È noto principalmente per essere l’autore del terzo tomo della «Felsina Pittrice – Vite de’ pittori bolognesi», edito nel 1769 in prosecuzione dei due volumi pubblicati da Carlo Cesare Malvasia nel 1678. Ma fu anche un apprezzato ritrattista del Settecento bolognese, in relazione al clima di rinnovamento culturale favorito dall'illuminata opera pastorale del cardinale Prospero Lambertini (1731-1754). Stiamo parlando di Luigi Crespi (1708-1779), figlio del celebre pittore Giuseppe Maria detto lo Spagnolo (1665-1747), a cui i Musei civici d’arte antica dell'Istituzione Bologna musei dedicano, in questi giorni, un'ampia mostra nelle sale della Galleria Davia Bargellini.
L'esposizione, a cura di Mark Gregory D'Apuzzo e Irene Graziani, presenta il nucleo più significativo di dipinti dell'artista conservati nel museo di Strada Maggiore, apprezzato soprattutto per la sua pregevole quadreria senatoria di dipinti bolognesi dal XIV al XVIII secolo, in dialogo con altre sue opere provenienti dalle collezioni comunali e con prestiti di altre importanti istituzioni cittadine e di collezionisti privati, in un percorso antologico articolato in sette sezioni tematiche che, per la prima volta, consente di ricostruire le fasi più rilevanti della sua vicenda artistica.
Luigi Crespi iniziò a dipingere nella bottega paterna fra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni Trenta del Settecento. Molti anni più tardi, nella biografia del padre (1769), sosterrà di essersi cimentato in questa attività «per divertimento», quasi significare il privilegio accordato al prestigioso ruolo, assunto a partire dagli anni Cinquanta, di scrittore e critico d’arte, che gli frutterà importanti riconoscimenti come l’aggregazione alle Accademie di Firenze (1770), di Parma (1774) e di Venezia (1776).
Grazie all’amicizia del padre Giuseppe Maria con Prospero Lambertini, Luigi sostenne la carriera clericale e venne nominato «segretario generale della visita della città e della diocesi», canonico della collegiata di Santa Maria Maggiore ed infine, dopo l'elezione al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIV (1740-1758), suo cappellano segreto.
La sua produzione figurativa, in particolar modo quella rappresentata dal più congeniale genere del ritratto, rivela un autore sensibile al dialogo con la scienza moderna e con la libera circolazione delle idee dell’Europa cosmopolita. Nonostante l’impegno applicato anche all’ambito dell’arte sacra, cui Luigi Crespi si dedica almeno fino agli inizi degli anni Settanta, è soprattutto nella ritrattistica che egli raggiunge esiti di grande finezza ed efficacia, molto apprezzati dalla committenza. «Ebbe un particolare dono di ritrarre le fisionomie degli Uomini, e ne fece una serie di Ritratti di Cavaglieri e Damme», scrive infatti l'erudito del tempo Marcello Oretti, celebrandone l’abilità nell’adattare la formula del codice ritrattistico alle esigenze della clientela.
Come dimostrano il «Ritratto di giovane dama con cagnolino», o i tre ritratti dei Principi Argonauti in origine nel collegio gesuitico di San Francesco Saverio, la pittura di Crespi junior, già addestrato dal genitore Giuseppe Maria ad un fare schietto, attento al naturale e al «vero», evolve verso un nitore della visione che risalta i dettagli, in un’analitica investigazione della realtà, memore di certi esempi virtuosistici (Balthasar Denner e Martin van Meytens, in primis) osservati nel 1752 durante un viaggio fra Austria e Germania, dove visita le Gallerie delle corti di Dresda e Vienna. Dal confronto con il «grande mondo» –per utilizzare un’espressione di Prospero Lambertini– Luigi Crespi deriva la conferma della validità del genere del ritratto ufficiale, che gli consente di rappresentare i personaggi, qualificandone i gusti sofisticati, le abitudini raffinate, i comportamenti eleganti e disinvolti da assumere nella vita di società, dove si praticano i rituali di quella «civiltà della conversazione» che nella moderna Europa riunisce aristocratici e intellettuali in un dialogo paritario, dettato dalla condivisione di regole e valori comuni.
La prossimità con la cultura lambertiniana lo conduce inoltre a sperimentare, dapprima ancora con il sostegno del padre, poi autonomamente, nuove invenzioni compositive in cui lo sguardo incrocia i volti di individui del ceto borghese: talvolta sono gli oggetti a raccontare con la loro perspicuità di definizione la dignità del lavoro (è il caso del «Ritratto di Antonio Cartolari»), altre volte sono invece i gesti caratteristici, l’inquadratura priva di infingimenti (come avviene nel «Ritratto di fanciulla»), la resa confidenziale del modello, quasi al limite della caricatura (si veda il «Ritratto di Padre Corsini»), a fare emergere il valore umano di quella parte della società, cui papa Lambertini riconosceva un ruolo fondamentale nella riforma dei rapporti con le istituzioni ecclesiastiche.
La mostra, per la quale è previsto anche un ciclo di incontri e di visite guidate, è accompagnata da un volume, il primo monografico nella bibliografia sull'artista, edito da Silvana Editoriale, corredato da un apparato iconografico che documenta la produzione ritrattistica, una presentazione di Massimo Medica e saggi di Gabriella Zarri, Giovanna Perini Folesani, Irene Graziani e Mark Gregory D'Apuzzo.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luigi Crespi, Autoritratto. Bologna, Pinacoteca Nazionale, 1771. Olio su tela, cm 87,5x68,5 (Inv. 6414); [fig. 2] Luigi Crespi, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi. In Roma, in Marco Pagliarini stamperia, 1769. Biblioteca Igino Benvenuto Supino, Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Dipartimento delle Arti; [fig. 3] Giuseppe Maria e Luigi Crespi, Ritratto di Antonio Cartolari. ASP Città di Bologna, in prestito presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, 1730 ca. Olio su tela, cm 93x75
Informazioni utili
Luigi Crespi ritrattista nell’età di papa Lambertini. Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini, Strada Maggiore, 44 - Bologna. Orari: dal martedì al sabato, ore 9.00–14.00; domenica e festivi, ore 9.00 – 13.00; chiuso i lunedì feriali. Ingresso libero. Informazioni: tel. 051.236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 3 dicembre 2017
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
martedì 7 novembre 2017
domenica 5 novembre 2017
Venezia, un viaggio nel vetro con Rosslynd Piggott
Proseguono a Venezia gli eventi di «Muve contemporaneo», il programma di eventi promosso dai locali Musei civici in occasione della Biennale d’arte. Al museo del vetro di Murano, nell’affascinante Spazio Conterie, va in scena l’esposizione «Rosslynd Piggott. Garden Fracture / Mirror in vapour: part 2», a cura di Chiara Squarcina, Francesca Giubilei e Luca Berta.
La rassegna, visitabile fino al 3 dicembre, presenta l’articolato percorso dell’artista australiana, che in oltre trent’anni di carriera ha affiancato alla pittura, l’esplorazione di un’ampia gamma di altre tecniche, compresa l’indagine sul vetro, sperimentando supporti come lo specchio, i tessuti, ma anche oggetti antichi e ritrovati, metalli, carta e gioielli.
I primi lavori con il vetro risalgono al 1990. Di quest’anno è l’opera «100 Glasses», una poesia spazio-lineare, composta da cento bicchieri disposti su di una lunga mensola, incisi con parole. La sequenza inizia con nomi di città lontane, storicamente e sentimentalmente pregnanti, «Roma», «Egitto», «Tebe» e «Venezia». Vengono, poi, gli elementi, il sale e l’inchiostro, i sostantivi, le date del passato e del futuro, i nomi di autori come «Marcel» (Proust o Duchamp) e «Virginia» (Woolf), per finire con i quattordici bicchieri senza nessuna incisione che implicano l’apertura, lo spazio non finito.
In questo primo lavoro, Rosslynd Piggott si sofferma sul potenziale metafisico del vetro. Da quel momento questo materiale ha continuato ad essere importante per la sua pratica, in particolare per le sue qualità paradossali: contiene e rivela al tempo stesso, è solido e fluido e ha la capacità di evocare un senso dello spazio multiplo.
Per una pittrice quale Rosslynd Piggott, abituata a lavorare con velature sovrapposte di delicato colore semitrasparente, il vetro si offre come supporto coerente con il suo senso della materia.
L’incontro con Murano avviene nel 2011; in questa occasione l’artista realizza nove vasi con tappi caratterizzati da motivi floreali, contenenti una collezione d’aria, raccolta presso il famoso «Giardino di Ninfa».
Tra il 2012 e 2016 Rosslynd Piggott inizia a lavorare regolarmente sull’isola veneziana con il maestro incisore Maurizio Vidal dello studio Ongaro e Fuga. Questi suoi nuovi lavori sono spesso accompagnati da delicati disegni in cui lentamente la figura si dissolve, fino a sparire, nel bianco assoluto della cellulosa.
I disegni su carta sono la continuazione o il prodromo delle nuove opere su vetro: lievissimi tratti di matita, quasi impercettibili, segnano la continuità con l’affilata rotella di pietra che incide delicatamente il vetro.
La scoperta dell’incisione su vetro e della maestria degli artigiani muranesi la porta a realizzare una serie di lavori composti da una stratificazione insolita e affascinante: lastre di vetro inciso con soggetti botanici, sovrapposte in più strati a piccoli intervalli, e uno specchio sul fondo. La presenza dello specchio come fondale ha la funzione di raddoppiare la stratificazione vegetale, conferendole un carattere quasi vertiginoso, ma anche quella di includere, seppur in maniera ambigua e deformata, il rifesso dell’osservatore nell’opera.
Lo specchio ha un ruolo di primaria importanza nel lavoro di Piggott, in particolare se la superficie è intaccata dal tempo, e l’ossidazione rende più misteriosa e oscura la riflessione. In Australia realizza numerosi specchi deformati, caratterizzati da superfici nebulose e quasi liquide. Anche nelle opere della serie «Garden Fracture/Mirror in Vapour» si scruta attraverso le superfici rifrangenti e riflettenti che fanno rimbalzare lo sguardo, catturato da una miriade di lenti tondeggianti sovrapposte a rami spezzati di glicine, petali di ciliegio in caduta, fori di peonia maturi: visione multipla e moltiplicata di un giardino caotico per staccarsi da sé.
Con questa mostra Rosslynd Piggott ribadisce l’indiscutibile valenza dell’eccellenza muranese, unica capace di tramutare l’idea dell’artista in opera d’arte. È a Murano che l’artista può sfidare la materia e realizzare l’impossibile: i lavori di Piggott catapultano l’osservatore in un mondo senza tempo, uno spazio per l’immaginazione e l’intangibile, per lo stupore e il piacere, dove tutto rinvia alla frattura tra il sé e il non-sé.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Rosslynd Piggott, 100 Glasses, 1991. Installation, 100 handblown and engraved glasses, painted shelf and walls. Variable dimensions; [fig. 2] Rosslynd Piggott, Garden fracture/ Mirror in vapour no. 8, 2016. Engraved clear glass, mirrored Murano glass, slumped and mirrored glass, 53 x 55 x 20cm; [fig. 3] Rosslynd Piggott, Mirror shift- Wisteria bloom, 2016. Engraved mirror, engraved glass with avventurina, wooden shelf. 55 x 150 x 20cm
Informazioni utili
«Rosslynd Piggott. Garden Fracture / Mirror in vapour: part 2». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian, 8 - Murano (Venezia). Orari: tutti i giorni, ore 10.00–17.00; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50, offerta scuola € 4,00. Informazioni: info@fmcvenezia.it, 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.museovetro.visitmuve.it. Fino al 3 dicembre 2017
La rassegna, visitabile fino al 3 dicembre, presenta l’articolato percorso dell’artista australiana, che in oltre trent’anni di carriera ha affiancato alla pittura, l’esplorazione di un’ampia gamma di altre tecniche, compresa l’indagine sul vetro, sperimentando supporti come lo specchio, i tessuti, ma anche oggetti antichi e ritrovati, metalli, carta e gioielli.
I primi lavori con il vetro risalgono al 1990. Di quest’anno è l’opera «100 Glasses», una poesia spazio-lineare, composta da cento bicchieri disposti su di una lunga mensola, incisi con parole. La sequenza inizia con nomi di città lontane, storicamente e sentimentalmente pregnanti, «Roma», «Egitto», «Tebe» e «Venezia». Vengono, poi, gli elementi, il sale e l’inchiostro, i sostantivi, le date del passato e del futuro, i nomi di autori come «Marcel» (Proust o Duchamp) e «Virginia» (Woolf), per finire con i quattordici bicchieri senza nessuna incisione che implicano l’apertura, lo spazio non finito.
In questo primo lavoro, Rosslynd Piggott si sofferma sul potenziale metafisico del vetro. Da quel momento questo materiale ha continuato ad essere importante per la sua pratica, in particolare per le sue qualità paradossali: contiene e rivela al tempo stesso, è solido e fluido e ha la capacità di evocare un senso dello spazio multiplo.
Per una pittrice quale Rosslynd Piggott, abituata a lavorare con velature sovrapposte di delicato colore semitrasparente, il vetro si offre come supporto coerente con il suo senso della materia.
L’incontro con Murano avviene nel 2011; in questa occasione l’artista realizza nove vasi con tappi caratterizzati da motivi floreali, contenenti una collezione d’aria, raccolta presso il famoso «Giardino di Ninfa».
Tra il 2012 e 2016 Rosslynd Piggott inizia a lavorare regolarmente sull’isola veneziana con il maestro incisore Maurizio Vidal dello studio Ongaro e Fuga. Questi suoi nuovi lavori sono spesso accompagnati da delicati disegni in cui lentamente la figura si dissolve, fino a sparire, nel bianco assoluto della cellulosa.
I disegni su carta sono la continuazione o il prodromo delle nuove opere su vetro: lievissimi tratti di matita, quasi impercettibili, segnano la continuità con l’affilata rotella di pietra che incide delicatamente il vetro.
La scoperta dell’incisione su vetro e della maestria degli artigiani muranesi la porta a realizzare una serie di lavori composti da una stratificazione insolita e affascinante: lastre di vetro inciso con soggetti botanici, sovrapposte in più strati a piccoli intervalli, e uno specchio sul fondo. La presenza dello specchio come fondale ha la funzione di raddoppiare la stratificazione vegetale, conferendole un carattere quasi vertiginoso, ma anche quella di includere, seppur in maniera ambigua e deformata, il rifesso dell’osservatore nell’opera.
Lo specchio ha un ruolo di primaria importanza nel lavoro di Piggott, in particolare se la superficie è intaccata dal tempo, e l’ossidazione rende più misteriosa e oscura la riflessione. In Australia realizza numerosi specchi deformati, caratterizzati da superfici nebulose e quasi liquide. Anche nelle opere della serie «Garden Fracture/Mirror in Vapour» si scruta attraverso le superfici rifrangenti e riflettenti che fanno rimbalzare lo sguardo, catturato da una miriade di lenti tondeggianti sovrapposte a rami spezzati di glicine, petali di ciliegio in caduta, fori di peonia maturi: visione multipla e moltiplicata di un giardino caotico per staccarsi da sé.
Con questa mostra Rosslynd Piggott ribadisce l’indiscutibile valenza dell’eccellenza muranese, unica capace di tramutare l’idea dell’artista in opera d’arte. È a Murano che l’artista può sfidare la materia e realizzare l’impossibile: i lavori di Piggott catapultano l’osservatore in un mondo senza tempo, uno spazio per l’immaginazione e l’intangibile, per lo stupore e il piacere, dove tutto rinvia alla frattura tra il sé e il non-sé.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Rosslynd Piggott, 100 Glasses, 1991. Installation, 100 handblown and engraved glasses, painted shelf and walls. Variable dimensions; [fig. 2] Rosslynd Piggott, Garden fracture/ Mirror in vapour no. 8, 2016. Engraved clear glass, mirrored Murano glass, slumped and mirrored glass, 53 x 55 x 20cm; [fig. 3] Rosslynd Piggott, Mirror shift- Wisteria bloom, 2016. Engraved mirror, engraved glass with avventurina, wooden shelf. 55 x 150 x 20cm
Informazioni utili
«Rosslynd Piggott. Garden Fracture / Mirror in vapour: part 2». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian, 8 - Murano (Venezia). Orari: tutti i giorni, ore 10.00–17.00; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50, offerta scuola € 4,00. Informazioni: info@fmcvenezia.it, 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.museovetro.visitmuve.it. Fino al 3 dicembre 2017
venerdì 3 novembre 2017
Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat in mostra a Milano
Va alla scoperta degli usi e dei costumi di uno dei popoli più affascinanti della Nuova Guinea la nuova mostra del Mudec, il Museo delle culture di Milano. Ha, infatti, da poco aperto le porte «Eravamo cacciatori di teste. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat», primo momento di riflessione in un museo pubblico italiano su uno dei popoli più affascinanti dell’area oceanica.
Il percorso espositivo, che si è avvalso della collaborazione di Paolo Campione, direttore dell’omonimo museo di Lugano, presenta una selezione di circa centocinquanta opere appartenenti alla collezione Fardella-Azzaroli, concessa in comodato all’istituzione milanese, e alla raccolta Leigheb-Fiore, acquisita nel 2015 dal Comune, per incrementarne il patrimonio e colmare la dolorosa lacuna creatasi più di settanta anni fa a causa dei bombardamenti che colpirono il Castello Sforzesco, allora sede delle Collezioni etnografiche.
Attraverso sculture, armi, strumenti musicali, oggetti d’uso e rituali, i visitatori potranno approfondire non solo gli aspetti legati alla vita quotidiana delle popolazioni Asmat nel corso del XX secolo, ma conoscerne anche i complessi rituali e le tradizioni che legano indissolubilmente la pratica scultorea alla dimensione spirituale più profonda di questo popolo. Grazie ai rituali, secondo questo gruppo etnico, gli antenati entrano in contatto con i vivi e tornano alla vita attraverso le figure intagliate.
L’incontro con i popoli occidentali, avvenuto molto tardivamente, principalmente alla metà del secolo scorso, ha fatto conoscere al mondo questa loro straordinaria abilità artistica e di conseguenza il mondo rituale, caratterizzato anche dalle temibili pratiche del cannibalismo e della caccia alle teste, attirando così l’attenzione non solo dei collezionisti d’arte e degli artisti, ma anche di studiosi, antropologi ed etnografi, come il giovane Michael Rockefeller, tragicamente scomparso proprio durante una spedizione tra gli Asmat nel 1961. A tutt’oggi queste popolazioni continuano ad esercitare grande fascino e a suscitare vivo interesse essendo associati, nell’immaginario collettivo, ad un mondo primigenio e incontaminato: Sebastião Salgado ha scelto di realizzare alcuni scatti del suo recente progetto «Genesi», proprio tra queste popolazioni, quali testimoni viventi di un perfetto equilibrio tra uomo e natura.
Gli Asmat custodiscono, infatti, ancora oggi i tratti caratteristici della propria antica cultura, perfettamente adattata al difficile ecosistema in cui vivono, ma hanno anche saputo rinnovarsi e affrontare le sfide della modernità grazie alla mediazione di diversi gruppi missionari e all’avvio, nel 1968 del Fundwi (Fund of the United Nations for the Development of West Irian), uno specifico programma di aiuto allo sviluppo voluto dalle Nazioni Unite.
All’interno di questo programma prese infatti avvio l’«Asmat Art Project», un insieme di iniziative volte al recupero, come mezzo di sussistenza, della tradizione scultorea in parte indebolita dalla proibizione dei violenti rituali relativi al culto degli antenati, ai quali è profondamente legata.
Grande attenzione è riservata lungo il percorso espositivo, che propone anche un documentario e numerose fotografie, a due pali cerimoniali bis, alti più di quattro metri, interamente scolpiti e decorati con pigmenti naturali. Durante lo studio di queste particolari decorazioni sono emerse delle criticità relative allo stato di conservazione di uno dei due pali: la mostra diventa occasione per presentare al pubblico l’importante lavoro di ricerca sui questi temi e consentirà di osservare da vicino il lavoro dei restauratori, grazie ad un apposito allestimento.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Tamburo (em) sec. XX Legno/ scultura, pigmenti naturali 12 Museo delle Culture, Milano Coll. Mariangela Fardella, Giorgio Azzaroli Inv. FARDELLA 0014; [fig. 2] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Pannello sec. XX 2 Legno/ intaglio Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb Inv. SEA 00155; [fig. 3] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Ornamento nasale (bipane) sec. XX 7 Conchiglia/ intaglio, rafia, cera d'api Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb. Inv. SEA 00174
Informazioni utili
«Eravamo cacciatori di teste. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat». Mudec – Museo delle Culture, via Tortona, 56 – Milano. Orari: lunedì, ore 14.30-19.30; martedì / mercoledì / venerdì / domenica, ore 09.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Biglietto: intero 5,00, ridotto € 3,00.Informazioni: 0254917 (lun-ven, ore 10.00-17.00). Sito internet: www.mudec.it. Fino all’8 luglio 2018
Il percorso espositivo, che si è avvalso della collaborazione di Paolo Campione, direttore dell’omonimo museo di Lugano, presenta una selezione di circa centocinquanta opere appartenenti alla collezione Fardella-Azzaroli, concessa in comodato all’istituzione milanese, e alla raccolta Leigheb-Fiore, acquisita nel 2015 dal Comune, per incrementarne il patrimonio e colmare la dolorosa lacuna creatasi più di settanta anni fa a causa dei bombardamenti che colpirono il Castello Sforzesco, allora sede delle Collezioni etnografiche.
Attraverso sculture, armi, strumenti musicali, oggetti d’uso e rituali, i visitatori potranno approfondire non solo gli aspetti legati alla vita quotidiana delle popolazioni Asmat nel corso del XX secolo, ma conoscerne anche i complessi rituali e le tradizioni che legano indissolubilmente la pratica scultorea alla dimensione spirituale più profonda di questo popolo. Grazie ai rituali, secondo questo gruppo etnico, gli antenati entrano in contatto con i vivi e tornano alla vita attraverso le figure intagliate.
L’incontro con i popoli occidentali, avvenuto molto tardivamente, principalmente alla metà del secolo scorso, ha fatto conoscere al mondo questa loro straordinaria abilità artistica e di conseguenza il mondo rituale, caratterizzato anche dalle temibili pratiche del cannibalismo e della caccia alle teste, attirando così l’attenzione non solo dei collezionisti d’arte e degli artisti, ma anche di studiosi, antropologi ed etnografi, come il giovane Michael Rockefeller, tragicamente scomparso proprio durante una spedizione tra gli Asmat nel 1961. A tutt’oggi queste popolazioni continuano ad esercitare grande fascino e a suscitare vivo interesse essendo associati, nell’immaginario collettivo, ad un mondo primigenio e incontaminato: Sebastião Salgado ha scelto di realizzare alcuni scatti del suo recente progetto «Genesi», proprio tra queste popolazioni, quali testimoni viventi di un perfetto equilibrio tra uomo e natura.
Gli Asmat custodiscono, infatti, ancora oggi i tratti caratteristici della propria antica cultura, perfettamente adattata al difficile ecosistema in cui vivono, ma hanno anche saputo rinnovarsi e affrontare le sfide della modernità grazie alla mediazione di diversi gruppi missionari e all’avvio, nel 1968 del Fundwi (Fund of the United Nations for the Development of West Irian), uno specifico programma di aiuto allo sviluppo voluto dalle Nazioni Unite.
All’interno di questo programma prese infatti avvio l’«Asmat Art Project», un insieme di iniziative volte al recupero, come mezzo di sussistenza, della tradizione scultorea in parte indebolita dalla proibizione dei violenti rituali relativi al culto degli antenati, ai quali è profondamente legata.
Grande attenzione è riservata lungo il percorso espositivo, che propone anche un documentario e numerose fotografie, a due pali cerimoniali bis, alti più di quattro metri, interamente scolpiti e decorati con pigmenti naturali. Durante lo studio di queste particolari decorazioni sono emerse delle criticità relative allo stato di conservazione di uno dei due pali: la mostra diventa occasione per presentare al pubblico l’importante lavoro di ricerca sui questi temi e consentirà di osservare da vicino il lavoro dei restauratori, grazie ad un apposito allestimento.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Tamburo (em) sec. XX Legno/ scultura, pigmenti naturali 12 Museo delle Culture, Milano Coll. Mariangela Fardella, Giorgio Azzaroli Inv. FARDELLA 0014; [fig. 2] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Pannello sec. XX 2 Legno/ intaglio Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb Inv. SEA 00155; [fig. 3] Cultura Asmat Provincia Papua, Indonesia Ornamento nasale (bipane) sec. XX 7 Conchiglia/ intaglio, rafia, cera d'api Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb. Inv. SEA 00174
Informazioni utili
«Eravamo cacciatori di teste. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat». Mudec – Museo delle Culture, via Tortona, 56 – Milano. Orari: lunedì, ore 14.30-19.30; martedì / mercoledì / venerdì / domenica, ore 09.30-19.30; giovedì e sabato, ore 9.30-22.30. Biglietto: intero 5,00, ridotto € 3,00.Informazioni: 0254917 (lun-ven, ore 10.00-17.00). Sito internet: www.mudec.it. Fino all’8 luglio 2018
Iscriviti a:
Post (Atom)