ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 29 giugno 2020

Ustica, scene di una «stragedia». Nino Migliori tra i relitti dell'aereo


C'era chi partiva per le vacanze, chi era andato «nel Continente» per una visita medica, chi tornava da un viaggio di lavoro e chi, all'atterraggio, avrebbe festeggiato il matrimonio di un amico. C'era un ingegnere nucleare, la prima donna a laurearsi in Italia in quella disciplina, che tornava da Urbino, insieme alla figlia e alla baby sitter, dopo aver assistito alla laurea del fratello. E c'era una ragazzina di undici anni che, soddisfatta, aveva messo nello zaino la pagella da mostrare al papà che l'attendeva a Palermo. C'erano ottantuno persone, con le loro storie straordinariamente normali, simili a quelle di tante altri, eppure uniche, sull’aeromobile Douglas DC-9 IH 870 della compagnia aerea Itavia che alle 20:59 del 27 giugno 1980 spariva dai radar nel tratto di mare compreso tra le isole di Ponza e Ustica, facendo perdere ogni traccia.
Era una sera d’estate come tante altre e chi, nell’affollata sala d’attesa dello scalo di Punta Raisi, riscontrava sul tabellone il ritardo del volo partito da Bologna, dall’aeroporto «Guglielmo Marconi» di Borgo Panigale, alle 20:08 (con due ore di ritardo a causa di un violento temporale), e atteso a Palermo alle 21:13, non si aspettava che, di lì a poco, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Alle 22:00, dopo le operazioni di ricerca, l'aeromobile veniva dato ufficialmente per disperso e scattavano le misure d’emergenza. La noia e il nervosismo delle prime ore si trasformavano in angoscia.
All'alba del 28 giugno uno degli elicotteri impegnati nella missione di soccorso vedeva affiorare alcuni rottami; intorno alle 9 quei resti venivano identificati con quelli del Douglas DC-9 IH 870. L’angoscia diventava dolore, rabbia, silenzio stupito.
La notizia non voluta, ma temuta arrivava nella sala d’attesa di Punta Raisi. Rimbalzava nelle case di parenti e amici grazie ai vecchi telefoni a gettoni. Raggiungeva tutti gli italiani attraverso i giornali e le televisioni. L’aereo era caduto in mare e tutte le persone a bordo -64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi e 4 uomini dell’equipaggio- erano morte.
Per cinque giorni le navi fecero la spola con Palermo per portare a terra detriti e rottami. Si cercò anche di dare degna sepoltura a tutti i corpi, ma alla fine ne vennero recuperati solo trentanove su ottantuno.
Cos’è successo quella sera? Perché quell'aereo è caduto? Cosa lo ha distrutto in volo? A quarant’anni di distanza queste domande rimangono ancora senza risposta. La strage di Ustica è senza colpevoli. Silenzi, bugie, depistaggi, scontri di potere, tracciati radar cancellati, registrazioni manomesse, coperture politiche hanno nascosto una verità scomoda, una verità che ancora oggi sembra essere inconfessabile per chi sa.
Inizialmente si parlò di un «cedimento strutturale». Poi si avanzò l’ipotesi di un attentato terroristico con l’esplosione di una bomba a orologeria. Infine, nel 1996, un giudice, Rosario Priore, mise nero su bianco quello che era successo: c’era stata «una guerra in tempo di pace», aerei militari di diverse nazioni -Francia, Stati Uniti, Libia, Italia e altre ancora (a detta della Nato)- avevano sorvolato i nostri cieli e uno dei questi aveva abbattuto il volo civile dell’Itavia, nella cui scia si celava –fuori dai radar- il bersaglio mancato. Sembra un film e, invece, è una pagina di storia, una pagina ancora incompleta perché non si sa chi sia il responsabile materiale della strage e quale fosse l’obiettivo mancato.
Dal 2007 i resti dell’aereo sono raccolti in un museo a Bologna, all'interno degli ampi spazi dell'ex magazzino dell’azienda di trasporti cittadina Atc.
Attorno al relitto l’artista francese Christian Boltanski ha ideato un’installazione permanente, un invito alla memoria che fa venire i brividi.
Dal soffitto scendono ottantuno lampadine, una per ogni vittima, che si accendono e si spengono a intermittenza, al ritmo del respiro. Tutt’intorno ci sono ottantuno specchi neri che riflettono l’immagine di chi percorre il ballatoio posto attorno al relitto. Mentre, dietro ognuno di essi, ottantuno altoparlanti emettono parole e frasi sussurrate a sottolineare la casualità e l’ineluttabilità della tragedia. Infine, nove casse, coperte da un drappo nero, contengono, gli oggetti appartenuti alle vittime: scarpe, pinne, boccagli, occhiali e vestiti che documenterebbero la scomparsa di un corpo, rimangono così invisibili agli occhi dei visitatori.
Tredici anni fa, poco tempo dopo che il relitto del velivolo, recuperato al largo dell’isola di Ustica, ha compiuto lo straziante percorso a ritroso che dall’aeroporto di Pratica di Mare lo ha riportato a Bologna, Nino Migliori ottiene il permesso per entrare in quel capannone che sarebbe diventato un museo. Vi rimane quattro notti e, a lume di candela, fotografa i resti dell’aereo non ancora ricomposto nella sua forma originaria intorno allo scheletro della fusoliera. Il risultato sono ottantuno immagini, una per ogni vittima, che illuminano, con una tremula fiamma che ha il sapore di un cero votivo, i muti testimoni -rottami contorti, piegati, spezzati e rotti- di quella che il fotografo bolognese definisce una «stragedia», neologismo inventato per congiungere l’idea della tragedia a quella di una volontà stragista.
La severa cromia del bianco e nero che Nino Migliori sceglie per consegnare alla memoria, nostra e di chi verrà dopo di noi, i dettagli delle superfici metalliche disgregate dell’aereo dell’Itavia, posti con pietoso rispetto e delicata compostezza sul pavimento dell’hangar, amplifica la straordinaria forza emotiva delle immagini, a partire dallo scatto cover: l’oblò simile a una bocca, «che urla come nel quadro di Munch».
Tredici anni dopo quelle immagini diventano una videoinstallazione immersiva, per la curatela di Lorenzo Balbi, allestita negli spazi dell’ex chiesa di San Mattia a Bologna, edificio cinquecentesco dal fastoso impianto decorativo interno che, nel Settecento, vide al lavoro il «quadraturista» Pietro Scandellari e gli artisti Nicola Bertuzzi e Tertulliano Taroni.
Sette schermi di grandi dimensioni, posizionati ad altezze e angolature diverse, come a voler avvolgere lo spettatore, proiettano nel buio della chiesa bolognese, trasformata nel 2015 in spazio museale, una narrazione audio-visiva che rielabora le ottantuno immagini del reportage realizzato nel 2007.
Una voce dalla torre di controllo, il rumore dell’esplosione, lo sciabordio del mare, una nenia che sembra una liturgia funebre e poi quegli scatti che non hanno nulla di piacevole, che ti colpiscono come un pugno allo stomaco, con i rottami che sembrano riemergere dall’acqua e fluttuare nel vuoto vanno a comporre quattordici minuti sospesi nel tempo, una narrazione di grande intensità per la sceneggiatura e il montaggio video di Elide Blind e Simone Tacconelli, con la musica e il sound design di Aurelio Zarrelli e con l’allestimento tecnico di Paolo Barbieri.
Le forme sembrano anche sfaldarsi, fino a sconfinare nell’astratto, fino a generare un ulteriore effetto di spaesamento. Quello stesso spaesamento che, da quarant’anni, proviamo nell’ascoltare questa storia non risolta. Un ennesimo mistero italiano che ha ancora molto da dire e su cui c’è ancora molto da indagare. Una ferita profonda e mai rimarginata che si porta dietro il dolore e la richiesta di verità dei familiari delle vittime e di un intero Paese. Perché solo la verità può dare pace al ricordo, a quei corpi rimasti in fondo al mare con le loro speranze, i loro sogni, la loro vita.

Informazioni utili 
 «Stragedia - Nino Migliori».  Ex Chiesa di San Mattia, via Sant’Isaia, 14/a - Bologna. Orari: venerdì e sabato, ore 20.00 – 22.00; domenica, ore 18.00 – 20.00.  Ingresso libero, con prenotazione  al numero 051.6496611 o su https://ticket.midaticket.it/museicivicibologna/Event/36/Dates. Catalogo: Edizioni MAMbo, Bologna. Informazioni  MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, tel 051.6496611 - info@mambo-bologna.org. Sito web: www.mambo-bologna.org. Fino al 7 febbraio 2021.  

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