ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 1 luglio 2020

Dagli Uffizi all’«Isadora Dance Project»: le arti su Tik Tok per conquistare la «generazione Z»

È il social network più amato dai teenager, ma è anche quello più scaricato al mondo sulle piattaforme (superando Youtube, Instagram, Whatsapp e Messenger). Ha più di ottocento milioni di utenti attivi al mese. E piace per la formula intuitiva e fresca, che permette di condividere clip di quindici o sessata secondi ai quali abbinare musica, effetti sonori e filtri. Stiamo parlando di Tik Tok, il social network nato in Cina nel 2016 da un’idea di Alex Zhu e Luyu Yang, che, nei mesi del lockdown, ha attirato l’attenzione anche degli Uffizi, primo ente culturale italiano di rilievo a fiutarne il potenziale.

Distanziamento sociale per la «Venere» del Botticelli, mascherina protettiva per la «Medusa» del Caravaggio: intrattenimento con il sorriso agli Uffizi
Sono diverse le clip, brevi e ironiche, che il museo toscano ha pubblicato, a partire dallo scorso 28 aprile, sulle notizie di attualità del momento: dalle autocertificazioni alle chiome ribelli per la mancanza del parrucchiere, dal distanziamento sociale alle lezioni on-line.
Il primo video di quindici secondi è stato una risposta alla challenge lanciata da Chiara Ferragni e dal marito Fedez, #festaincasa, e mostra il «Cavaliere Pietro Secco Suardo», dipinto nel Cinquecento da Giovanni Battista Moroni, aggirarsi per i corridoi degli Uffizi e la città di Firenze in cerca di un party esclusivo.
I post successivi hanno, invece, rivisitato in chiave ironica alcuni dei dipinti più celebri del museo. Ecco così che Federico da Montefeltro e Battista Sforza, i due duchi di Urbino ritratti da Piero della Francesca, appaiono intenti a dialogare su una passeggiata, una «lunga passeggiata», a «soli» duecento chilometri da casa.
La «Maddalena penitente» di Tiziano si lamenta, invece, dei suoi problemi tricologici con la Giuditta del pittore fiorentino Cristofano Allori, che ha appena dato ‘una spuntatina casalinga’ a Oloferne. Mentre la Venere del Botticelli rimprovera, con toni esageratamente isterici, Flora e le Tre Grazie, personaggi raffigurati nella «Primavera», per non aver mantenuto il distanziamento sociale di un metro.
C’è anche chi spiega attentamente tutte le regole della Fase 2 («punto primo: 1 metro di distanza, poi: mascherina, guanti, occhiali, disinfettante, non parlare, non respirare»): è la Madonna dipinta nell’«Annunciazione» di Lorenzo Credi. Mentre la terribile «Medusa» del Caravaggio, mascherina sul volto, riesce a pietrificare il Coronavirus che si aggira indisturbato per le sale del museo.
Non manca, poi, una bella lezione on-line con Lorenzo Magnifico, ritratto da Giorgio Vasari, negli inediti panni dell’insegnante, e con il Bacco del Caravaggio, la «Bia dei Medici» del Bronzino e la «Venere di Urbino» del Tiziano (in pigiama e patatine a portata di mano) in quelli degli allievi.
Qualcuno ha storto il naso, ma Eike Schmidt, il direttore degli Uffizi, ha spiegato bene il senso dell’iniziativa: «così come un giornale non è completo senza la vignetta e la caricatura della prima pagina anche un museo può fare umorismo: serve ad avvicinare le opere a un pubblico diverso da quello cui si rivolge la critica ufficiale, ma anche a guardare le opere in modo nuovo e scanzonato. In particolare, in un momento difficile come questo, è importante, ogni tanto, concedersi un sorriso e un po’ di autoironia».
Il «pubblico diverso» è quello della cosiddetta generazione Z, ovvero i veri nativi digitali venuti al mondo tra il 1995 e il 2010, sui quali stanno puntando l’attenzione anche moli altri importanti musei europei sbarcati sul popolare social network: dal Prado di Madrid al Rijksmuseum di Amsterdam, dal Naturkundemuseum di Berlino al Grand Palais di Parigi.

Danza contemporanea su Tik Tok con il progetto «Isadora»
Tik Tok diventa, in questi giorni, protagonista anche di un progetto di danza contemporanea: una residenza artistica digitale con una coppia inedita di professionisti dello spettacolo, quella composta da Giselda Ranieri, danzatrice e coreografa di formazione classica e contemporanea, e da Simone Pacini, docente allo Ied e all’università «La Sapienza» di Roma, specializzato in social media storytelling.
Il lavoro, che prenderà il via mercoledì 1° luglio, si intitola «Isadora – The TikTok Dance Project», in omaggio a Isadora Duncan, donna emancipata e danzatrice rivoluzionaria, ed è il primo a partire tra i sei progetti vincitori, in una rosa di circa quattrocento candidature nazionali e internazionali, del bando «Residenze digitali», promosso nei mesi del lockdown dalle associazioni toscane Armunia e CapoTrave/Kilowatt, in collaborazione con Amat – Associazione marchigiana attività teatrali e Anghiari Dance Hub.
La call aveva invitato la comunità artistica a esplorare le possibilità creative del digitale in un momento in cui l’attività del teatro si era repentinamente trasferita sul web, spesso senza porsi la domanda più importante: come intervenire efficacemente sui social e sulle varie piattaforme on-line?
Il bando ha posto l’accento su questo quesito e insieme a «Isadora» sono risultate convincenti le risposte di Agrupación Señor Serrano (Barcellona) con «Prometheus», Nicola Galli con «Genoma scenico | dispositivo digitale», Enchiridion con «Shakespeare Showdown/ Romeo & Juliet» e Umanesimo Artificiale/Joana Chicau e Jonathan Reus, Illoco Teatro con il progetto «K».
Per quanto riguarda «Isadora», Giselda Ranieri creerà dall’indirizzo www.tiktok.com/@isadora.danceme una web performance interattiva, basata sull’improvvisazione, in cui darà corpo alle coreografie degli adolescenti a partire da un processo partecipativo, ispirato alla didattica a distanza.
«I ragazzi coinvolti -spiegano gli organizzatori- realizzeranno una coreografia basata su parametri quali la ripetizione, il ritmo, lo stop motion, la segmentazione del movimento, dando vita a un processo di ricerca in linea con il learning by doing della generazione Z, iper-connessa, performativa, che si mette al centro, con forte spirito autodidatta».
Nel contempo Simone Pacini monitorerà le reazioni dei followers e del contesto, in un dialogo con la danzatrice utile al processo artistico, ma anche all’analisi delle potenzialità di Tik Tok in ambito culturale.
Il progetto si concluderà, in autunno, con un evento on-line al quale si potrà partecipare iscrivendosi al gruppo Facebook «Il Foyer di Isadora», platea virtuale che potrebbe essere utilizzata, in futuro, per nuovi progetti performativi.
Diventeranno virali le coreografie di Giselda Ranieri? «Isadora» riuscirà a conquistare i giovanissimi? C’è un mese di tempo, tutto luglio, per scoprirlo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Tik Tok; [figg. 2-4] Tik Tok ali Uffizi; [fig. 5] Giselda Ranieri in scena. Foto di Ilaria Scarpa; [fig. 6] Le coreografie espressive o "face dances" di Giselda Ranieri. Foto di Marco Pezzati

Informazioni utili
www.tiktok.com/@uffizigalleries
www.tiktok.com/@isadora.danceme

martedì 30 giugno 2020

È on-line l’Atlante delle xilografie italiane del Rinascimento

È on-line, sul sito della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, il database dell’Atlante delle xilografie italiane del Rinascimento. Il progetto, che può essere consultato nella sezione dedicata agli «Atlanti fotografici», curati dall’Istituto di storia dell’arte, è il frutto di quattro anni di ricerche durante i quali sono state rintracciate, studiate e schedate le xilografie su fogli sciolti e le matrici a partire dai primi esemplari noti dall'inizio del Quattrocento e fino al 1550 circa.
Il progetto, consultabile attraverso diverse chiavi di ricerca, corredato da immagini e schede in costante aggiornamento e in collegamento con le maggiori istituzioni museali , è a cura di Laura Aldovini, David Landau e Silvia Urbini.
Le xilografie – e le matrici lignee da cui derivano-, sono fra i materiali meno studiati della grafica italiana del Rinascimento. Altre tecniche a stampa, come i bulini e le acqueforti, erano spesso destinate a riprodurre disegni e opere di artisti noti, ovvero sono «stampe di riproduzione»: ad esempio, grande fu la fortuna di stampe derivate da opere di Raffaello Sanzio, di cui ricorre il quinto centenario.
Le xilografie, invece, sono quasi sempre «stampe di invenzione», ovvero sono opere disegnate da un artista noto – come Tiziano Vecellio-, o anonimo, specificamente per quella stampa, senza riferimento ad un’altra opera esistente. In questo risiede sia il motivo della loro marginalizzazione e dispersione -sul fronte collezionistico e su quello degli studi-, sia l’esigenza di far riemergere un patrimonio figurativo, stilistico e iconografico italiano ancora in gran parte disperso e sconosciuto.
L’archivio digitale si propone di colmare questa lacuna, come una sorta di meta-museo destinato alla xilografia italiana del Rinascimento, dove sono raccolte, catalogate e mostrate le opere conservate nelle istituzioni nazionali e internazionali e nelle collezioni pubbliche e private che le conservano.
In questi anni di ricerche, oltre a censire il materiale noto, sono state reperite opere ritenute perdute, altre sconosciute ai repertori, e aggiunti esemplari nuovi al catalogo di artisti, sia nel ruolo di inventori che di incisori.
Non è solo un contributo alla storia dell’arte italiana del Rinascimento ma anche, più in generale, alla storia della cultura di quell’epoca. Infatti le xilografie accompagnavano la vita quotidiana dell’uomo rinascimentale. Erano le immagini della devozione, protettrici delle case e delle botteghe. Erano le decorazioni che ingentilivano gli arredi; erano protagoniste dei momenti ludici, pensiamo ad esempio alle carte da gioco e ai tarocchi. Erano strumenti di divulgazione e aggiornamento della conoscenza tecnica, storica e geografica sotto forma di fogli volanti e di mappe. Erano spesso articolati montaggi di testi e immagini.
Infine, l’Atlante vuole creare un network attivo e in continuo aggiornamento destinato alle istituzioni che possiedono i materiali censiti e agli studiosi, e porsi come punto di riferimento per la conoscenza e la divulgazione dei materiali utili allo studio delle xilografie e della grafica italiana del Rinascimento.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cristo in Pietà con i simboli della Passione, Londra, Victoria and Albert Museum; [fig. 2] Asso di Denari, carta del cosiddetto mazzo Leber, Rouen, Bibliothèque municipale; [fig. 3] Matteo Pagano, Istruzioni per suonare il liuto, Stoccolma, The National Library of Sweden, KoB Tr. B_2017_B.2

Informazioni utili 
italianrenaissancewoodcuts.com

lunedì 29 giugno 2020

Ustica, scene di una «stragedia». Nino Migliori tra i relitti dell'aereo


C'era chi partiva per le vacanze, chi era andato «nel Continente» per una visita medica, chi tornava da un viaggio di lavoro e chi, all'atterraggio, avrebbe festeggiato il matrimonio di un amico. C'era un ingegnere nucleare, la prima donna a laurearsi in Italia in quella disciplina, che tornava da Urbino, insieme alla figlia e alla baby sitter, dopo aver assistito alla laurea del fratello. E c'era una ragazzina di undici anni che, soddisfatta, aveva messo nello zaino la pagella da mostrare al papà che l'attendeva a Palermo. C'erano ottantuno persone, con le loro storie straordinariamente normali, simili a quelle di tante altri, eppure uniche, sull’aeromobile Douglas DC-9 IH 870 della compagnia aerea Itavia che alle 20:59 del 27 giugno 1980 spariva dai radar nel tratto di mare compreso tra le isole di Ponza e Ustica, facendo perdere ogni traccia.
Era una sera d’estate come tante altre e chi, nell’affollata sala d’attesa dello scalo di Punta Raisi, riscontrava sul tabellone il ritardo del volo partito da Bologna, dall’aeroporto «Guglielmo Marconi» di Borgo Panigale, alle 20:08 (con due ore di ritardo a causa di un violento temporale), e atteso a Palermo alle 21:13, non si aspettava che, di lì a poco, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Alle 22:00, dopo le operazioni di ricerca, l'aeromobile veniva dato ufficialmente per disperso e scattavano le misure d’emergenza. La noia e il nervosismo delle prime ore si trasformavano in angoscia.
All'alba del 28 giugno uno degli elicotteri impegnati nella missione di soccorso vedeva affiorare alcuni rottami; intorno alle 9 quei resti venivano identificati con quelli del Douglas DC-9 IH 870. L’angoscia diventava dolore, rabbia, silenzio stupito.
La notizia non voluta, ma temuta arrivava nella sala d’attesa di Punta Raisi. Rimbalzava nelle case di parenti e amici grazie ai vecchi telefoni a gettoni. Raggiungeva tutti gli italiani attraverso i giornali e le televisioni. L’aereo era caduto in mare e tutte le persone a bordo -64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi e 4 uomini dell’equipaggio- erano morte.
Per cinque giorni le navi fecero la spola con Palermo per portare a terra detriti e rottami. Si cercò anche di dare degna sepoltura a tutti i corpi, ma alla fine ne vennero recuperati solo trentanove su ottantuno.
Cos’è successo quella sera? Perché quell'aereo è caduto? Cosa lo ha distrutto in volo? A quarant’anni di distanza queste domande rimangono ancora senza risposta. La strage di Ustica è senza colpevoli. Silenzi, bugie, depistaggi, scontri di potere, tracciati radar cancellati, registrazioni manomesse, coperture politiche hanno nascosto una verità scomoda, una verità che ancora oggi sembra essere inconfessabile per chi sa.
Inizialmente si parlò di un «cedimento strutturale». Poi si avanzò l’ipotesi di un attentato terroristico con l’esplosione di una bomba a orologeria. Infine, nel 1996, un giudice, Rosario Priore, mise nero su bianco quello che era successo: c’era stata «una guerra in tempo di pace», aerei militari di diverse nazioni -Francia, Stati Uniti, Libia, Italia e altre ancora (a detta della Nato)- avevano sorvolato i nostri cieli e uno dei questi aveva abbattuto il volo civile dell’Itavia, nella cui scia si celava –fuori dai radar- il bersaglio mancato. Sembra un film e, invece, è una pagina di storia, una pagina ancora incompleta perché non si sa chi sia il responsabile materiale della strage e quale fosse l’obiettivo mancato.
Dal 2007 i resti dell’aereo sono raccolti in un museo a Bologna, all'interno degli ampi spazi dell'ex magazzino dell’azienda di trasporti cittadina Atc.
Attorno al relitto l’artista francese Christian Boltanski ha ideato un’installazione permanente, un invito alla memoria che fa venire i brividi.
Dal soffitto scendono ottantuno lampadine, una per ogni vittima, che si accendono e si spengono a intermittenza, al ritmo del respiro. Tutt’intorno ci sono ottantuno specchi neri che riflettono l’immagine di chi percorre il ballatoio posto attorno al relitto. Mentre, dietro ognuno di essi, ottantuno altoparlanti emettono parole e frasi sussurrate a sottolineare la casualità e l’ineluttabilità della tragedia. Infine, nove casse, coperte da un drappo nero, contengono, gli oggetti appartenuti alle vittime: scarpe, pinne, boccagli, occhiali e vestiti che documenterebbero la scomparsa di un corpo, rimangono così invisibili agli occhi dei visitatori.
Tredici anni fa, poco tempo dopo che il relitto del velivolo, recuperato al largo dell’isola di Ustica, ha compiuto lo straziante percorso a ritroso che dall’aeroporto di Pratica di Mare lo ha riportato a Bologna, Nino Migliori ottiene il permesso per entrare in quel capannone che sarebbe diventato un museo. Vi rimane quattro notti e, a lume di candela, fotografa i resti dell’aereo non ancora ricomposto nella sua forma originaria intorno allo scheletro della fusoliera. Il risultato sono ottantuno immagini, una per ogni vittima, che illuminano, con una tremula fiamma che ha il sapore di un cero votivo, i muti testimoni -rottami contorti, piegati, spezzati e rotti- di quella che il fotografo bolognese definisce una «stragedia», neologismo inventato per congiungere l’idea della tragedia a quella di una volontà stragista.
La severa cromia del bianco e nero che Nino Migliori sceglie per consegnare alla memoria, nostra e di chi verrà dopo di noi, i dettagli delle superfici metalliche disgregate dell’aereo dell’Itavia, posti con pietoso rispetto e delicata compostezza sul pavimento dell’hangar, amplifica la straordinaria forza emotiva delle immagini, a partire dallo scatto cover: l’oblò simile a una bocca, «che urla come nel quadro di Munch».
Tredici anni dopo quelle immagini diventano una videoinstallazione immersiva, per la curatela di Lorenzo Balbi, allestita negli spazi dell’ex chiesa di San Mattia a Bologna, edificio cinquecentesco dal fastoso impianto decorativo interno che, nel Settecento, vide al lavoro il «quadraturista» Pietro Scandellari e gli artisti Nicola Bertuzzi e Tertulliano Taroni.
Sette schermi di grandi dimensioni, posizionati ad altezze e angolature diverse, come a voler avvolgere lo spettatore, proiettano nel buio della chiesa bolognese, trasformata nel 2015 in spazio museale, una narrazione audio-visiva che rielabora le ottantuno immagini del reportage realizzato nel 2007.
Una voce dalla torre di controllo, il rumore dell’esplosione, lo sciabordio del mare, una nenia che sembra una liturgia funebre e poi quegli scatti che non hanno nulla di piacevole, che ti colpiscono come un pugno allo stomaco, con i rottami che sembrano riemergere dall’acqua e fluttuare nel vuoto vanno a comporre quattordici minuti sospesi nel tempo, una narrazione di grande intensità per la sceneggiatura e il montaggio video di Elide Blind e Simone Tacconelli, con la musica e il sound design di Aurelio Zarrelli e con l’allestimento tecnico di Paolo Barbieri.
Le forme sembrano anche sfaldarsi, fino a sconfinare nell’astratto, fino a generare un ulteriore effetto di spaesamento. Quello stesso spaesamento che, da quarant’anni, proviamo nell’ascoltare questa storia non risolta. Un ennesimo mistero italiano che ha ancora molto da dire e su cui c’è ancora molto da indagare. Una ferita profonda e mai rimarginata che si porta dietro il dolore e la richiesta di verità dei familiari delle vittime e di un intero Paese. Perché solo la verità può dare pace al ricordo, a quei corpi rimasti in fondo al mare con le loro speranze, i loro sogni, la loro vita.

Informazioni utili 
 «Stragedia - Nino Migliori».  Ex Chiesa di San Mattia, via Sant’Isaia, 14/a - Bologna. Orari: venerdì e sabato, ore 20.00 – 22.00; domenica, ore 18.00 – 20.00.  Ingresso libero, con prenotazione  al numero 051.6496611 o su https://ticket.midaticket.it/museicivicibologna/Event/36/Dates. Catalogo: Edizioni MAMbo, Bologna. Informazioni  MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, tel 051.6496611 - info@mambo-bologna.org. Sito web: www.mambo-bologna.org. Fino al 7 febbraio 2021.