ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 29 gennaio 2021

Dalla nuova illuminazione del cortile d’onore ai libri della collezione Adler: luci e colori in scena a Brera

È tempo di novità a Brera. A distanza di due anni dalla conclusione del grande progetto di riallestimento delle trentotto sale del museo, l’architettura del cortile d’onore - fulcro centrale del complesso braindense, che ospita la Pinacoteca, l'Accademia di Belle arti, la biblioteca, l'osservatorio astronomico e l'orto botanico - viene valorizzata da una nuova illuminazione, realizzata da due architetti di interni: Alessandra Quarto e Angelo Rossi.
Entrando di sera da via Brera, il visitatore verrà calato in una dimensione emozionale di indubbio fascino grazie a una nuova luce morbida che fa risaltare tutti i particolari architettonici dell’ingresso, dalla loggia a doppio ordine sovrapposto, capolavoro dell’architetto Francesco Maria Richini, all’apparato scultoreo che si trova nelle nicchie e nelle arcate: statue, busti e monumenti, dedicati a illustri personaggi milanesi, vissuti alla fine del ‘700 e nel corso dell’800, che si sono resi benemeriti nelle diverse discipline delle arti e delle scienze.
La teoria degli archi e delle volte su doppio ordine emerge con delicatezza grazie a una luce diffusa ed equilibrata, mentre l’illuminazione d’accento, riservata alle statue e ai busti collocati lungo il perimetro del loggiato superiore e nelle nicchie, oltre che ai due monumenti lungo lo scalone di accesso alla Pinacoteca, mette in risalto le figure e i volti della storia di Brera. Scrittori, poeti, scienziati, matematici, filologi, economisti sono animati grazie alla luce che ne esalta la plasticità rendendoli quasi animati.
Il nuovo sistema di illuminazione potrà avere anche una colorazione blu, rossa, verde con scenografie variopinte che saranno programmate per i prossimi eventi temporanei, «con la speranza -spiegano da Brera- di riaprire presto le porte del museo al pubblico» (la Lombardia è attualmente in zona arancione).
Sempre il 21 gennaio la Biblioteca braidense ha inaugurato la mostra «Tempi terribili – Libri belli», a cura di Federica Rossi, che festeggia la recente acquisizione, tramite donazione, della collezione Adler, importante testimonianza della letteratura per l’infanzia nell’Unione sovietica con i suoi duecentocinquantasette libri per bambini, di cui centosessantanove in russo, ottantacinque in ucraino e tre in yiddish, per la maggior parte pubblicati fra la fine degli anni Venti e il 1933.
Il percorso espositivo, visibile on-line per gli abbonati della piattaforma Brera Plus+, raccoglie centoquaranta opere - centoventitré della collezione Adler, diciassette provenienti da raccolte private – accanto a ventiquattro preziose spille sovietiche della collezione Sandretti e ad alcuni manufatti come le terracotte di Vjatsk dai colori vivaci o giocattoli popolari russi.
«Il libro per bambini è una delle armi più potenti dell’educazione socialista delle giovani generazioni», diceva Nadežda Krupskaja, la moglie di Lenin. Per creare un nuovo paradiso socialista, nell'Unione Sovietica, che usciva da momenti drammatici come la Prima guerra mondiale e la rivoluzione bolscevica, la cultura dei bambini era, dunque, fondamentale e questa passava dai libri, strumenti che dipingevano il quadro di una nuova era per l’umanità dopo secoli di guerra, povertà e servitù, con la vivacità dei colori, le studiate geometrie e la fantasia nell’uso dei caratteri calligrafici, elementi capaci di infondere grande allegria e stimolare la fantasia dei bambini.
Questi volumi venivano creati da artisti che avevano assimilato la lezione dell’arte avanguardista, una tendenza artistica che si distaccava radicalmente dalla tradizione accademica ottocentesca. Non stupisce, dunque, che gli architetti di origine ebrea Hans Edward Adler e Hedwig Feldmann, arrivati in Unione Sovietica dalla Germania nel 1930 per contribuire alla costruzione delle nuove città socialiste, collezionassero questi volumi, significativi dal punto di vista estetico e formale, tanto da essere una fonte di ispirazione per il loro lavoro di designer e progettisti. Dopo decenni, i testi, che hanno attraversato incolumi le persecuzioni naziste nel chiuso di una malconcia valigia di pelle marrone, conservata in un solaio a Colonia, sono state trovate dalla figlia dei due progettisti, Susan, e sono state donate a Brera, costituendo una delle poche, forse l’unica, collezione di questo genere in Italia.
All’interno della raccolta Adler si possono ammirare edizioni rare di Vladimir Lebedev (1891-1967), definito dai contemporanei il «re del libro per bambini», ma anche opere di Vera Ermolaeva (1893-1937), artista che era succeduta a Marc Chagall nella direzione della scuola popolare d’arte di Vitebsk, e di Aleksandr Dejneka (1899-1969), uno dei maggiori artisti sovietici, a cui si devono i mosaici che decorano il soffitto della stazione Majakovskaja, forse la più suggestiva del metro di Mosca. Nella raccolta degli Adler sono, inoltre, presenti volumi dei grandi classici per ragazzi, come Kipling e Tolstoj, in edizioni sovietiche a opera dei principali illustratori del periodo come Vladimir Favorskij (1886-1964) e David Šterenberg (1881-1948). Ci sono, infine, anche lavori degli artisti della scuola di Michailo Boičuk, tra cui Maria Kotljarevskaja e Oleksandr Dovgal.
La mostra a Brera è arricchita da opere provenienti da collezioni private come il libro «Indovinelli» di Samuil Maršak, con illustrazioni di Kuz’ma Petrov Vodkin, i volumi di Ivan Bylibyn, che si rifanno all'arte popolare russa, e due edizioni di «Che cosa è bene, che cosa è male?» («Čto takoe chorošo i čto takoe plocho?») del famoso poeta Vladimir Majakovskij - l'una del 1930, l'altra del 1943 - che mostrano il passaggio dalle avanguardie al realismo socialista. 
Da fine gennaio sarà, inoltre, disponibile il catalogo della mostra, pubblicato da Corraini: un’occasione in più per conoscere la collezione Adler e la sua storia da favola. Una favola che potrebbe iniziare con il più classico degli incipit: «c’era una volta»…una vecchia valigia di pelle marrone, un po’ malconcia, ma con all’interno un grande tesoro, tutto da sfogliare.

Didascalie delle immagini
Fig. 1 Pinacoteca di Brera, cortile d’onore illuminato © Foto di Andrea Cherchi - 2021; [fig. 2] Pinacoteca di Brera, cortile d’onore illuminato © Courtesy of ERCO - 2021; [fig. 3] Biblioteca Nazionale Braidense Sala Maria Teresa Allestimento mostra Tempi terribili - Libri belli La collezione Adler alla Biblioteca Braidense; [fig. 4] Samuil Maršak Posta (Počta), Leningrado, Molodaja gvardija, 1932 (settima edizione).  Illustrazioni di Michail Cekanovskij. Collezione Adler, Biblioteca Nazionale Braidense; [fig. 5] Aleksandr Vvedenskij, La cavalleria di Budennyj (Konnaja Budennogo), Leningrado, Molodaja gvardija, 1931. Illustrazioni di Valentin Kurdov. Collezione Adler, Biblioteca Nazionale Braidense; [fig. 6] Vladimir Lebedev, Le avventure di uno spaventapasseri (Priključenija Ĉuč-lo), Petersburg, Epocha, 1922. Illustrazioni dell’autore. Collezione Adler, Biblioteca Nazionale Braidense 

Informazioni utili

Riapertura dal 9 febbraio 2021
Pinacoteca di Brera, via Brera, 28 - Milano. Orari: dal martedì al venerdì, ore 9.30-18.30 (ultimo ingresso ore 17.00) | prenotazione obbligatoria per i singoli su brerabooking.org. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 02.72001140. Sito web: pinacotecabrera.org. Da martedì 9 febbraio 2021.

giovedì 28 gennaio 2021

«Donne, Messico e libertà»: in un libro di 24 Ore Cultura la vita avventurosa e la fotografia sociale di Tina Modotti

Bella, audace, libera, determinata e, come Frida Kahlo, con una biografia dai passaggi romanzeschi, che la vide essere attrice di cinema muto con Rodolfo Valentino e amante del rivoluzionario cubano Julio Antonio Mella. Tina Modotti (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942) è un'altra di quelle tante intellettuali del Novecento, da Tamara de Lempicka a Peggy Guggenheim, attorno alla cui figura si è creato un alone di leggenda.
Alla fotografa messicana, con natali friulani, è dedicato il nuovo volume di 24 Ore Cultura, disponibile in libreria e on-line dal 4 febbraio: «Tina Modotti. Donne, Messico e libertà». Il testo, per la curatela di Biba Giacchetti, è il catalogo dell’omonima mostra di prossima apertura al Mudec Photo, nell’ambito del palinsesto 2021 del Comune di Milano «I talenti delle donne».
Attraverso le pagine del volume si snoda l’appassionante racconto per immagini di un’artista di rara sensibilità, ma al tempo stesso di una personalità forte e poliedrica che ha saputo porre la sua abilità fotografica al servizio della libertà, dei diritti delle donne e dei lavoratori, della guerra civile spagnola e della rivoluzione messicana.
I saggi introduttivi di Biba Giacchetti, Paolo Ferrari e Claudio Natoli portano il lettore ad immergersi nella straordinaria vita di Tina Modotti, simbolo di emancipazione e modernità, che ha vissuto tra Europa, Stati Uniti, Messico e Russia.
Nata in una famiglia operaia friulana nel 1896, l'artista raggiunge appena diciassettenne il padre emigrato negli Stati Uniti, trasferendosi poi a Los Angeles nel 1918 per intraprendere la carriera cinematografica. Insoddisfatta, però, di come il cinema sfruttasse semplicemente il suo fascino esotico, abbandona presto Hollywood, dopo soli tre film e, grazie all’incontro e alla relazione con il fotografo Edward Weston, si dedica alla fotografia, trasferendosi con lui in Messico, Paese che diventerà la sua patria d’adozione e segnerà la sua vita tra arte e rivoluzione.
La parabola di Tina Modotti fotografa dura solamente un decennio, sufficiente, però, a renderla un’icona ancora oggi indimenticabile. 
Il catalogo documenta la sua costante evoluzione creativa partendo dalla ricerca naturalistica e dai primi ritratti commerciali della sua fase più votata all’estetica, fino ai celebri still life allegorici e alla fotografia sociale del periodo politico.
Fotografa ufficiale e modella dei muralisti, in Messico stringe amicizia con Diego Rivera e Frida Kahlo, con la quale intreccia anche una relazione. Ispirata dai registi d’avanguardia del cinema sovietico Sergej Ejzenštejn e Dziga Verov, alla fine degli anni Venti, Tina Modotti trasforma la sua macchina fotografica - l’inseparabile Graflex - in un’arma capace di indagare e raccontare la verità: ogni immagine veicola un messaggio, di cui la fotografia ne diventa portatrice e divulgatrice.
«Al centro dei suoi scatti - raccontano Paolo Ferrari e Claudio Natoli -, saranno la figura del contadino indio come soggetto di storia, la conquista della sua autonomia politica e culturale, e poi le forme di un lavoro oppressivo e defatigante, della disuguaglianza e della miseria urbana, le immagini di bambini e di madri nella povertà, e insieme i simboli della liberazione del lavoro: la falce e il martello, la pannocchia e la cartucciera, la chitarra e il sombrero».
Le realizzazioni fotografiche negli ultimi anni messicani saranno solo una parte dell’impegno sempre più attivo di Tina Modotti. Il suo crescente attivismo, l’iscrizione al partito comunista e le evidenti posizioni antifasciste, fino alle ingiuste accuse di complicità nell’omicidio del compagno, il rivoluzionario cubano Mella, e nell’attentato al presidente, la portano ad essere espulsa dal Messico. Nella seconda parte della sua vita l'artista diventa un agente del partito comunista: è sia in Russia sia sul fronte spagnolo durante la Guerra civile. Dall'espulsione, non potrà mai più tornare nella sua amata terra natale a causa delle sue attività antifasciste e di una morte prematura avvenuta ad appena 46 anni, alla quale resero omaggio artisti come Pablo Picasso, Rafael Alberti e Pablo Neruda.
La preziosa e unica raccolta fotografica contenuta nel volume permette non solo di avere una panoramica completa sulla ricerca artistica di Tina Modotti, i cui scatti sono esposti nelle collezioni dei più importanti musei internazionali, ma anche di comprendere a fondo ciò che è stato, politicamente e socialmente, il Messico degli anni Venti.
Il catalogo diventa così un’ottima occasione per prepararsi alla mostra sulla Modotti di prossima apertura la Mudec Photo. In questi spazi milanesi, un centinaio di fotografie, stampe originali ai sali d'argento degli anni Settanta, lettere, documenti e video avvicineranno il pubblico all’artista messicana, donna dal spirito libero che attraversò miseria e fama, arte e passione politica, arresti e persecuzioni, suscitando sempre ammirazione per il pieno e costante rispetto di sé stessa, del suo pensiero e della sua libertà.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cover del libro Tina Modotti. Donne, Messico e libertà; [fig. 2] Tina Modotti, Le donne di Tehuantepec portano frutta e fiori sulla testa, dentro zucche dipinte chiamate jicapexle, 1929  © Tina Modotti; [fig. 3] Tina Modotti , Sombrero, falce e martello, 1927, Messico  © Tina Modotti; [fig. 4] Ritratto di Tina Modotti 
 

Informazioni utili
Biba Giacchetti (a cura di), Tina Modotti. Donne, Messico e libertà, 24 ORE Cultura, Milano 2021.Formato: brossura olandese con sovraccoperta 25 x 28,7 cm. Pagine: 128 pp. corredate da 70 illustrazioni. Prezzo: € 25,00.Codice ISBN: 978-88-6648-446-2. Sito web: www.24orecultura.com

mercoledì 27 gennaio 2021

Giuseppe Penone dona al Castello di Rivoli duecento opere su carta

«La prima intuizione, la / prima idea di un’opera /annotata su un foglio / testimonia il fluttuare / dell’immaginazione prima / di irrigidirsi nella forma. / È bello pensare di / posare le idee nei luoghi / in cui sono apparse fluttuanti». In queste parole, affidate nel gennaio 2021 a un foglio di carta, Giuseppe Penone (Garessio, 1947), uno dei principali esponenti dell’Arte povera, commenta l’importanza di donare i propri disegni a un museo ubicato nello stesso luogo in cui vengono concepite e realizzate le sue opere, prima che esse viaggino in tutto il mondo. Queste parole, oggi, fanno parte della collezione del Castello di Rivoli. L’artista ha, infatti, deciso di donare al museo piemontese, uno dei più grandi spazi in Italia dedicati all’arte contemporanea, questo foglio e altri duecentodiciotto lavori su carta, oltre a preziosi materiali d’archivio e alla grande opera «Svolgere la propria pelle – finestra» (1970-2019), versione dell’importante lavoro allestito dall’artista nel 1972, in occasione di Documenta 5 a Kassel, con diciannove impronte del proprio corpo riportate fotograficamente su pellicola su pannelli di vetro. L’opera, affiancata a un’edizione del libro «Rovesciare gli occhi» (Einaudi, Torino, 1977), sarà proposta permanentemente nella sala della Biblioteca, nella Manica Lunga, nella forma attuale acquisita in occasione della mostra «Harald Szeemann. Museum of Obsessions / Museo delle ossessioni» del 2019.
L’ingente corpus donato da Giuseppe Penone – composto principalmente da disegni, note di lavoro autografe, riflessioni manoscritte, schizzi progettuali, rendering architettonici, fotografie realizzate dallo stesso artista e scatti annotati –, sarà conservato al Crri, centro internazionale di ricerca del Castello di Rivoli, dove gli studiosi di tutto il mondo potranno approfondire la pratica dell’artista, rintracciarne i dettagli costruttivi e ripercorrerne i processi ideativi.
Nella donazione grande spazio hanno le opere di arte pubblica, lavori di grandi dimensioni, realizzati principalmente in area piemontese, ovvero a pochi chilometri da casa. Sfogliando queste carte, si spazia, infatti, dal ciclo «Sculture fluide» (2003-2007), quattordici opere per il Parco Basso della Reggia di Venaria, tra le quali ci sono «Tra scorza e scorza» e «Pelle di marmo»,  all'installazione «Anfora» per il Castello di Rivoli (2016-2019) , passando per «Albero giardino» (1998), lavoro collocato all’interno del Giardino dei caduti di Cefalonia e Corfù, in corso Francesco Ferrucci, composto da una galleria percorribile che assume la forma di un albero coricato con tre rami. Il lavoro è stato commissionato nel 1995 dalla città di Torino per integrare il proprio piano di riqualificazione urbana in vista della creazione del passante ferroviario.
La donazione al museo piemontese rappresenta un importante tassello nella sua storia e in quella del suo centro di ricerca, come ricorda Andrea Viliani, responsabile e curatore del Crri. Lo studioso afferma, infatti, che «nell’ambito degli studi e delle poetiche afferenti in vario modo all’Arte povera, il Castello di Rivoli si pone come istituzione di riferimento a livello internazionale». E ricorda, inoltra, che «tra i movimenti artistici più importanti del XX secolo, l’Arte povera trova la sua origine in Piemonte, territorio dal quale, come Penone stesso, un numeroso gruppo di artisti proviene».
Va, inoltre, segnalato che la donazione integra e completa quelle effettuate nel giugno 2020 a due fra i più importanti musei internazionali: il Philadelphia Museum of Art - che ha ricevuto trecentonove opere su carta e cinque libri d’artista in edizione limitata - e il Centre Pompidou di Parigi - al quale sono state assegnate trecentocinquanta opere su carta.
Nel 2022 i tre musei organizzeranno mostre dedicate ai materiali donati, perlopiù mai esposti. In tale occasione, il Crri del Castello di Rivoli editerà un volume, concepito in stretta collaborazione con l’artista, che documenterà tutte le opere pubbliche collocate all’aperto, con particolare attenzione a quelle appena donate al museo. Il percorso cartaceo  spazierà, dunque, dalle fotografie di «Alpi Marittime» (1968), una serie di azioni performative compiute nel bosco di Garessio interagendo con gli elementi naturali, a «In limine» (2008), l’albero fuso in bronzo con base in marmo posto di fronte alla Gam di Torino, realizzato in occasione dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, senza dimenticare «Identità» (2017), l’imponente doppio albero in alluminio, bronzo e specchio ‘piantato’ nel 2019 proprio di fronte al Castello di Rivoli.
A proposito delle tre donazioni, Carolyn Christov-Bakargiev, direttore del museo piemontese, ha affermato: «Significa qualcosa quando uno tra i più grandi artisti del mondo decide di donare un eccezionale corpus di opere a tre grandi musei pubblici. È un’investitura e un atto di fiducia nella capacità delle istituzioni pubbliche di reggere alle crisi momentanee e alle intemperie, e pertanto di durare nel tempo – un tempo molto più lungo di quello di una sola vita. Si tratta di trasmettere ai posteri dei semi che sono la propria arte, fiduciosi che essi potranno germinare in un futuro oggi ancora inimmaginabile».
La donazione al Castello di Rivoli è un motivo di vanto in più per Carolyn Christov-Bakargiev e per i suoi collaboratori dal momento che Giuseppe Penone fa parte, dal 2017, del Comitato consultivo del museo (conoscendone, dunque, bene la programmazione) e che nel corso degli anni, dal 1984 al 2019, dalla collettiva «Ouverture» alla personale «Incidenze del vuoto», l'artista ha più volto esposto in questi spazi o ha partecipato a rassegne promosse dall’ente torinese in altre prestigiose realtà come lo State Museum Hermitage di San Pietroburgo o il Museum of Contemporary Art di Sydney.
Tra i protagonisti più rappresentativi dell’Arte povera, Giuseppe Penone si occupa a partire dalla fine degli anni Sessanta dell’interazione tra natura e arte, esplorando – racconta ancora la direttrice del Castello di Rivoli - «i fondamenti della scultura quale modo per conoscere e comprendere empiricamente il mondo».
L'artista fa, quindi, dello studio delle analogie tra forme culturali e naturali il fulcro della sua pratica artistica, esplorando la comune essenza che unisce essere umano e natura in un continuo stato di partecipazione e simbiosi reciproca.
L’albero, che Giuseppe Penone considera «l’idea prima e più semplice di vitalità, di cultura, di scultura», è un elemento centrale in questo lavoro ed è parte integrante di una visione in cui tutti gli elementi – minerali, vegetali, animali e umani – sono fluidi e interconnessi. A tal proposito, Carolyn Christov-Bakargiev afferma ancora: «L’arte di Penone si basa sul principio di incarnare una consapevolezza fisica, tattile-visiva, di tutti gli organismi viventi e delle loro trasformazioni. L’artista percepisce il mondo e la vita in modo scultoreo, toccandone e accarezzandone le parti costitutive, senza mai distinguere tra natura e cultura o, piuttosto, senza pretendere alcuna superiorità dell’essere umano rispetto al resto del mondo naturale. Si tratta di un incontro e, quindi, di relazioni tra l’umano e la materia, tra l’umano e il non umano, questioni di pelle e di toccarsi, elementi conoscitivi a cui i disegni su carta donati puntualmente ci introducono».
Questo corpus grafico va ad aggiungersi ad altri importanti lavori dell’artista, acquisiti negli anni dal Castello di Rivoli. Si tratta di cinque opere, fondamentali nel suo percorso, quattro delle quali in comodato dalla Fondazione per l’arte moderna e contemporanea Crt («Albero di 5 metri», 1969-1970; «Albero di 11 metri», 1969- 1989; «Respirare l’ombra», 1999 e «Pelle di foglie (Sguardo a terra)», 2003) e una - «Soffio di creta H (1978)» - donata dalla Fondazione Marco Rivetti.
Il Castello di Rivoli diventa così casa privilegiata di una pratica artistica che ricorda «l'importanza di radicarci poeticamente nel pianeta in cui viviamo – rammenta Andrea Viliani-. Una lezione, questa, «la cui urgenza e importanza il nostro mondo globalizzato e digitalizzato, ma anche in profonda crisi da un punto di vista ecologico, sta imparando a riconoscere, sulla propria pelle». (sam)

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giuseppe Penone, L'albero ricorderà il contatto del mio corpo, 1968 ©Archivio Penone - Castello di Rivoli; [fig. 2] Giuseppe Penone, In limine, schizzi e note di lavoro, 2008. ©Archivio Penone - Castello di Rivoli; [fig. 3] Giuseppe Penone, Giardino delle sculture fluide - rendering architettonico, (2003-2007). ©Archivio Penone - Castello di Rivoli; [fig. 4] Giuseppe Penone, Continuera a crescere tranne che in quel punto. ©Archivio Penone - Castello di Rivoli; [fig. 5] Giuseppe Penone, Svolgere la propria pelle – finestra, 1970-2019. Veduta dell’installazione al Castello di Rivoli.  Foto © Antonio Maniscalco ; [fig. 6] Veduta dell’installazione a documenta 5, Kassel, Fridericianum, 1972. Foto © Paolo Mussat Sartor. Courtesy Archivio Penone; [fig. 7]  Giuseppe Penone, Giardino delle sculture fluide - schizzi e note di lavoro, (2003-2007). ©Archivio Penone - Castello di Rivoli

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