Durante «l’angosciosa deriva di Sant’Elena», prima della morte, Napoleone Bonapoarte si dedicò con impegno sistematico a mettere ordine nei ricordi del lungo periodo storico del quale era stato protagonista assoluto. Dalle «Memorie», apprendiamo che il generale francese era convinto che i posteri lo avrebbero ammirato non solo per le battaglie, ma anche per l’apporto dato al mondo della cultura e della bellezza. Al suo nome si legano, infatti, la creazione della scuola pubblica e l’idea moderna di museo universale. Nasce da questo premessa il documentario «Napoleone. Nel nome dell’arte», prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, in partnership con Intesa Sanpaolo e Gallerie d'Italia, in arrivo nelle sale italiane solo nelle giornate di lunedì 8, martedì 9 e mercoledì 10 novembre.
Su soggetto di Didi Gnocchi, che firma la sceneggiatura con Matteo Moneta, il film è diretto da Giovanni Piscaglia e vede nelle vesti di guida eccezionale il premio Oscar Jeremy Irons. La colonna sonora originale, in uscita il 5 novembre per Sony Classical, è del compositore e pianista Remo Anzovino.
Scrittore mancato, lettore compulsivo, ammiratore dell’arte e della sua forza di comunicazione, Napoleone fu spinto alle sue imprese dalla brama di potere e di gloria, ma anche dal bisogno di conoscenza e dall’ambizione di associare la sua immagine alle grandi civiltà del passato. Durante le campagne militari, promosse ricerche, colossali furti di opere e scavi archeologici, soprattutto in Italia e in Egitto, da cui nacquero scoperte come quella della Stele di Rosetta e la fondazione dei primi musei pubblici del mondo: il Louvre di Parigi e, sul suo esempio, la Pinacoteca di Brera di Milano.
Mente infaticabile, memoria prodigiosa, appassionato di ogni disciplina, Napoleone trasformò il suo naturale senso di superiorità in istinto paterno: i cittadini dell’Impero erano per lui figli da educare, con i dipinti, le sculture, la musica, il teatro. Nei territori conquistati portò riforme scolastiche, rivoluzioni architettoniche e urbanistiche e un nuovo modo di intendere il classicismo: lo Stile Impero, di cui parte integrante è la figura del sovrano, effigiato in busti di marmo, monete e tabacchiere, oppure solo citato attraverso la celebre N. Punto di partenza del film è l’incoronazione di Napoleone a re d’Italia nel Duomo di Milano il 26 maggio 1805: un momento che sottolinea lo stringente legame col mondo greco-romano, con quello rinascimentale e persino con l’eredità longobarda, rappresentata dalla Corona ferrea che Napoleone volle indossare al culmine della cerimonia. Inoltre, per la prima volta da allora, è stato fatto trascrivere, orchestrare ed eseguire in Duomo il Te Deum di Francesco Pollini, che fu composto e suonato per l’incoronazione e che è stato solo recentemente ritrovato tra le carte dell’Archivio di Stato: nel film lo vediamo eseguito in prova generale nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale e poi nella cattedrale di Milano dall'Orchestra Fondazione «I Pomeriggi Musicali», diretta da Marco Pace, con il mezzosoprano Giuseppina Bridelli. Per l’occasione seguiremo anche il restauro del manto indossato quel giorno da Napoleone e degli oggetti cerimoniali che lo accompagnavano, preziosa opera di recupero legata al progetto «Restituzioni» di Intesa Sanpaolo.
Milano, scelta come prima capitale del regno d’Italia, città di forti simpatie napoleoniche, è luogo fondamentale del film. Dalla Biblioteca nazionale Braidense - con il manoscritto autografo de «Il cinque maggio» di Manzoni e i volumi della «Description de l’Egypte» - alla Pinacoteca di Brera, uno dei fulcri della narrazione. Se infatti, a partire dalla campagna d’Italia, la penisola fu oggetto di meticolose spoliazioni di opere d’arte, è vero che con Brera venne fondato il primo «museo universale» italiano, un «piccolo Louvre» dove converge il meglio della produzione italiana. Se Milano fu centro di ricezione e smistamento di opere, Roma fu certamente luogo privilegiato di estrazione, nonché portale attraverso cui riconnettersi ai miti di Alessandro Magno, Augusto e Adriano. Dal Museo Pio Clementino e dai Musei Capitolini, il film racconta l’odissea delle opere partite per Parigi e tornate a casa, in silenzio, di notte, nel 1816, grazie all’impegno di Canova. Si tratta di alcune delle opere più importanti della tradizione occidentale: l’Apollo del Belvedere, il Laocoonte, il Galata morente e anche il Bruto capitolino, divenuto a Parigi icona di libertà repubblicana e lotta tirannicida e portato in trionfo nei cortei che celebravano la morte di Robespierre. Nelle sale del Louvre possiamo approfondire i criteri scientifici ed enciclopedici con cui era organizzata l’esposizione delle opere e ammirare l’«Incoronazione di Napoleone e Giuseppina di Beauharnais il 2 dicembre 1804, in Notre-Dame», opera monumentale di Jacques-Louis David. Una parentesi toscana conduce poi lo spettatore a San Miniato, luogo d’origine dei Bonaparte, e all’Isola d’Elba, dove i libri che l’Imperatore portò con sé nell’esilio permettono di parlare del suo amore ossessivo per la lettura, della sua memoria eccezionale.
Per comprendere appieno la figura del Bonaparte, il film raccoglie svariati interventi, tra i quali quelli di James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera, Jean-Luc Martinez, presidente e direttore del Museo del Louvre, di Luigi Mascilli Migliorini, direttore della rivista italiana di studi napoleonici, dell’archeologo Salvatore Settis, dello scrittore Ernesto Ferrero, di Charles Bonaparte, ultimo discendente della famiglia Bonaparte, di Christophe Beyeler, curatore del Castello di Fontainebleau, e di Marco Pupillo del Museo napoleonico di Roma.
Su soggetto di Didi Gnocchi, che firma la sceneggiatura con Matteo Moneta, il film è diretto da Giovanni Piscaglia e vede nelle vesti di guida eccezionale il premio Oscar Jeremy Irons. La colonna sonora originale, in uscita il 5 novembre per Sony Classical, è del compositore e pianista Remo Anzovino.
Scrittore mancato, lettore compulsivo, ammiratore dell’arte e della sua forza di comunicazione, Napoleone fu spinto alle sue imprese dalla brama di potere e di gloria, ma anche dal bisogno di conoscenza e dall’ambizione di associare la sua immagine alle grandi civiltà del passato. Durante le campagne militari, promosse ricerche, colossali furti di opere e scavi archeologici, soprattutto in Italia e in Egitto, da cui nacquero scoperte come quella della Stele di Rosetta e la fondazione dei primi musei pubblici del mondo: il Louvre di Parigi e, sul suo esempio, la Pinacoteca di Brera di Milano.
Mente infaticabile, memoria prodigiosa, appassionato di ogni disciplina, Napoleone trasformò il suo naturale senso di superiorità in istinto paterno: i cittadini dell’Impero erano per lui figli da educare, con i dipinti, le sculture, la musica, il teatro. Nei territori conquistati portò riforme scolastiche, rivoluzioni architettoniche e urbanistiche e un nuovo modo di intendere il classicismo: lo Stile Impero, di cui parte integrante è la figura del sovrano, effigiato in busti di marmo, monete e tabacchiere, oppure solo citato attraverso la celebre N. Punto di partenza del film è l’incoronazione di Napoleone a re d’Italia nel Duomo di Milano il 26 maggio 1805: un momento che sottolinea lo stringente legame col mondo greco-romano, con quello rinascimentale e persino con l’eredità longobarda, rappresentata dalla Corona ferrea che Napoleone volle indossare al culmine della cerimonia. Inoltre, per la prima volta da allora, è stato fatto trascrivere, orchestrare ed eseguire in Duomo il Te Deum di Francesco Pollini, che fu composto e suonato per l’incoronazione e che è stato solo recentemente ritrovato tra le carte dell’Archivio di Stato: nel film lo vediamo eseguito in prova generale nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale e poi nella cattedrale di Milano dall'Orchestra Fondazione «I Pomeriggi Musicali», diretta da Marco Pace, con il mezzosoprano Giuseppina Bridelli. Per l’occasione seguiremo anche il restauro del manto indossato quel giorno da Napoleone e degli oggetti cerimoniali che lo accompagnavano, preziosa opera di recupero legata al progetto «Restituzioni» di Intesa Sanpaolo.
Milano, scelta come prima capitale del regno d’Italia, città di forti simpatie napoleoniche, è luogo fondamentale del film. Dalla Biblioteca nazionale Braidense - con il manoscritto autografo de «Il cinque maggio» di Manzoni e i volumi della «Description de l’Egypte» - alla Pinacoteca di Brera, uno dei fulcri della narrazione. Se infatti, a partire dalla campagna d’Italia, la penisola fu oggetto di meticolose spoliazioni di opere d’arte, è vero che con Brera venne fondato il primo «museo universale» italiano, un «piccolo Louvre» dove converge il meglio della produzione italiana. Se Milano fu centro di ricezione e smistamento di opere, Roma fu certamente luogo privilegiato di estrazione, nonché portale attraverso cui riconnettersi ai miti di Alessandro Magno, Augusto e Adriano. Dal Museo Pio Clementino e dai Musei Capitolini, il film racconta l’odissea delle opere partite per Parigi e tornate a casa, in silenzio, di notte, nel 1816, grazie all’impegno di Canova. Si tratta di alcune delle opere più importanti della tradizione occidentale: l’Apollo del Belvedere, il Laocoonte, il Galata morente e anche il Bruto capitolino, divenuto a Parigi icona di libertà repubblicana e lotta tirannicida e portato in trionfo nei cortei che celebravano la morte di Robespierre. Nelle sale del Louvre possiamo approfondire i criteri scientifici ed enciclopedici con cui era organizzata l’esposizione delle opere e ammirare l’«Incoronazione di Napoleone e Giuseppina di Beauharnais il 2 dicembre 1804, in Notre-Dame», opera monumentale di Jacques-Louis David. Una parentesi toscana conduce poi lo spettatore a San Miniato, luogo d’origine dei Bonaparte, e all’Isola d’Elba, dove i libri che l’Imperatore portò con sé nell’esilio permettono di parlare del suo amore ossessivo per la lettura, della sua memoria eccezionale.
Per comprendere appieno la figura del Bonaparte, il film raccoglie svariati interventi, tra i quali quelli di James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera, Jean-Luc Martinez, presidente e direttore del Museo del Louvre, di Luigi Mascilli Migliorini, direttore della rivista italiana di studi napoleonici, dell’archeologo Salvatore Settis, dello scrittore Ernesto Ferrero, di Charles Bonaparte, ultimo discendente della famiglia Bonaparte, di Christophe Beyeler, curatore del Castello di Fontainebleau, e di Marco Pupillo del Museo napoleonico di Roma.
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