ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 18 luglio 2012

Genova, tutti a bordo di una galea del Seicento

Vi piacerebbe scoprire tutti i segreti di una galea genovese del Seicento? Non vi resta che recarvi a Genova, al Galata Museo del mare, che, ad otto anni dalla sua riapertura, si rinnova e propone un inedito allestimento delle sale al primo piano, quelle dedicate all’età del remo nella città della Lanterna, negli anni tra il Cinquecento e il Settecento, tra la figura di Andrea Doria e il governo dei Dogi, che accompagnarono gli ultimi, faticosi, secoli della Repubblica.
Il nuovo percorso espositivo esprime bene la filosofia museale del Galata: una forte impostazione storica tesa alla divulgazione, un patrimonio di opere di grande pregio e un approccio scenografico, multimediale e interattivo per imparare toccando, muovendosi e interagendo con le installazioni. Il visitatore del Galata diventa così «visit-attore»: dopo aver esplorato l’arsenale, può salire a bordo della galea, fin sul ponte di voga, per esplorarne l’interno e scoprire la vita di bordo, vestendo i panni di un membro dell’equipaggio, scegliendo di essere uno schiavo, un forzato o un buonavoglia. Può interagire con personaggi tipici dell’epoca quali «aguzzini» e «papassi»; assistere all’animata discussione tra il senatore, il capitano e il maestro d’ascia e approfondire, nella «Ludoteca della Galea», alcuni aspetti della vita di bordo.
Prima di poter accedere alla galea, il visitatore come in una macchina del tempo, viene riportato indietro nello stesso luogo dove oggi sorge il Galata, nell’arsenale di Genova, nella prima metà del Seicento. Tre straordinarie opere originali -un modello di galea, un dipinto con il porto di Genova nel Seicento e l’opera raffigurante una battaglia tra galee imperiali e galee turche di De Wael- precedono l’ingresso nell’armeria della darsena. Qui, tra strutture di rovere e cancellate di ferro, sono esposte corazze, elmi, armi e cannoni originali.
Si entra, quindi, nell’area operativa dell’arsenale: lo scalo della galea in riparazione. Sovrastati dal suo grande sperone rosso, si viene avvolti dai suoni di un tempo: le grida dei maestri d’ascia e quelle dei calafati, il rumore degli attrezzi da lavoro.
Avvicinandosi sul lato sinistro della nave, si viene, dunque, richiamati da una delle persone a bordo che, prendendo il visitatore per uno dei tanti membri della ciurma, lo invita a salire e a chiarire la propria identità: «schiavo, forzato o buonavoglia?», visto che ognuno riceveva un trattamento diverso nonostante il comune compito di vogatori. Il visitatore può scegliere la propria categoria di appartenenza, attivando un dialogo con il maestro d’ascia, che introduce alla vita e al lavoro sulla galea.
Nello stesso tempo si può osservare l’interno della nave, percepirne gli spazi angusti e pieni di materiali: dalla camera delle vele alla «santabarbara», con i barilotti di polvere da sparo e le palle di pietra dei cannoni, dai barili dell’acqua ai sacchi di juta del «biscotto», la galletta, il principale alimento dei vogatori.
Da qui si sale al ponte di voga, attraverso una scaletta: come da un boccaporto, il visitatore vede i banchi di voga, la corsia, dove corrono gli «agozili» (aguzzini), che riempiono di bastonate i vogatori che non tengono il tempo, la «rembata» (da cui il verbo «arrembare»), dove stanno i soldati e le artiglierie. In particolare si può vedere una coppia di remi di galea e percepirne la grandezza e il peso (9 metri di lunghezza per oltre 100 kg l’uno). I remi, che rappresentano il vero motore della nave, sono stati realizzati dal maestro d’ascia Roberto Guzzardi, che li ha ricostruiti secondo documenti seicenteschi e con la consulenza del Corpo forestale dello Stato-Foreste casentinesi.
A questo punto del percorso, grazie a una postazione multimediale che rispecchia lo stile interattivo del museo, si può assistere all’animata discussione tra il senatore, il capitano e il maestro d’ascia. Il tema è antico, ma sempre attuale: la nave deve essere pronta eppure mancano i soldi per gli approvvigionamenti, e i fornitori si rifiutano di anticipare i materiali. Scene di una pubblica amministrazione in crisi, quale era quella genovese del XVII secolo, presa tra la volontà politica di potenza e le ristrettezze dei bilanci, situazione che partoriva trucchi ed escamotage per sopravvivere alla giornata.
Si scende, quindi, dal ponte alla camera poppiera. Qui il visitatore-galeotto incontra due figure molto importanti: l’«agozile» e il «papasso». Il primo, uno dei capi della ciurma, era una figura complessa: senza scrupoli nel tempestare di bastonate i rematori, viveva con loro, ne condivideva il destino e ne organizzava la giornata. L’altro era il capo della ciurma musulmana, poteva essere un imam, un cadì o comunque un esponente islamico di condizione, autorevole sui suoi compagni e in grado di opporsi e contrastare aguzzini, comiti e magistrati dell’arsenale.
Nella ludoteca (progetto curato da Costa edutainment), si può, invece, trovare risposta a tante domande: Come funzionava un cannone dell’epoca? Cosa si mangiava? Cosa si provava ad essere incatenati ai banchi di voga? Come funzionavano gli strumenti di navigazione dell’epoca?
Si sale, quindi, al primo piano, in un’area particolarmente ricca di fascino perché costruita intorno ai grandi pilastri dell’arsenale Nella galleria che si affaccia sulla galea, sono stati disposti i principali tesori del Galata relativi a quell’epoca: quadri di Agostino Tassi, di Lazzaro Calvi e dei fratelli De Wael, intervallati da rari reperti sopravvissuti come la cariatide poppiera, un’opera policroma settecentesca, e lo straordinario fanale che guidava le galee.
Le opere esposte al primo piano aiutano a percorrere un viaggio lungo alcuni secoli, tra gli inizi del ‘500 fino al secondo decennio del XIX secolo. È, infatti, nell’epoca post-napoleonica che, per l’ultima volta, compaiono le galee nell’arsenale di Genova, che dopo il Concilio di Vienna viene assegnato con i territori della vecchia repubblica al Regno di Sardegna. In quello che diviene l’arsenale della regia marina, i corpi delle galeotte e delle mezze galere, sono i resti anacronistici di un passato sempre più lontano. Le rivoluzioni hanno spazzato schiavi, forzati e buonavoglia; i musulmani sono tornati a casa, con le coccarde tricolore della rivoluzione, ma ai loro posti da vogatori sono andati i forzati, i renitenti alla leva, gli indisciplinati: la galea si è trasformata, definitivamente, in galera.


Didascalie delle immagini
[figg.1,2, 3 e 4] Immagini relative all'allestimento di una galea genovese seicentesca al Galata Museo del mare di Genova. Foto messe a disposizione dall'ufficio stampa di Costa edutainment. 


Informazioni utili 
Galata Museo del mare -Calata De Mari, 1  (Darsena, via Gramsci) – Genova. Orari: da novembre a febbraio: martedì–venerdì, ore 10.00–18.00 (ultimo ingresso, ore 16.30); sabato, domenica e festivi, ore 10.00–19.30 (ultimo ingresso 18.00); da marzo a ottobre: lunedì–domenica, ore 10.00 – 19.30 (ultimo ingresso 18.00). Ingresso: intero €   12,00, gruppi  € 9,00: militari, senior (sopra i 65 anni), disabili € 10,00; ragazzi 4–12 anni € 7,00; scuole € 5,50; bambini 0-3 anni, gratuito.  Sito web: www.galatamuseodelmare.it. 

martedì 17 luglio 2012

Varese, «Tre civette sul comò»...e i «nonni» vanno a teatro

«Ambarabà ciccì coccò / tre civette sul comò / che facevano l'amore / con la figlia del dottore»: inizia così una delle filastrocche per bambini più conosciute del nostro Paese. Questa cantilena, gioiosa e senza senso, ha colpito l'attenzione di diversi protagonisti del mondo della cultura italiana, da Umberto Eco, che ne ha tracciato l'analisi del testo in uno spassoso e paradossale saggio di semiotica, pubblicato nel volume «Il secondo diario minimo», a Nilla Pizzi, che, in coppia con Maria Teresa Ruta, ha cantato la canzone trash «Ambarabà», passando per Giuseppe Culicchia, Lucio Dalla e Vasco Rossi. Nemmeno il teatro è rimasto indifferente al fascino delle «tre civette sul comò». Questa vecchia conta, che secondo il linguista italiano Vermondo Brugnatelli ha origini latine e deriverebbe dall'espressione «hanc para ab hac quidquid quodquod» (traducibile in «ripara questa mano da quest'altra che fa la conta»), ha, infatti, suggestionato anche la fantasia dello scrittore e drammaturgo romano Romeo De Baggis, attuale direttore artistico dell'Atelier Carbonnel di Avignone. E' nato così il testo teatrale «Tre civette sul comò», portato in scena per la prima volta nel 1982 da Paola Borboni, Diana Dei e Rita Livesi, con la regia di Fabio Battistini, e rimasto in cartellone per ben tre anni.
La commedia brillante, sapiente mix tra comicità e nonsense, ritorna a calcare le assi del palcoscenico per iniziativa dell'associazione culturale «Educarte». Lo spettacolo sarà, infatti, al centro del progetto itinerante «Nonni a teatro», promosso dalla stessa associazione culturale «Educarte», con il patrocinio e il sostegno economico della Fondazione comunitaria del Varesotto onlus, che ha stanziato un contributo di 20mila euro nell’ambito del bando «Arte e Cultura 2012».
Cinque gli appuntamenti in cartellone nel mese di luglio, in occasione della prima fase di questa rassegna teatrale per gli anziani e le loro famiglie, che coinvolgerà, fino al prossimo ottobre, luoghi di interesse storico-artistico e case di riposo della provincia di Varese.
La tournèe prenderà il via venerdì 13 luglio, alle 21.15, dal teatro Sociale di Busto Arsizio. Farà, quindi, tappa a Samarate, al Giardino delle balaustre di Villa Montevecchio (venerdì 20 luglio, ore 21.30), a Besozzo, alla casa di riposo Villa Ronzoni della «Fondazione Giuseppe e Giulia Ronzoni» onlus (sabato 21 luglio, ore 21.15), a Busto Arsizio,  all'istituto «La Provvidenza» onlus (via San Giovanni, 3), e a Castellanza, nel cortile del Palazzo municipale (venerdì 27 luglio, ore 21.15).
Sotto i riflettori e sui “palchi” scelti dalle amministrazioni comunali che hanno deciso di aderire al progetto saliranno, per la regia di Delia Cajelli, gli attori Ambra Greta Cajelli, Gerry Franceschini e Anita Romano, con la stessa Delia Cajelli.
«Il progetto «Nonni a teatro» -raccontano dall'associazione culturale «Educarte»- intende utilizzare il linguaggio drammaturgico come strumento di comunicazione per contrastare l'isolamento della cosiddetta «terza e quarta età», soprattutto di quegli anziani che vivono lontano dalla propria famiglia o in casa di riposo. Lo spettacolo proposto ha, infatti, come scopo quello di creare, soprattutto per chi è avanti con gli anni, nuovi momenti di socialità, da condividere magari con figli e nipoti, ma vuole anche ‘regalare’ un momento di svago e di divertimento».
«Tre civette sul comò» è, in effetti, una commedia divertente. Non presenta azioni, ma solo dialoghi stralunati, al limite del demenziale. Protagoniste sono tre anziane sorelle, economicamente povere: l'eccentrica Agnese (Delia Cajelli), la cui follia è degna di uno dei migliori personaggi del cabaret; la premurosa e dolcemente svagata Virginia (Anita Romano), che -pur essendo cieca- riesce a sbrigare tutte le faccende domestiche; e la «futurista» Matilde (Gerry Franceschini), sempre alla ricerca di una eleganza nell'abbigliamento, che ormai non può più permettersi.
«Per evidenziare la dimensione "assurda" di questo personaggio, -spiega Delia Cajelli- la parte sarà attribuita a un uomo». Tale scelta rientra in quel filone di «teatro en travesti», molto in voga negli ultimi anni. Basti pensare alla compagnia de «I Legnanesi» o alle sorelle Marinetti. Ma si rifà anche a una nobile tradizione di teatro sperimentale, che ha i propri antecedenti in Sarah Bernhardt, attrice che più volte ha interpretato parti maschili, dall'«Amleto» di William Shakespeare all'«Aiglon» di Edmond Rostand. Una tradizione, questa, che, in tempi più recenti, ha portato sui palcoscenici italiani uno spettacolo come «Romeo e Giulietta - Nati sotto contraria stella» di Leo Muscato, interamente recitato da uomini, secondo il più autentico spirito elisabettiano, e nel quale la parte della giovane innamorata è stata affidata a un anziano attore comico, che «ha il tutù come una ballerina di Degas e le "alucce" come le bambine alle recite scolastiche, ma veste la maglietta della salute ed esibisce la barba bianca».
Le novità della rivisitazione proposta dalla regista Delia Cajelli non si, però, limitano all'omaggio al «teatro en travesti». Il testo di Romeo de Baggis è, infatti, stato arricchito da citazioni, musicali e non, della filastrocca «Ambarabà ciccì coccò», ma anche di un nuovo personaggio: la «gatta Achiropita della Magna Grecia» (Ambra Greta Cajelli), una micia calabrese, con la passione per le melanzane ripiene, che balla e canta sopra i tetti, aiuta l'anziana Matilde nelle sue cure di bellezza e sogna di raccontare le mirabolanti avventure che vive di notte con l'amico Moz in un libro. A ben guardare, con le «Tre civette sul comò» ce n’è proprio per tutti i gusti!

Didascalie delle immagini
[figg.1, 2, 3 e 4] Una scena dello spettacolo «Tre civette sul comò» di di Romeo de Baggis e Delia Cajelli, per la regia di Delia Cajelli e con gli attori del teatro Sociale di Busto Arsizio. Foto: Danilo Menato

Informazioni utili
«Nonni a teatro» - rassegna teatrale promossa dall’associazione culturale «Educarte», con il patrocinio e il sostegno economico della Fondazione comunitaria del Varesotto onlus. Spettacolo rappresentato: «Tre civette sul comò», resto di Romeo de Baggis e Delia Cajelli. Regia di Delia Cajelli con gli attori del teatro Sociale. Cast: Ambra Greta Cajelli (la gatta Achiropita), Delia Cajelli (Agnese), Gerry Franceschini (Matilde) e Anita Romano (Virginia). produzione associazione culturale «Educarte» - teatro Sociale di Busto Arsizio. 
Calendario appuntamenti di luglio
· venerdì 13 luglio 2012, ore 21.15 - Busto Arsizio, teatro Sociale - ingresso libero e gratuito – informazioni: Comune di Busto Arsizio - Ufficio Grandi Eventi, tel. 0331.390310 e tel. 0331.390266, grandieventi@comune.bustoarsizio.va.it [Lo spettacolo è promosso con la collaborazione dell'Amministrazione comunale di Busto Arsizio, nell'ambito di «BA Estate 2012»]
· venerdì 20 luglio 2012, ore 21.30 - Samarate, Giardino delle balaustre di Villa Montevecchio (via Lazzaretto) – ingresso libero e gratuito – informazioni: Assessorato alla Cultura, Comune di Samarate, tel. 0331.720526 [Lo spettacolo è promosso con la collaborazione dell'Amministrazione comunale di Samarate, nell'ambito della rassegna «Sipario d’Estate»]
· mercoledì 25 luglio 2012, ore 15.00 - Busto Arsizio, Istituto «La Provvidenza» onlus, via San Giovanni, 3 – ingresso libero e gratuito [Lo spettacolo è promosso in collaborazione con l’Istituto «La Provvidenza» onlus di Busto Arsizio]
• sabato 21 luglio 2012, ore 21.15 - Besozzo, Villa Ronzoni – Casa di riposo (via degli Orti, 14) – ingresso libero e gratuito – informazioni: Fondazione «Giuseppe e Giulia Ronzoni» onlus, tel. 0332.770216 [Lo spettacolo è promosso in collaborazione con la Casa di riposo - Fondazione Giuseppe e Giulia Ronzoni onlus]
venerdì 27 luglio 2012, ore 21.15 - Castellanza, cortile del Palazzo municipale (via Rimembranze, 4) - ingresso libero e gratuito – informazioni: Ufficio cultura – Comune di Castellanza, tel. 0331.526263, cultura@comune.castellanza.va.it [Lo spettacolo è promosso con la collaborazione dell'Amministrazione comunale di Castellanza, nell'ambito della rassegna «Incontri per le strade 2012»]

lunedì 16 luglio 2012

Perugia: da Canova a Thorvaldsen, tra le sale del «nuovo» Museo dell’Accademia di Belle arti

E’ una delle Accademia di Belle arti più antiche d’Italia. Fondata dal pittore Orazio Alfani e dall'architetto e matematico Raffaello Sozi nel 1573, come Accademia di Disegno, è seconda solo a quella fiorentina, nata una decina d’anni prima, nel 1562. Stiamo parlando della «Pietro Vannucci» di Perugia, ubicata, dal 1901, presso l'antico convento di San Francesco al Prato (accanto al celebre Oratorio di San Bernardino, opera dello scultore Agostino di Duccio). In questi spazi, a cominciare dal 1974, ha preso corpo e forma una ricca e preziosa collezione d’arte, oggi ordinata in tre sezioni: Gipsoteca (galleria dei gessi), Galleria dei dipinti e Gabinetto dei disegni e delle stampe.
Nel 1997, il forte sisma che colpi Umbria e Marche, lo stesso che danneggiò la volta di Cimabue nella Basilica superiore di Assisi, costrinse alla chiusura forzata del Museo dell’Accademia di Belle arti e allo sfollamento del suo prezioso patrimonio, che conta seicento gessi, quattrocento dipinti, dodici mila disegni e sei mila e trecento incisioni.
Dopo tre lustri di silenzio e di polvere, interrotti solo da qualche esposizione temporanea in altre sedi, le raccolte sono, da qualche giorno, tornate visibili al pubblico, grazie alla lungimiranza generosa della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, che ha interamente finanziato l'oneroso e complesso insieme dei costi.
Per l’occasione, il museo ha un nuovo e moderno allestimento, firmato dall’architetto Fabio Mongelli, con la collaborazione di Bardia Azizi e Alessandro Gori. Un allestimento, questo, che si avvale di colori e materiali di assoluta originalità, di un’esaustiva «premessa-promessa» all’ingresso, di «passeggiate tematiche» che mettono in relazione le opere selezionate e di un raffinato studio illuminotecnico, con sorgenti di led, a basso risparmio energetico, per una miglior visione possibile di quadri e sculture.
E’, così, un vero piacere poter passeggiare tra le sale del museo perugino, il cui ricco patrimonio artistico, con la sua incalzante sequenza di epoche e di stili, è il risultato non solo di donazioni di enti e di privati, ma soprattutto di lavori prodotti dagli accademici che, in qualità di studenti, docenti o collezionisti hanno voluto lasciare un segno tangibile del proprio attaccamento ai ‘colori’ della scuola.
Il primo nucleo della collezione è, infatti, nato contestualmente alla formazione dell'Accademia del Disegno, con la donazione dei calchi in gesso, eseguiti dal perugino Vincenzo Danti, nel 1573, delle sculture michelangiolesche che sottolineano i sarcofagi delle tombe medicee della Sacrestia nuova di San Lorenzo di Firenze: «Aurora», «Giorno», «Crepuscolo», «Notte».
Qualitativamente rilevanti sono le acquisizioni che si hanno tra Sette e Ottocento, sotto la direzione di Baldassarre Orsini, con il lascito del romano Carlo Labruzzi, che invia a Perugia il suo «Torso di Belvedere», e con l’arrivo, nel 1818, dell'imponente «Ercole Farnese», dono del Municipio di Perugia.
Il verbo classico continua a imporsi con la donazione del cardinale Ercole Consalvi, segretario di Stato della Santa Sede, che nel 1822, in segno di ringraziamento per la nomina ad Accademico di onore, dona il «Discobolo», la «Cerere», «Giove», «Urania» e il «Busto del Nilo».
Nel 1836, Francesco Guardabassi cede al museo il suo «Laocoonte». Datano, invece, agli anni Settanta dell’Ottocento l'acquisto dei calchi della cornice esterna per la porta del Paradiso nel Battistero di San Giovanni a Firenze, opera dello scultore Lorenzo Ghiberti, e quello dei calchi robbiani dell'«Assunzione», del «Presepio» e della «Madonna col Bambino», eredità del cavalier Silvestro Friggeri Boldrini. E’, infine, del 1895 l’acquisizione del calco di una porzione del fregio nord della cella del Partenone, conservato al British Museum di Londra.
Capolavoro e simbolo indiscusso della gipsoteca è il gruppo «Le Tre Grazie» di Antonio Canova (replica dell'opera eseguita per il duca di Bedford nel 1815), pervenuta per dono dell’autore nel 1822; dell’artista neoclassico sono anche altre opere donate, nel 1829, da monsignor Sartori e dal cavalier Stecchini: «Il Pugilatore Demosseno», «La danza dei figli di Alcinoo», «L'uccisione di Priamo», «La testa di cavallo per il monumento equestre di Carlo III di Borbone, re di Spagna», ideata nel 1807 e collocata a Napoli, in piazza del Plebiscito.
Nel 1823, la collezione della gipsoteca si arricchisce di un altro capolavoro: il «Pastorello» di Bertel Thorvaldsen, filologico e rigoroso esempio di imitazione dell'antico. Fra i dipinti spiccano, invece, l’«Autoritratto con pappagallo» di Mariano Guardabassi e quadri di Annibale Brugnoli, Domenico Bruschi, Armando Spadini, Mario Mafai, Alberto Burri e Gerardo Dottori: tante piccole perle di un museo che ritorna a far parlare di sé.

Didascalie delle immagini
[figg. 1, 2 e 3] Nuovo allestimento del Museo dell'Accademia di Belle arti di Perugia. © foto di Daniele Paparelli; [fig. 4] Antonio Canova (Possagno 1757 - Venezia 1821), «Le tre grazie»  (part.), 1815 - 1817. 76x100x60 cm; [fig. 5] Mariano Guardabassi (Perugia 1823 - 1880), «Autoritratto con pappagallo», 1855 c..Olio su tela, 88x72 cm.

Informazioni utili
Museo dell'Accademia di Belle arti, piazza San Francesco al Prato, 5 - Perugia. Orari: giovedì-domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.30-18.00. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel. 075.5730631. Sito web:www.museoabaperugia.com.