ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 18 ottobre 2019

Arezzo, Mimmo Paladino omaggia Piero della Francesca

«Piero della Francesca per me è una fonte inesauribile di scoperte. La sua capacità di creare forme dalla luce, spazio dalla matematica, colore dal grigio, la sua iconicità quasi araldica, sono un costante punto di riferimento, quasi una regola». Così Mimmo Paladino (Paduli - Benevento, 19 dicembre 1948), uno dei principali esponenti della Transavanguardia, parla del suo amore per il pittore e matematico di Montevarchi, una delle personalità più emblematiche del Rinascimento italiano, le cui opere colpiscono per l’attento uso della prospettiva, frutto di accurati studi geometrici come dimostra la celebre tavola «La flagellazione di Cristo» (1460), conservata a Urbino.
Per Mimmo Paladino le opere dell’artista rinascimentale sono state fonte di ispirazione non solo a livello estetico, ma anche metodologico e teorico. Piero della Francesca è stata, infatti, una delle figure del passato che più hanno contato nella formazione del maestro di Benevento e con la quale lui ha intrattenuto un dialogo costante in tutta la sua ricerca artistica.
Ad approfondire il rapporto tra i due artisti, in un elegante gioco di rimandi tra antico e contemporaneo, è la mostra diffusa «La regola di Pietro», allestita ad Arezzo, per la curatela di Luigi Maria Di Corato. Sono oltre cinquanta le opere selezionate per questo omaggio, che si articola in ben sei sedi espositive: la Galleria comunale d’arte contemporanea, la Fortezza medicea, la Basilica di San Francesco, la sala di Sant’Ignazio, la chiesa di San Domenico e Porta Stufi.
L'omaggio, pur svolgendosi e dipanandosi per tutta la città, non chiama mai direttamente in causa il maestro a livello formale, ma si risolve nel manifestare una condivisione di valori, come l’incontro tra tradizione e modernità, tra razionalità ed emozione, tra luce, forma e colore, tra idealizzazione, astrazione, simbolo e realtà.
L’arte di Paladino fonda le sue radici nella grande tradizione figurativa e filosofica italiana. Questa passione lo ha spesso portato a riscoprire le culture più diverse, alla ricerca di un confronto con gli archetipi, le matrici iconiche, le tradizioni fondanti che, dalle civiltà pre-romane al Rinascimento, hanno costellato il pensiero mediterraneo.
I due nuclei centrali della rassegna - che vede protagonista proprio la pittura e che presenta opere tridimensionali nella loro naturale vocazione pittorica - sono la Galleria comunale d’arte contemporanea e la Fortezza Medicea.
Nella Galleria è accolta una selezione di trentaquattro dipinti, tra cui opere celebri come due grandi quadri della serie «Il principio della prospettiva» (1999) e il lavoro «Senza titolo» (2018), un polittico inedito di sei elementi.
Si trovano, inoltre, in mostra una serie di cinque sculture del nucleo «Architettura», realizzate in materiali vari dal 2000 al 2002, e «Stele», una fusione in alluminio del 2000.
Al centro del percorso, che si chiude con una sala video nella quale viene ripercorso l’impegno di Mimmo Paladino in ambito cinematografico, si segnala la spettacolare istallazione «Scarpette», del 2007, realizzata con ben più di centoottanta scarpe e uccellini in ghisa che si trasformano in un basso-rilevo di ben sessantaquattro metri quadri.
Nella piazza antistante la Galleria -sulla quale si affaccia la basilica di San Francesco, che conserva al suo interno le «Storie della Vera Croce»- campeggia un grande obelisco votivo. L’opera, alta oltre venti metri, è intitolata «De Mathematica» e si ispira ai Gigli di Nola, macchine processionali a spalla, oggi patrimonio Unesco. Formata da numeri assemblati tra loro, quest'opera è un «monumento temporaneo» alla matematica, ma anche alla vocazione proto-scientifica dell’Umanesimo per la ricerca dell’esattezza, di cui i trattati di Piero della Francesca sono un celebre manifesto.
Per la Fortezza sono state selezionate, invece, un nucleo di opere monumentali capaci di innescare una tensione drammatica non comune con la scabra natura degli spazi. Il percorso comincia con la recentissima «Senza titolo», del 2018, composta da bronzo ed acqua, opera che il pubblico ha potuto vedere esposta solo a Napoli nel mese di dicembre 2018. La mostra prosegue, quindi, con «Zenith», dodecaedro stellato in alluminio del 2001, per poi continuare con un’opera degli anni Ottanta. Si tratta di «Senza titolo», un carro di bronzo del 1988, che trasporta venti teste, preziosi trofei di un corteo apotropaico che conducono all’interno della fortificazione.
Tra le altre sculture-pittoriche monumentali, spiccano i nove elementi di «Vento d’acqua», opera in bronzo del 2005, già esposta al Museo di Capodimonte di Napoli. Ci sono, inoltre, lungo il percorso espositivo anche i giganteschi «Specchi ustori» del 2017, un grande tavolo che ospita ben cinquanta piccoli bronzi e tre nuovissime sculture a figura intera sempre «Senza titolo», annidate nelle segrete della fortezza.
Completano il percorso altre tre tappe fondamentali. Nella chiesa di San Domenico c’è la grande croce in foglia d’oro «Senza titolo» del 2016. A Porta Stufi è possibile vedere un’installazione di grande suggestione, nella quale diciotto vessilli policromi collocati sulle mura -«Bandiere», opera del 2003 in alluminio- sembrano segnalare un antico trofeo lasciato sul selciato: «Elmo», una delle opere più note dell’artista, un bronzo del 1998, esposto nei maggiori musei del mondo, che qui, imbelle, accoglie i visitatori in arrivo o in partenza ricordando i fasti di un passato non ancora remoto. Mentre nella chiesa sconsacrata di Sant’Ignazio è possibile ammirare l’istallazione «Dormienti», tra le opere più note e amate di Mimmo Paladino, realizzata con Brian Eno nel 1999 per la Roundhouse di Londra e qui riproposta in un nuovo allestimento.
L’istallazione rimanda a diverse fonti indirette di suggestione, dai calchi di Pompei ad alcune figure etrusche, ma è soprattutto ispirata ai disegni realizzati da Henry Moore nei rifugi anti-aerei di Londra, nei quali sono rappresentate figure rannicchiate e indifese, intente a proteggersi dal terrore dei bombardamenti tedeschi.
Una citazione a parte merita, infine, «Suonno. Da Piero della Francesca» (nell'ultima foto) del 1983, opera esposta nella Galleria comunale d’arte contemporanea. Si tratta di un omaggio alle «Storie della Vera Croce», nella cappella Maggiore della Basilica di San Francesco. Qui prende forma la «Regola di Piero», a cui ha voluto rendere omaggio Mimmo Paladino. Qui -ricorda Luigi Maria Di Corato- l’artista toscano «ha cercato di fondere in un’unica visione punti di vista apparentemente lontani tra loro: la solidità concreta di Massaccio e la luce diafana dell’Angelico, l’astratta geometricità di Brunelleschi e il virtuosismo prospettico di Paolo Uccello, la rarefazione di Domenico Veneziano e la precisione ottica dei fiamminghi».
Qui il maestro beneventano ha preso ispirazione per creare il suo linguaggio figurativo in bilico tra presente e passato, geometria e plasticità, concettuale e corporeo. Perché -come dice Franco Battiato nel suo ultimo brano, «Torneremo ancora» - «nulla si crea, tutto si trasforma».

Informazioni utili 
«Mimmo Paladino. La regola di Piero». Sedi espositive: Fortezza Medicea - Galleria Comunale d'Arte Contemporanea - Ex-Chiesa di Sant’Ignazio - Basilica di San Francesco - Chiesa di San Domenico - Porta Stufi, Arezzo. Orari: dal martedì al venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00; sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 20.00; giorno di chiusura il lunedì. Biglietti: 5,00 euro (ridotto 3,00 euro per gli over 65); ingresso gratuito per i minori di 14 anni | i biglietti sono acquistabili presso le sedi espositive della Galleria comunale d’arte contemporanea e della Fortezza Medicea. Informazioni: tel. 0575.356203. Sito internet: www.fondazioneguidodarezzo.com | www.laregoladipiero.wordpress.com. Fino al 31 gennaio 2020. Prorogata al 30 giugno 2020. 

giovedì 17 ottobre 2019

David LaChapelle firma il calendario 2020 di Lavazza

È una lunga storia d’amore quella tra Lavazza e la fotografia. Tutto ha inizio nel 1993 con la prima edizione del calendario, progetto internazionale nato per raccontare in maniera innovativa il mondo del caffè e i valori del brand.
Il primo a legare il suo nome all’azienda è Helmut Newton con il suo stile in bilico tra eleganza formale e gusto provocatorio. Il testimone passa, poi, a Ellen Von Unwerth, Ferdinando Scianna, Albert Watson, Marino Parisotto, Elliott Erwitt, i fotografi della Magnum Photos, Martin Franck e Richard Kalvar.
Fino agli anni Duemila è il bianco e nero, più elegante e intimo, a tradurre in immagini il mondo di Lavazza.
Dal 2002, con l'arrivo di David LaChapelle, il calendario si apre al colore: il fotografo costruisce un racconto visivo tutto incentrato sui cromatismi accesi e vibranti dell'indaco e del fucsia, animato da un erotismo giocoso che unisce la seduzione intrinseca al rituale del caffè a una personale rivisitazione dell'immaginario della West Coast.
Ed ecco, poi, JeanBaptiste Mondino, Thierry Le Gouès, Eugenio Recuenco -ricordano dagli uffici di Lavazza- che «creano scatti all’insegna dell'immaginazione, ricchi di visioni fantastiche e popolati da creature immaginifiche».
La pubblicazione dei calendari continua negli anni successivi: «Finlay MacKay si tuffa nell'opulenza del gusto. Erwin Olaf si diverte con i cromatismi del rosso e del bianco mettendo in scena l'eterno gioco delle coppie. Anne Leibovitz e Mark Selinger raccontano con humor e leggerezza l'italianità. Martin Schoeller coinvolge alcuni tra gli chef stellati più famosi del mondo».
Il 2015 è l’anno di una nuova svolta. La fotografia, arte per eccellenza del racconto del reale e dei cambiamenti della società, è il linguaggio migliore per raccontare l’impegno del brand nei confronti della sostenibilità ambientale.
Il calendario è il modo migliore per pubblicizzare, attraverso la poesia e l’artisticità della fotografia d’autore, come Lavazza intenda operare per il futuro del pianeta. Nasce un progetto triennale: «Earth Defenders». Lo inaugura Steve McCurry con «¡Tierra!», un viaggio alla scoperta delle comunità produttrici di caffè. È, poi, la volta di Joey Lawrence, con la serie «From Father to Son», e di Denis Rouvre, che firma «We Are What We Live». La trilogia dei «guardiani della Terra» -questa la traduzione italiana del titolo dei progetti- dà così voce alle storie dei piccoli produttori e dei contadini, giovani e anziani, accomunati dall'amore e dalla salvaguardia del pianeta, il bene più prezioso.
L’impegno di Lavazza prosegue nel 2018 con Platon, che racconta in dodici scatti le storie di chi ha scelto di abbracciare uno degli obietti di sviluppo sostenibile che l'Onu indica come target da raggiungere entro il 2030.
L’ultimo calendario del decennio porta, invece, la firma di Ami Vitale, che documenta con i suoi scatti sei suggestive opere di nature art realizzate in Thailandia, Marocco, Svizzera, Colombia, Kenya e Belgio.
Sostenibilità ambientale e protezione del pianeta sono i temi al centro anche della nuova edizione del calendario Lavazza, recentemente presentato a Venezia.
«Earth CelebrAction» è il titolo scelto per questo nuovo progetto, che vede come sempre alla direzione artistica l’agenzia di comunicazione Armando Testa.
«L’intento -raccontano ancora da Lavazza- è quello di celebrare il potere della bellezza unita all'idea dell'azione e di invitare ogni essere umano a prendersi cura della terra e di chi la abita».
A firmare i dodici scatti del 2020 è lo statunitense David LaChapelle, allievo di Andy Warhol e cantore barocco e sfrontato del glamour scintillante degli anni Novanta, alla sua terza volta a fianco di Lavazza.
Il fotografo ha interpretato il tema scelto per questa edizione mettendo in scena un racconto simbolico, dove gli elementi primari del fuoco, dell'acqua, della terra e dell'aria si combinano alla presenza dell'uomo, inserito in scenari naturali emozionanti.
I dodici mesi dell’anno sono un canto dedicato alla vita e al potere trasformativo della bellezza, capace di risvegliare l'attenzione delle persone nei confronti dei bisogni della terra e del suo delicato equilibrio.
Gli scatti di David LaChapelle sono realizzati alle Hawaii, dove l'artista vive da alcuni anni in una farm eco-sostenibile, nella quale ha sviluppato l'interesse per la fotografia di paesaggio e una peculiare attenzione nei confronti dell'ambiente.
Per il suo calendario il fotografo americano ha scelto dodici parole guida, una per mese: «Celebrate», «Listen», «Realize», «Defend», «Care», «Sustain», «Honor», «Nourish», «Reconnet», «Breathe», «Respect», «Change». Il messaggio, però, è solo uno ed è molto chiaro: «Noi celebriamo la Terra, perché grazie a lei esistiamo. La ascoltiamo, per intervenire in suo aiuto. Realizziamo quanto è importante, per essere importanti per lei. La difendiamo, soprattutto da noi stessi. La curiamo, perché la sua salute è la nostra. La sosteniamo, lavorando per ridurre ogni impatto. La onoriamo, perché ci ha dato tutto senza chiedere niente. La nutriamo, per vederla crescere ancora. Ci riconnettiamo con lei, per provare ciò che prova. La respiriamo, perché è vita. La rispettiamo, perché è nostra Madre. Noi la cambiamo, se cambieremo noi».
Non basta, dunque, per David LaChapelle  celebrare la bellezza della terra, ma bisogna anche agire per tutelarla e darle un futuro.

Per saperne di più 
calendar.lavazza.com

mercoledì 16 ottobre 2019

Busto Arsizio, al ridotto Luigi Pirandello va in scena la poesia

«La letteratura è stata davvero per me, da un certo momento, la vita stessa»: è racchiuso in questa frase che lo scrittore e studioso ligure Carlo Bo vergò nel suo Diario aperto e chiuso, pubblicato dalla milanese Edizioni di Uomo nel 1945, il senso della rassegna Perché tu mi dici: poeta?, in cartellone da ottobre 2009 a maggio 2010 presso gli spazi del ridotto Luigi Pirandello, piccola sala consacrata al «teatro di parola e di ricerca» del Sociale di Busto Arsizio. A dare il titolo all’iniziativa, promossa dall’associazione culturale Educarte, è un verso dello scrittore crepuscolare Sergio Corazzini, tratto dalla lirica Desolazione di un povero poeta sentimentale, pubblicata nella raccolta Piccolo libro inutile del 1906. Una poesia, questa, che sarà possibile risentire, giovedì 25 febbraio 2010, in un appuntamento dal titolo Tra crepuscolarismo e sperimentalismo futurista, incentrato anche sulle produzioni poetiche di Guido Gozzano, Corrado Govoni, Filippo Tommaso Marinetti e Aldo Palazzeschi. Da Foscolo a Quasimodo Undici gli incontri complessivamente in cartellone, rivolti principalmente a un pubblico giovane, che consentiranno di ricostruire alcune delle più significative esperienze poetiche dell’Ottocento e del Novecento. Si inizierà con il carme Dei Sepolcri del pre-romantico Ugo Foscolo, i cui 295 endecasillabi sciolti sul senso del vivere e del perire verranno rievocati giovedì 12 novembre 2009, e si terminerà, nella serata di giovedì 6 maggio 2010, con la poesia socio-filosofica dell’ermetico Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la letteratura nel 1959, il quale cantò la condizione dell’uomo moderno, sospeso tra sofferenza e solitudine, e la difficile condizione degli sconfitti dalla guerra e «dal piede straniero sopra il cuore». A fare da prologo a questi appuntamenti sarà, nella serata di giovedì 29 ottobre 2009, una conferenza-spettacolo sull’avventura in versi del più grande scrittore e drammaturgo di tutti i tempi, l’inglese William Shakespeare, i cui intimi e intensi sonetti («struggente romanzo di un amore senza speranza, che si nutre della propria ambiguità e si sublima nella dignità del dolore», come ebbe a scrivere Gabriele Baldini) videro cimentarsi nella traduzione, dall’inglese all’italiano, due tra i principali poeti del nostro Novecento, entrambi premi Nobel per la letteratura: Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale. Dalle atmosfere seicentesche del «grande Bardo», cantore dell’amore quale unione indissolubile tra due anime, si passerà, dunque, alla cosiddetta «letteratura contemporanea italiana», della quale gli Attori del teatro Sociale, con la guida della regista Delia Cajelli, ripercorreranno, secondo un itinerario cronologico, i profili di suoi undici protagonisti illustri, i più studiati nelle scuole italiane, chiarendone i motivi generali della produzione, ma anche fornendone notizie biografiche e un percorso per exempla tra le poesie più conosciute. Unica voce fuori dai confini nazionali sarà quella di Federico Garcìa Lorca, del quale, nell’incontro A las cinco de la tarde./Eran las cinco en punto de la tarde… di venerdì 2 aprile 2010, verranno analizzate le atmosfere spagnole della sua poesia, innervata di musica flamenca, lirica gitana e tradizioni arabo-andaluse. Letteratura come vita Fil rouge tra le varie conferenze-spettacolo sarà il tema della «letteratura come vita», secondo una felice espressione coniata da Carlo Bo nel 1938, sulla rivista fiorentina Frontespizio, per presentare la corrente ermetica. Gran parte della poesia otto-novecentesca è, infatti, intrisa di autobiografismo. Racconta, per usare le parole di Umberto Saba, la «vita di un uomo», diventandone specchio dei suoi sentimenti e delle circostanze della sua vita, come ben delineano le storie letterarie di Giacomo Leopardi, Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti e dello stesso Umberto Saba. Il sentimento civile e la contemplazione della storia che anima le liriche degli ottocenteschi Ugo Foscolo e Alessandro Manzoni (del quale giovedì 26 novembre 2009 verrà narrata la genesi delle sue due più note odi civili, Marzo 1921 e Cinque maggio) lasciano, dunque, spazio a una poesia che è cammino introspettivo e che è, per usare le parole di Salvatore Quasimodo, la «rivelazione di un sentimento che il poeta crede sia personale e interiore» e «che il lettore riconosce come proprio». La quotidianità, la «calda vita» dei luoghi natale, il «male di vivere» di montaliana memoria, la precarietà del destino umano, l’orrore della guerra, il clima di inquietudine e di ricerca che anima il post-positivismo sono solo alcuni degli argomenti al centro della rassegna Perché tu mi dici: poeta?. Ecco così che il 14 gennaio 2010 si analizzeranno i «canti pisano-recanatesi» di Giacomo Leopardi, «storia di un’anima» grondante di delusione e amarezza. Giovedì 4 febbraio 2010 si parlerà di Giosuè Carducci e della sua amata terra natia: la verde e selvaggia Toscana. Due settimane dopo, il 18 febbraio 2010, si farà luce sulla «poetica delle piccole cose» di Giovanni Pascoli, della quale massimi esempi si hanno nelle raccolte Mirycae, Primi poemetti e Canti di Castelvecchio. E ancora, l’11 marzo 2010 si tratterà della «triestinità» del Canzoniere di Umberto Saba. Pochi giorni dopo, il 25 marzo 2010, si focalizzerà l’attenzione sulla raccolta Porto sepolto di Giuseppe Ungaretti, dove viene narrata l’esperienza del primo conflitto bellico, vissuta dallo stesso poeta come soldato semplice presso il XIX Battiglione di fanteria, sulle montagne del Carso. Mentre il 22 aprile 2010 si illustrerà la «cultura del negativo» che emana dai volumi Ossi di seppia e Occasioni, La bufera e l’altro, Satura e Quaderno di quattro anni di Eugenio Montale. I motivi della rassegna «Gli incontri –spiega Delia Cajelli- saranno intimi e interattivi, anche per la dimensione quasi domestica del Ridotto, che stimola la partecipazione del pubblico e il suo contatto fisico con gli attori», grazie alla platea mobile e all’esiguità del numero di posti a sedere (una settantina in tutto)». «Lo scopo di questa rassegna –prosegue la direttrice artistica del teatro Sociale di Busto Arsizio- è quello di conquistare l’animo dei più giovani alla poesia, non con lezioni scolastiche, ma con l’emozione della recitazione in teatro». La poesia, dunque, con Perché tu mi dici: poeta? scende dalla cattedra e va in mezzo alla gente, forse realizzando uno dei sogni del futurista Aldo Palazzeschi, che scrisse «il vero poeta dovrebbe scrivere sui muri, per le vie, le proprie sensazioni e impressioni, fra l'indifferenza o l'attenzione dei passanti». Tutte le conferenze-spettacolo avranno inizio alle 21.00. 

Didascalie delle immagin
[fig. 1] Immagine promozionale della rassegna Perché tu mi dici: poeta?. Foto: Silvia Consolmagno. [fig. 2, fig. 3 e fig. 5] Serata di poesia al teatro Sociale di Busto Arsizio. Foto: Silvia Consolmagno; [ fig. 5] Delia Cajelli con l'attore Gerry Franceschini. Foto: Silvia Consolmagno. 

Informazioni utili 
Perché tu mi dici: poeta?. Teatro Sociale / ridotto Luigi Pirandello, piazza Plebiscito 8 - 21052 Busto Arsizio (Varese). Biglietti: intero € 8.00, ridotto € 6.00 (riservato a giovani fino ai 21 anni, ultra 65enni, militari, Cral, biblioteche, dopolavoro e associazioni con minimo dieci persone). Botteghino: il botteghino del teatro Sociale, ubicato in piazza Plebiscito 8, presso gli uffici del primo piano, è aperto nelle giornate mercoledì e venerdì, dalle 16.00 alle 18.00, e sabato, dalle 10.00 alle 12.00. E’ possibile prenotare telefonicamente, al numero 0331.679000, tutti i giorni feriali, secondo il seguente orario: dal lunedì al venerdì, dalle 16.00 alle 18.00; il sabato, dalle 10.00 alle 12.00. Informazioni utili: tel. 0331. 679000, e-mail: info@teatrosociale.it. Web site: www.teatrosociale.it.