È una mostra diffusa che parte dalla Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale per estendersi all’intera città di Milano quella curata da Elena Pontiggia in occasione del ventennale della scomparsa di Alik Cavaliere (Roma 1926 - Milano 1998), artista fra i maggiori della scultura italiana del secondo Novecento. L’antologica, in programma dal 27 giugno al 9 settembre, intende ricostruire l’intero percorso dell’artista, soffermandosi sul tema della natura.
A Palazzo Reale verranno esposti lavori che mettono in luce le diverse fasi e tematiche dell’artista, dalle monumentali «Metamorfosi» dei tardi anni Cinquanta all’innovativo personaggio «Gustavo B.» dei primi anni Sessanta, protagonista di un racconto composito sulle tante esperienze dell’uomo del tempo, accostato a «Bimecus», una valigetta fai da te contenente elementi in bronzo e legno, un tempo componibili anche dall’osservatore per entrare in sintonia con l’autore.
Sarà, inoltre, possibile vedere capolavori di straordinaria bellezza come «Quae moveant animum res. Omaggio a Magritte» e il famoso «Monumento alla mela,» entrambi del 1963; in particolare in questi due lavori l’artista riprende da Magritte il tema della mela al quale associa il pensiero di Lucrezio secondo cui la mente umana genera immagini anche irreali e la natura è vista come un ciclo infinito di nascita e morte. Dello stesso periodo verranno, poi, esposte «Tibi suavis dedala tellus submittit. La terra feconda di frutti» e «Il tempo muta la natura delle cose», esposte nel 1964 in una sala personale alla Biennale di Venezia.
La mostra si soffermerà, inoltre, su un tema ricorrente nella poetica dell’artista, la gabbia, quale simbolo dei limiti e delle costrizioni che incombono sull’uomo. Una condizione, questa, ben rappresentata in «E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce» (1967) e approfondita nei numerosi lavori successivi dal titolo «W la libertà», in cui gli elementi naturali, imprigionati all’interno di rigide forme geometriche, tentano invano di evadere. Come afferma lo scultore: «La gabbia era un senso di oppressione di qualche cosa a cui non riusciamo a sfuggire. Ho anche imprigionato ricordi, memorie, cose che si erano perdute. La natura fioriva all’esterno di questa gabbia».
Di grande rilievo tra le opere scelte per l’antologica milanese sono sculture monumentali come lo spettacolare «Albero per Adriana» (1970) e «Mezzo albero» (1971). A chiudere il percorso sarà, invece, un’installazione degli anni Novanta: «Grande pianta Dafne» (cm 450x410x400). L’opera, riprendendo il mito di Apollo e Dafne narrato nelle «Metamorfosi» di Ovidio, ritrae la figura femminile avvolta da un intrico di rami e allude al legame simbiotico tra l’uomo e il mondo naturale.
L’esposizione nella Sala delle Cariatidi rivelerà così che l’artista ha anticipato di decenni problematiche e sensibilità che oggi sentiamo come nevralgiche, come il tema della natura, nei suoi aspetti di rigoglio e sofferenza, espansione e costrizione. Commenta a tale proposito Elena Pontiggia: «Nessun artista, nella scultura del Novecento, ha scolpito il mondo della vegetazione e, per essere più precisi, l’universo verde delle foglie, dei frutti, dei cespugli, degli arbusti, degli alberi, come Alik Cavaliere».
Quello in mostra è un lavoro in cui le tante fonti di ispirazione artistica - da De Chirico a Magritte, da Giacometti a Duchamp, dall’informale alla Pop Art all’arte concettuale, senza escludere qualche reminiscenza Liberty, pur reinterpretata con accenti insieme più ironici e più allarmati - si caricano di tante suggestioni poetiche e filosofiche con riferimenti a Lucrezio, Campanella, Petrarca, Leopardi, Giordano Bruno, Spinoza, Shakespeare, Rousseau, Ariosto, dando vita a opere ricche di significato, ma mai letterarie o meramente contenutistiche. Nell’ arte di Alik Cavaliere le domande esistenziali si mescolano al gioco dada, la precisione della forma di ascendenza surrealista si alterna alla libertà della materia di derivazione informale, il senso artigianale della scultura convive con l’operazione concettuale, generando opere tra le più singolari e le meno inquadrabili del nostro panorama espressivo.
Accanto al nucleo centrale di Palazzo Reale, la mostra propone focus specifici in altre cinque sedi.
Il Museo del Novecento ospiterà il ciclo «Le avventure di Gustavo B.», a partire da «Il Signor G.B. si innamora», opera acquisita dalle civiche raccolte nel 1984, in occasione dell’apertura del Cimac. In mostra saranno presentate al pubblico altre quattro sculture e un dipinto della medesima serie ideate dall’artista tra il 1960 e il 1963, dedicate alle vicende surreali dell’immaginario signor Gustavo B., in qualche modo alter ego dell’artista.
Palazzo Litta accoglierà l’opera «E sarà sempre di tutti quelli che credono con la loro arte di defraudare la natura» (1967) nel giardino interno al Cortile d’onore, mentre alle Gallerie d’Italia sarà ospitata la scultura «W la libertà» (1976-77), che riprende il tema delle piante rinchiuse nelle gabbie. L’Università Bocconi porrà, invece, l’accento sulle incisioni originali «Attraversare il tempo», realizzate a quattro mani con Vincenzo Ferrari; e, infine, il Centro artistico Alik Cavaliere offre un’ampia raccolta di lavori di piccole e grandi dimensioni, esposti sia all’interno, sia nel giardino.
La mostra, a ingresso gratuito, si inserisce nel percorso con il quale Palazzo Reale, per il terzo anno consecutivo, esplora nella programmazione estiva l’arte contemporanea, rafforzando quest’anno la proposta con la collaborazione del Museo del Novecento e presentando così alla città quattro artisti per raccontare la creatività dei nostri tempi: Agostino Bonalumi, Alik Cavaliere e Pino Pinelli a Palazzo Reale, Agostino Ferrari al Museo del Novecento.
Informazioni utili
Alik Cavaliere. L’universo verde. Le sedi: Palazzo Reale - Sala delle Cariatidi e Giardinetto, Piazza Duomo 12 – Milano. Ingresso libero. Orari: lunedì, ore 14:30 - 19:30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica, ore 9:30 - 19:30; giovedì e sabato, ore 9:30 - 22:30; Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Internet: www.palazzorealemilano.it. | Museo del Novecento, piazza Duomo, 8 - Milano. Ingresso incluso nel biglietto del museo. Prima domenica del mese gratuito. Orari: lunedì, ore 14:30 - 19:30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica, ore 9:30 - 19:30; giovedì e sabato, ore 9:30 - 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Internet: www.museodelnovecento.org | Palazzo Litta, Corso Magenta, 24 - Milano. Ingresso libero. Orari: da lunedì a venerdì, ore 9.30 - 18.30. Internet: www.palazzolittacultura.org | Gallerie d’Italia, piazza della Scala, 6 - Milano. Ingresso gratuito fino al 19 agosto 2018. Dal 21 agosto 2018: tariffe consultabili sul sito. Orari: da martedì a domenica, ore 9.30 - 19.30 (ultimo ingresso ore 18.30); giovedì, ore 9.30 - 22.30 (ultimo ingresso ore 21.30); lunedì chiuso. Internet: www.gallerieditalia.com | Università Bocconi, via Sarfatti, 25 - Milano. Ingresso libero. Orari: da lunedì a venerdì, ore 9.00 - 14.00; chiuso dal 4 al 19 agosto. Dal 27 giugno al 9 settembre 2018.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
sabato 23 giugno 2018
giovedì 21 giugno 2018
Ad Arezzo i cavalli di Gustavo Aceves
È una mostra itinerante quella che Gustavo Aceves (Città del Messico, 1957), artista messicano che oggi vive e lavora a Pietrasanta, propone ad Arezzo.
Oltre duecento opere distribuite in cinque sedi espositive compongono il percorso della mostra «Lapidarium: dalla parte dei vinti», una delle tappe fondamentali del suggestivo progetto a cui l’artista sta lavorando dal 2014. San Francesco, la sala Sant’Ignazio, il sagrato del Duomo, piazza Vasari e la fortezza Medicea sono le sedi scelte per questa riflessione sui concetti di viaggio e di migrazione. Con le sculture esposte realizzate con materiali tra i più vari come pietra, bronzo, resina e legno, solo per fare qualche esempio, Aceves intende ricreare idealmente le peregrinazioni della «Quadriga di San Marco», opera che l’artista messicano, appena ventenne ebbe modo di ammirare nella sua Città del Messico, restandone folgorato. Erano gli anni ’70 e prima di essere musealizzati, quegli antichissimi cavalli bronzei provenienti da Costantinopoli, percorrevano un ultimo giro attorno al mondo, che avrebbe messo fine alla serie di migrazioni delle quali, sin dal XIII secolo, erano stati protagonisti.
Da lì è nata l’idea di dare vita a un’opera che potesse ripercorrere lo stesso itinerario fatto dalla «Quadriga di San Marco»: il Lapidarium di Aceves propone così statue dedicate al cavallo, simbolo che evoca il movimento, lo spostamento.
Come nei classici lapidari museali, dove sono conservati frammenti di opere antiche con cui ricostruire la storia, anche l’opera dell’artista messicano è caratterizzata dal «frammento», elemento attraverso il quale ciascuno può recuperare le radici della propria storia.
Il viaggio dei cavalli di Aceves è il viaggio dei popoli migranti, una tema di grande attualità, ma che in assoluto caratterizza ciclicamente l’intera storia dell’umanità. I suoi cavalli itineranti sono mutilati, scheletrici, sopravvissuti: una sorta di monumento equestre inverso, dedicato non ai vincitori ma ai vinti, agli antieroi di ieri, di oggi, di sempre.
Non mancano, poi, i motivi per i quali la mostra «Lapidarium: dalla parte dei vinti» trova una sede privilegiata nella città di Arezzo, il cui simbolo araldico è un cavallo e che ai cavalli affida la celebrazione della sua festa più importante: la Giostra del Saracino. Inoltre alla «Quadriga di San Marco» si legano due episodi importanti: nel 1364, fu l’aretino Francesco Petrarca, ospite d’onore ai festeggiamenti per la sottomissione di Candia alla Repubblica di Venezia, a dare annuncio dell’avvenuto trasferimento del gruppo equestre alla corte dei dogi veneziani. Infine la quadriga ha un rimando immediato a Costantino, figura importante per il percorso umano e intellettuale dello scultore messicano, la cui storia trova nella città toscana la propria consacrazione nel racconto affrescato da Piero della Francesca.
Arezzo offre, dunque, un motivo in più in questi giorni per perdersi tra le sue strade del centro storico: andare alla ricerca dei cavalli mutilati di Aceves, artista che ha già portato il suo progetto in città come Berlino, Roma, Istanbul, Parigi e Venezia con l’intento di evocare, con i suoi scheletri di galeoni spagnoli, il viaggio dei barconi naufragati nelle acque del Mar Mediterraneo, raccontando così gli antieroi di ieri, di oggi, di sempre.
Informazioni utili
«Lapidarium: dalla parte dei vinti» ad Arezzo. Sedi espositive: San Francesco | Sala Sant’Ignazio | Sagrato del Duomo | Piazza Vasari | Fortezza Medicea . Orari: dalle ore 10.00 alle ore 19.00; giorno di chiusura: lunedì. Ingresso: € 3,00; accesso gratuito per i minori di 12 anni; i biglietti sono acquistabili presso le sedi espositive di Sant’Ignazio e Fortezza Medicea oppure presso l’Info Point di Piazza della Libertà, 1. Informazioni: tel. 0575.356203. Sito internet: www.arezzoaceves.wordpress.com. Dal 16 giugno al 14 ottobre 2018.
Oltre duecento opere distribuite in cinque sedi espositive compongono il percorso della mostra «Lapidarium: dalla parte dei vinti», una delle tappe fondamentali del suggestivo progetto a cui l’artista sta lavorando dal 2014. San Francesco, la sala Sant’Ignazio, il sagrato del Duomo, piazza Vasari e la fortezza Medicea sono le sedi scelte per questa riflessione sui concetti di viaggio e di migrazione.
Da lì è nata l’idea di dare vita a un’opera che potesse ripercorrere lo stesso itinerario fatto dalla «Quadriga di San Marco»: il Lapidarium di Aceves propone così statue dedicate al cavallo, simbolo che evoca il movimento, lo spostamento.
Come nei classici lapidari museali, dove sono conservati frammenti di opere antiche con cui ricostruire la storia, anche l’opera dell’artista messicano è caratterizzata dal «frammento», elemento attraverso il quale ciascuno può recuperare le radici della propria storia.
Il viaggio dei cavalli di Aceves è il viaggio dei popoli migranti, una tema di grande attualità, ma che in assoluto caratterizza ciclicamente l’intera storia dell’umanità. I suoi cavalli itineranti sono mutilati, scheletrici, sopravvissuti: una sorta di monumento equestre inverso, dedicato non ai vincitori ma ai vinti, agli antieroi di ieri, di oggi, di sempre.
Non mancano, poi, i motivi per i quali la mostra «Lapidarium: dalla parte dei vinti» trova una sede privilegiata nella città di Arezzo, il cui simbolo araldico è un cavallo e che ai cavalli affida la celebrazione della sua festa più importante: la Giostra del Saracino. Inoltre alla «Quadriga di San Marco» si legano due episodi importanti: nel 1364, fu l’aretino Francesco Petrarca, ospite d’onore ai festeggiamenti per la sottomissione di Candia alla Repubblica di Venezia, a dare annuncio dell’avvenuto trasferimento del gruppo equestre alla corte dei dogi veneziani. Infine la quadriga ha un rimando immediato a Costantino, figura importante per il percorso umano e intellettuale dello scultore messicano, la cui storia trova nella città toscana la propria consacrazione nel racconto affrescato da Piero della Francesca.
Arezzo offre, dunque, un motivo in più in questi giorni per perdersi tra le sue strade del centro storico: andare alla ricerca dei cavalli mutilati di Aceves, artista che ha già portato il suo progetto in città come Berlino, Roma, Istanbul, Parigi e Venezia con l’intento di evocare, con i suoi scheletri di galeoni spagnoli, il viaggio dei barconi naufragati nelle acque del Mar Mediterraneo, raccontando così gli antieroi di ieri, di oggi, di sempre.
Informazioni utili
«Lapidarium: dalla parte dei vinti» ad Arezzo. Sedi espositive: San Francesco | Sala Sant’Ignazio | Sagrato del Duomo | Piazza Vasari | Fortezza Medicea . Orari: dalle ore 10.00 alle ore 19.00; giorno di chiusura: lunedì. Ingresso: € 3,00; accesso gratuito per i minori di 12 anni; i biglietti sono acquistabili presso le sedi espositive di Sant’Ignazio e Fortezza Medicea oppure presso l’Info Point di Piazza della Libertà, 1. Informazioni: tel. 0575.356203. Sito internet: www.arezzoaceves.wordpress.com. Dal 16 giugno al 14 ottobre 2018.
martedì 19 giugno 2018
Caserta, Marco Lodola e Giovanna Fra dialogano con la Reggia e la sua storia
Passato e presente si incontrano nelle sale della Reggia di Caserta grazie al progetto espositivo «Marco Lodola – Giovanna Fra. Tempus – Time», che vede la curatela di Luca Beatrice e l’organizzazione di Mary Farina e Augusto Ozzella, con la collaborazione della galleria Deodato Arte.
«La mostra -sottolinea Mauro Felicori, direttore dell’istituzione napoletana- si inserisce nell’importante storia del rapporto che il museo ha avuto con l’arte contemporanea e con la variegata polifonia dei suoi linguaggi, un dialogo lungo e intenso che si è rinnovato costantemente nel corso degli anni nel confronto continuo e forte, sentito tra epoche e stili, che rende sempre attiva e feconda la vita di uno spazio museale così significativo».
Il titolo della mostra, allestita fino al prossimo 15 settembre, è un voluto riferimento al trait d’union che Marco Lodola e Giovanna Fra, grazie alle loro opere, creano fra il Tempus, la dimensione temporale legata all’antichità, al classico, alla storica sede espositiva, e il Time, sintesi del mondo contemporaneo.
Il percorso espositivo -del quale rimarrà documentazione in un catalogo di Skira editore, con testi, tra gli altri, di Renzo Arbore, Jovannotti e Piero Chiambretti, ma anche di critici quali Achille Bonito Oliva, Philippe Daverio, Gillo Dorfles, Martina Corgnati e Vittorio Sgarbi- si compone di una selezione di opere dei due artisti, che dall’ingresso si snoda negli spazi interni, nel parco reale, fino ad arrivare agli appartamenti del piano nobile.
L’immenso parco della sontuosa villa, nel raggio di un chilometro, è punteggiato da oltre venti monumentali sculture luminose di Marco Lodola, che rappresentano alcuni dei suoi soggetti tipici, uomini e donne, ballerini, danzatrici, animali, figure reali e immaginarie, che metaforicamente partecipano a una festa di corte.
Questi lavori, oltre al forte impatto creato grazie alla loro imponenza e alla vivacità dei colori, si caratterizzano per la loro peculiarità: l’emanare luce, che genera dinamismo, potenza, vitalità; qualità che non riguardano solamente le opere in sé, ma che vengono trasmesse anche all’ambiente circostante.
Le installazioni di Lodola appaiono in grande sintonia con le tele di Giovanna Fra che accolgono il visitatore negli appartamenti reali e, con il loro forte cromatismo, incarnano perfettamente quell’arte contemporanea in cui la contaminazione di tecniche e la sperimentazione sono elementi imprescindibili. L’artista si misura con lo spazio interno e l’architettura vanvitelliana, reinterpretando nelle sue opere i motivi decorativi settecenteschi, arazzi, carte da parati, arredi barocchi e neoclassici, attraverso il linguaggio segnico, costituito da tracce di colore dalle forme imprevedibili e uniche, da textures astratte che si intrecciano con le trame del supporto digitale.
I suoi lavori di matrice informale abbandonano, infatti, i mezzi tradizionali e, partendo da frame fotografici stampati su tela, Giovanna Fra arriva al risultato finale, percorrendo un cammino a ritroso, che la conduce a terminare l’opera con delle pennellate tradizionali, un’ulteriore dimostrazione del legame fra tempus e time e nel caso specifico del «passaggio da time a tempus».
Seppure provenienti da formazioni diverse i lavori di Marco Lodola e Giovanna Fra creano un profondo dialogo e si completano vicendevolmente, ma soprattutto instaurano un forte legame con il luogo che li ospita, come afferma Luca Beatrice nel testo dedicato alla mostra: «Dialogare con stucchi, decorazioni, pitture di genere e, soprattutto, con un’architettura di inestimabile pregio può costituire infatti una sfida ardua eppure affascinante per gli artisti contemporanei, a partire dall’utilizzo di materiali anomali che solo da poco sono entrati nel novero appunto dell’artisticità. Senza contare volumi, cubature e l’immensità di un parco che farebbe spaventare chiunque. […] Realizzare un cortocircuito visivo tra il tempus e il time, ovvero il passato e il presente, è rischio che l’arte di oggi sente di correre con sempre maggior frequenza. Ora, in particolare, tra pittura, elaborazione digitale, plastica e luce».
Informazioni utili
Marco Lodola – Giovanna Fra. Tempus – Time. Reggia di Caserta, via Douhet, 2/A – Caserta. Orari: Appartamenti storici - tutti i giorni dalle ore 8.30 alle ore 19.30 (ultimo ingresso ore 19 - uscita dal museo 19.25) | Parco, dalle 8.30 alle 19 (ultimo ingresso ore 18) | Giardino Inglese - dalle 8.30 alle 18 (ultimo ingresso ore 17); martedì chiusura settimanale; aperture serali straordinarie dalle 19.30 alle 22.30 nelle giornate dal 23, 30 giugno; 4, 7, 14, 21 luglio; 10 agosto; 9, 15 settembre con biglietto di ingresso a € 3,00. Ingresso: mostra compreso nel biglietto della Reggia | Appartamenti storici, Parco e Giardino Inglese € 12,00 intero, € 6,00 ridotto | Solo Appartamenti Storici (acquistabile quando il parco è chiuso) € 9,00 intero, € 4,50 ridotto; la prima domenica di ogni mese: Appartamenti storici gratuito - Parco della Reggia € 5,00 intero, € 2,50 ridotto, gratis fino a 18 anni. Informazioni al pubblico: www.tempustime.com - info@tempustime.com. Fino al 15 settembre 2018.
«La mostra -sottolinea Mauro Felicori, direttore dell’istituzione napoletana- si inserisce nell’importante storia del rapporto che il museo ha avuto con l’arte contemporanea e con la variegata polifonia dei suoi linguaggi, un dialogo lungo e intenso che si è rinnovato costantemente nel corso degli anni nel confronto continuo e forte, sentito tra epoche e stili, che rende sempre attiva e feconda la vita di uno spazio museale così significativo».
Il titolo della mostra, allestita fino al prossimo 15 settembre, è un voluto riferimento al trait d’union che Marco Lodola e Giovanna Fra, grazie alle loro opere, creano fra il Tempus, la dimensione temporale legata all’antichità, al classico, alla storica sede espositiva, e il Time, sintesi del mondo contemporaneo.
Il percorso espositivo -del quale rimarrà documentazione in un catalogo di Skira editore, con testi, tra gli altri, di Renzo Arbore, Jovannotti e Piero Chiambretti, ma anche di critici quali Achille Bonito Oliva, Philippe Daverio, Gillo Dorfles, Martina Corgnati e Vittorio Sgarbi- si compone di una selezione di opere dei due artisti, che dall’ingresso si snoda negli spazi interni, nel parco reale, fino ad arrivare agli appartamenti del piano nobile.
L’immenso parco della sontuosa villa, nel raggio di un chilometro, è punteggiato da oltre venti monumentali sculture luminose di Marco Lodola, che rappresentano alcuni dei suoi soggetti tipici, uomini e donne, ballerini, danzatrici, animali, figure reali e immaginarie, che metaforicamente partecipano a una festa di corte.
Questi lavori, oltre al forte impatto creato grazie alla loro imponenza e alla vivacità dei colori, si caratterizzano per la loro peculiarità: l’emanare luce, che genera dinamismo, potenza, vitalità; qualità che non riguardano solamente le opere in sé, ma che vengono trasmesse anche all’ambiente circostante.
Le installazioni di Lodola appaiono in grande sintonia con le tele di Giovanna Fra che accolgono il visitatore negli appartamenti reali e, con il loro forte cromatismo, incarnano perfettamente quell’arte contemporanea in cui la contaminazione di tecniche e la sperimentazione sono elementi imprescindibili. L’artista si misura con lo spazio interno e l’architettura vanvitelliana, reinterpretando nelle sue opere i motivi decorativi settecenteschi, arazzi, carte da parati, arredi barocchi e neoclassici, attraverso il linguaggio segnico, costituito da tracce di colore dalle forme imprevedibili e uniche, da textures astratte che si intrecciano con le trame del supporto digitale.
I suoi lavori di matrice informale abbandonano, infatti, i mezzi tradizionali e, partendo da frame fotografici stampati su tela, Giovanna Fra arriva al risultato finale, percorrendo un cammino a ritroso, che la conduce a terminare l’opera con delle pennellate tradizionali, un’ulteriore dimostrazione del legame fra tempus e time e nel caso specifico del «passaggio da time a tempus».
Seppure provenienti da formazioni diverse i lavori di Marco Lodola e Giovanna Fra creano un profondo dialogo e si completano vicendevolmente, ma soprattutto instaurano un forte legame con il luogo che li ospita, come afferma Luca Beatrice nel testo dedicato alla mostra: «Dialogare con stucchi, decorazioni, pitture di genere e, soprattutto, con un’architettura di inestimabile pregio può costituire infatti una sfida ardua eppure affascinante per gli artisti contemporanei, a partire dall’utilizzo di materiali anomali che solo da poco sono entrati nel novero appunto dell’artisticità. Senza contare volumi, cubature e l’immensità di un parco che farebbe spaventare chiunque. […] Realizzare un cortocircuito visivo tra il tempus e il time, ovvero il passato e il presente, è rischio che l’arte di oggi sente di correre con sempre maggior frequenza. Ora, in particolare, tra pittura, elaborazione digitale, plastica e luce».
Informazioni utili
Marco Lodola – Giovanna Fra. Tempus – Time. Reggia di Caserta, via Douhet, 2/A – Caserta. Orari: Appartamenti storici - tutti i giorni dalle ore 8.30 alle ore 19.30 (ultimo ingresso ore 19 - uscita dal museo 19.25) | Parco, dalle 8.30 alle 19 (ultimo ingresso ore 18) | Giardino Inglese - dalle 8.30 alle 18 (ultimo ingresso ore 17); martedì chiusura settimanale; aperture serali straordinarie dalle 19.30 alle 22.30 nelle giornate dal 23, 30 giugno; 4, 7, 14, 21 luglio; 10 agosto; 9, 15 settembre con biglietto di ingresso a € 3,00. Ingresso: mostra compreso nel biglietto della Reggia | Appartamenti storici, Parco e Giardino Inglese € 12,00 intero, € 6,00 ridotto | Solo Appartamenti Storici (acquistabile quando il parco è chiuso) € 9,00 intero, € 4,50 ridotto; la prima domenica di ogni mese: Appartamenti storici gratuito - Parco della Reggia € 5,00 intero, € 2,50 ridotto, gratis fino a 18 anni. Informazioni al pubblico: www.tempustime.com - info@tempustime.com. Fino al 15 settembre 2018.
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