ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 11 novembre 2020

«Moncalieri Jazz Festival», la musica «vive» e va in diretta streaming

Il Moncalieri Jazz Festival non si arrende alla pandemia da Coronavirus che sta mettendo in ginocchio il mondo dello spettacolo dal vivo. Il Dpcm con le misure anti-Covid firmato lo scorso 24 ottobre dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte prevede «la sospensione degli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi, anche all'aperto». 
Ugo Viola, direttore della rassegna musicale piemontese, si è, quindi, visto costretto a rivedere il programma di questa edizione, la numero ventitré, e, con spirito di innovazione e caparbietà (anche grazie al sostegno del Comune di Moncalieri, della Regione Piemonte e della Fondazione Crt), ha spostato parte dei concerti sulla Rete, sul sito www.moncalierijazz.com, proponendoli in live streaming e in forma gratuita.
A Moncalieri, dunque, la musica non si ferma, ma cambia volto, si rinnova anche «per alleviare -spiegano gli organizzatori- le giornate di questo periodo difficile», che vede il Piemonte in zona rossa. 
Da questa considerazione è nato il motto dell’edizione 2020, che valorizzerà soprattutto gli artisti italiani e giovani: «Moncalieri Jazz Vive!»
La scritta campeggia sulla nuova grafica, progettata e realizzata dall’illustratrice Giorgia Molinari. «L’immagine -racconta Ugo Viola- non solo rende omaggio all’arte visiva degli anni Cinquanta e Sessanta, caratterizzata dal ritorno dei colori originali e da linee geometriche con una punta di surrealismo e inaspettato, ma rappresenta anche il nostro motto. Il messaggio che l’illustrazione vuole far arrivare è un inno alla forza e all’energia della musica, che nonostante i tempi difficili sopravvive, o meglio vive, e non si lascia ‘inscatolare’».
Ad aprire il cartellone sarà, nella serata dell’11 novembre, alle ore 20.30, lo spettacolo «Anime Jazz», un progetto che unisce la musica alla sfera religiosa con letture ispirate all’opera della santa mistica Ildegarda di Bingen
Scenario dell’evento, proposto in diretta streaming, sarà la Collegiata Santa Maria della Scala di Moncalieri
Il sax baritono di Dario Cecchini suonerà le prime note del concerto direttamente dal campanile, quasi a richiamare l’attenzione della città per creare una sorta di legame spirituale tra chi suona e chi ascolta; lo strumento proseguirà, quindi, il suo percorso sonoro all’interno della chiesa con il concerto «Sax baritono e reverbero». 
Sarà, poi, la volta di Luca Allievi, che si esibirà con la sua chitarra classica e jazz
Mentre a fondere e mescolare insieme le due sfere protagoniste di questa raffinata serata, ovvero musica e religione, sarà la performance dell’attrice Silvia Furlan, accompagnata dalla voce di Albert Hera. Ispirandosi ai testi, ai dipinti e alla vita di Ildegarda di Bigen, detta «La Sibilla del Reno», i due artisti intrecceranno musica, ritmo e sonorità della voce, con le stesse parole della santa, permettendo al pubblico di riscoprire questa figura modernissima di intellettuale e artista, oltre che religiosa. 
A conclusione della serata, Gavino Murgia e Fabio Giachino, ai sassofoni il primo e all’organo il secondo, interpreteranno «A Love Supreme», un tributo all’omonima opera musicale di John Coltrane, ideata nel 1964, nel momento più alto della sua intensa spiritualità musicale.
Le successive quattro serate si svolgeranno negli studi della Egaudiovisivi snc. 
Si inizierà giovedì 12 novembre, sempre alle ore 20.30, con un appuntamento dedicato ai «Giovani talenti». Il concerto sarà diviso in due parti: prima saliranno sul palco Jacopo Taddei al saxofono e Luigi Nicolardi al pianoforte in un’interazione fra tradizione classica e jazzistica; poi toccherà alla cantante Emilia Zamune presentare il progetto «Duet», accompagnata da Massimo Moriconi al contrabbasso.
Venerdì 13 dicembre
, sempre alle ore 20.30, si terrà, invece, «The Bird», un tributo, nel centenario della nascita, al gigante del Bepop Charlie Parker, da molti definito il «Picasso del jazz». Sul palco salirà un quartetto tutto piemontese di valore internazionale, composto dal sassofonista moncalierese Claudio Chiara, Luigi Tessarollo alla chitarra, Aldo Mella al contrabbasso ed Enzo Zirilli alla batteria.
Sabato 14 dicembre si festeggerà un altro centenario, quello di Renato Carosone, il maestro della canzone napoletana o meglio dello swing partenopeo, noto per brani come «Tu vuò fa l’Americano», «Caravan Petrol», «O sarracino» e «Pigliete ‘na pastiglia». Ad interpretare questo tributo sarà il jazzista napoletano Daniele Sepe, con Tommaso de Paola al pianoforte e tastiere, Paolo Forlini alla batteria, Davide Costagliola al basso, Antonello Iannotta alle percussioni, Mario Insenga alla voce e Salvatore Lampitelli «Sabba» alla voce.
Il festival  terminerà domenica 15 novembre con «Amarcord…ricordando cento anni di Federico Fellini», una suite musicale scritta dal maestro Andrea Ravizza, in veste di arrangiatore e direttore, che vedrà esibirsi un'ensemble creato ad hoc con Fulvio Chiara alla tromba, Albert Hera alla voce e al sax soprano, Fabio Giachino al pianoforte, Federico Marchesano al contrabbasso, Alessandro Minetto alla batteria e il Quartetto d’Archi di Torino, composto da Edoardo de Angelis al violino, Umberto Fantini al violino, Andrea Repetto alla viola e Manuel Zigante al violoncello. 
Il concerto permetterà di ascoltare colonne sonore di film come «La dolce vita», «8 ½», «La strada», «Amarcord», «Ginger e Fred» e molti altri.
Per l’occasione, saranno in scena al Moncalieri Jazz Festival anche il direttore Ugo Viola, con la sua fisarmonica, e l’illustratrice Giorgia Molinari, che durante il concerto darà vita a illustrazioni grafiche ispirate al programma di sala. 
Parteciperà all’appuntamento anche Francesca Fabbri Fellini, unica erede del maestro, che ci racconterà aneddoti legati al set e all’importanza che la musica, quella di Nino Rota, ha avuto all’interno del cinema felliniano. 
Questa inedita edizione del festival piemontese si chiuderà, dunque, con un appuntamento all’insegna del sogno, del fumetto, del circo e della fantasia: varie facce di un prisma caleidoscopico, quello dell'arte, che in questi giorni non possiamo godere dal vivo, ma possiamo comunque sperimentare grazie all'uso della tecnologia. 

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Locandina del «Moncalieri Jazz Festival»; [fig. 2] Ritratto di Francesca Fabbri Fellini; [fig. 3] Ritratto di Daniele Sepe;  [fig. 4] Ritratto di Enzo Zirilli. Foto di Roberto Cifarelli 

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martedì 10 novembre 2020

«Opere al telefono», a Reggio Emilia un modo originale per scoprire la mostra «True fiction»

Chissà se il ragionier Bianchi di Varese, il rappresentante di commercio inventato negli anni Sessanta dallo scrittore e pedagogista piemontese Gianni Rodari, oggi farebbe una videochiamata con WhatsApp o userebbe Zoom per raccontare, tutte le sere, le sue storie della buonanotte alla figlioletta? Non lo sapremo mai. Ma è certo che il fascino vintage delle «Favole al telefono», libro edite nel 1962 da Einaudi, continua ad affascinare i bambini con i suoi personaggi anticonformisti e bizzarri: da Alice Cascherina che cade dappertutto a Giovannino Perdigiorno che capita nel paese con l’esse davanti, dalla donnina di Gavirate che conta gli starnuti della gente ai bambini di Bologna, presi per la gola da un fantastico palazzo di gelato costruito in piazza Maggiore.
A cent’anni dalla nascita (l’anniversario si è festeggiato lo scorso 23 ottobre), Gianni Rodari e le sue «Favole al telefono», ormai un classico della letteratura per l’infanzia, hanno solleticato, in questi tempi di Coronavirus, la fantasia di molti, dal Teatro polifunzionale di Ischia all’associazione Damatrà di Udine, senza dimenticare l’attore e regista Francesco Zecca che ha ideato «Pronto, chi favola?», iniziativa che ha coinvolto nel racconto delle settanta storie rodariane ai più piccoli anche Lucrezia Lante Della Rovere, Georgia Lepore, Lelli Cecere e molti altri attori.
Parte da una suggestione rodariana anche il progetto «Opere al telefono», ideato dalla Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia per poter fruire delle opere presenti nella mostra «True Fiction. Fotografia visionaria dagli anni Settanta a oggi», temporaneamente chiusa al pubblico in ottemperanza all’ultimo Dpcm per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, quello diffuso sulla «Gazzetta Ufficiale» lo scorso 4 novembre. 
Da questo mercoledì fino al 23 dicembre, tutti i mercoledì, dalle ore 17 alle ore 19, si potrà chiamare il numero 0522.444446 e farsi raccontare una delle opere in mostra, scelta dal catalogo presente sul sito Internet.
Al telefono risponderà uno degli esperti della fondazione reggiana, a cui si potranno fare domande sulle tecniche, sulla vita e i progetti degli artisti, e su tutte le verità e le finzioni nascoste in ogni scatto.
«True Fiction. Fotografia visionaria dagli anni Settanta a oggi», per la curatela di Walter Guadagnini, è, infatti, la prima mostra in Italia dedicata al fenomeno della staged photography, tendenza che, a partire dagli anni Ottanta, ha rivoluzionato il linguaggio fotografico e la collocazione della fotografia nell’ambito delle arti contemporanee, trasformandola da strumento principe per documentare la realtà a mezzo privilegiato per inventare realtà parallele e mondi fantastici.
Partendo da grandi maestri come Jeff Wall, Cindy Sherman, James Casebere, Sandy Skoglund, Yasumasa Morimura, Laurie Simmons passando per artisti come Erwin Olaf, David Lachapelle, Nic Nicosia, Emily Allchurch, Joan Fontcuberta, Julia Fullerton Batten, Paolo Ventura, Lori Nix, Miwa Yanagi, Alison Jackson, Jung Yeondoo, Jiang Pengyi, fino ad arrivare ad autori raramente esposti in Italia come Bernard Faucon, Eileen Cowin, Bruce Charlesworth, David Levinthal, l'esposizione allinea un centinaio di «opere straordinariamente affascinanti, inquietanti e divertenti, che -racconta Walter Guadagnini- parlano di noi fingendo di parlare d'altro».
«Opere al telefono» è solo il primo tassello di una serie di progetti che la Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia sta ideando per riempire il vuoto creato da questa nuova chiusura dei luoghi della cultura. A breve -assicurano dal museo emiliano- «arriveranno talk, visite virtuali, interviste e incontri on-line» con Walter Guadagnini e con il direttore Davide Zanichelli, ma anche con gli artisti presenti nelle due mostre del progetto espositivo «Autunno fotografico», che aveva aperto le porte al pubblico lo scorso 17 ottobre. A Reggio Emilia, oltre a «True Fiction. Fotografia visionaria dagli anni Settanta a oggi», aveva, infatti, inaugurato da poco, a Palazzo del Mosto, anche la mostra «Atlanti, ritratti e altre storie. Sei giovani fotografi europei», che allinea le opere di Alessandra Baldoni (Perugia, 1976), Alexia Fiasco (Parigi, 1990), Francesco Merlini (Aosta, 1986), Manon Lanjouère (Parigi, 1993), Giaime Meloni (Cagliari, 1984) e Denisse Ariana Pérez (Repubblica Domenicana, 1988).
Da Reggio Emilia arriva, dunque, un modo alternativo e decisamente originale per vivere l’arte in questi tempi di lockdown della cultura dal vivo: «una chiacchierata -spiegano dal museo- per restare in contatto, nell’attesa che l’emergenza si concluda, per restare attivi, per restare in quella comfort zone che in questo momento solo la fantasia ci può dare». 

Vedi anche
Catalogo on-line 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Locandina di «Opere al telefono»;  [fig. 2] Sandy Skoglund, «Revenge of the Goldfish», 1981 archival color photograph cm 88.9 x 69.2 ca. Courtesy: Paci contemporary gallery (Brescia – Porto Cervo, IT); [fig. 3] Sandy Skoglund, «Fox Games», 1989 archival color photograph cm 117 x 150 ca. Courtesy: Paci contemporary gallery (Brescia – Porto Cervo, IT) ; [fig. 4] Lori Nix, «Library», 2007 from “The City” series color photograph cm 76 x 127 ca. Courtesy: Pacin contemporary gallery (Brescia – Porto Cervo, IT); [fig. 4] Bernard Faucon, «Les papiers qui volent», 1980 fresson print cm 30 x 30 ca. Courtesy: Paci contemporary gallery (Brescia – Porto Cervo, IT)

Informazioni utili 
«Opere al telefono». Ogni mercoledì, dalle 17.00 alle 19.00, al numero 0522.44446. Dall'11 novembre al 23 dicembre 2020. Sito internet: www.palazzomagnani.it

lunedì 9 novembre 2020

Da casa nei campi di grano di Vincent Van Gogh. Quattro recital in streaming per la mostra «I colori di una vita»

Geniale, folle, visionario: sono questi gli aggettivi che più spesso troviamo associati alla figura di Vincent Van Gogh (Groot Zunder, 1853-Auvers-sur-Oise, 1890), uno tra gli artisti più noti e amati del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, perfetto prototipo, nell’immaginario collettivo, del cosiddetto «pittore maledetto» insieme con Caravaggio, Amedeo Modigliani e Antonio Ligabue.
Il «male di vivere» che l’artista olandese si portava dentro, con la sua correlata estrema sensibilità, è stata la chiave di volta per penetrare a fondo i misteri dell’esistenza umana, restituendo sulla tela, con una pennellata veloce e immediata, con un tripudio di colori e luci, le suggestioni di una notte stellata, la bellezza semplice dei girasoli, il silenzio dei campi di grano, l’inquietudine di uno stormo di corvi neri in un cielo in tempesta, il nostro «terribile bisogno di Dio».
Per Vincent Van Gogh la pittura doveva essere una terapia contro l’infelicità del mondo. Fu, invece, un motivo in più di disperazione. «Per quanto mi riguarda, -diceva- io sono votato all’infelicità e all’insuccesso», «sul mio conto non ho alcuna speranza, o quasi». L’artista si sentiva, dunque, un fallito e il mondo intorno a lui di certo non lo aiutava ad accrescere la sua autostima. I suoi quadri non si vendevano; il primo riconoscimento pubblico, una recensione di Albert Aurier sul «Mercure de France», arrivò troppo tardi, pochi mesi prima della morte. Ma in quelle parole, che colsero di sorpresa lo stesso artista, c’era tutto il senso di una ricerca unica: la pittura di Vincent Van Gogh – scrisse, infatti, il giornalista- «è la forma che diventa incubo, il colore che diventa fiamma, lava e gemme, la luce che si fa incendio».
I contemporanei consideravano bizzarro anche lo stile di vita dell’artista e due episodi più di tutti, il taglio dell’orecchio davanti all’amico Paul Gauguin e il ricovero nella clinica di Saint-Rémy per «mania acuta con allucinazioni uditive e visive», contribuirono a creare il mito del pittore borderline, difficile e distruttivo.
Non deve essere, quindi, stato facile per l’artista accettare gli sguardi imbarazzati e colpevolizzanti degli altri, tanto che Antonin Artaud definì Vincent Van Gogh «il suicidato della società», non un suicida in preda al delirio e all’autolesionismo, ma un uomo ucciso dagli altri, da «un esercito di esseri malvagi».
Il pittore olandese non era, però, solo un «artista maledetto», era molto di più. Era un botanico esperto e un appassionato di ornitologia. Parlava quattro lingue. Aveva un rapporto speciale, assoluto, quasi religioso con la natura e, con il suo spirito contemplativo, camminava per le campagne della Provenza e per le vie dell’arte con un’intima convinzione nel cuore: «ho un debito – scriveva al fratello Theo il 7 agosto 1883- nei confronti del mondo, e anche l’obbligo – perché ci ho camminato sopra per trent’anni – di lasciargli in segno di gratitudine qualche ricordo in forma di disegni o di quadri – che non sono stati fatti per piacere all’una o all’altra tendenza, ma per esprimere un sentimento umano sincero».
Per uscire dal cortocircuito dei tanti luoghi comuni legati alla figura di Van Gogh, lo storico dell’arte e curatore Marco Goldin ha appena scritto un libro per la casa editrice La Nave di Teseo, a partire dal corposo epistolario del pittore: 903 lettere, di cui 820 manoscritte e 658 indirizzate al fratello, scritte tra il 1872 e il 1890.
«Vincent Van Gogh. L’autobiografia di una vita» è il titolo del volume, uscito in libreria da poco meno di un mese, quasi contemporaneamente all’inaugurazione della mostra «I colori di una vita» al Centro San Gaetano di Padova, non visibile in questi giorni in ottemperanza al nuovo Dpcm con le misure anti-Covid, pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale dello scorso 4 novembre, che chiude musei ed eventi espositivi su tutto il territorio nazionale.
Gli ottantadue quadri e dipinti dell’artista giunti in Veneto, grazie alla collaborazione fondamentale del Kröller-Müller Museum di Otterlo e del Van Gogh Museum di Amsterdam, ripercorrono cronologicamente la vita dell’artista, raccontano il suo cammino da Nuenen ad Anversa, da Parigi a L’Aja, da Londra ad Arles, dalla catena delle Alpilles alle campagne di Barbizon.
L’«Autoritratto con il cappello di feltro», «Il seminatore», «Il postino Roulin», «Il signor Ginoux», «L’Arlesiana» sono solo alcuni dei capolavori «ingabbiati e nascosti» in questi giorni nel buio delle sale del Centro San Gaetano, che torneremo a poter vedere appena l’emergenza finirà.
Con la consapevolezza che l’arte sia un balsamo potente per lenire le ferite di questo nostro tempo incerto, Marco Goldin ha deciso di far rivivere «la magia dei colori e la potenza dei sentimenti» di queste opere attraverso quattro recital divulgativo-teatrali, proposti gratuitamente in diretta streaming attraverso Facebook e sul sito di Linea d’ombra.
I racconti e le letture dello studioso, che da oltre vent’anni si occupa del pittore olandese, si intrecceranno con le musiche composte e suonate al pianoforte da Remo Anzovino, compositore che ormai da anni si cimenta nel racconto in musica dell’arte mondiale, tanto da essere stato premiato ai Nastro d’argento 2019 con una menzione speciale per le colonne sonore originali dei film.
Il mix tra parole e musica getterà nuova luce su alcuni temi specifici della biografia di Van Gogh ancora poco approfonditi.
Dopo il successo della puntata pilota tenutasi lo scorso 30 ottobre, vista da oltre centomila spettatori e trasmessa anche sul canale 14 del digitale terrestre nel Triveneto, il format entrerà ufficialmente nel vivo questa sera, lunedì 9 novembre (alle ore 21), con «Van Gogh nei campi di grano. La forza della natura e l’idea del tempo circolare».
Protagoniste del racconto, della durata di circa un’ora, saranno le lettere che l’artista inviò al fratello Theo, alla sorella Wil e a Émile Bernard nella seconda metà di giugno del 1888, mentre stava dipingendo nella pianura della Crau, poco fuori Arles.
La serata verrà divisa in tre parti: dopo un’introduzione sul tema, ci sarà il recital vero e proprio; mentre la parte finale sarà riservata alle risposte che Marco Goldin darà alle domande che gli verranno poste attraverso Facebook dagli utenti-spettatori.
Le puntate successive – previste per le serate del 16, del 23 e del 30 novembre- saranno, invece, dedicate rispettivamente agli amici di Van Gogh ad Arles, al tema della malinconia nella casa di cura di Saint-Rémy e alla fine del suo viaggio sulla terra, a Auvers.
Attraverso i quattro appuntamenti quasi sicuramente Marco Goldin scardinerà il mito dell’«artista maledetto» per innalzare Vincent Van Gogh al ruolo dell’«eroe moderno», un uomo con una missione da compiere che, pur nell’apparente sconfitta, annuncia il futuro, parla della crisi di certezze dell’uomo moderno. Ecco perché, secondo lo storico dell’arte e curatore veneto, l’artista «non era pazzo», ma «ha camminato -si legge ne «L’autobiografia mai scritta»- danzando sulla vita, come sul filo mai interrotto di un vulcano […] Ha creato con la disciplina della sua anima un mondo inarrivabile, il mondo di un eroe. Colui che arriva a toccare il sole e poi riesce a raccontarne il fuoco e il calore, la luce che abbaglia. E quella luce la fa diventare colore. Un colore che nessuno mai aveva dipinto così prima. E mai nessuno ha dipinto poi».

Didascalie delle immagini
[fig. 1] [Fig. 1] Vincent van Gogh, Autoritratto con cappello di feltro grigio, 1887, olio su tela, cm 44,5 x 37.2. Van Gogh Museum (Vincent van Gogh Foundation), Amsterdam [fig. 2] Marco Goldin; [fig. 3] Remo Anzovino; [fig. 4] Vincent van Gogh, Il seminatore, 1888, olio su tela, cm 64,2 x 80,3. Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands; Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk; [fig. 5] Vincent van Gogh, Paesaggio con covoni e luna nascente, 1889, olio su tela, cm 72 x 91,3 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands; Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk; [fig. 6] Vincent van Gogh, L'arlesiana (Madame Ginoux), 1890, olio su tela, cm 60 x 50. Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma © Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo; [fig. 7] Vincent van Gogh, Covone sotto un cielo nuvoloso, 1889, olio su tela, cm 63,3 x 53 © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands; Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk  
 
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