Nell’ottobre 2011 Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi, è a Palazzo Corsini, in visita alla Biennale internazionale d'antiquariato. Alla stand della galleria fiorentina Pasti e Bencini lo studioso rimane letteralmente ammaliato da un quadro, il cui soggetto e il cui stile pittorico si distinguono in maniera inequivocabile dalle tante scene di battaglia appese alle pareti con l’intento di ricordare i centocinquanta anni dalla nascita dell’Unità d’Italia.
Quel dipinto -rara opera di Paulus Bor (Amersfoort, Paesi Bassi, c. 1601-1669), artista olandese del XVII secolo poco conosciuto ai più, del quale gli studiosi contano solo una trentina di lavori- è da poco entrato nella collezione del museo fiorentino grazie alla donazione dell’associazione Amici degli Uffizi, presieduta da Maria Vittoria Rimbotti. Ed è da qualche giorno esposto al piano nobile dell’edificio vasariano, nella Sala 54, dove è conservata una selezione di tele di pittori attivi ad Haarlem e Utrecht, in gran parte acquisite da Cosimo III durante i suoi viaggi nei Paesi Bassi.
«Scena di sacrificio», questo il titolo del nuovo acquisto della Galleria degli Uffizi, mostra un personaggio femminile, a figura intera, avvolta in un manto coperto di fiori e con una gonna decorata con dei tulipani, che sta per mettere in atto il sacrificio di un uccello, adagiato su un altare. Ad assistere la donna è un giovane uomo dal torso nudo, dalle sembianze dionisiache, che soffia la piccola fiamma che si sta sviluppando tra le foglie. Il soggetto non appare riconducibile a una fonte letteraria precisa ed è da qualificarsi piuttosto come una rivisitazione personalissima di una scena di sacrificio classico in ambiente naturale. Il giovane uomo con la testa cinta di una corona di alloro quasi sicuramente rappresenta un pastore, così come il volatile dovrebbe essere una colomba, cara a Venere e simbolo dell’amore.
«Nell’invenzione, -spiega Gert Jan van der Sman, studioso dell’Istituto universitario di storia dell’arte olandese a Firenze- la protagonista principale rimane la figura della maga: col suo viso assorto e pensoso, e la sua gestualità pacata, riesce ad imprimere un’atmosfera intimamente solenne al rituale. La fisionomia della donna è in tutto tipica di Bor: un viso pieno e soffice, un collo corto, cappelli lunghi sciolti e un’espressione sognante».
Nella tela, di alta qualità poetica, si ravvisa un’attenzione non comune verso la letteratura classica, come documentano altri due noti lavori dell’artista quali la «Medea disillusa» del Metropolitan Museum of Art e «Cidippe con la mela di Aconzio» del Rijksmuseum di Amsterdam.
Colpisce, inoltre, il lieve tono argenteo del dipinto, una colorazione che distingue quasi tutte le opere del pittore, la cui produzione è caratterizzata da soggetti insoliti ed enigmatici, che coniugano la rappresentazione di paesaggi dalle ispirazioni nordiche a scenari di impianto classicheggiante tesi alla rievocazione, pacata e struggente, di un mondo perfetto e senza tempo.
Vissuto fra il 1601 e il 1660, in condizioni di agiatezza che spiegano in buona parte, secondo Antonio Natali, l'originalità del suo lavoro, Paulus Bor fu in Italia dal 1622 e al 1626, attratto come molti suoi connazionali dallo studio delle antichità e dei maestri del Cinquecento. Molto attivo e riconosciuto nel circolo degli artisti nordici di passaggio a Roma, fra i quali era noto con il soprannome di «Orlando», il pittore rimase folgorato dalla scoperta delle novità luministiche introdotte da Caravaggio, che rivisitò partendo da spunti rendrandtiani. Lo prova bene l’intero corpus delle sue opere, in massima parte conservate in Olanda. Un’acquisizione, dunque, importante quella degli Uffizi che va così a incrementare la già ricca collezione dedicata ai pittori stranieri conservata nelle cosiddette «Sale blu».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Paulus Bor, «Scena di sacrificio», 1635-1640. Olio su tela, 89,5x67,7 cm; [fig. 2] Paulus Bor, «Cidippe con la mela di Aconzio», Amsterdam, Rijksmuseum
Informazioni utili
«Scena di sacrificio» di Paulus Bor. Galleria degli Uffizi, Piazzale degli Uffizi, 6 – Firenze. Orari: martedì-domenica, ore 8.15-18.50; chiuso il lunedì; la biglietteria chiude alle ore 18.05; le operazioni di chiusura iniziano alle ore 18.35.Ingresso: intero € 12,50; biglietto ridotto € 6,25; gratuito per gli aventi diritto. Informazioni utili: tel. 055.2388651. Sito internet: http://www.polomuseale.firenze.it.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
martedì 21 luglio 2015
lunedì 20 luglio 2015
Dante compie 750 anni. Gli Uffizi lo festeggiano con il ritratto del Bronzino
È l’italiano più noto nel mondo, insieme a Leonardo da Vinci. Stiamo parlando di Dante Alighieri, del quale ricorrono quest’anno i settecentocinquanta anni dalla nascita. Per l’occasione, tutta Italia si china al genio dello scrittore toscano organizzando una serie di eventi tra mostre, letture, convegni, conferenze, concerti, spettacoli di teatro e di danza, videoinstallazioni.
Tra le istituzioni che celebrano il sommo poeta ci sono anche gli Uffizi di Firenze che hanno allestito, nella sala 65, l’esposizione di una delle tante opere raffiguranti l'artista: il «Ritratto allegorico di Dante Alighieri», dipinto nel 1532-1533 dal Bronzino.
L’olio si tela (130 x 136 centimetri), fino a poco tempo fa conservato nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio, giunge in Galleria in seguito ad un comodato.
L’opera, secondo quanto afferma Giorgio Vasari, fu commissionata al pittore da Bartolomeo Bettini insieme ai ritratti di altri due padri della letteratura italiana, Petrarca e Boccaccio, per essere collocato nelle lunette di una stanza della sua abitazione, secondo una tradizione tipicamente rinascimentale legata al culto degli uomini illustri.
Di questi tre lavori l’unico ad oggi conosciuto è quello dedicato a Dante: esistono, infatti, un disegno preparatorio a Monaco, una replica di bottega su tavola conservata nella collezione Kress della National Gallery of Art di Washington, la presente redazione su tela in collezione privata fiorentina, svariate copie grafiche e la xilografia del solo busto, sul frontespizio della «Divina Commedia», pubblicata nel 1564 per la curatela di Francesco Sansovino.
Nel 1956 la tavola statunitense, radicalmente restaurata, fu acquistata come opera della bottega di Vasari; nel 1964 Luciano Berti ne ascrisse la paternità al Bronzino, mentre nel 1991 Alessandro Cecchi preferì considerarla una replica autografa. L’attribuzione fu, poi, ridimensionata da Jonathan Nelson, che la ritenne un prodotto di buona fattura della bottega del pittore, dipinto forse su commissione di un membro dell’Accademia fiorentina probabilmente dopo il 1541, quando la disputa sul primato del volgare toscano e l’interesse per Dante infervorarono non solo gli studi letterari, ma anche il dibattito politico.
Su questo fronte, Bettini era fortemente impegnato nel difendere la Repubblica contro la tirannia del duca Alessandro de’ Medici e il canto XXV del «Paradiso», leggibile sul libro sorretto da Dante desideroso di rientrare dall’esilio, si adatta particolarmente alle vicende politiche della sua famiglia.
Il lavoro, di collezione privata e pubblicato nel 2002 come opera del Bronzino da Philippe Costamagna, è attualmente ritenuti dalla critica autografa dell’artista, anche se il supporto in tela era particolarmente infrequente nella Firenze dei primi del Cinquecento. Questo dato non è, però, pregiudizievole per la sua autenticità, dal momento che ne esistono altri illustri esempi come la nota «Cena in Emmaus» del Pontormo per la Certosa del Galluzzo o il «Nano Morgante» dello stesso Bronzino, entrambi agli Uffizi.
Il ritratto, quantunque la tela sia supporto delicato, si dimostra di eccellente fattura, visibile soprattutto negli incarnati, che sono di una consistenza affine a quella di dipinti coevi come il «Ritratto del suonatore di liuto» e il «Pigmalione e Galatea», tutte e due conservati nel museo fiorentino.
Rispetto alla lunetta quasi gemella della National Gallery di Washington (cui alla mostra del Bronzino del 2010-2011 a Palazzo Strozzi la tela fiorentina fu affiancata) l’andamento dei panni, simili a quello della «Venere e Amore» del Pontormo, appare molto meno schematico; la pittura presenta un segno più sicuro e l’espressione del volto del poeta appare più ispirata. Il quadro dimostra anche una particolare sensibilità per la luce, che può esser derivata dalla conoscenza della pittura di Dosso, con cui il Bronzino entrò in contatto all’Imperiale di Pesaro nel 1531.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Bronzino, «Ritratto allegorico di Dante Alighieri», 1532-33. Collezione privata [figg. 2 e 3] «Ritratto allegorico di Dante Alighieri» del Bronzino in esposizione alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
Informazioni utili
«Ritratto allegorico di Dante Alighieri» del Bronzino agli Uffizi. Galleria degli Uffizi, Piazzale degli Uffizi, 6 – Firenze. Orari: martedì-domenica, ore 8.15-18.50; chiuso il lunedì; la biglietteria chiude alle ore 18.05; le operazioni di chiusura iniziano alle ore 18.35.Ingresso: intero € 12,50; biglietto ridotto € 6,25; gratuito per gli aventi diritto. Informazioni utili: tel. 055.2388651. Sito internet: http://www.polomuseale.firenze.it.
Tra le istituzioni che celebrano il sommo poeta ci sono anche gli Uffizi di Firenze che hanno allestito, nella sala 65, l’esposizione di una delle tante opere raffiguranti l'artista: il «Ritratto allegorico di Dante Alighieri», dipinto nel 1532-1533 dal Bronzino.
L’olio si tela (130 x 136 centimetri), fino a poco tempo fa conservato nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio, giunge in Galleria in seguito ad un comodato.
L’opera, secondo quanto afferma Giorgio Vasari, fu commissionata al pittore da Bartolomeo Bettini insieme ai ritratti di altri due padri della letteratura italiana, Petrarca e Boccaccio, per essere collocato nelle lunette di una stanza della sua abitazione, secondo una tradizione tipicamente rinascimentale legata al culto degli uomini illustri.
Di questi tre lavori l’unico ad oggi conosciuto è quello dedicato a Dante: esistono, infatti, un disegno preparatorio a Monaco, una replica di bottega su tavola conservata nella collezione Kress della National Gallery of Art di Washington, la presente redazione su tela in collezione privata fiorentina, svariate copie grafiche e la xilografia del solo busto, sul frontespizio della «Divina Commedia», pubblicata nel 1564 per la curatela di Francesco Sansovino.
Nel 1956 la tavola statunitense, radicalmente restaurata, fu acquistata come opera della bottega di Vasari; nel 1964 Luciano Berti ne ascrisse la paternità al Bronzino, mentre nel 1991 Alessandro Cecchi preferì considerarla una replica autografa. L’attribuzione fu, poi, ridimensionata da Jonathan Nelson, che la ritenne un prodotto di buona fattura della bottega del pittore, dipinto forse su commissione di un membro dell’Accademia fiorentina probabilmente dopo il 1541, quando la disputa sul primato del volgare toscano e l’interesse per Dante infervorarono non solo gli studi letterari, ma anche il dibattito politico.
Su questo fronte, Bettini era fortemente impegnato nel difendere la Repubblica contro la tirannia del duca Alessandro de’ Medici e il canto XXV del «Paradiso», leggibile sul libro sorretto da Dante desideroso di rientrare dall’esilio, si adatta particolarmente alle vicende politiche della sua famiglia.
Il lavoro, di collezione privata e pubblicato nel 2002 come opera del Bronzino da Philippe Costamagna, è attualmente ritenuti dalla critica autografa dell’artista, anche se il supporto in tela era particolarmente infrequente nella Firenze dei primi del Cinquecento. Questo dato non è, però, pregiudizievole per la sua autenticità, dal momento che ne esistono altri illustri esempi come la nota «Cena in Emmaus» del Pontormo per la Certosa del Galluzzo o il «Nano Morgante» dello stesso Bronzino, entrambi agli Uffizi.
Il ritratto, quantunque la tela sia supporto delicato, si dimostra di eccellente fattura, visibile soprattutto negli incarnati, che sono di una consistenza affine a quella di dipinti coevi come il «Ritratto del suonatore di liuto» e il «Pigmalione e Galatea», tutte e due conservati nel museo fiorentino.
Rispetto alla lunetta quasi gemella della National Gallery di Washington (cui alla mostra del Bronzino del 2010-2011 a Palazzo Strozzi la tela fiorentina fu affiancata) l’andamento dei panni, simili a quello della «Venere e Amore» del Pontormo, appare molto meno schematico; la pittura presenta un segno più sicuro e l’espressione del volto del poeta appare più ispirata. Il quadro dimostra anche una particolare sensibilità per la luce, che può esser derivata dalla conoscenza della pittura di Dosso, con cui il Bronzino entrò in contatto all’Imperiale di Pesaro nel 1531.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Bronzino, «Ritratto allegorico di Dante Alighieri», 1532-33. Collezione privata [figg. 2 e 3] «Ritratto allegorico di Dante Alighieri» del Bronzino in esposizione alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
Informazioni utili
«Ritratto allegorico di Dante Alighieri» del Bronzino agli Uffizi. Galleria degli Uffizi, Piazzale degli Uffizi, 6 – Firenze. Orari: martedì-domenica, ore 8.15-18.50; chiuso il lunedì; la biglietteria chiude alle ore 18.05; le operazioni di chiusura iniziano alle ore 18.35.Ingresso: intero € 12,50; biglietto ridotto € 6,25; gratuito per gli aventi diritto. Informazioni utili: tel. 055.2388651. Sito internet: http://www.polomuseale.firenze.it.
venerdì 17 luglio 2015
«Still-Life Remix», la natura morta trova casa da Antinori
Da oltre seicento anni il loro nome è legato alla storia della viticultura e alla migliore tradizione mecenatistica. È, infatti, dal 1385 che i marchesi Antinori hanno affidato all’arte il compito di raccontare la loro capacità di saper trasformare i frutti della terra in grandi vini.
Di recente, nel 2012, la nuova cantina nel Chianti classico, monumentale e seducente struttura disegnata dall’architetto Marco Casamonti, non solo è diventata sede della ricca collezione di famiglia, ma ha anche visto la nascita di un nuovo progetto artistico: «Antinori Art Project», una piattaforma di interventi in ambito contemporaneo, molti dei quali site specific, rivolti a giovani, ma già affermati protagonisti della scena artistica nazionale e internazionale.
Fino ad oggi hanno così fatto tappa nell’azienda di Bargino di San Casciano Yona Friedman, Rosa Barba, Jean-Baptiste Decavèle e Tomàs Saraceno. In questi mesi, in attesa dell’intervento di Giorgio Andreotta Calò, previsto per il prossimo autunno, Ilaria Bonacossa ha ideato una mostra temporanea su uno dei temi portanti della storia dell’arte insieme al paesaggio e al ritratto: la natura morta, un genere nel quale piante, fiori e frutti vengono riprodotti insieme a prede di caccia, in composizioni prive della presenza di esseri umani. Questi assemblaggi, spesso arricchiti da oggetti simbolici come teschi, perle, libri o strumenti per la misurazione del tempo, rappresentano un monito alla fragilità della bellezza e all’inevitabilità della morte.
«Still-Life Remix», questo il titolo della rassegna aperta fino al prossimo 4 ottobre, riunisce, nello specifico, circa quaranta lavori di ventisei artisti contemporanei, internazionali e italiani, che interrogano le possibilità espressive della natura morta. Accanto a giovani emergenti ci sono figure di spicco del mondo contemporaneo, posti in dialogo con lavori appartenenti alla collezione della famiglia Antinori come una grande natura morta fiamminga del 1600 e due tele di Filippo De Pisis, in cui il tono crepuscolare e intimista della rappresentazione degli oggetti inanimati è ottenuto da un fare pittorico lieve contraddistinto da rapidi tocchi.
La storia della natura morta ha origini antiche. A partire dalla seconda metà del XVI secolo gli artisti hanno ritratto, con mirabile maestria, il momento di massimo splendore della natura, fermandone metaforicamente la trasformazione e il deterioramento. Queste opere sono diventate così la rappresentazione fisica della fugacità della vita terrena e i simboli della temporalità, come orologi e teschi, si sono accompagnati a tavole imbandite, cibi, fiori e animali. È solo nel secolo successivo, però, che la natura morta raggiunge il suo successo e incontra il favore di mecenati e collezionisti. Nella modernità, poi, questo genere pittorico trova un importante strumento attraverso cui reinventare la tradizione e l’iconografia classica: così, dai fauve ai cubisti, passando per il surrealismo, la natura morta diventa lo strumento per tentare una rivoluzione dal punto di vista formale, come provano due maestri indiscussi del genere quali Giorgio Morandi e Filippo De Pisis.
La mostra toscana affronta questo tema, presentando un insieme di opere fotografiche, scultoree, pittoriche e video che illustrano come, ancora oggi, il nostro sguardo possa, attraverso il codice espressivo della natura morta, cogliere il passare del tempo attraverso la rappresentazione visiva di un impossibile equilibrio tra naturale e artificiale.
I lavori selezionati dimostrano che, attraverso questo genere, molti artisti contemporanei raccontano la loro percezione del mondo che ci circonda, la fragilità umana, la caducità della felicità terrena.
Le opere esposte lasciano, poi, ben trasparire come i valori della composizione e dell’equilibrio cromatico siano reinventati, completamente trasformati e tradotti nella contemporaneità, per conservare l’efficacia dell’indagine. Così, per esempio, le immagini di Wolfgang Tillmans documentano come il genere si sia trasformato catturando la quotidianità e i residui della presenza umana sullo spazio, mentre i lavori di Ori Gersht mostrano il rapporto stretto che intercorre tra violenza e bellezza attraverso l’improvvisa esplosione di nature morte che sembrano uscite dalla migliore pittura fiamminga secentesca.
Due talenti emergenti come Santo Tolone ed Elisa Strinna, in mostra con il trittico d’ispirazione caravaggesca «Variazione su canestra di frutta» (2011), si riappropriano, invece, con ironia di un’iconografia che fa eco alla tradizione classica dell’alzata poetafrutta e del centrotavola per trasformarla in altro. Divertente è anche l’opera di Aldo Mondino esposta, «Torso torsolo rosicchiato da Rodin», una scultura in marmo colorato che racconta il parallelismo tra la natura e l'immortalità dei busti antichi. Gioca sull’effetto straniamento pura il progetto site specific «Giant Fruits » di Nicolas Party, un grande dipinto murale che si ispira più alla tradizione della natura in posa che a quella del memento mori, nel quale sono raffigurate mele e pere dai colori pop e dalle forme un po’ surreali: un vero e proprio inno alla natura e a ciò che la terra ci offre. Un inno, dunque, alla grande tradizione di Antinori.
Didascalie delle immagini
[Fig.1] Nicholas Party, «Giant Fruits», progetto site-specific, 2015; [fig. 2] Aldo Mondino, «Torso Torsolo rosicchiato da Rodin», 1996; [fig. 3] Wolfgang Tillmans, «L.A. Still Life», 2001 | C-Print, cm 64 x 73 x 4,5 courtesy Studio SALES di Norberto Ruggeri, Roma; [fig. 4] Vista dell'allestimento della mostra «Still-Life Remix»,courtesy to Antinori Art Project
Informazioni utili
«Still-Life Remix. 26 artisti contemporanei reinterpretano la natura morta». Artisti in mostra: Giorgio Andreotta Calò, Arianna Carossa, Mat Collishaw, Hans Peter Feldemann, Stefania Galegati, Francesco Gennari, Ori Gersht, Piero Gilardi, Thomas Grünfeld, Gusmao & Paiva, Georgie Hopton, Elad Lassry, Esko Männikkö, Davide Monaldi, Aldo Mondino, Nicolas Party, Jack Pierson, Lorenzo Scotto di Luzio, Shimabuku, Shirana Shahbazi, Elisa Strinna, Wolfagang Tillmans, Santo Tolone, Luca Vitone, Henkel & Pitegoff. Antinori nel Chianti Classico, via Cassia per Siena, 133 - Località Bargino di San Casciano Val di Pesa (Firenze). Orari di apertura della cantina con degustazione e accesso all’area museale: dalle ore 11.00 alle ore 18.00; si consiglia la prenotazione al numero 055.2359700 o all’indirizzo e-mail visite@antinorichianticlassico.it. Sito internet: www.antinorichianticlassico.it. Fino al 4 ottobre 2015.
Di recente, nel 2012, la nuova cantina nel Chianti classico, monumentale e seducente struttura disegnata dall’architetto Marco Casamonti, non solo è diventata sede della ricca collezione di famiglia, ma ha anche visto la nascita di un nuovo progetto artistico: «Antinori Art Project», una piattaforma di interventi in ambito contemporaneo, molti dei quali site specific, rivolti a giovani, ma già affermati protagonisti della scena artistica nazionale e internazionale.
Fino ad oggi hanno così fatto tappa nell’azienda di Bargino di San Casciano Yona Friedman, Rosa Barba, Jean-Baptiste Decavèle e Tomàs Saraceno. In questi mesi, in attesa dell’intervento di Giorgio Andreotta Calò, previsto per il prossimo autunno, Ilaria Bonacossa ha ideato una mostra temporanea su uno dei temi portanti della storia dell’arte insieme al paesaggio e al ritratto: la natura morta, un genere nel quale piante, fiori e frutti vengono riprodotti insieme a prede di caccia, in composizioni prive della presenza di esseri umani. Questi assemblaggi, spesso arricchiti da oggetti simbolici come teschi, perle, libri o strumenti per la misurazione del tempo, rappresentano un monito alla fragilità della bellezza e all’inevitabilità della morte.
«Still-Life Remix», questo il titolo della rassegna aperta fino al prossimo 4 ottobre, riunisce, nello specifico, circa quaranta lavori di ventisei artisti contemporanei, internazionali e italiani, che interrogano le possibilità espressive della natura morta. Accanto a giovani emergenti ci sono figure di spicco del mondo contemporaneo, posti in dialogo con lavori appartenenti alla collezione della famiglia Antinori come una grande natura morta fiamminga del 1600 e due tele di Filippo De Pisis, in cui il tono crepuscolare e intimista della rappresentazione degli oggetti inanimati è ottenuto da un fare pittorico lieve contraddistinto da rapidi tocchi.
La storia della natura morta ha origini antiche. A partire dalla seconda metà del XVI secolo gli artisti hanno ritratto, con mirabile maestria, il momento di massimo splendore della natura, fermandone metaforicamente la trasformazione e il deterioramento. Queste opere sono diventate così la rappresentazione fisica della fugacità della vita terrena e i simboli della temporalità, come orologi e teschi, si sono accompagnati a tavole imbandite, cibi, fiori e animali. È solo nel secolo successivo, però, che la natura morta raggiunge il suo successo e incontra il favore di mecenati e collezionisti. Nella modernità, poi, questo genere pittorico trova un importante strumento attraverso cui reinventare la tradizione e l’iconografia classica: così, dai fauve ai cubisti, passando per il surrealismo, la natura morta diventa lo strumento per tentare una rivoluzione dal punto di vista formale, come provano due maestri indiscussi del genere quali Giorgio Morandi e Filippo De Pisis.
La mostra toscana affronta questo tema, presentando un insieme di opere fotografiche, scultoree, pittoriche e video che illustrano come, ancora oggi, il nostro sguardo possa, attraverso il codice espressivo della natura morta, cogliere il passare del tempo attraverso la rappresentazione visiva di un impossibile equilibrio tra naturale e artificiale.
I lavori selezionati dimostrano che, attraverso questo genere, molti artisti contemporanei raccontano la loro percezione del mondo che ci circonda, la fragilità umana, la caducità della felicità terrena.
Le opere esposte lasciano, poi, ben trasparire come i valori della composizione e dell’equilibrio cromatico siano reinventati, completamente trasformati e tradotti nella contemporaneità, per conservare l’efficacia dell’indagine. Così, per esempio, le immagini di Wolfgang Tillmans documentano come il genere si sia trasformato catturando la quotidianità e i residui della presenza umana sullo spazio, mentre i lavori di Ori Gersht mostrano il rapporto stretto che intercorre tra violenza e bellezza attraverso l’improvvisa esplosione di nature morte che sembrano uscite dalla migliore pittura fiamminga secentesca.
Due talenti emergenti come Santo Tolone ed Elisa Strinna, in mostra con il trittico d’ispirazione caravaggesca «Variazione su canestra di frutta» (2011), si riappropriano, invece, con ironia di un’iconografia che fa eco alla tradizione classica dell’alzata poetafrutta e del centrotavola per trasformarla in altro. Divertente è anche l’opera di Aldo Mondino esposta, «Torso torsolo rosicchiato da Rodin», una scultura in marmo colorato che racconta il parallelismo tra la natura e l'immortalità dei busti antichi. Gioca sull’effetto straniamento pura il progetto site specific «Giant Fruits » di Nicolas Party, un grande dipinto murale che si ispira più alla tradizione della natura in posa che a quella del memento mori, nel quale sono raffigurate mele e pere dai colori pop e dalle forme un po’ surreali: un vero e proprio inno alla natura e a ciò che la terra ci offre. Un inno, dunque, alla grande tradizione di Antinori.
Didascalie delle immagini
[Fig.1] Nicholas Party, «Giant Fruits», progetto site-specific, 2015; [fig. 2] Aldo Mondino, «Torso Torsolo rosicchiato da Rodin», 1996; [fig. 3] Wolfgang Tillmans, «L.A. Still Life», 2001 | C-Print, cm 64 x 73 x 4,5 courtesy Studio SALES di Norberto Ruggeri, Roma; [fig. 4] Vista dell'allestimento della mostra «Still-Life Remix»,courtesy to Antinori Art Project
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«Still-Life Remix. 26 artisti contemporanei reinterpretano la natura morta». Artisti in mostra: Giorgio Andreotta Calò, Arianna Carossa, Mat Collishaw, Hans Peter Feldemann, Stefania Galegati, Francesco Gennari, Ori Gersht, Piero Gilardi, Thomas Grünfeld, Gusmao & Paiva, Georgie Hopton, Elad Lassry, Esko Männikkö, Davide Monaldi, Aldo Mondino, Nicolas Party, Jack Pierson, Lorenzo Scotto di Luzio, Shimabuku, Shirana Shahbazi, Elisa Strinna, Wolfagang Tillmans, Santo Tolone, Luca Vitone, Henkel & Pitegoff. Antinori nel Chianti Classico, via Cassia per Siena, 133 - Località Bargino di San Casciano Val di Pesa (Firenze). Orari di apertura della cantina con degustazione e accesso all’area museale: dalle ore 11.00 alle ore 18.00; si consiglia la prenotazione al numero 055.2359700 o all’indirizzo e-mail visite@antinorichianticlassico.it. Sito internet: www.antinorichianticlassico.it. Fino al 4 ottobre 2015.
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