ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 19 febbraio 2021

Tra Informale e Ultimo Naturalismo, un nuovo allestimento parziale per le collezioni del Mambo di Bologna

La temporanea chiusura degli spazi espositivi per l’emergenza Covid-19 non ha fermato le attività di studio e riordino delle collezioni permanenti e l’allestimento di focus espositivi nelle sedi dell’Istituzione Bologna Musei
Il Mambo – Museo d’arte moderna di Bologna si presenta al pubblico con un importante intervento di rivisitazione dei suoi spazi, che ha portato anche alla riapertura delle finestre della Manica Lunga in un cambio osmotico tra dentro e fuori.
Le sezioni che appaiono rinnovate dal nuovo ordinamento, curato da Uliana Zanetti e Barbara Secci, con la supervisione del direttore artistico Lorenzo Balbi, sono quelle dedicate all'Informale e all'Ultimo Naturalismo, mentre è stata costruita ex-novo un'area tematica sull'arte verbo-visuale.
«Le curatrici – raccontano dal museo bolognese - hanno lavorato al riallestimento con l'obiettivo di individuare, utilizzando alcuni nuclei collezionistici significativi delle raccolte del museo, circostanze di tempo e di luogo da cui sono scaturite opportunità di sperimentazione e connessioni con il territorio bolognese, nazionale e internazionale».
La sezione dedicata all’Informale è anche un omaggio a Francesco Arcangeli, direttore della Galleria d'arte moderna di Bologna, antesignana del Mambo, dal 1959 al 1968, e tra i primi critici in Italia a interessarsi ai fermenti di un’arte non figurativa sviluppatisi in Europa tra gli anni Cinquanta e Sessanta. 
 Nel corso del suo mandato lo studioso arricchì le collezioni con opere di varie correnti, prestando particolare attenzione alla scena locale, ma anche a quella italiana ed estera. A lui si deve l'acquisto di significative opere come «Bianco plastica» (1966) di Alberto Burri e «Pintura» (1955) di Antoni Tàpies, entrambe esposte nel nuovo allestimento, in cui una manipolazione controllata della materia suscita inedite manifestazioni formali. 
Su un tracciato parallelo si collocano le delicate composizioni di Germano Sartelli (Imola, Bologna, 1925 - 2014), poetiche ricombinazioni di elementi naturali e di scarto, mentre, quasi all'opposto, si colloca la lunga tela di Pinot Gallizio (Alba, Cuneo, 1902 - 1964) presente nel nuovo allestimento, «Il teorema di Pitagora» (1960/61), testimonianza di un approccio alla pittura esuberante ed energico. 
Anche la sezione «Ultimo Naturalismo e scultura» guarda alla lezione di Francesco Arcangeli, partendo dall’articolo «Gli ultimi Naturalisti», pubblicato sulla rivista «Paragone» nel 1954. Sotto questa definizione, lo studioso raccoglie alcuni artisti del Nord Italia di cui da tempo segue il lavoro, come Pompilio Mandelli, Ennio Morlotti, Sergio Romiti, Mattia Moreni, Vasco Bendini, Sergio Vacchi. Secondo il critico, ad accomunare questi pittori è la capacità di riversare quasi istintivamente sulla tela l'introiezione di un sentimento del naturale che fin dal Medioevo è cifra autenticamente peculiare della tradizione artistica radicata in area padana. Per Francesco Arcangeli – si legge nell’articolo -, «natura è la cosa immensa che non vi dà tregua, perché la sentite vivere tremando fuori, entro di voi: strato profondo di passione e di sensi, felicità, tormento. In un tale rapporto si include tutto ciò che si sta svelando, di pauroso, per chi ancora ama il tempo lento ed umano del vecchio mondo naturale, nell'universo. […] Si ritenta la natura; ma la sua proporzione sfugge, ora, alla misura intellettuale». 
Oltre alle opere dei pittori cari ad Arcangeli, la sala accoglie alcune sculture di Agenore Fabbri, Quinto Ghermandi, Jean Ipoustéguy, Leoncillo (Leoncillo Leonardi), Luciano Minguzzi e Andrea Raccagni acquisite dal museo negli anni della sua direzione.
Novità assoluta del nuovo allestimento è la sezione dedicata all'Arte verbo-visuale, una corrente nata agli inizi degli anni Sessanta, quando sempre più artisti avvertono l’importanza dell’impatto delle nuove tecnologie e dei mass media non solo sulla cultura popolare, ma anche sulle sfide estetiche e sulla ricerca artistica. In quegli anni «si percepisce – raccontano dal Mambo di Bologna - che il mondo con il quale la letteratura e le arti visive sono chiamate a confrontarsi non è tanto quello naturale, quanto quello prodotto attraverso i vari mezzi di comunicazione. Molti artisti adottano metodologie che sfruttano le potenzialità dei mass media per veicolarne una critica consapevole, sondando e ricombinando parole, immagini, suoni per creare significati in competizione con un apparato comunicativo finalizzato al rapido consumo».
Intrecciandosi a una diffusa sensibilità per temi politici e sociali, l’arte verbo-visuale che ne scaturisce conosce fino alla fine degli anni Settanta un sensibile sviluppo, con ricerche di carattere interdisciplinare che danno luogo a un dinamico intreccio di raggruppamenti, eventi, sodalizi, mostre, incontri. Fra i gruppi che si impegnano in queste sperimentazioni un ruolo di rilievo è svolto dal Gruppo 70, fondato nel 1963 a Firenze da Giuseppe Chiari, Ketty La Rocca, Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lamberto Pignotti, ma moltissimi sono gli artisti che, anche singolarmente, conducono ricerche affini, spesso trovandosi coinvolti nelle stesse manifestazioni espositive o performative. Fra questi compaiono Vincenzo Accame, Gianfranco Baruchello, Tomaso Binga, Adriano Spatola e Franco Vaccari.
Oltre a documentare alcuni esiti significativi dell’arte verbo-visuale, le opere esposte in questa sezione sono testimonianza di una intensa campagna di acquisizioni per la Galleria d’arte moderna di Bologna promossa nel 1984 da Concetto Pozzati (Vò Vecchio, Padova, 1935 – Bologna, 2017), presente con un’opera grafica: l’acquaforte «1 e 3 guanti» (1974).
Questa sezione prelude a una più ampia e articolata narrazione, che sarà sviluppata nei prossimi mesi, sulle sperimentazioni bolognesi ed emiliane degli anni Settanta e in particolare sulla Performance.
In occasione della riapertura, il Mambo si arricchisce anche di un nuovo comodato: grazie alla generosità della Banca di Pisa e Fornacette credito cooperativo, la sezione Officina d'arte italiana accoglie un dipinto («s.t.», 2009) di Luca Bertolo, che sarà presto ufficialmente presentato al pubblico alla presenza dell'artista.
Il tutto potrà essere visitato anche grazie all’app MuseOn, disponibile in versione Ios e Android, che dal 2 febbraio si è arricchita di contenuti relativi alla collezione permanente Mambo. Uno strumento in più, questo, per accompagnare i visitatori con speciali percorsi-audio studiati dal Dipartimento educativo del Mambo per tipologie differenziate di pubblico (singoli, coppie, gruppi e famiglie) e approfondimenti sulle opere iconiche della collezione.

Vedi anche

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Ultimo Naturalismo e Scultura | Foto Roberto Serra; [fig. 2] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Informale | Foto Roberto Serra; [fig. 3] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Officina d’Arte Italiana | Foto Roberto Serra; [fig. 4] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Verbo-Visuale | Foto Roberto Serra; [fig. 5] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Verbo-Visuale | Foto Roberto Serra; [fig.6] MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Ultimo Naturalismo e Scultura | Foto Roberto Serra; [fig. 7] AMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, collezione permanente | Veduta d’allestimento della sezione Verbo-Visuale | Foto Roberto Serra

Informazioni utili 
 MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, via Don Minzoni, 14 – Bologna.  Orari di apertura: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, h 14.00 - 19.00; chiuso sabato, domenica, lunedì e festivi. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00. Informazioni: tel. +39.051.6496611, info@mambo-bologna.org. Sito internet: www.mambo-bologna.org. Facebook: MAMboMuseoArteModernaBologna. Instagram: @mambobologna. Twitter: @MAMboBologna. YouTube: MAMbo channel. 

giovedì 18 febbraio 2021

«Ritratti d’oro e d’argento», in mostra a Torino gli antichi busti reliquari dell’area alpina

Aiutano a ricostruire un tassello della storia dell’oreficeria medievale in Piemonte e nel ducato di Savoia i diciotto busti reliquario che vanno a comporre il percorso espositivo della mostra dossier «Ritratti d’oro e d’argento», la prima inaugurata negli spazi di Palazzo Madama, a Torino, dopo il passaggio del Piemonte in zona gialla.
Curata di Simonetta Castronovo, l’esposizione ha portato, in Sala Atelier, nelle belle vetrine di legno realizzate da Fontana Arte negli anni Trenta, una selezione di opere in oreficeria o in legno scolpito, datate tra il Trecento e il primo Cinquecento e provenienti da tutte le diocesi del Piemonte, che raffigurano santi legati alle devozioni del territorio o alle titolazioni di alcune chiese locali. Accanto a questi lavori sono esposti anche esemplari provenienti dalla Svizzera, dai cantoni di Vaud e del Vallese, e dall'Alta Savoia.
Sotto gli occhi dei visitatori scorrono così raffigurazioni di san Teobaldo di Albasan Giovenale di Fossanosant'Evasio di Casalesan Secondo di Asti e san Venanzio di Sarezzano, simboli strettamente identitari di alcune zone della regione, accanto a effigi «più internazionali» di santi legati alla storia della dinastia sabauda come san Giorgio e san Maurizio. C’è anche un’immagine di sant’Orsola, venerata soprattutto in ambito germanico anche in relazione al culto delle undicimila vergini, di cui viene presentato in mostra un busto ligneo intagliato e dipinto, realizzato a Colonia e arrivato in Piemonte come dono di Manfredi di Montafia, uno dei tanti mercanti «lombardi» attivi nel nord Europa nel Medioevo.
Documentati già dall’XI secolo per contenere i resti mortali dei santi o anche oggetti a loro collegati come gli strumenti del martirio o le vesti, e per questo dotati di vetri e feritoie, i busti sono a tutti gli effetti dei ritratti in oreficeria, solitamente in rame o in argento dorato, spesso arricchiti da pietre preziose, vetri colorati e smalti.
Questi manufatti non sono, però, solo opere d’arte, ma anche oggetti devozionali ancora «vivi» nelle proprie comunità di riferimento, spesso utilizzati in occasione di cerimonie religiose: «lo dimostra il fatto - racconta la curatrice Simonetta Castronovo - che il busto di Giovenale tornerà temporaneamente nella sua città, a Fossano, a maggio, proprio in occasione della festa dedicata al patrono». Questo è un pezzo importante per la storia del museo torinese, perché commissionato all’orafo Severino Dorerio dal principe Ludovico d’Acaia che, all’inizio del 400, viveva proprio nel castello che oggi conosciamo come Palazzo Madama.
I diciotto busti e teste di reliquiario esposti a Torino sono presentati in ordine cronologico, dal più antico, la santa Felicola dell’abbazia di Sainte-Marie d’Aulps (Haute-Savoie) – una santa gotica e sorridente, che guarda alla scultura delle cattedrali, tra Parigi e la Francia settentrionale, negli anni di regno di Filippo il Bello -, fino alla santa Margherita del Musée d’art et d’histoire di Ginevra, un busto ligneo del 1500 circa, improntato al nuovo realismo di radice fiamminga. Tra questi due estremi, scorre una galleria di volti, opera di artisti di estrazioni culturali diverse, che mostrano le tante sfaccettature di questa tipologia di arredi sacri, dal gotico al tardogotico, senza dimenticare il naturalismo pieno della seconda metà del Quattrocento.
Nella vetrina centrale, il busto in argento di Giove (II-III sec- d. C.), capolavoro del Museo archeologico Regionale di Aosta e ritrovato nel 1914 in uno scavo archeologico al Piccolo san Bernardo, introduce il tema dei modelli: furono, infatti, anche i busti in metallo di età romana, raffiguranti divinità olimpiche o imperatori, i primi modelli cui guardarono gli orafi medievali per realizzare i ritratti dei santi. Questa tipologia di riproduzione, che di solito sottolineava un carattere ieratico e solenne, ben si adattava alla raffigurazione dei santi, modelli di fede, virtù e carità, cui l’uomo medievale guardava con reverenza.
L’esposizione a Palazzo Madama, organizzata in partnership con il Museo del tesoro della cattedrale di Aosta e con la Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d'Aosta, in collaborazione con la Consulta regionale per i Beni culturali ecclesiastici di Piemonte e Valle d’Aosta, nasce da un’iniziativa condivisa con i musei della rete internazionale «Art Médiéval dans les Alpes», fondata nel 2001 con l’intento di lavorare su progetti riguardanti il patrimonio artistico alpino, tanto sul fronte piemontese e valdostano che su quello francese e svizzero, con riferimento, quindi, ai confini storici del ducato di Savoia.
La mostra si lega, quindi, a una serie di esposizioni che apriranno nello stesso periodo sui due versanti delle Alpi, sotto il titolo comprensivo di «Artistes et artisans dans les États de Savoie au Moyen Âge. De l’or au bout des doigts». In Italia sono previste altre due esposizioni: una ad Aosta, dove dal 27 marzo al 6 giugno sarà allestita un’esposizione dei busti reliquario di area valdostana realizzati nel Medioevo; l'altra a Susa, dove dal 5 febbraio al 5 aprile, verranno presentati gli oggetti rinvenuti all’interno della preziosa Cassa di Sant’Eldrado, capolavoro dell’arte romanica custodito nella Parrocchiale della Novalesa, con una ricostruzione dell’urna.
Palazzo Madama continua così anche il suo sostegno al territorio regionale, in un’ottica di promozione turistica, per creare un’offerta di qualità, estesa e diffusa. Un’offerta quanto mai interessante in questo momento storico caratterizzato da un turismo di prossimità.

Per saperne di più 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Veduta della mostra «Ritratti d’oro e d’argento», a Palazzo Madama di Torino. Foto: Perottino. Nell'immagine: Orafo lombardo (?), Busto reliquiario di san Venanzio, metà XV secolo. Lega di stagno e piombo in fusione, poi sbalzata, cesellata e dorata. Sarezzano (AL), Oratorio della Madonna Addolorata; [fig. 2] Veduta della mostra «Ritratti d’oro e d’argento», a Palazzo Madama di Torino. Foto: Perottino. Nell'immagine:Arte romana, Busto di Giove Dolicheno, fine del II-inizio del III secolo d.C. Lamina d’argento sbalzata e cesellata. Aosta, Museo Archeologico Regionale; [fig. 3] Veduta della mostra «Ritratti d’oro e d’argento», a Palazzo Madama di Torino. Foto: Perottino; [fig. 4] Veduta della mostra «Ritratti d’oro e d’argento», a Palazzo Madama di Torino. Foto: Perottino; [fig. 5] Bertramino de Zuttis (documentato a Milano dal 1404 al 1434) Busto reliquiario di san Bernardo di Aosta, 1424. Argento sbalzato e cesellato, rame traforato, inciso e dorato, smalti en ronde bosse, vetri colorati (busto); ottone dorato e rame (statuette d i reimpiego); legno argentato (base). Novara, Duomo; [fig. 6] Colonia, Busto reliquario di santa Giustina, compagna di sant’Orsola, 1348-1360. Legno intagliato, dipinto e dorato. Vicoforte (CN), Monastero di Santa Chiara; [fig. 7] Bottega del Valais, Busto reliquiario di san Maurizio, metà XV secolo. Legno di tiglio intagliato, dipinto dorato e argentato. Bagnes, chiesa parrocchiale di Saint-Maurice 

Informazioni utili 
 Ritratti d’oro e d’argento. Reliquiari medievali in Piemonte, Valle d’Aosta, Svizzera e Savoia. Palazzo Madama - Museo civico d’arte antica, piazza Castello – Torino. Orari:mercoledì giovedì e venerdì, dalle ore 13 alle ore 20; sabato e domenica, dalle ore 10 alle ore 19 (ingressi garantiti con prenotazione o prevendita on-line); chiuso il lunedì e martedì | le biglietterie chiudono un’ora prima. Prenotazioni: Theatrum Sabaudiae via e-mail all'indirizzo ftm@arteintorino.com o al numero +39.011.5211788. Prevendita TicketOne: www.ticketone.it. Ingresso: intero € 10.00, ridotto € 8.00. Sito internet: www.palazzomadamatorino.it. Dal 5 febbraio fino al 30 AGOSTO 2021 (mostra prorogata).

mercoledì 17 febbraio 2021

A Bologna un focus su Giorgio Morandi e le sue nature morte

Riparte con un nuovo appuntamento del progetto espositivo «Re-Collecting», nato da un’idea del direttore Lorenzo Balbi con l’intento di offrire approcci originali, e quando possibile anche inusuali, per conoscere il cospicuo patrimonio delle collezioni felsinee, il Museo Morandi di Bologna.
Dopo la mostra sul «fascino segreto dei suoi fiori», è la volta di un focus su uno dei temi più amati da Giorgio Morandi: la natura morta, declinata nei suoi aspetti tonali e compositivi. 
I dieci lavori in mostra, selezionati da Giusi Vecchi, appartengono tutti all’ultima stagione della ricerca artistica morandiana, quella che va dal secondo dopoguerra agli anni Sessanta, caratterizzata da una cospicua produzione e da una ricchezza creativa, che fa registrare un numero altissimo di nature morte (quasi settecento) rispetto all’esiguo numero di paesaggi (poco più di cento).
La ragione è da ricercarsi nella lunga assenza dell’artista dalla residenza di villeggiatura di Grizzana (dopo il 1944, vi ritornerà solo nel 1959) e nella sua tendenza ad approfondire e indagare con maggiore rigore stilistico il tema delle variazioni.
Come scrive Francesco Arcangeli, «mai, forse, come in questi anni fra il '45 e il '50, Morandi è stato ‘pittore per la pittura’».
Questa fase matura della vicenda artistica morandiana vede affermarsi l’idea di serie e di variante
Gli oggetti protagonisti dei dipinti di questo periodo, pur essendo sempre gli stessi ai quali il maestro ricorre durante la sua vita (bottiglie, scatole, vasi), risultano, però, investiti da un’atmosfera carica di una più limpida tensione psicologica, rappresentati talora nella loro suggestiva monumentalità oppure costretti in un'architettura in cui le forme si compenetrano e si rincalzano, serrandosi in blocchi compatti al centro della tela. In altri casi i suoi modelli vengono allineati o sfalsati di poco tra loro, quasi a scomparire l’uno dietro l’altro, colpiti da una luce che si fa sempre più chiara e impalpabile. La materia pittorica si alleggerisce, tanto quanto basta per vibrare di nuovi accordi tonali, che sfumano nelle diverse gradazioni di bianchi e di grigi, giungendo, specie nei lavori più tardi, a una dissoluzione dei contorni degli oggetti che, pur nella loro labile presenza, continuano ad affermare il valore dell’esistenza.
Guardando all’opera dell’artista bolognese, è fondamentale soffermarsi sulla componente luministica delle sue creazioni. Tutti gli interpreti e i critici più attenti hanno sottolineato come anche il colore in Morandi sia espressione di luce. Perfino quando le immagini sulla tela ci appaiono severe e melanconiche, la luce penetra e trasforma la materia, divenendone elemento essenziale, sostanza della sua pittura. Morandi lavora sulla percezione del nostro occhio e attraverso il colore sfrutta queste sensazioni, definendo le forme dei suoi oggetti nelle infinite tonalità e sfumature di vibrazioni di cui è capace e abile esecutore. Perciò la sua viene detta «pittura tonale» ed è impresa impossibile definire quante gradazioni di grigi e di bruni esistano nei fondi e nelle superfici dei suoi quadri o quante sfumature di verde nei suoi paesaggi.
Il percorso espositivo della mostra, che si intitola «Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte», dà pienamente ragione della profonda maturità artistica raggiunta dall'artista, ben espressa anche negli acquerelli, realizzati con maggiore assiduità soprattutto a partire dal 1956. È proprio in questa tecnica che Morandi arriva all’estrema semplificazione delle forme che, per la mancanza del piano d’appoggio, sembrano fluttuare nello spazio, come fossero anime, presenze fantasmagoriche, impalpabili simulacri che si rivelano nell’alternanza di pieni e vuoti.
Sono, inoltre, visibili in mostra materiali e documenti che accompagnano il visitatore nel cuore dell’approccio compositivo morandiano, come la ricostruzione di una composizione con gli oggetti e modelli originali, vasi di vetro con colore in polvere, la tavolozza con pennelli e colori provenienti dall’atelier dell’artista, oltre a lettere, cartoline, riviste e fotografie normalmente conservate nell’archivio del Museo Morandi.
Completa l’esposizione, di cui rimarrà documentazione in un agile pubblicazione a cura dell’Istituzione Bologna Musei in distribuzione gratuita, un video, realizzato grazie alla collaborazione di Lucia Luna Gallina, in cui la curatrice Giusi Vecchi racconta la stagione creativa di Morandi oggetto del focus espositivo.
Non appena le condizioni dell’emergenza sanitaria in corso lo consentiranno, inoltre, il museo organizzerà un incontro con Mariella Gnani, restauratrice che da anni indaga l’opera morandiana, così da offrire al pubblico l’opportunità di osservare da vicino, tramite uno stereomicroscopio, particolari delle tele del maestro e svelare così alcuni segreti della sua tecnica e dei suoi unici impasti cromatici. Un’occasione in più, questa, per approfondire l’arte di un pittore molto amato del Novecento, il maestro delle silenziose quotidianità, che ci ha lasciato un mondo fatto di forme elegantemente geometriche e di poetica atmosfera contemplativa.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Vasi di colore in polvere. Istituzione Bologna Musei |Casa Morandi; [Fig. 2] Tavolozza di Morandi. Istituzione Bologna Musei | Casa Morandi; [fig. 3] Giorgio Morandi, Natura morta, 1955 (V.971). Olio su tela. Collezione Cristina e Giuliana Pavarotti. Provenienza Deposito in comodato gratuito da luglio 2011;: [figg. 4,5 e 6] Vedute della mostra «Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte». Museo Morandi, Bologna. Foto: Roberto Serra

Informazioni utili 
Morandi racconta. Tono e composizione nelle sue ultime nature morte, a cura di Giusi Vecchi. Museo Morandi, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari di apertura: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, ore 16-20; sabato, domenica e festivi su prenotazione obbligatoria effettuata entro le 24 ore precedenti la visita, ore 10-20; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00. Note: dal lunedì al venerdì sarà possibile accedere ai musei sia su prenotazione sul sito Mida Ticket (https://www.midaticket.it/eventi/musei-civici-di-bologna) sia direttamente alle casse (solo con carte e bancomat) in base alla disponibilità nei diversi slot orari, come da capienza massima secondo le norme di sicurezza legate all’emergenza Covid-19.
Il sabato, la domenica e nei festivi infrasettimanali la prenotazione sarà sempre obbligatoria e dovrà essere effettuata entro le 24 ore precedenti la visita, sempre sul sito Mida Ticket (https://www.midaticket.it/eventi/musei-civici-di-bologna). Nel week-end e nei festivi non sarà dunque possibile accedere presentandosi nei musei senza biglietti pre-acquistati on line. Informazioni: tel. +39.051.6496611, info@mambo-bologna.org. Sito internet: www.mambo-bologna.org. Facebook: MAMboMuseoArteModernaBologna. Instagram: @mambobologna. Twitter: @MAMboBologna. YouTube: MAMbo channel.  Fino al 23 maggio 2021