ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 3 dicembre 2012

«Be Hobo», quando la crisi finisce sul cartello

«Preparati anche tu a diventare povero… ma senza rinunciare al fashion»:è questo il claim, scelto dalla graphic-designer Jukuki, per presentare «Be Hobo», progetto nato da una riflessione su come i nuovi spettri che si aggirano per l’Europa, lo spread e il default, stiano condizionando, negativamente, la nostra vita.
La curiosa e provocatoria idea creativa, che debutterà sulla scena italiana domenica 9 dicembre a Pescara, nasce, dunque, dal timore per il futuro del nostro Paese, ma anche da una buona dose di cinica ironia. Se del domani non c’è certezza, si deve essere, infatti, detta l’artista abruzzese, è meglio prepararsi a una vita on the road, dotati di eleganti cartelli per mendicare, dallo sfondo colorato e dalla grafica accattivante, con slogan anticrisi di sicuro effetto come «Accetto anche coupon, sconti, benzina» o «Fashion victim attualmente in rosso».
Il progetto «Be Hobo», il cui nome deriva da quello dei disoccupati vagabondi americani, che scelgono la vita senza tetto per sete di libertà o perché ridotti alla fame, è stato trattato da Jukuki come un vero prodotto, lavorando sulla brandizzazione di accessori per elemosina e creando una campagna marketing sul Web, con tanto di sito Internet, pagina Facebook e profilo Twitter.
Nell’attesa di arricchirsi di una borsa con tutto il kit per l’apprendista mendicante e di una App per tablet, riservata a tutti quelli che si lamentano di essere caduti in miseria, ma non riescono a rinunciare al mondo 2.0, «Be Hobo» scende in piazza. Domenica 9 novembre, dal tardo pomeriggio a mezzanotte, un gruppo di ragazzi -giovani professionisti, scrittori, ambientalisti, tecnici, artigiani e studenti provenienti da tutta Italia- proporrà una vera e propria installazione vivente, dal titolo «So di non avere un futuro ma almeno a domani vorrei arrivarci», sfilando per le vie di Pescara, nella zona dello spazio «La Designeria» di via D’Annunzio, con cartelli e slogan come «La cultura non si compra. Però le tasse universitarie le pago», «Ho un lavoro, ma non arrivo a fine mese», «Pizza € 1,50, Pasta € 5,00, Niente € 0. Cosa mangio oggi? Scegli tu…Grazie e buon appetito».
Giovani choosy anche nel mendicare, dunque, con il progetto di Jukuki, giovane creativa, autrice di corti d'animazione presentati a manifestazioni come il Vitamine Festival di Bologna e il FlashFestival di Torino, che non si pone l'eterno quesito se si possa cambiare o meno la società attraverso l’arte, ma che invita tutti a guardare con occhio positivo al domani.
D'altronde, Albert Einstein insegna: «chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza».

Didascalie delle immagini
[figg. 1, 2, 3 e 4] Cartello per il progetto «Be Hobo» di Jukuki

Informazioni utili
«Be Hobo Day». LaDesigneria, via Gabriele D’Annunzio, 33 - Pescara. Domenica 9 dicembre 2012, dalle ore 16.00 a mezzanotte. Informazioni: cell. +39.3395205451 o info@behobo.it. Web site: www.behobo.it


venerdì 30 novembre 2012

I ‘guazzi’ geometrici di Manlio Rho

«La verità del pittore è l’inscindibile connessione e la fusione. Il suo vero realismo non consiste nelle luce, nell'aria, nell'acqua, nelle e pietre, nel cemento, nel rame, nel ferro. La massa vede tutti questi fenomeni particolari nel quadro: vede aria, pietra, acqua. Ma, in realtà, sulla tela non c'è che un solo materiale: il colore», scriveva Kazimir Malevic, teorico del Suprematismo e pioniere della pittura non-figurativa insieme con Wassily Kandinsky e Piet Mondrian.
La sua ricerca sulle potenzialità espressive della tavolozza cromatica, unita all’elaborazione di un linguaggio aniconico sui concetti della geometria e dell’ordine, diede vita alla corrente dell’astrattismo geometrico che, nei primi decenni del Novecento, trovò sodali in tutta Europa, come testimoniano il Neoplasticismo olandese, la Bauhaus tedesca e l’Abstraction-Création francese.
In Italia, i principi dell’arte non-figurativa di matrice geometrica ebbero una prima manifestazione pubblica nel 1934, quando a Milano, negli spazi della galleria «Il Milione», si tenne una mostra di Oreste Bigliardi, Virginio Ghiringhelli e Mauro Reggiani.
Contemporaneamente anche a Como si sviluppò un orizzonte di ricerca astratto-geometrica, probabilmente stimolato dalle architetture razionaliste realizzate nella città lombarda da Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni, autore di opere come il Monumento dei caduti (1931-1933) e la Casa del Fascio (1932-1936), importanti documenti del tempo insieme con la sede dei Canottieri Lario (1930-1931) di Gianni Mantero e la Fontana di Camerlata (1936) di Cesare Cattaneo e Mario Radice.
Questo modo di lavorare diventò subito un concreto punto di riferimento per il cosiddetto «Gruppo Como», indicando agli artisti la via del superamento di una concezione mimetica dell’arte in direzione di un linguaggio essenziale, privo di referenti legati alla realtà e radicato nei puri ritmi della forma, in rottura con il dilagante neonaturalismo e con l’emergente monumentalismo e in direzione chiaramente europea. I principali protagonisti di questa stagione pittorica furono Carlo Badiali, Aldo Galli, Mario Radice e Manlio Rho. Attorno a loro si riunì un gruppo di pittori locali interessato a percorrere la strada della geometria nell’arte, tra i quali Aristide Bianchi, Cordelia Cattaneo, Carla Prina ed Eligio Torno.
Fulcro di questo sodalizio astratto-razionalista, che nel 1942 assurse agli onori della cronaca grazie alla partecipazione alla Biennale di Venezia, fu Manlio Rho, protagonista in questi giorni di una personale alla Galleria Roberta Lietti di Como. La mostra, realizzata in collaborazione con la famiglia dell’artista, allinea una ventina di ‘guazzi’ (o nella forma francese gouache), databili tra il 1954 e il 1957, di varie dimensioni, in gran parte mai esposti. Si tratta di carte, ora dalla struttura compositiva geometrica ora dalla gestualità sorprendentemente dinamica, realizzate utilizzando un tipo di colore a tempera reso più pesante e opaco dall’aggiunta di un pigmento bianco, per esempio biacca o gesso, mescolato con la gomma arabica.
Il cromatismo di queste opere è, per usare le parole di Luciano Caramel, «limitato alle diverse luminosità di un unico valore, in contrasto con il Rho ‘classico’ delle scansioni limpide, fermamente ancorate ad una razionalità lucida».
Il rigore compositivo ha, come in molti dipinti, il pregio di non essere statico, ma vibrante. «Non ci si sente mai chiusi – scrisse, una decina di anni fa, Luigi Cavadini- dentro gli intrecci verticali-orizzontali della pittura di Manlio Rho o dei suoi disegni e certo quando compaiono le linee oblique il dinamismo assume un valore ancora più intrigante». Il rigore lascia così spazio all’immaginazione, ad «un gioco che quando riesce -per usare le parole di Fausto Melotti- è poesia».

Didascalie delle immagini 
[fig. 1] Manlio Rho, Composizione, 1955/1957. Pasta amido viola scuro su carta, 50 x 35 cm; [fig. 2]Manlio Rho, Composizione, 1955/1957. Pasta amido bruno su carta, 48,8 x 36 cm; [fig. 3] Manlio Rho,Composizione, 1957, 13. Tecnica mista su carta, 69,5 x 50cm

Informazioni utili 
Manlio Rho - 'Guazzi'.Roberta Lietti arte contemporanea, via Diaz, 3 - Como. Orari: martedì-sabato, ore 15.30-19.00, chiuso lunedì e festivi. Ingresso libero. Informazioni: info@robertalietti.com   tel. 031.242238 o info@robertalietti.com. Sito web: www.robertalietti.com. Fino al 20 dicembre 2012. 

mercoledì 28 novembre 2012

Fausto Melotti, l'arte della ceramica e il mito di Kore

«Io non amo molto la ceramica. E' una cosa anfibia e sotto sotto c'è sempre un piccolo imbroglio, perché non puoi sapere esattamente quello che fai. C'è un super-regista che è il fuoco, che ti monta alle spalle e alla fine dirige lui le operazioni. Per quanto tu faccia, alla fine una virgola ce la mette lui e questo a un artista darà sempre fastidio». Così nel 1974 Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986) raccontava in un'intervista ad «Harper's Bazar» il difficile rapporto con l'arte ceramica, un'attività alla quale egli si dedicò febbrilmente per oltre trent'anni, inizialmente ‘costretto’ dalle necessità economiche della famiglia più che da una reale passione.
Nacquero così oltre millecinquecento lavori scultorei e oggetti d'uso comune, che, una decina di anni fa, vennero raccolti in un catalogo ragionato edito da Skira editore, frutto di un lungo e difficile lavoro di ricerca e di schedatura promosso e finanziato dal Museo d'arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto e dall'Archivio Melotti di Milano per rendere finalmente accessibile ai più un segmento ancora poco conosciuto e studiato della produzione dello scultore trentino.
Dopo una prima fase artigianale, avviata nel 1943 per far fronte alle spese della ricostruzione del suo studio milanese raso al suolo dai bombardamenti americani, l’artista roveretano unì alla realizzazione di oggetti più commerciali, legati alle committenze, un lavoro di sperimentazione sui materiali e di invenzione di nuove forme.
Nacquero così -accanto a servizi da tè e caffè, piatti, cornici, lampade e campanelli (molti realizzati in collaborazione con Richard Ginori)- sculture dalle sfoglie leggerissime, quasi trasparenti, e dai colori brillanti e sontuosi.
A poco a poco, il Fausto Melotti artigiano se ne andò in pensione per lasciare il posto al Fausto Melotti «acrobata invisibile del ‘900», inventore di poetiche, musicali e aeree forme in ferro, acciaio, ottone e bronzo, nelle quali è concretamente visibile la totale avversione a quella che lo stesso artista definì in «Linee» (1981) come «lo stupido amore della materia».
Di sperimentazione in sperimentazione, la fantasia fanciullesca e la voglia di divertirsi, di prendersi gioco come un bambino bricconcello della realtà, portarono l'artista ad inventare anche quelli che il filosofo Massimo Carboni ha definito «oggetti-soglia», oggetti cioè che negano la loro funzione nel momento stesso in cui la propongono. Ecco così venire alla luce quel mondo onirico e fiabesco fatto di campanelli per la servitù tanto fragili da non essere suonati, di brocche con manici che non si possono impugnare, di tazzine di caffè tanto alte da non permettere al cucchiaino di toccare il fondo e di vasi sottili come ali di farfalla, così delicati da sembrare incapaci di sopportare anche il peso di un singolo fiore.
Tra le opere scultoree melottiane più celebri si annoverano i «Teatrini», che rivelano un gusto poverista ante-litteram, e le «korai», figure femminili lunghe e sottili, dalla semplicità arcaica, sulle quali sono impressi ornamenti vegetaliformi di ascendenza secessionista. Quest’ultime sculture sono al centro della mostra «Fausto Melotti. Dei misteri eleusini. Ceramiche e opere su carta 1948–1980», in programma alla galleria Repetto Projects di Milano, nei nuovi spazi di via Senato, inaugurati lo scorso settembre con una omaggio a Andy Warhol.
L’esposizione, che si avvale della consulenza dell’Archivio Melotti, raccoglie una trentina di opere, non solo Kore (la fanciulla del grano), ma anche ciotole in terracotta, vasi in ceramica, disegni e tecniche miste, selezionati da Carlo e Paolo Repetto.
Appassionato interprete dell'antica mitologia greca, Fausto Melotti coltivò sempre un amore particolare per i misteri eleusini: antichissimi riti religiosi, risalenti al periodo miceneo e sviluppatisi in tutta la grecità a partire dal VII secolo a.c., che erano legati al mito di Persefone-Kore, di sua madre Demetra, e di Ade, il signore del regno dei morti.
L’artista, con l’arte ceramica, ha saputo reinterpretare questa liturgia connessa allo scandirsi delle stagioni sulla terra, modellando la figura di Kore, in varie dimensioni e vari colori: dal bianco al nero, dal grigio all’azzurro, in una semplice e mirabile plasticità ricolma di rito, solennità, sacrificio, grazia.
Accanto a queste sculture sono esposti a Milano vasi stilizzati a colonna, arcaico simbolo di una fascinosa origine micenea, e ciotole di vari colori, «umili contenitori - si legge nella nota stampa- del kykeon (ciceone), il distillato cerimoniale a base di orzo (probabilmente molto vicino alla nostra birra) bevuto dagli iniziati del culto». Emerge dalla opere selezionate per la mostra milanese, come dall'intera produzione melottiana, la sensibilità di un animo votato alla poesia.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Fausto Melotti, «Kore», 1955. Ceramica smaltata. 

Informazioni utili
«Fausto Melotti. Dei misteri eleusini. Ceramiche e opere su carta 1948–1980». Galleria Repetto Projects, via Senato, 24 - Milano. Orari: martedì-sabato, ore 11.00-19.00, sabato su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.36590463, info@repettoprojects.com. Sito web: www.repettoprojects.com. Inaugurazione: giovedì 29 novembre, ore 18.00. Fino a sabato 22 dicembre 2012.