ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 19 dicembre 2017

Da Bonnard a Dufy: al Castello di Longiano un percorso tra i libri d’artista

Quattro capitoli di un unico viaggio alla scoperta del libro d’artista: si presenta così la mostra che la Fondazione Tito Balestra Onlus presenta negli spazi del Castello Malatestiano di Longiano. Pierre Bonnard, Raoul Dufy, Louis Marcouissis e Ossip Zadkine sono gli incisori selezionati per questo percorso, a cura di Giuseppe Appella, che vuole raccontare come la stagione creativa che ha aperto il XX secolo o lo ha attraversato si è approcciata a quella particolare forma d’arte nella quale segni e figure appaiono distribuiti a fianco delle parole.
Pierre Bonnard è presente in mostra con il romanzo di Octave Mirbeau (Trévières,1848 – Parigi, 1917), «Dingo», illustrato con cinquantacinque incisioni originali stampate dalla Ambroise Vollard Éditeur. Il grande mercante francese, che aveva saputo scegliersi gli artisti adatti al suo temperamento sensibile, raffinato e aperto a tutte le avventure estetiche, anche questa volta ha colto nel segno.
Il libro di Mirbeau, che seppellisce l’idea del vecchio romanzo legato a situazioni realistiche, si affida alla fantasia e mette in campo lo stesso autore, la sua attività di scrittore, la sua automobile Charron, il suo cane Dingo.
Bonnard affronta il libro di Mirbeau all’età di 58 anni, avendo alle spalle una lunga militanza nell’arte popolare e artigianale, fatta di mobili, ventagli, paraventi, ceramiche, scenari teatrali, e una accalorata frequentazione degli amici autodefinitisi Nabis, le cui prime prove furono viste al Salon des Indìpendants: parliamo di Denis, Sàrusier, Ibels, Ranson, Vuillard, Roussel, Vallotton e Maillol.
Bonnard si distingue subito, non solo per l’altezza, la magrezza e la poca espansività. Ranson gli dà un soprannome: Nabi japonarda, quasi a voler sottolineare l’audacia e la modestia ma anche la sottile tenerezza della sua pittura, lo stupore nell’esplorazione e nella trasfigurazione di vicinanze sconosciute: un semplice canestro di frutta, un cane, un bambino, la donna, un giardino, il bagno, la sala da pranzo. Tutto ciò che esprime disagio, avvilimento, emarginazione, lo attrae ed esalta il senso dell’incertezza, la passione per una animalità quasi primitiva, proprio quella che individua in Dingo e cerca di trasmettere attraverso un segno che scava nella verità del suo amico animale mentre supera ogni difficoltà tecnica che l’incisione gli mette davanti.
Raoul Dufy è, invece, presente in mostra con il libro «Aphorismes et Variétés» di Brillat-Savarin, autore considerato una sorta di «apostolo della gastronomia», che fu stampato in duecento copie su carta «Vélin de Rives».
L’esemplare esposto è il numero trentadue, destinato a monsieur Lionel de Taste.
Pur apparso in un periodo di ristrettezze e privazioni, come fu quello della guerra, il testo mira a glorificare le virtù della cucina francese attraverso testi come «L’omelette du Curé», «Les oeufs au jus», «Le plat d’anguille», «L’asperge», «Le poularde de Bresse» e «De la fondue», abbinati a commenti grafici di Dufy, intitolati «La Salle à manger du Curé», «La Boucherie», «Pêche en mer», «Le magasin de comestibles», «Le Paradis Terrestre».
Dufy non si preoccupa della ricostruzione storica e neppure dell’esattezza documentaria o della fedeltà ai testi. Per il piacere degli occhi e dello spirito, la sua evocazione libera e poetica esalta il godimento dei sensi, la gioia del palato, che la fisiologia del gusto elargisce a piene mani.
L’esposizione propone, poi, un confronto con il volume «Planches de Salut» di Louis Marcoussis, stampato da Roger Lacouriere in sessanta esemplari, che contiene incisioni all'acquaforte e al bulino realizzate da Louis Marcoussis per illustrare le poesie di Apollinaire, Baudelaire, Rimbaud, Holderlin, Shakespeare, Dostoyewski, Tzara, De Nerval e Jouhandeau.
A chiudere la mostra è, invece, l’omaggio a Ossip Zadkine che illustrò con dieci acqueforti il libro «Sept Calligrammes» di Guillaume Apollinaire. Qui segno e parola uniscono le forze per rendere la tenerezza dei ripetuti sguardi distesi sul corpo umano, contraddicendo le abitudini cubiste portate a distruggerne o a negarne la bellezza. Eleganza di gesti e di profili muove le figure femminili che definiscono, ancora una volta, i fattori che compongono la forma: la curva sostituisce la linea retta, la cavità le sporgenze, la luce l'ombra, fino a scavare ampie aperture nella massa compatta, a sovrapporre piani che alimentano molteplici punti di vista.
Scriveva Apollinaire, e Zadkine lo conferma con le sue immagini: «Per me un calligramma è un insieme di segno, disegno e pensiero. Esso rappresenta la via più corta per esprimere un concetto in termini materiali e per costringere l'occhio ad accettare una visione globale della parola scritta». Una bella riflessione, questa, che potrebbe fare da filo conduttore a tutta la mostra, nata dalla collaborazione con il Museo internazionale della grafica di Castronuovo di Sant'Andrea (Potenza) e che vede il patrocinio, tra gli altri, dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna.

Informazioni utili 
«Il libro d'artista, ovvero l'arte del libro. Quattro capolavori con incisioni di Pierre Bonnard, Raoul Dufy, Louis Marcouissis, Ossip Zadkine». Galleria d'arte moderna e contemporanea - Castello Malatestiano, piazza Malatestiana, 1 - 47020 Longiano (FC).Orari: dal martedì alla domenica e festivi, ore 10.00-12.00 e ore 15.00-19.00. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00 (over 65 anni, docenti, gruppi 10 persone min., convenzioni), ridotto speciale € 3,00, gratuito per under 13 anni accompagnati, disabili e accompagnatori, giornalisti, residenti nel Comune di Longiano; FTB card € 15,00 (ingresso per un anno alle mostre e alle collezioni). Informazioni: tel. 0547.665850|665420. Sito internet: www.fondazionetitobalestra.org. Fino al 31 gennaio 2018

lunedì 18 dicembre 2017

«Antinori Art Project», Stefano Arienti rilegge Giovanni della Robbia

È Stefano Arienti (Asola, 1961) il nuovo protagonista dell’«Antinori Art Project», piattaforma di ricerca, dedicata alle arti visive e agli artisti del nostro tempo, promossa dalla famiglia Antinori.
All’artista mantovano, uno dei più apprezzati italiani sulla scena internazionale, è stato commissionato un nuovo progetto nato per essere in dialogo con un capolavoro della storia dell’arte rinascimentale: la lunetta raffigurante «La resurrezione di Cristo», realizzata agli inizi del XVI secolo da Giovanni Della Robbia (Firenze, 1469 – 1529/30), su commissione di Nicolò di Tommaso Antinori.
L’opera, oggi proprietà del Museo di Brooklyn, è al centro di una mostra aperta fino al prossimo 8 aprile al Museo nazionale del Bargello di Firenze e ritorna a essere presentata al pubblico a seguito di un importante restauro sostenuto negli Stati Uniti dalla famiglia Antinori.
Il progetto di Stefano Arienti si articola in due opere distinte ma complementari che trasformeranno e si riappropriano in maniera diversa della famosa lunetta.
Al Bargello, in una sala attigua a quella della lunetta, sarà installata l’opera dal titolo «Scena Fissa», creando quindi un dialogo diretto tra arte rinascimentale e contemporanea, nella mostra «Da Brooklyn al Bargello: Giovanni della Robbia, la lunetta Antinori e Stefano Arienti».
In contemporanea, presso l’avveniristica cantina Antinori nel Chianti Classico sarà esposta una nuova installazione site-specific, «Altorilievo», che entrerà a far parte della collezione di famiglia, attualizzando e rendendo visibile il forte legame con la storia e la tradizione mecenatistica.
Stefano Arienti nella sua lunga carriera, si è spesso ispirato a immagini che fanno parte dell'iconografia della storia dell'arte per appropriarsene in un processo di riduzione e semplificazione.
Il suo lavoro prende le mosse da materiali, oggetti e immagini preesistenti - dai grandi artisti del passato fino alla cultura popolare - compiendo alterazioni di forma e traduzioni che ne modificano il significato in un processo creativo che guarda al passato senza giudizio, ma rivisitandolo e riappropriandosene in maniera personale quasi intima. Rielaborando materiali poveri come la carta, i libri e le immagini tratte da cartoline, poster o fotocopie, oppure materiali della cultura di massa come il polistirolo, la plastica, la plastilina, le stoffe, Arienti realizza opere che stupiscono lo spettatore, lo invitano a riflettere sul tema della meraviglia.
Questo atteggiamento riguarda il concetto di immagine nel suo complesso; come afferma l’artista: «viviamo in una specie di dittatura degli oggetti e di conseguenza delle immagini, e potrebbe sembrare che esse debbano solo essere consumate; invece possiamo tranquillamente entrare all’interno di esse, produrne di nuove e farle vivere diversamente, rendendole indipendenti dal passato ma anche da noi stessi».
Nel doppio intervento di Stefano Arienti, al Museo del Bargello e alla Cantina Antinori nel Chianti Classico, gli elementi compositivi di questa lunetta verranno isolati e distribuiti nello spazio, per acquisire un’indipendenza formale e una nuova narrativa.
In questo caso, infatti, l’artista è partito dallo studio del risultato del restauro dell’opera, dove le varie parti che formano la composizione non sono state saldate o incollate insieme come erano originariamente ma lasciate volutamente separate: i quarantasei elementi sono in vista e mantengono una loro forte identità nella rappresentazione finale con giochi di scala e prospettive inaspettate.
Il lavoro al Museo del Bargello sarà realizzato su supporto bidimensionale, una pittura ad inchiostro metallico, oro o rame, su telo antipolvere bianco da cantiere, raffigurerà i personaggi che compaiono nella lunetta ma aumentati leggermente in dimensione sino ad arrivare ad una scala quasi reale, 1:1.
L’allestimento che occuperà le tre pareti della stanza dedicata a Stefano Arienti, avrà caratteristiche simili a quelle della sala in cui sarà esposta la Lunetta, comunicante con essa, in modo da non modificare la percezione dello spettatore che passando da una stanza all’altra potrà facilmente leggere i tratti di continuità delle due opere e di traduzione di una nell’altra.
Queste sinopie strappate mostrano la modernità compositiva e formale del capolavoro tardo rinascimentale, la bicromia così come la bidimensionalità delle figure portano la linea del disegno ad emergere.
«Altorilievo», nato per la Vinsataia della cantina Antinori nel Chianti Classico, si articola come la scomposizione di un alto-rilievo scultoreo, in cui le figure della lunetta, sempre monocrome, vengono riproposte nelle quarantasei campiture strutturali del capolavoro di della Robbia, in una rinnovata distribuzione spaziale delle figure, capace di trasformare l’impianto narrativo della lunetta e ponendo l’osservatore all’interno della scena e assegnandogli un ruolo attivo nella fruizione dell’opera.
L’opera, disegnata sempre su teli antipolvere, assumerà una tridimensionalità quasi marmorea, che permetterà all’artista di ricreare uno spessore simile a quella dell’opera originale realizzata in terracotta invetriata, liberando i personaggi dalla posizione impostagli dalla storia e tessendo così una nuova trama.
L’allestimento spinge il pubblico ad una lettura più dinamica e personale del capolavoro restaurato, offrendo la possibilità di un percorso di ricerca in cui le immagini sono sottoposte a infinite variazioni, e dove lo spettatore è coinvolto in un processo mentale indipendente, critico e consapevole.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] La Resurrezione di Cristo. Giovanni della Robbia. XVI Secolo. Terracotta Invetriata. PHCourtesy of Brooklyn Museum; [fig.2 ] Stefano Arienti © Edoardo Sardano; [fig. 3]  La Resurrezione di Cristo. Giovanni della Robbia. XVI Secolo. Terracotta Invetriata. PHCourtesy of Brooklyn Museum; [fig. 4] Il Cristo - Inchiostro metallico su telo antipolvere Stefano Arienti, 2017 © Edoardo Sardano 

Informazioni utili
www.bargellomusei.beniculturali.it

domenica 17 dicembre 2017

«Da un capo all’altro», a Pistoia una mostra interattiva sul viaggio

Una mostra interattiva sul tema del viaggio che crea un ponte tra due città, Pistoia e Matera, chiamate a interrogarsi sulla propria identità culturale. Si presenta così «Da un capo all’altro, ovvero nuovo atlante mobile di abitografia umana», mostra presentata dal Funaro e dal Comune di Pistoia per «Pistoia Capitale italiana della cultura 2017», in coproduzione con la Fondazione Matera Basilicata 2019, ente incaricato di curare «Matera Capitale europea della cultura 2019», e in collaborazione con il Polo museale regionale della Basilicata.
L’esposizione, a cura dell’associazione «La luna al guinzaglio» di Potenza, si terrà in luogo speciale di Pistoia, normalmente non accessibile perché oggi proprietà privata. Lungo Via Curtatone e Montanara, tra Vicolo degli Armonici e Piazzetta Mergugliese, sorge la sede dell’Accademia degli Armonici, circolo ricreativo per nobili e intellettuali, fondato nel 1785. Il primo nucleo, l’ex chiesa di Sant’Anna, conosciuta come S. Niccolao (già S. Maria in Torre), venne acquistato nel 1789 poi ampliato tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo con alcuni vani del Palazzo delle Potesterie, prospiciente Piazza dello Spirito Santo e appartenuto alla soppressa Opera di S. Jacopo. Il nome con cui viene spesso citata, «Le Stanze», deriva dalla sua organizzazione interna: una serie di vani tra loro comunicanti, ove veniva organizzato il gioco da tavolo o il biliardo e la lettura, sviluppati attorno ad un unico salone centrale, sede delle serate danzanti o dei saggi della Scuola di musica Mabellini, che qui ebbe la sede per alcuni anni dopo il 1850. L’aspetto attuale dell’edificio è frutto di un restauro completo voluto dagli Accademici, secondo stilemi di gusto neoclassico.
Il pubblico di questa mostra è chiamato ad attraversare arcipelaghi fatti di comodini, cassettiere ed armadi che custodiscono più di trecento abiti blu donati dalle persone. Quattro sono gli arcipelaghi/mobili da attraversare e ognuno è dedicato a una fase del viaggio: «Da lontano», «Corpo a corpo con i luoghi», «La risacca del ricordo» e «La comprensione».
Per poter passare da un arcipelago all’altro bisogna aprire ante e cassetti e, leggendo le etichette che li accompagnano, interagire con gli abiti in essi custoditi, per vivere stupori, piccole meraviglie e accedere a micro mondi poetici che raccontano la bellezza dell’Altro e dell’Altrove.
Alla fine del percorso i viaggiatori potranno timbrare la propria carta di viaggio (fornita all’ingresso).
Chi partecipa è invitato ad attraversare con i suoi sensi la «geografia» del vestito, osservandolo, infilando la mano in una tasca oppure aprendo una zip, sbottonando un bottone, guardando in un cappuccio.
Attraverso azioni così familiari e quotidiane i capi «si attivano»: luci, suoni, venti, illusioni ottiche che raccontano il fascino, la paura, la voglia, lo stupore del viaggio, le emozioni e le sensazioni che tutti i corpi in transito hanno provato almeno una volta nella vita.
Ogni abito si manifesta come un raccoglitore di esperienze, una tessitura tra luoghi, uomini e culture.
«Da un capo all’altro» invita a mettersi in relazione con i vestiti utilizzando paradossalmente l’intimità dell’arredo domestico e dell’abbigliamento, per parlare dell’esperienza del viaggio, quella che più di tutte mette l’uomo in dialogo con l'Altro.
In questo capovolgimento, gli abiti danno vita a dei mondi interattivi poetici, intimi e delicati, divertenti e dinamici, vestendo nuove ed inedite trame di senso. Allo stesso modo, i mobili sono realmente mobili: perdono la loro fissità e si circumnavigano a tutto tondo come isole nello spazio espositivo, avendo la particolarità di poter essere aperti ed esplorabili da più lati.
La mostra offre, inoltre, spunti per l’approfondimento scientifico, dando la possibilità di indagare il corpo umano in maniera interattiva. Questo è possibile grazie a una app, che dà accesso ai contenuti speciali denominati «Scampoli di scienza e geografia».
Puntando il proprio smartphone su alcuni abiti ed inquadrando le costellazioni ricamate su di essi, è possibile fare un viaggio nel mondo attraverso le parti del corpo e sotto un cielo di costellazioni immaginarie dedicate ad oggetti quotidiani: l’abito con la «costellazione della collana» racconta, ad esempio, come è fatto e a cosa serve il collo e ci porta poi in Thailandia tra le donne Kaian, la «costellazione del pallone» racconta curiosità sui muscoli delle gambe facendoci viaggiare nell’antica Grecia e i suoi Giochi Olimpici.
La mostra «Da un capo all'altro» è l'esito di un percorso che, partendo dai grandi temi del dossier di candidatura di Matera 2019, ha voluto esplorare argomenti universali come il viaggio, ma anche difficili come quelli dell’emigrazione.

Informazioni utili 
«Da un capo all’altro, ovvero nuovo atlante mobile di abitografia umana». Le Stanze, via Curtatone e Montanara, 14 – Pistoia. Orari: da martedì a venerdì, ore 16.30 - 19.30; sabato e festivi, ore 10.00 - 13.00 e ore 16.30 - 19.30; chiuso il lunedì e nelle giornate del 23, del 27 dicembre e del 1° gennaio. Ingresso libero. Informazioni: cell. 347.9315416. Sito internet: www.dauncapoallaltro.eu. Fino al 7 gennaio 2018.