ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 21 aprile 2017

Tutta l’opera di Franca Ghitti in un libro di Skira

È uscito da qualche mese in libreria il volume monografico che Skira editore dedica a Franca Ghitti (1932-2012), scultrice di fama internazionale le cui opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private, tra cui la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma e i Musei vaticani.
Il libro -che si avvale di un saggio introduttivo della curatrice Elena Pontiggia, docente all’Accademia di Belle arti di Brera- ripercorre l’intero percorso creativo dell’artista, dagli anni Cinquanta alla sua scomparsa.
L’avventura creativa di Franca Ghitti ha inizio in Valle Camonica, suo paese di nascita, al quale rimane significativamente legata durante il corso della sua vita; le opere dell’artista documentano, infatti, un ciclico ritorno alle origini e alla sua terra, che la sprona a continui studi, approfondimenti e ricerche.
Molto attenta alla scelta dei materiali, l’artista inizialmente predilige soprattutto quelli legati alla terra e al mondo del lavoro, fra cui vecchie assi di legno e avanzi di segheria. Successivamente opta anche per il ferro e i metalli, recuperati nelle antiche fucine della Valcamonica, come stampi, ritagli, tondini, chiodi, polvere di fusione, ma anche scarti di lavorazione delle industrie metalliche.
Il suo stile nel ricomporre restituisce ai materiali nuova energia e profondi significati. L’artista presenta, infatti, un linguaggio essenziale e concreto, legato alle linee, alle forme, alla geometria, che unisce in un armonico dialogo il presente al passato. Numerosi sono, infatti, i riferimenti alle incisioni rupestri e ai simboli primitivi delle tribù africane che si mescolano a espressioni moderne e contemporanee.
Ben tratteggia Elena Pontiggia, nel suo testo critico, questo modus operandi: «Quello di Franca Ghitti è un mondo complesso, un crogiolo di esperienze occidentali e primitive, di arte e architettura, di ripetizione e differenza. La sua scultura è sempre un disegno di mappe, una collezione di segni: non cerca il volume, il modellato, la massa, ma la superficie, la tavola, la pagina. La sua arte insegna la ricerca di alfabeti che non si trovano nei libri e di mondi che non coincidono con il nostro. Insegna che le mani sanno quello che la mente non capisce, mentre il linguaggio dei segni custodisce qualcosa che le parole non registrano».
I primi lavori in legno, realizzati negli anni Sessanta e intitolati «Mappe», sono tavole di legno con incisioni, ispirate alle incisioni rupestri a cui seguono altri cicli scultorei, sempre di matrice minimalista, a cui si aggiunge l’utilizzo di nuovi elementi, i chiodi, considerati dall’artista fondamentali per l’uso e la forma. Fra questi si ricordano «I Rituali», «Le Vicinie», «Le Storie dei morti», «I Reliquiari» che restituiscono la cultura contadina e in cui si allude alla tradizione, alle leggende, al dialetto, ai canti, ai proverbi.
Negli anni Settanta, l’esperienza africana e il suo trasferimento per alcuni anni in queste terre, conducono l’artista ad inserire nel suo linguaggio nuovi simboli, nuovi colori, nuovi materiali fra cui il cemento e il vetro.
In un continuo divenire, i lavori di Franca Ghitti assumono negli anni successivi dimensioni e forme diverse sempre intrinsecamente legate al suo vissuto, come la verticalità, ispirata dalla visione dei grattacieli di Montreal e dai boschi del Labrador, che caratterizza le opere «Cancelli», «Libri Chiusi», «Alberi». Il ritmo verticale tuttavia è spesso contrastato da un’energia orizzontale, resa dall’accostamento seriale di tessere e liste di legno, come se la materia fosse tessuta o intrecciata. In una poetica costantemente attenta al rapporto con lo spazio, alla fine degli anni Ottanta si inserisce l’interesse per la forma circolare, «Ciclo dei Tondi», dove il cerchio più o meno regolare evoca il concetto di ripetitività.
Anche nelle installazioni, «Meridiane», sono presenti temi legati al tempo e allo spazio, ma aprono contemporaneamente nuovi orizzonti con esplicite riflessioni sulla città, sull’architettura e sul linguaggio; in «Alfabeti perduti» e «Altri Alfabeti», realizzati alla fine degli anni Novanta, l’artista riscopre linguaggi dimenticati, di culture passate.
La sua ricerca artistica prosegue con continui approfondimenti, che contengono la memoria di vissuti comunitari connessi a epoche e luoghi differenti connessi alla contemporaneità.
Franca Ghitti, infatti, affermava: «non credo nell’improvvisazione. Un’opera è il risultato di una lunga meditazione, di un processo di conoscenza che dura tutta la vita».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Copertina del volume pubblicato da Skira; [fig. 2]Franca Ghitti all’OK Harris Gallery di New York nel 2008, con l'opera Valigia. ©Fabio Cattabiani; [fig. 3] Franca Ghitti, Libro fasciato, 2010 - Collezione Contemporanea Musei Vaticani. Carta bianca trattata, garza, chiodi, cm 49x30x25. ©Fabio Cattabiani

Informazioni utili
Elena Pontiggia (a cura e con saggio introduttivo), Franca Ghitti, Skira editore, Milano 2016 . Note utili: edizione bilingue (italiano-inglese) | 24 x 28 cm | 128 pagine | 110 colori e b/n | cartonato. ISBN 978-88-572-3411-3. Costo: € 28,00.

giovedì 20 aprile 2017

«Dal futurismo al ritorno all’ordine», dieci anni di arte italiana in mostra a Torino

È il febbraio del 1910 quando i pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo si riuniscono a Milano per firmare il «Manifesto dei pittori futuristi». È l’inizio di un periodo importante per l’arte italiana che, grazie a un gruppo di giovani ribelli nei confronti della tradizione e dei linguaggi dell’Accademia, si apre alla modernità. A ripercorrere questa storia è, fino al prossimo 18 giugno, la mostra «Dal futurismo al ritorno all’ordine», allestita per la curatela di Nicoletta Carbone e dello Studio Berman di Giuliana Godio al Museo Accorsi – Ometto di Torino. Settantadue opere provenienti da rinomati musei e archivi storici italiani ed europei, come il Mart di Rovereto e la Fondazione VAF-Stiftung di Francoforte sul Meno, ripercorrono la nostra storia pittorica dal 1910 al 1920, un «decennio cruciale» nel quale la ribellione futurista cede il passo al «ritorno al candore» del periodo simbolista, fino ad approdare alla riconquista della tradizione mediterranea anche attraverso linguaggi metafisici o richiami a una «moderna classicità».
Ad aprire il percorso espositivo sono opere del Futurismo storico. Umberto Boccioni, Luigi Russolo, Gino Severini, Carlo Carrà e Fortunato Depero sono, insieme con il teorico Filippo Tommaso Marinetti, i protagonisti indiscussi di questa prima parte della rassegna, nella quale trovano spazio anche indipendenti come Mario Sironi, Achille Funi, Antonio Sant’Elia, Adriana Bisi Fabbri e Gerardo Dottori.
Tra i pezzi esposti che permettono di comprendere appieno l’innovazione data dal linguaggio futurista all’arte vi è l’opera l’«Antigrazioso» (1912-1913) di Umberto Boccioni, straordinario ritratto della madre che nel titolo cita un’indicazione di Marinetti a proposito della necessità di un’arte non accattivante, ma, anzi, deformatrice nel proprio dinamismo. «Antigraziosa» è anche la «Danzatrice» (1916) di Enrico Prampolini, una ballerina che sembra applicare fedelmente il Manifesto della danza futurista, nel quale si esaltava il ballo «disarmonico» e «sgarbato».
Paroliberismo e forme destrutturate caratterizzano questa sezione, nella quale trovano posto i rossi bagliori di «Chioma. I capelli di Tina» di Luigi Russolo, il travolgente «Paesaggio guerresco» di Fortunato Depero e la natura morta «Lacerba e bottiglia» (1914) di Carlo Carrà. La sezione futurista include anche la presenza di due fuoriusciti quali Romolo Romani, precursore delle tendenze astrattive, in mostra con le opere «Ritratto di Giosuè Carducci» (1906) e «Ritratto d’uomo» (1908)e Aroldo Bonzagni, testimone di un espressionismo di intonazione sociale, qui rappresentato dallo storico dipinto «Il tram di Monza» (1916).
La seconda sezione si articola in tre segmenti: simbolismi, secessionismi e primitivismi. Le opere di Alberto Martini e Lorenzo Viani dialogano con lavori di Felice Casorati, Tullio Garbari, Umberto Moggioli, Galileo Chini, Cipriano Efisio Oppo e molti altri.
Gigiotti Zanini, Pompeo Borra, Alberto Salietti rappresentano, invece, quella volontà di guardare al passato tipica del primitivismo, tendenza volta al recupero del primordio inteso come azzeramento delle stratificazioni culturali per ritrovare la semplicità e il candore di espressioni popolari, ingenue, ispirate anche ai trecentisti e quattrocentisti italiani, Giotto e Paolo Uccello innanzi a tutti.
A chiudere il percorso espositivo è la stagione del cosiddetto «Ritorno all’ordine», fenomeno di portata europea che, subito dopo la Grande guerra (1914-1918), traccia un recupero delle forme. È la stagione della Metafisica, illustrata in mostra da opere di Giorgio de Chirico («Composizione con biscotti e mostrine», 1916), Carlo Carrà («Le due sorelle», 1917), Filippo de Pisis («Natura morta», 1920), accostate a saggi della metafisica eterodossa, rappresentata da Mario Sironi e Achille Funi, per approdare alla poetica della corrente Valori Plastici, che dal 1918 diffonde il principio della supremazia culturale e artistica italiana.
In questo settore della mostra si intersecano differenti linguaggi, caratterizzati dai principi di sintesi, costruzione e plasticità. Ecco così due limpide nature morte di Ardengo Soffici come «Mele e calice di vino» (1919) e «Pera e bicchiere di vino» (1920) dialogare con la potenza e la solidità delle forme di «Macchina e tram» (1919) di Mario Sironi o con le «Donne alla fonte» di Rosai.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Umberto Boccioni, Antigrazioso, 1912-13. Olio su tela, cm 80 x 80. Fondazione FC per l’Arte; [fig. 2] Giacomo Balla, Figure + Paesaggio, 1914. Collage, cm 32x22. Collezione privata; [fig. 3] Giorgio Morandi, Natura morta con bottiglia e brocca, 1915. Incisione, cm 15,4x12,5. Collezione privata

Informazioni utili
«Dal futurismo al ritorno all’ordine». Museo di arti decorative Accorsi – Ometto, via Po, 55 – Torino. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00 – 13.00 e ore  14.00 – 18.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.00– 13.00 e ore 14.00– 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00 (studenti fino a 26 anni, over 65, convenzioni). Catalogo: Silvana editoriale, Cinisello Balsamo (Milano). Informazioni:  tel. 011.837.688 int. 3  o info@fondazioneaccorsi-ometto.it. Sito internet: www.fondazioneaccorsi-ometto.it . Fino al 18 giugno 2017

mercoledì 19 aprile 2017

Ristampato a Bologna il catalogo della storica Settimana internazionale della performance

Sono passati quarant’anni dalla prima edizione della Settimana internazionale della performance, che si tenne nel giugno del 1977 alla Galleria d'arte moderna di Bologna, ad eccezione dell'azione di Hermann Nitsch -che ebbe luogo nello spazio centrale di quella che all'epoca era l’ex chiesa di Santa Lucia- a - e di alcune installazioni nella città. Per ricordare questa ricorrenza il Comune di Bologna e l'Istituzione Bologna Musei stanno sviluppando un ampio progetto di valorizzazione dell'evento che fu un vero e proprio spartiacque per la cultura artistica della città e per la storia del museo stesso. Attraverso il recupero e la riproposizione delle fonti storiche e documentali, favorendo l'accesso del pubblico a materiali non facilmente reperibili, il Mambo - Museo d’arte moderna di Bologna vuole rendere disponibili testimonianze e documenti relativi alle azioni performative, per definizione immateriali e non permanenti, che si succedettero dal 1 al 6 giugno 1977, riportando al clima stesso di quell'esperienza.
Come primo atto delle celebrazioni del quarantennale della Settimana della performance (che vedranno la realizzazione in città di molte iniziative ad essa ispirate come l'imminente Live Arts Week e la mostra di Ginevra Grigolo al Mambo), grazie al contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, le Edizioni Mambo hanno realizzato la ristampa anastatica del volume di documentazione della manifestazione, edito nel 1978 da La Nuova Foglio Editore con il titolo «La Performance», diventato nel tempo introvabile e attualmente non disponibile per il pubblico.
Il catalogo, identico per contenuti a quello originale, presenta il materiale fotografico relativo alle performance che videro la partecipazione di numerosi artisti, tra i quali Marina Abramović e Ulay, Laurie Anderson, Giuseppe Chiari, Fabio Mauri, Hermann Nitsch, Luigi Ontani, Vettor Pisani e Fabrizio Plessi. Il volume si apre con la prefazione di Franco Solmi, allora direttore della galleria d’arte moderna, e prosegue con un testo critico di Renato Barilli e le schede firmate da Francesca Alinovi, Roberto Daolio e Marilena Pasquali suddivise secondo le sette categorie scelte come temi unitari di riferimento per le performance: il corpo, i sensi, iperestesia, la musica, la parola, la ricerca dell'identità, la ricerca sul sociale.
Il testo, in vendita al corrainiMambo artbookshop, documenta quanto avvenne a Bologna quarant’anni fa per sei giorni, lungo le sale espositive e negli spazi esterni del museo, dove si succedettero ininterrottamente dal pomeriggio alla sera quarantanove azioni di artisti italiani e internazionali. «Sotto gli occhi di tutti, almeno dei presenti, avvengono -così ricorda Renato Barilli- le esibizioni nude e dirette del corpo con tutti i suoi prolungamenti; ma l’occhio nudo degli spettatori che fanno circolo è prontamente doppiato dai molti occhi meccanici o elettronici degli apparecchi fotografici e delle ‘camere’ che coi loro clic e il loro tenace ronzio fanno da sottofondo…». La riflessione del curatore metteva così a fuoco il carattere particolare di esperienze artistiche immateriali e impermanenti e la necessità di affidarne la testimonianza al film, al video e all’immagine fotografica.
Sempre nell’ambito delle celebrazioni per i quarant’anni della Settimana internazionale della performance, il Mambo propone la mostra «My way, A modo mio» che ripercorre quarantaquattro anni di attività di Ginevra Grigolo, figura chiave e punto di riferimento con la sua galleria Studio G7 nelle vicende dell'arte contemporanea a Bologna, precipuamente per quanto riguarda la ricerca e l’innovazione.
La gallerista è omaggiata attraverso un’esposizione, visibile dal 30 aprile al 28 maggio, che riunisce nella Sala delle ciminiere e nelle stanze attigue centocinquanta opere di sessantuno artisti, in cui grandi presenze internazionali si affiancano ad artisti di generazioni più giovani.
Il percorso espositivo è volutamente non cronologico e rispecchia il gusto e le esperienze di Ginevra Grigolo, mescolando i percorsi tematici con cui si è confrontata negli anni. È lei stessa a raccontarlo: «gli anni Settanta mi hanno vista abbracciare il multiplo nella sua totalità, amandone il concetto e la forma. Ho inaugurato con Pistoletto, ho raccontato la pop americana ed inglese, ho conosciuto e dato spazio al gruppo dei torinesi, e poi ho cominciato un lavoro di personali dove la conoscenza dell’artista e la piena consapevolezza del suo lavoro sono state fondamentali per orientarmi al pezzo unico. L’amore per la pittura è stato affiancato dal fascino che ha sempre provocato in me anche la scultura [...]. Tengo molto a sottolineare come ogni artista sia stato per me scoperta, conoscenza e amicizia, e come ricordo tutti con equa importanza nella diversità di ricerca che hanno condiviso con me. […] La mostra vuole dunque raccontare con fare divertito e consapevole quella che è la mia storia, includendone i momenti più importanti e sottolineando come ciò che è entrato in galleria è riuscito anche a trovare dimora in spazi pubblici e privati. Non si tratta di qualcosa di cronologico, è amore per l’arte e per quello a cui ho dedicato tutta la mia vita».
Tra le opere in mostra, di cui rimarrà documentazione in un catalogo edito da Corraini, spicca un video inedito di Marina Abramovic, della quale rimane memorabile per la storia della galleria la performance con Ulay che si tenne nel 1977, dal titolo «Relazione nel tempo»: i due artisti rimasero seduti schiena contro schiena con i capelli legati tra loro per diciassette ore. Mentre David Tremlett, che fu chiamato per la prima volta allo Studio G7 nel 1998 e in seguito realizzò a Bologna l'opera permanente A new light nella cappella di Palazzo Re Enzo, ha realizzato appositamente per la mostra un wall drawing site specific di grandi dimensioni.
Il pubblico potrà, inoltre, vedere un'ampia scelta di pubblicazioni (come la rivista mensile «G7 Studio» nata nel 1976), fotografie d'epoca e materiali documentari relativi alla storia della galleria.

Informazioni utili
Catalogo «La Performance». Testi di Francesca Alinovi, Renato Barilli, Roberto Daolio, Marilena Pasquali, Franco Solmi. Edizioni Mambo, Bologna 2017. Dati tecnici: 21 x 28 cm, pp. 200 b/n. ISBN: 978-88-96296-13-4. Prezzo: € 25,00. Informazioni: Mambo – Museo d'arte moderna di Bologna, via Don Minzoni, 14 – Bologna, sito web: www.mambo-bologna.org.

.«My way, A modo mio». Mambo, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari: martedì, mercoledì, domenica e festivi, ore 10.00 – 18.00 (fino alle ore 19 nei martedì degli incontri con gli artisti); giovedì, venerdì e sabato, ore 10.00 – 19.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero mostra € 6,00, ridotto mostra € 4,00 (Card Musei Metropolitani Bologna e altre riduzioni); intero cumulativo € 10,00, ridotto cumulativo € 8,00. Informazioni: tel. 051. 6496611 o info@mambo-bologna.org. Sito web: www.mambo-bologna.org. Dal 30 aprile al 28 maggio 2017.