e le voci dei «Vache Baroque Singers», diretti da Andrea De Carlo, proporranno «A Midsummer Night’s Dream» (29 luglio), un concerto con musiche barocche di Alessandro Stradella e Henry Purcell. Mentre «Cantar per scherzo» (30 luglio), alla Rotonda Vassallo, è un omaggio al genio cinquecentesco di Orlando di Lasso, a cura di «Passi sparsi», formazione che proporrà l’ascolto delle «Villanelle», musiche popolari in lingua napoletana che raccontavano l’amore in modo rustico.
Non mancherà, poi, il tradizionale concerto all’alba (30 luglio), alla Marinella di San Terenzo, quest’anno con il violinista Andrea Cicalese e il fisarmonicista Antonio Del Castillo.
Completano il cartellone, nelle giornate del 3 e del 4 agosto, un recital pianistico di Matteo Cabras, un concerto con i giovani talenti di Opera for Peace, l’appuntamento lirico «Les Chemins de l’amour» e l’evento di chiusura, «Musical my life», con l’Hyperion Ensemble, seguito da un afterhour party con l’arpista Alexander Boldachev e la chitarra elettrica di Alexander Misko.

A Villa Marigolda una mostra sulle Fratture armoniche» di Arcangelo Sassolino

Per il secondo anno consecutivo, il «Lerici Music Festival» offre anche un focus sulle arti visive, a cura di Carlo Orsini e con la collaborazione della Galleria Continua. Dal 25 luglio all'8 agosto, Villa Marigola farà da scenario alla mostra «Fratture armoniche» di Arcangelo Sassolino (Vicenza, 1967), con una selezione di opere, tra installazioni e grafiche, che sviluppano il concetto di «intermedia» teorizzato da Dave Higgins, rappresentante del gruppo Fluxus, riflettendo – si legge nella nota stampa - sul «cortocircuito che si crea tra la percezione di una immagine in movimento tramite il suono e la potenza evocativa del suono nel generare un’immagine mentale».
L'esposizione, che prevede anche un ciclo di conversazioni a colazione, si apre con «Piccolo animismo», scultura «generatrice di forme» realizzata nel 2011 per il Macro di Roma e presentata a Venezia, nell’ambito della diciassettesima edizione della Biennale di architettura. «Una turbina soffia e aspira aria in un grande parallelepipedo composto da lastre di acciaio inossidabile, saldate tra loro. Un movimento ciclico d’immissione e sottrazione d’aria in pressione - si legge nella nota stampa -determina un’evidente alterazione del volume della struttura metallica, fino al raggiungimento della tensione massima, che si manifesta con un forte impatto sonoro, una sorta di tuono indotto artificialmente».
Al primo piano della villa trovano, invece, posto una selezione di dieci opere che approfondiscono il tema della percezione della tensione visiva e sonora attraverso l’accostamento di materiali opposti, quali gomma e ferro, carta e acciaio, vetro e pietra, come avviene nel lavoro «Sospensione della scelta» (2025).
Conclude il percorso espositivo una raccolta di opere grafiche, dal titolo «Azione / reazione» (2023), rappresentazione dell’esplosione della cera sulla carta. A proposito di quest’ultimo ciclo, Arcangelo Sassolino dichiara: «Ciò che cerco di catturare è il cambiamento di stato, quell’istante in cui una cosa diventa qualcos’altro, quell’energia e quel potere che esistono nel lampo di assoluta instabilità tra due momenti di equilibrio che sono il prima e il dopo».
Il continuo divenire della materia e il carattere imprevisto della creazione dominano, dunque, la scena, mostrando le similitudini tra l’arte e la musica classica, con le sue note immortali, che rivivono e si rinnovano, interpretazione dopo interpretazione, concerto dopo concerto.

Didascalie delle immagini
1. Cartolina promozionale del Lerici Music Festival; 2. Arcangelo Sassolino, Piccolo animismo 2011. stainless steel, turbine, PLC, cm h 300 x 400 x 200 / 118,1 x 157,4 x 78,7 in. Photo: Altrospazio Piccolo Animismo, MACRO, Rome 2011; 3. Arcangelo Sassolino, L’età dell’oro 2023, rubber and hydraulic piston, 62,5 x 50 x 29 cm. Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA. Photographer: Pamela Randon; 4 e 5. Arcangelo Sassolino, Geografie del conflitto 2024, marble and steel, 103 x 37 x 19 cm. Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA. Photographer: Pamela Randon; 6. Arcangelo Sassolino, Sospensione della scelta 2025. Glass, stone and steel, cm h 120 x 70 x 47 - archive n. AS-2025-019. photo: Pamela Randon; 7. Arcangelo Sassolino, Resistenza bianca 2023, paper, steel, 29,5 x 46,5 x 36,5 cm. Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA. Photographer: Pamela Randon; 8.Arcangelo Sassolino, Azione/reazione 2023, wax on paper, 31,7 x 31,7 cm. Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA. Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

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