ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 1 dicembre 2021

Torna in libreria «Milano Moderna» di Fulvio Irace

Ritorna in libreria, in una versione aggiornata, il volume «Milano Moderna» di Fulvio Irace, storica e ormai introvabile pubblicazione uscita in libreria nel 1996 per i tipi Federico Motta Editore. A ripubblicare il volume, che allarga ora la pionieristica ricerca sull’architettura della ricostruzione nel capoluogo lombardo del secondo dopoguerra alla nuova città di inizio millennio, è 24 Ore Cultura, che per l'occasione ha organizzato una presentazione al pubblico per la serata di giovedì 2 dicembre, alle ore 18:30, alla Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, alla quale prenderanno parte, con l’autore, l’architetto Mario Botta e il giornalista Giangiacomo Schiavi.
Pubblicato originariamente grazie al decisivo contributo di Enrico Baleri che ne condivise l’entusiasmo e l’impianto, «Milano Moderna» voleva essere un omaggio alla forza del capoluogo lombardo, alla sua capacità di proporsi, nelle contingenze più difficili del suo sviluppo, come laboratorio di una cultura non convenzionale, pragmatica e anti-ideologica, che si apprezza sia nell’efficacia dei singoli edifici che nel carattere di una diffusa e colta coralità. Il successo del libro si può misurare dalla risposta degli studiosi e dall’interesse dei lettori, che in breve tempo videro esaurita la prima edizione, rendendolo inaccessibile sul mercato.
24 Ore Cultura ha deciso così di ripubblicare il volume in una versione rivista e allargata a comprendere l’intera portata delle trasformazioni che hanno caratterizzato il costruirsi di una nuova città negli ultimi due decenni. Appariva chiaro allora, infatti, ed è apparso ancora più evidente oggi, che il tema principale del libro sta nella definizione dei mutevoli concetti dell’idea stessa di modernità, un contributo – come afferma Fulvio Irace - «alla capacità della metropoli lombarda di proporsi come laboratorio di una cultura non convenzionale del cambiamento».
L’ossessione di «essere assolutamente moderni» è, infatti, il motore che caratterizza Milano già all’indomani dell’Unità d’Italia, a partire dalla costruzione della sua celebre Galleria, che rimise in moto il cuore di piazza Duomo e avviò la profonda ristrutturazione del centro. Nel 1881 l’Esposizione nazionale ne consacrò il ruolo di capitale industriale, così come l’Expo del 2015 ne ha rilanciato il carisma di città mondo.
«Non perdono tempo questi birboni – scriveva Emilio De Marchi nel romanzo «Demetrio Pianelli» – non hanno ancora il gas che già vogliono la luce elettrica; non hanno ancora finito una casa che già la buttano giù per farne una più grande e più bella»: era il lontano 1890, ma questa definizione sembra attagliarsi alla perfezione anche alla Milano di oggi, con il glamour delle sue nuove architetture e l’esuberanza delle sue nuove torri.
Quando fu semidistrutta dai bombardamenti del 1943, la città non tardò a sollevarsi dalle ceneri di guerre, pensando in grande a quella ricostruzione che doveva avere i caratteri quasi di una nuova costruzione: il vento della modernità era di nuovo cambiato e al posto della Milano di pietra del ventennio, cominciò a delinearsi un nuovo panorama di edifici leggeri e trasparenti. Era la modernità dei «costumi semplificati» auspicata da Gio Ponti: il preludio di una vita all’insegna della velocità, ma anche vetrina che mostrava al mondo la sorpresa di una città che si era completamente reinventata. Dopo il declino del ciclo industriale e la chiusura della cintura di fabbriche che ne avevano fatto la ricchezza, Milano ha dovuto confrontarsi ancora una volta con una serie di traumatici cambiamenti, da cui è uscita però rinnovata e pronta a competere nella sfida delle capitali del XXI secolo.
All’interno del volume l’analisi storica e il racconto delle trasformazioni urbane in tre quarti di secolo si svolge secondo un doppio piano di lettura, testuale e visivo. I testi firmati da Fulvio Irace, uno dei più autorevoli critici e studiosi italiani di architettura, docente al Politecnico di Milano, sono accompagnati da un ricco atlante visivo con immagini di grande formato, affidato per la parte moderna alle fotografie di storici maestri come Gabriele Basilico e Paolo Rosselli e per quella contemporanea all’occhio di «paesaggisti» della nuova generazione come Marco Introini, Filippo Romano e Giovanna Silva.
Suddiviso in sette capitoli il libro racconta il bisogno di Milano di ricostruire, ma ancora di più di costruire una nuova maniera di abitare, partendo dall’operato di Luigi Moretti e l’exploit di Corso Italia, passando per l’invenzione del condominio milanese come simbolo di ordine e modernità con i progetti architettonici di Asnago & Vender, di Ponti, di Magistretti e di tanti master builders che hanno configurato il suo ineguagliabile fascino di elegante modernità. A questa hanno contribuito anche numerosi e importanti artisti - Fontana, Somaini, Pomodoro, Dova, Ramous e altri ancora.- che hanno impreziosito in maniera unica le facciate e gli interni delle case milanesi. Dopo la «stagione dell’inquietudine» tipica degli anni Settanta, l’attenzione si sposta sulla rigenerazione di vecchi quartieri e sulla creazione di nuove isole di urbanità, grazie anche al contributo di alcuni dei più brillanti talenti dell’architettura internazionale. Ieri come oggi, Milano è moderna.

Informazioni utili 
Titolo: Milano Moderna. Architettura, arte e città 1947-2021. Autore: Fulvio Irace. Editore: 24 ORE Cultura, Milano 2021. Formato: cartonato 24,5 x 28,5 cm. Pagine: 240 pagine con 150 illustrazioni. Prezzo: € 65,00. Codice ISBN: 978-88-6648-577-3. In vendita in libreria e online. Sito web: www.24orecultura.com

martedì 30 novembre 2021

Tutankhamon, Botticelli, Leonardo, Rembrandt: la «grande arte» torna al cinema

Artisti dalle vite bizzarre, trasgressive e imprevedibili. Quadri dai destini avventurosi. Storie che hanno il sapore della leggenda. Sono questi gli elementi che animano la nuova edizione del progetto «La grande arte al cinema», che vedrà in agenda nei primi mesi del 2022 quattro nuovi titoli, tutti distribuiti da Nexo Digital.
Il viaggio inizierà nella giornata del 24 gennaio con il primo dei tre giorni di proiezione del film «Botticelli e Firenze. La nascita della bellezza», diretto da Marco Pianigiani. Lo spettatore verrà trasportato nella città toscana all’epoca di Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico, in pieno Rinascimento. La bellezza che usciva dalle botteghe degli artisti aveva il suo contraltare nelle lotte per il potere e in intrighi di efferata violenza. Un artista, più di tutti, seppe proiettare nelle sue opere, le luci e le ombre di quegli anni indimenticabili: Sandro Botticelli (1445-1510). Dall’esordio sotto l’ala dei Medici, l’artista, raffinato disegnatore e ritrattista rivoluzionario, si impose come l’inventore di una bellezza ideale, che trovò la sua massima espressione in opere come «Primavera» e «Nascita di Venere».
La morte di Lorenzo Il Magnifico, le prediche apocalittiche di Girolamo Savonarola e i falò delle vanità segnarono la parabola discendente del maestro fiorentino, destinato a un oblio di oltre tre secoli. La sua riscoperta da parte dei preraffaelliti diede inizio a un’autentica Botticelli-mania, che dal XIX secolo si protrae fino a oggi. Da Salvador Dalí a Andy Warhol, da David LaChapelle a Jeff Koons e a Lady Gaga, nessuno sembra immune al fascino eterno del maestro fiorentino e delle sue opere, continuamente re-immaginate dagli artisti di ogni sorta, fino a entrare nell’immaginario collettivo.
La programmazione proseguirà dal 21 al 23 febbraio con il documentario «Tutankhamon. L’ultima mostra», diretto da Ernesto Pagano e prodotto da Laboratoriorosso e Nexo Digital. Lo spettatore cinematografico verrà trasportato nell’imponente e misterioso Egitto dei faraoni e scoprirà la storia dell’archeologo ed egittologo britannico Howard Carter che, con ostinazione e passione, scoprì cento anni fa, nel 1922, a Luxor la camera sepolcrale della tomba di una delle figure più leggendarie di quel periodo storico: Tutankhamon. Sul grande schermo sarà possibile ammirare i centocinquanta manufatti che nel 2019 furono esposti prima a Los Angeles e poi in Francia, alla Grande Halle de la Villette di Parigi, per essere, quindi, presentati anche a Londra e in altre sedi museali di tutto il pianeta, in quello che è stato definito il loro «ultimo tour mondiale», prima di trovare una sede stabile al Cairo.
Il film si avvale della collaborazione del fotografo Sandro Vannini e, per la versione italiana, della voce di Manuel Agnelli, frontman degli Afterhours, al quale era già stata affidata in passato la voce dell’io interiore di Caravaggio, in un’altra produzione Nexo.
Si proseguirà, quindi, con la proiezione del film «Leonardo. Il capolavoro perduto» di Andreas Koefoed, presentato in anteprima, con grande successo, alla Festa del cinema di Roma. Il documentario, in agenda dal 21 al 23 marzo, racconta la storia del «Salvator Mundi», il dipinto più costoso mai venduto (450 milioni di dollari la sua quotazione) ritenuto un capolavoro perduto gel genio toscano. 
«Dal momento in cui viene acquistato da una casa d'aste di New Orleans e i suoi acquirenti scoprono magistrali pennellate sotto un restauro a buon mercato, - si legge nella presentazione - il destino del «Salvator Mundi» è guidato da un'insaziabile ricerca di fama, denaro e potere. Ma man mano che il suo prezzo sale, aumentano anche i dubbi sulla sua autenticità. Questo dipinto multimilionario è davvero di Leonardo o semplicemente alcuni uomini di potere vogliono che lo sia? Svelando i piani segreti di alcuni tra i personaggi più ricchi del mondo e di alcune delle più potenti istituzioni artistiche, «Leonardo: il capolavoro perduto» rivela come spesso gli interessi diventino cruciali e la verità solo un elemento secondario. Anche nel mondo dell’arte».
A chiudere la programmazione sarà, dal 9 all’11 maggio, «Il mio Rembrandt» di Oeke Hoogendijk, un mosaico di storie avvincenti in cui la passione sfrenata per i dipinti dell’artista olandese porta a sviluppi drammatici e colpi di scena inattesi. «Mentre – si legge nella sinossi - collezionisti d'arte come Eijk e Rose-Marie De Mol van Otterloo, l'americano Thomas Kaplan e lo scozzese Duca di Buccleuch mostrano il legame speciale che hanno con i ‘loro’ Rembrandt, il banchiere Eric de Rothschild mette in vendita due opere dell’artista, innescando una dura battaglia politica tra il Rijksmuseum e il Louvre. Il film segue anche l'aristocratico mercante d'arte olandese Jan Six sulle tracce di due «nuovi» dipinti di Rembrandt, uno snervante viaggio di scoperta che pare la realizzazione del suo più grande sogno d'infanzia. Ma quando è accusato di avere violato l’accordo con un altro mercante d'arte, il suo mondo collassa». Rembrandt diventa così un espediente per condurre lo spettatore dietro le quinte del mondo dell’arte, facendogli scoprire ciò che si nasconde dietro un quadro appeso.

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lunedì 29 novembre 2021

Dall’antico Egitto al contemporaneo, a Bologna tutti i segreti della ceramica Faïence – Faenza

È una statuetta del faraone Sethi I, trovata nel 1817 dal padovano Giovanni Battista Belzoni nella Valle dei Re, a Tebe Ovest, ad aprire il percorso espositivo della mostra-dossier «Faïence – Faenza. Dall’antico Egitto al contemporaneo», a cura di Daniela Picchi e Valentina Mazzotti, allestita fino al 30 gennaio negli spazi del Museo civico archeologico di Bologna.
Particolarmente raro per materiale, dimensioni (circa ventisei centimetri), qualità di esecuzione e tono di azzurro, questo manufatto funerario, conosciuto con il nome di ushabti, introduce il pubblico alla sezione dedicata alla faenza silicea, che gli egiziani chiamavano «la brillante», le cui prime produzioni si attestano intorno al IV millennio a.C.. Questo tipo di faïence ante litteram era una maiolica creata con un quarzo friabile, ricoperto da una sottile invetriatura a base alcalina, così da assomigliare a pietre preziose come il turchese e il lapislazzulo, utilizzata, soprattutto nei decenni del Nuovo Regno (dal 1530 a.C. al 1080 a.C.), per decorare gli interni dei palazzi, per arricchire i corredi funerari e per infiniti altri manufatti di uso quotidiano.
Le caratteristiche estetiche così come le molteplici declinazioni cromatiche, oltre alla facilità di reperimento delle materie prime resero, infatti, la faïence di grande attrattiva e di ampia diffusione.
Un ulteriore aspetto da considerare è la valenza magica attribuita a questo materiale, con il quale furono realizzati gran parte degli amuleti in uso tra il popolo egiziano, ma anche un numero considerevole di statuette funerarie del tipo ushabti, la cui produzione è attestata dal Medio Regno all’Epoca Tolemaica (2046-306 a.C.). La maggior parte di questi manufatti ha aspetto mummiforme e raffigura principalmente il dio Osiris, il signore dell’Oltretomba; più rari sono quelli in abito di vivente.
Sempre dall’antico Egitto provengono pettorali e scarabei, che venivano appoggiati sulla mummia per indurre il cuore a non tradire il defunto nel tribunale dell’Oltretomba, permettendogli così di aspirare alla rinascita eterna sotto la protezione delle dee Isis e Nephtis.
Il focus tematico prosegue con una sezione dedicata alla faïence nel mondo islamico, di cui è un importante riferimento è il trattato sulla ceramica scritto nel 1301 da Abu’l Qasim, esponente di una famiglia di vasai di Kashan. Dieci parti di silice (sabbia), una parte di fritta alcalina (vetro macinato) e una parte di argilla bianca devono comporre il materiale, che ha un grande produttore nell’Iran, la cui industria si sviluppò già dalla fine dell’XI secolo in parallelo con quella egiziana.
Tra gli oggetti esposti, si segnala la brocca in faenza silicea con decorazione dipinta in nero sotto vetrina, di produzione iraniana del XII-XIII secolo, che mostra sul corpo globulare una decorazione impressa a «nido d’ape» a probabile imitazione delle coeve produzioni in vetro o in metallo. Di squisita realizzazione è, poi, il frammento di rivestimento murale, proveniente dall’Asia centrale e datato al XV secolo. Il mattone, probabile bordura a un pannello decorativo, mostra un intreccio di girali che creano quadrilobi con all’interno piccoli trifogli. Il profondo intaglio dell’ornato a rilievo è evidenziato dalla densa e lucente invetriatura turchese. Sotto i Timuridi (1370-1507), i portali, le cupole e intere pareti di edifici furono ricoperte di elementi ceramici invetriati, in faenza e in faenza silicea, dalle forme geometriche e vegetali che si intrecciano insieme a eleganti iscrizioni.
Il visitatore trova, quindi, una sezione espositiva dedicata alla faenza dipinta a lustro tra Oriente e Occidente. Si tratta di un complesso procedimento decorativo, applicato sul rivestimento vetroso già cotto, che dopo successiva cottura a temperatura relativamente bassa (tra i 650 e i 700°C) in ambiente riducente consente di ottenere pellicole metalliche dai riflessi iridescenti della madreperla e dalle tonalità generalmente giallo dorate e rosso rubino.
Già perfettamente sviluppata nell’Iraq abbàside del IX-X secolo, questa antica tecnica mutuata dall’arte vetraria giunse in Egitto sul finire del X secolo e conseguì vette di grande virtuosismo nella ceramica persiana del XII-XIII secolo.
Dall’Oriente la produzione faenza dipinta a lustro giunse in Occidente a seguito della conquista musulmana della Penisola Iberica che ebbe inizio nel 711 d.C. e terminò nel 1492 con la presa di Granada da parte dei re cattolici. Si affermò così lo «stile moresco», caratterizzato da decori geometrici, del quale sono uno splendido esempio le faenze smaltate (maioliche) con decorazione dipinta a lustro prodotte a Valencia nei secoli XV-XVII. Le forme tipiche sono piatti, ciotole, scodelle ad ampia tesa di diverse dimensioni e albarelli per contenere erbe officinali e vivande, nei quali gli artigiani adottarono un ricco repertorio decorativo di motivi vegetali a foglie di brionia, edera, felce, cardo, rosette, pseudo-margherite.
Questi manufatti esercitarono una notevole influenza stilistica sulla ceramica italiana del Quattrocento e del Cinquecento, soprattutto per quella delle fabbriche di Deruta e Gubbio.
L’ambivalenza semantica della parola «faenza», toponimo della città romagnola famosa per le sue maioliche, ma anche vocabolo che indica un genere di ceramica a pasta colorata, porosa, rivestita con uno smalto bianco, brillante, a base di ossido di piombo e di stagno, è centrale nella sezione dedicata al Rinascimento e al Barocco.
Tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500 si impose una cultura decorativa incentrata sulla figura umana, dipinta sulla superficie maiolicata del vasellame ma anche modellata in magnifiche composizioni scultoree con scene tratte dai miti della classicità o con soggetti di carattere devozionale raffiguranti la Madonna con il Bambino, la Pietà, il Compianto e la Natività.
Sono coeve le raffigurazioni pittoriche del vasellame amatorio con «belle», recante l’effige idealizzata della persona amata, da cui si giunse alla formulazione di vere e proprie «istorie».
La vera fortuna degli artefici faentini fu, però, l’elaborazione, a partire dalla metà del XVI secolo, di uno stile antitetico al vivace decorativismo e cromatismo delle maioliche precedenti, che per la predominanza dello smalto bianco, coprente e applicato a spessore, assunse la denominazione di «bianchi» di Faenza, la cui fortuna si protrasse per tutto il XVII secolo, alimentata dall’apprezzamento per gli esemplari delle botteghe di Virgiliotto Calamelli, dei Bettisi e di Enea Utili, solo per citare le più famose.
Tra i pezzi più preziosi di questa sezione c’è uno splendido calamaio in maiolica della fine del XV secolo, conservato ai Musei civici d’arte antica di Bologna, che raffigura i quattro Santi protettori di Bologna e la città turrita.
La mostra si chiude con una sezione dedicata al contemporaneo. Da Fontana a Leoncillo, da Melotti a Valentini, differenti esperienze hanno valorizzato l’antico linguaggio della Faenza. L’esposizione dà voce a Luigi Ontani, artista sperimentatore e anticonformista, che unisce ironia e narcisismo, mito e favola, Oriente e Occidente. La sua scultura «ErmEstEtica AiDialettica», realizzata in collaborazione con la Bottega Gatti di Faenza, è un omaggio alla cultura egizia e alla sua icona più emblematica, l’Erma.

Informazioni utili
«Faïence – Faenza. Dall’antico Egitto al contemporaneo». Museo civico archeologico, via dell'Archiginnasio, 2 – Bologna. Orari: lunedì, mercoledì, ore 9:00-14:00; giovedì, ore 15:00-19:00; venerdì, sabato, domenica, festivi, ore 10:00-19:00; martedì chiuso. Ingresso: intero € 6 | ridotto € 3 | ridotto speciale € 2 ≥ 18-25 anni | gratuito possessori Card Cultura. Sito web: www.museibologna.it/archeologico. Fino al 30 gennaio 2022