ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 22 aprile 2022

Venezia, a Palazzo Cini i disegni di Joseph Beuys

Con la sua poetica e la sua inconfondibile pratica artistica ha affrontato tematiche che, molti anni dopo, appaiono ancora urgenti e attuali: il problema ecologico, la spiritualità come strumento per imprimere una svolta nella Storia, l’istanza pacifista, il rapporto tra l’uomo e la natura, la volontà di stabilire una connessione profonda tra la pratica artistica e l’impegno sociale, la manipolazione dell’informazione e la partecipazione democratica alle scelte della politica.
Difficilmente etichettabile e inserito dalla critica ora tra i maestri del Minimalismo, ora tra i padri dell’Arte povera o tra i Concettuali, Joseph Beuys (Krefeld, 12 maggio 1921 – Düsseldorf, 23 gennaio 1986) è stato uno tra gli artisti più emblematici, profetici, anticonformisti e rivoluzionari del Novecento e uno tra i pochi realmente capaci di fare della propria vita un’opera d’arte.
Le performance degli anni Sessanta e Settanta, con i gesti ieratici, il silenzio colloquiante e il carisma dell’azione che vede in scena animali e materiali dalla forte valenza simbolica, gli valgono l’appellativo di «sciamano dell’arte». È lo stesso Joseph Beuys, in realtà, a suggerire il soprannome con il suo racconto, per molti fittizio e leggendario, di ciò che trasforma un aspirante medico in un utopista con il sogno di migliorare il mondo grazie all’arte. L’evento apocrifo accade nel marzo del 1944, durante la Seconda guerra mondiale: il ventitreenne, arruolato con la Luftwaffe (l’aviazione militare tedesca), nel ruolo di sergente radio-mitragliere, partecipa a una missione sul Fronte orientale. Il suo aereo precipita in una foresta della Crimea ed è lì, secondo la leggenda, che avviene la svolta. Joseph Beuys, in fin di vita, viene «magicamente» salvato da un gruppo di nomadi tartari che guariscono le sue gravi ferite con antiche pratiche della loro medicina tradizionale, facendo ricorso a grasso animale e fogli di feltro, materiali che, negli anni a venire, sarebbero tornati in continuazione nella pratica dell’artista, diventando simboli di salvezza e di connessione con la parte più pura e incontaminata dell’umanità.
Forte è anche il legame di Joseph Beuys con l’Italia, in particolare con Napoli, dove diventa amico del gallerista Lucio Amelio, e con il borgo abruzzese di Bolognano, dove, invitato da Lucrezia De Domizio e Buby Durini, porta avanti una serie di attività incentrate sull’agricoltura e sulla sostenibilità ambientale, a partire dalla creazione della «Piantagione Paradise» (1982) con la messa a dimora di settemila piante per il ripristino della biodiversità.
Moderno, anzi modernissimo, anche con questa azione, che dava forma all’idea di un’Italia idilliaca, bucolica e legata alle tradizioni, l’artista non è stato celebrato dal nostro Paese, in occasione del centenario della nascita (1921-2021), come meritava. A risarcire in parte il debito ci pensa la Fondazione Giorgio Cini di Venezia che, nei giorni della cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte, presenta la mostra-dossier «Joseph Beuys. Finamente Articolato», curata da Luca Massimo Barbero e realizzata in collaborazione con la galleria Thaddaeus Ropac
Scenario dell’evento, in cartellone fino al 21 novembre, è Palazzo Cini a San Vio, raffinata casa-museo, nel sestiere di Dorsoduro, che custodisce al suo interno capolavori di Giotto, Guariento, Botticelli, Filippo Lippi, Piero di Cosimo e Dosso Dossi, raccolti dal mecenate Vittorio Cini nel corso della sua vita. La riapertura dello spazio veneziano, realizzata come consuetudine grazie al supporto di Assicurazioni Generali, offre anche l’occasione per tornare ad ammirare due capolavori recentemente restaurati: il trittico devozionale ad ante mobili con al centro la Crocifissione del Maestro del Polittico della Cappella Medici (anni venti del XIV secolo) e la «Madonna con il Bambino» dell’artista ferrarese Lorenzo Costa.
La mostra «Finamente Articolato» si propone di restituire un’immagine di Joseph Beuys specifica e distinta da quella maggiormente nota, legata alle celeberrime «azioni politiche e concettuali» e alle «performance sciamaniche», presentando una quarantina di opere, tra cui lavori su carta e disegni, molti dei quali eseguiti già alla fine degli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta. Il pubblico viene, dunque, condotto agli esordi dell’esperienza creativa del maestro tedesco, dominata da due temi chiave: la figura umana, spesso femminile, e quella animale, associate dalla terra, dai cicli stagionali e dalla fertilità.
Il percorso espositivo principia dalla scultura «Supporto per la schiena di un essere umano finamente articolato (tipo lepre) del XX secolo d.C.», fusa in ferro da un'originale forma in gesso che serviva come schienale terapeutico per sostenere un corpo ferito, nella quale c’è tutto l’immaginario beuysiano, «laddove si unisce il corpo, la protesi, l'uomo, l'animale, uniti in un'unica creatura, dai risvolti magici e mitologici». Tutto intorno ci sono opere come «Bleifrau (Lead Woman)», moderna Venere paleolitica di distillata eleganza, creata nel 1949 quando l’artista era ancora uno studente alla Staatliche Kunstakademie Düsseldorf, la scheggia di felce «Hirschkuh mit Jungem» (1948), la scultura in legno e cemento «Ofen mit Torso» (1948-1850), l’acquerello «Hirsch (Stag)» (1956) e il calco in cera di «Junges Pferdchen» (1955–86), ispirato al «Cavaliere polacco» di Rembrandt (1655).
Dai fogli selezionati «affiorano – si legge nella presentazione - l’interesse per le forme ancestrali delle culture arcaiche, l’attenzione alla febbricitante linea nordica di gotico-espressionista tedesca, l’evocativo richiamo alle pitture rupestri, tra le prime rappresentazioni umane che rimandano all’origine del pensiero mitico e simbolico».

Didascalie delle immagini 
1. Joseph Beuys, Zwei Frauen, 1955. Pencil, watercolour, gouache and iron chloride on paper. Image 21 x 29,5 cm Frame 41 x 50 x 3 cm (JB 1146). Photo: Ulrich Ghezzi; 2. Joseph Beuys, Weibliche Figur, 1954. Iron chloride on brown paper. Image 24 x 16 cm Frame 45,5 x 36,5 x 3,5 cm (JB 1154).Photo: Ulrich Ghezzi; 3. Joseph Beuys, Hirschkuh mit Jungem (Doe with Calf), 1948. Bronze 17,2 x 56,8 x 1,2 cm (JB 1208). Photo: Jessyka Beuys; 4. Joseph Beuys,  Backrest for a fine-limbed person (Hare-type) of the 20th Century AD, 1972; 5. Joseph Beuys, Bleifrau (Lead Woman), 1949. Lead cast 6 x 22,6 x 6 cm (JB 1202). Photo: Tom Carter; 6.  Joseph Beuys, Junges Pferdchen (Young Horse), 1955 - 1986. Wax cast 120 x 81,5 x 28,5 cm (47,24 x 32,09 x 11,22 in) (JB 1209). Photo: Tom Carter 

Informazioni utili 
«Finamente Articolato». Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 - Venezia. Orari: ore 11 – 19, chiuso il martedì (ultimo ingresso ore 18:15) | aperture straordinarie nelle giornate del 25 aprile 2022 (ingresso gratuito per i residente nel Comune di Venezia) 1° maggio e 18 giugno 2022 – Art Night (ingresso gratuito dalle ore 18-24: ultimo ingresso ore  23:15). Ingresso: intero 10,00 €; ridotto 8,00 € (gruppi superiori a 8 persone/ragazzi 15–25 anni/over 65/Soci Touring Club Italiano/Soci Coop/Soci ALI/Possessori biglietti Casa Tre Oci); Ridotto Dorsoduro Museum Mile 7,00€ (per possessori di biglietti Peggy Guggenheim Collection, Palazzo Grassi – Punta della Dogana, Gallerie dell’Accademia/possessori di voucher Generali e Visite guidate Fondazione Giorgio Cini); Ridotto 5,00 € (Residenti Comune di Venezia/Soci Guggenheim/studenti e docenti universitari U.E. delle facoltà di architettura, conservazione dei beni culturali, scienze della formazione, iscritti ai corsi di laurea in lettere o materie letterarie con indirizzo archeologico, storico artistico delle facoltà di lettere e filosofia, iscritti alle Accademie delle Belle Arti/ Aderenti alla convenzione Su e Zo per i Ponti); gratuito: minori di 15 anni (i minori devono essere accompagnati)/ membri ICOM (International Council of Museums)/diversamente abili accompagnati da un familiare o da un assistente socio-sanitario/giornalisti accreditati con tesserino/dipendenti Assicurazioni Generali/guide turistiche accreditate/ Amici San Giorgio. Sito web: www.palazzocini.it, www.cini.it. Fino al 21 novembre 2022

«Il latte dei sogni», una Biennale dalla forte identità femminile

Katharina Fritsch Elefant / Elephant, 1987 Polyester, wood, paint 420 × 160 × 380 cm With the additional support of Institut fur Auslandsbeziehungen – ifa 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia
È il 2013 quando l’editore messicano Fondo de Cultura Económica dà alle stampe «Leche del sueño» (in italiano «Il latte dei sogni»), una raccolta di racconti per bambini scritto e illustrato, negli anni Cinquanta del Novecento, dalla scrittrice, drammaturga, scultrice e pittrice britannica Leonora Carrington (1917- 2011), esponente di spicco del movimento surrealista, che ha portato su di sé lo stigma della follia e che ci ha lasciato un universo visionario e magico, a tinte volutamente nere, popolato da spiriti e streghe, dee mitologiche, creature ibride tra umano e animale: un universo iconografico nonsense e perturbante di forte malia, che molto deve allo studio delle favole celtiche, della cabala ebraica, del buddhismo tibetano, dell’esoterismo e dell’alchimia, degli archetipi junghiani e di capisaldi della letteratura mondiale che hanno dato spazio nella loro opera al tema del sogno e del fantastico, da Dante Alighieri a Lewis Carroll, da Baudelaire a Rimbaud.
Dopo la pubblicazione postuma, questo prezioso taccuino, composto da una sessantina di pagine che l’artista aveva ideato per esorcizzare il timore dei figli Gabriel e Pablo di fronte ai disegni realizzati per decorare le pareti di una stanza della loro casa di Città del Messico, è stato tradotto nel 2017 in inglese dal magazine «New York Review Books», con il titolo di «The milk of dreams», e l’anno successivo è stato pubblicato anche in Italia dalla casa editrice Adelphi, nella traduzione dall’inglese di Livia Signorini.
Precious Okoyomon To See The Earth Before the End of the World, 2022 Dimensions variable All works with the additional support of LUMA Foundation; Ammodo 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia
 In questi giorni il volumetto della Carrington, che descrive un mondo magico nel quale «la vita viene costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé», è sulla bocca di molti perché è stato scelto da Cecilia Alemani, milanese, classe 1979, già responsabile del programma di arte pubblica High Line di New York, come titolo per la cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte di Venezia, in programma dal 23 aprile al 27 novembre 2022 al Padiglione centrale dei Giardini e nel complesso dell’Arsenale, negli spazi delle Corderie, delle Artiglierie, delle Gaggiadre e nel Giardino delle Vergini.
 
Capsula 1 – La Culla della Strega / The Witch’s Cradl, Eileen Agar, Gertrud Arndt, Josephine Baker Benedetta, Claude Cahun, Leonora Carrington, Ithell Colquhoun, Valentine de Saint-Point, Lise Deharme, Maya Deren, Leonor Fini, Jane Graverol, Florence Henri, Loïs Mailou, Jones Ida Kar, Antoinette Lubaki, Baya Mahieddine, Nadja, Amy Nimr, Meret Oppenheim, Valentine Penrose, Rachild, Alice Rahon, Carol Rama, Edith Rimmington, Enif Robert, Rosa Rosà, Augusta Savage, Dorothea Tanning, Toyen, Remedios Varo, Meta Vaux Warrick Fuller, Laura Wheeler Waring, Mary Wigman, 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams, Photo by: AVZ - Andrea Avezzù RM - Roberto Marossi MRC - Marco Cappelletti MF – Marco Cappelletti con Filippo Rossi JS - Jacopo Salvi EB - Ela Bialkowska, Courtesy: La Biennale di Venezia
L’artista britannica, la «sposa del vento» e la «femme-enfant» di Max Ernst, ma soprattutto una femminista ante-litteram che ha insegnato alle donne che possono essere muse di sé stesse, è anche tra i protagonisti del percorso espositivo, che accende i riflettori su 1433 opere, 80 delle quali di nuova produzione, firmate da 213 artisti provenienti da 58 nazioni, 180 dei quali alla loro prima partecipazione. Il risultato è un percorso intenso e ambizioso, di forte impronta femminile (ma non femminista), grazie alla presenza di 191 donne, che si dipana attraverso tre tematiche: «la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra gli individui e le tecnologie; i legami che si intrecciano tra i corpi e la Terra».
Delcy Morelos Earthly Paradise, 2022 Site-specific installation Mixed media: soil, clay, cinnamon, powder cloves, cocoa powder, cassava starch, tobacco, copaiba, baking soda and powdered charcoal Dimensions variable With the additional support of Ammodo 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia
Il lavoro della Carrington è proposto all’interno della micro-mostra «La culla della strega», nella sala sotterranea del Padiglione centrale, la prima delle cinque capsule del tempo, presentate in un riuscito progetto di allestimento firmato dal duo FormaFantasma (al secolo i designer Andrea Trimarchi e Simone Farresin), e offerte al pubblico come «strumenti di approfondimento e introspezione», ovvero come parentesi dal sapore museale che mettono in dialogo l’arte di oggi (e di domani) con l’eredità del passato, con opere, poco note e talvolta mai viste, di artiste vicine ad alcune grandi avanguardie del Novecento come il Surrealismo, il Futurismo o il Bauhaus. La storia diventa così un cannocchiale per guardare il presente e provare a dare risposta ad alcune domande che Cecilia Alemani, prima curatrice donna italiana al timone della Biennale d’arte di Venezia, ha scelto come suoi (e, di conseguenza, nostri) fili d’Arianna: «Come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo?».
Simone Leigh, Brick House, veduta dell’installazione, 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia
Nella sezione «La culla della strega», la più significativa e affascinante tra le cinque capsule del tempo, ideate sia come una premessa alle ricerche contemporanee esposte sia come una sorta di «risarcimento» nei confronti di donne artiste sul cui lavoro si è posata la polvere della storia, Leonora Carrington, in mostra con il misterioso «Portrait of the Late Mrs Partridge» (1947) e l’enigmatico «Portrait of Madame Dupin» (1949), vede come sue compagnie di viaggio una trentina di pittrici, scultrici, danzatrici e scrittrici, ribelli alle rappresentazioni classiche, il cui linguaggio creativo si è opposto all’idea dell’uomo unitario rinascimentale per dare voce al meraviglioso e al fantastico, per esplorare l’inconscio e il lato magico e occulto dell’esistenza. Si spazia dal cortometraggio «Witch’s Cradle» (1943) della pioniera del cinema americano Maya Deren (1917-1961), dal quale è tratto il titolo di questa sezione espositiva, all’immaginario onirico e surrealista di Leonor Fini (1907-1996) e di Remedios Varo (1908-1963), con Leonora Carrington una delle «due streghe stregate» del Messico (per usare una felice espressione di Octavio Paz), di cui è esposto l’autoritratto «Armonia» (1956), prestito mai visto in Europa.  Si va da Laura Wheeler Waring (1887-1948), sostenitrice dei diritti civili degli afroamericani, in mostra con le belle copertine Déco realizzate (negli anni Venti del Novecento) per la rivista «The Crisis», alla cantante e danzatrice americana Josephine Baker (1906-1975), simbolo di riscatto per la comunità nera e spregiudicata icona di libertà, che, come documenta un filmato muto che la vede esibirsi in uno scatenato charleston sul palco del famoso music hall parigino Folies Bergère, fu espressione di una fisicità positiva e liberata con i suoi seni al vento, le vertiginose gonne fatte di banane, i capelli alla maschietta, i meravigliosi copricapi di piume, i movimenti sensuali e sfrontati. Ci sono, poi, l’erotismo trasgressivo di Carol Rama (1918-2015) e le suggestioni futuriste di Benedetta Cappa (1897-1977), due dei ventisei artisti italiani in mostra in questa edizione della Biennale veneziana, ma anche i colori sgargianti e le suggestioni africane dell’americana Loïs Mailou Jones (1905-1998) e dell’algerina Baya Mahieddine (1931-1998), nonché le opere surrealiste di Dorothea Tanning (1910-2012) e il trasformismo delle fotografie in bianco e nero di Gertrud Arndt (1903-2000), che negli anni Trenta giocava con maschere e trucco a impersonare differenti tipologie di donne, dalle vedove addolorate alle geishe piangenti.
Piazza Ucraina by the Curators of the Ukrainian Pavilion Borys Filonenko, Lizaveta German, Maria Lanko realized in the context of the 59th International Art Exhibition with the collaboration of the Ukrainian Emergency Art Fund (UEAF) and the Victor Pinchuk Foundation, Piazza Ucraina is an open-air installation at the Giardini of La Biennale, designed by Ukrainian architect Dana Kosmina, Photo by: AVZ - Andrea Avezzù MRC - Marco Cappelletti EB - Ela Bialkowska, Courtesy: La Biennale di Venezia
La seconda capsula del tempo, intitolata «Le tecnologie dell’incanto», mette, invece, in scena, negli spazi dei Giardini, il rapporto tra il corpo umano e la tecnologia attraverso opere di artiste italiane come Grazia Varisco (1937), Marina Apollonio (1940) e Nanda Vigo (1936-2020), che hanno svolto le loro ricerche nell’ambito nel campo dell’arte programmatica e cinetica.
Mentre, sempre ai Giardini, la capsula del tempo «Corpo orbita» raccoglie opere di poesia concreta (con il trattamento libero o astratto dei caratteri verbali), di poesia visiva (con connubi di parole e immagini), di poesia-oggetto (con sculture a base di lettere o scomposizioni verbali) e di libri-oggetto o libri d’artista, offrendo un focus significativo su Mirella Bentivoglio (1922-2017) e sulla mostra «Materializzazione del linguaggio», curata per la trentottesima edizione della Biennale di Venezia, quella del 1978. In questa capsula, Cecilia Alemani presenta, tra l’altro, anche la documentazione fotografica di pratiche medianiche e sedute spiritiche, che ebbero per protagoniste le medium italiane Eusepia Palladino (1854-1918) e Linda Gazzera (1890-1932).
Capsula Una foglia una zucca un guscio una rete una borsa una tracolla una bisaccia una bottiglia una pentola una scatola un contenitore / A Leaf a Gourd a Shell a Net a Bag a Sling a Sack a Bottle a Pot a Box a Container – 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

In «Una foglia, una zucca, un guscio, una rete, una borsa, una tracolla, una bisaccia, una bottiglia, una pentola, una scatola, un contenitore», la quarta capsula del tempo, visibile in questo caso All’Arsenale, si intende, invece, fornire una chiave di lettura alternativa della storia dell’uomo, in cui gli atti di raccolta, alimentazione e cura, prettamente femminili, si affermano come essenziali rispetto a quelli di caccia e cattura. Qui trovano spazio, tra l’altro, i gusci-bozzoli di Maria Bartuszová (1936-1996), le opere tessili della dadaista Sophie Taeuber-Arp (1889-1943), le ceramiche dell’hawaiana Toshiko Takaezu (1922-2011), nonché i modelli anatomici di Aletta Jacobs (1854-1929), prima donna ammessa in un’università olandese e unica donna medico esercitante per lungo tempo nei Paesi Bassi. Una segnalazione la meritano, infine, anche le tavole dell’artista e naturalista Maria Sibylla Merian (1647-1717), che nel 1699 affrontò il primo viaggio scientifico mai intrapreso da una donna e, arrivata nella colonia olandese del Suriname, dedicò i successivi due anni a documentare il ciclo vitale delle farfalle tropicali.

Tau Lewis, Vena Cava, 2021 Recycled leather, acrylic paint, coated nylon, steel armature 330 cm × 310 cm × 122 cm All works with the additional support of Stephen Friedman Gallery Thanks to donations to the Canadian Friends Fund of La Biennale, at KBF CANADA 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia
Infine la capsula «La seduzione del cyborg», il cui titolo è preso a prestito da un’opera di Liner Sharmlison, comprende opere di artiste di inizio ’900 che hanno immaginato nuove combinazioni tra umano e artificiale. E ospita, tra le altre, Hanna Hoch (1889-1978), Louise Nevelson (1899-1988), Giannina Censi (1913-1995) e il curioso lavoro della scultrice statunitense Anna Coleman Ladd (1878-1939), che realizzò artigianalmente una serie di maschere prostetiche per i reduci della Prima guerra mondiale, sfigurati in combattimento. 
In questa sezione si trova anche Rebecca Horn (1944) con «Kiss of the Rhinoceros» (1989), un’opera che Melanie Kress presenta, nella guida, con queste parole: «due enormi bracci metallici, ciascuno culminante con un corno di rinoceronte in metallo, formano un cerchio quasi completo. I bracci si allontanano lentamente l’uno dall’altro e quando i corni si toccano, all’apice del cerchio, vengono attraversati da una scarica di elettricità. L’opera respira nelle aperture e chiusure ritmiche dei suoi bracci in acciaio. Horn riesce a rendere questo gesto del corpo umano in una figura cyborg che fonde animale, metallo e pezzi meccanici, mettendo così in discussione il primato o la purezza della forma umana».

Andra Ursuţa, veduta dell’installazione,  59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia
Fuori dalle capsule dominano le opere a parete, spesso con riferimenti a culture originarie, non-occidentali, non-bianche e non-binarie, ma non mancano opere monumentali, e di grande impatto visivo, a cominciare dalla enorme dea africana in bronzo, senz’occhi, che accoglie il visitatore all’Arsenale.Si tratta di «Brick House», un lavoro di Simone Leigh (1967), scultrice afroamericana che rappresenta anche gli Stati Uniti nel Paglione nazionale ai Giardini, con un racconto di opere che rimanda alla diaspora dal continente nero, allo schiavismo, alla forza delle donne. Tra le visioni più potenti ci sono anche l’elefante in scala 1:1 della tedesca Katharina Frisch (1956), i mascheroni di pelle riciclata della canadese Tau Lewis (1993), le grandi chele della spagnola Teresa Solar (1985), l’installazione «To see the earth before the end of the world» (2022), un paesaggio di terra, figure, piante, insetti e ruscelli realizzato dal britannico Precious Okoyomon (1993), e l'opera «Earthly Paradise» (2022), un labirinto odoroso a grandezza naturale di terra mista a fieno, farina di manioca, polvere di cacao e spezie come chiodi di garofano e cannella a firma del colombiano Delcy Morelos (1967).
Barbara Kruger Untitled (Beginning/Middle/End), 2022 Site-specific installation, print on vinylThree-channel video installation (on 3 flatscreen monitors), sound Dimensions variable 5 mins. 35 sec. With the additional support of Spruth Magers; Maharam 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:  Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia
C’è, dunque, tanto da vedere in questa cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte di Venezia, che si inchina riconoscente al passato e che, come sempre, è sismografo del presente. Un presente di grande instabilità e incertezza, che ci sta vedendo lentamente uscire da una pandemia, quella da Covid 19 (a causa della quale la manifestazione veneziana è stata posticipata di un anno), e che sente spirare minacciosi venti di guerra ai confini dell’Europa. La kermesse lagunare si è così arricchita in corso d’opera di uno dei lavori più fotografati di questa edizione: «Piazza Ucraina», un’installazione progettata dall’architetto Dana Kosmina, allo Spazio Esedra dei Giardini della Biennale, che vede la curatela di Borys Filonenko, Lizaveta German e Maria Lanko. Attorno a un monumento ricoperto di sacchi di sabbia, a rievocare la pratica messa in atto in guerra per proteggere i monumenti pubblici dai danni degli attacchi, vengono raccolti ed esposti dagli artisti ucraini disegni, testi, documenti diffusi attraverso i social network dalla popolazione. Ci troviamo così di fronte a una forma di testimonianza, in tempo reale e in continua evoluzione, che documenta, in perfetta linea con i propositi di questa Biennale veneziana, la capacità dell’arte di narrare il presente che si fa storia, di dare immagine a desideri e paure, di sognare un mondo nuovo.
Book render del catalogo della Biennale d'arte di Venezia 2022


Vedi anche

Informazioni utili
«Il latte dei sogni». 59. Esposizione internazionale d'Arte. Giardini e Arsenale - Venezia.Orari: dal 23 aprile al 25 settembre, ore 11 – 19 (ultimo ingresso 18:45); dal 27 settembre al 27 novembre, ore 10 – 18 (ultimo ingresso 17:45); solo sede Arsenale, fino al 25 settembre: venerdì e sabato apertura prolungata fino alle ore 20 (ultimo ingresso: 19.45). Ingresso: intero € 25,00, ridotto € 20,00, i costi degli altri biglietti (gruppi, pluringresso e accredito) sono disponibili sul sito internet. Catalogo ufficiale, catalogo breve e guida: Edizioni La Biennale di Venezia, Venezia. Informazioni: tel. 041.5218828. Sito internet: www.labiennale.org. Da sabato 23 aprile a domenica 27 novembre 2022.

mercoledì 20 aprile 2022

A Venezia il rosso e il nero di Anish Kapoor

Presenza e assenza, vuoto e pieno, visibile e invisibile, concavo e convesso, luce e oscurità, maschile e femminile: da sempre la pratica creativa di Anish Kapoor (Bombay, 12 marzo 1954), artista tra i più apprezzati e innovativi della scena contemporanea, noto per le sue sculture lucenti e misteriose dalle forme semi-organiche, indaga la dialettica degli opposti, metafora della contraddittorietà dell’esistenza umana.
Centrale nel lavoro del maestro anglo-indiano, che ha rappresentato la Gran Bretagna alla quarantaquattresima Biennale di Venezia nel 1990 e che è stato insignito di prestigiosi riconoscimenti internazionali tra cui il Praemium Imperiale nel 2011 e il Padma Bhushan nel 2012, è anche la ricerca sui pigmenti. Ecco così il giallo delle prime sculture, il blu laguna della spiritualità orientale, colore che ci parla di infinito e trascendente, il rosso della carnalità, della violenza e del sangue - una vera e propria ossessione per l’artista - e, recentemente, il nero, ma non un nero qualunque, bensì «il nero più nero che esiste» (o quasi). Si tratta del Vantablack S-VIS, materiale in nanotubi di carbonio, capace di assorbire il 99,965 % delle radiazioni luminose, prodotto nel 2014 dalla società di ricerca scientifica britannica «Surrey NanoSystem» per scopi aerospaziali e militari, di cui l’artista ha acquisito i diritti in esclusiva nel 2016 e ne ha fatto uno spray dando vita al Kapoor Black.
Le prime opere realizzate con questo colore innovativo che fa sparire la terza dimensione, e il cui effetto si avvicina al buco nero cosmico, vengono presentate da Anish Kapoor a Venezia, nei giorni della cinquantanovesima Biennale d’arte, in una retrospettiva alle Gallerie dell’Accademia e nello storico Palazzo Manfrin, recentemente acquisito dallo stesso artista anglo-indiano (che da qualche anno ha anche una casa in Laguna, a Sant’Aponal) per farne un polo artistico e museale «vibrante e vitale», diretto da Mario Codognato.
L’edificio gotico nel sestiere di Cannaregio, oggetto in questi mesi di un radicale progetto di restauro guidato dall’architetto Giulia Foscari di UNA studio e sviluppato in collaborazione con FWR associati, ha una storia che lo lega simbolicamente alle Gallerie dell’Accademia. Sede, sul finire del Settecento, di una prestigiosa collezione di dipinti, sculture e stampe, segnalata nelle guide cittadine almeno dal 1815 e visitata, tra gli altri, da Antonio Canova, Lord Byron, John Ruskin e Edouard Manet, Palazzo Manfrin (già Priuli-Venier) vide disperdere il suo patrimonio nel secondo scorcio dell’Ottocento, dopo la morte dell’«imprenditore visionario» Girolamo Manfrin (1801), commerciante di tabacco con la passione per l’arte, e dei figli Pietro (1833) e Giulia Angela Giovanna (1848). 
Su interessamento di Pietro Selvatico, ventuno di questi dipinti entrarono nel patrimonio delle Gallerie dell’Accademia. Tra di loro c’erano «La Tempesta» e «La Vecchia» di Giorgione, il «San Giorgio» di Andrea Mantegna e il «Ritratto di giovane uomo» di Hans Memling, opere emblematiche di quella che Anish Kapoor definisce «una delle più belle collezioni di pittura classica di tutto il mondo». Ma c'erano anche la «Madonna in trono con il Bambino e un devoto» di Nicolò di Pietro, «I Santi Paolo e Antonio eremiti» di Girolamo Savoldo, «San Pietro e San Giovani Battista» di Alessandro Bonvicino, detto il Moretto.
Confrontarsi con questa storia, far dialogare il passato con il presente, è «la sfida meravigliosa e stupefacente» che l’artista anglo-indiano ha accettato di vivere, portando l’arte contemporanea in uno dei musei che meglio rappresenta lo spirito della Serenissima (anche grazie alle tele di grandi maestri del Rinascimento veneto come Tintoretto, Tiziano, Veronese e Bellini) e scrivendo una nuova pagina della storia che, nelle precedenti edizioni della Biennale d’arte, ha visto esporre alle Gallerie dell’Accademia Mario Merz (2015), Philip Guston (2017) e Georg Baselitz (2019).
Sessanta opere ricostruiscono i momenti chiave della carriera di Anish Kapoor in un percorso insieme imponente e intimo, archetipico e destabilizzante, tra opere storiche e lavori inediti creati negli ultimi tre anni, che si avvale della curatela di Taco Dibbits (Amsterdam, 7 settembre 1968), direttore del Rijksmuseum di Amsterdam, tra i massimi esperti mondiali di Rembrandt e della pittura fiamminga del XVII secolo.
Una materialità palpabile e magmatica, che esonda nello spazio circostante come «una reliquia laica dell’umanità sofferente» (l’espressione è di Mario Codognato) e che ci invita a riflettere sul mistero della vita e sul dramma della morte, caratterizza le imponenti installazioni nei toni del nero e del rosso che abitano gli spazi delle Gallerie dell’Accademia. In queste sale trovano posto anche i «1000 Names» degli esordi e le opere dipinte con il Kapoor Black, lavori che si realizzano pienamente nell’istante in cui il visitatore le sperimenta: dalle forme nere su fondo bianco apparentemente piatte emerge, al minimo spostamento, una terza dimensione appena percettibile, che subito scompare in un gioco dicotomico tra presenza e assenza, visibile e invisibile. Destabilizza anche l’installazione «Shooting into corner» (2008-2009), con i suoi grandi proiettili di cera rosso sangue, sparati da un cannone; mentre in «Pregnant White Within Me» (2022) l'architettura delle Gallerie dell’Accademia si dilata, suggerendo una ridefinizione dei confini tra corpo, edificio ed essere.
A Palazzo Manfrin, tra le pareti non ancora restaurate e i soffitti affrescati, il pubblico è, invece, accolto dalla nuova monumentale opera «Mount Moriah at the Gate of the Ghetto» (2022), una massa grondante di silicone e vernice che sembra squarciare il soffitto dell’androne. Ci sono, poi, lungo il percorso espositivo opere iconiche come il trittico «Internal Objects in Three Parts» (2013–2015) o «White Sand Red Millet Many Flowers» (1982), ma anche i lavori specchianti, le acque vorticose e rosse di «Turning Water Into Mirror, Blood Into Sky» (2003) e «Destierro» (2017), in cui un caterpillar interamente blu trasporta tonnellate di terra rossa «in un’epica azione di sovvertimento». Tutti i percorsi portano alla spettacolare «Symphony for a beloved sun» (2013), un’installazione con un sole che tramonta (o sorge) su una massa di cera, prodotta a ciclo continuo da una sorta di infernale creazione leonardesca, che tinge l’edificio di rosso sangue, «il colore dell’origine» e della fine, della vita e della morte, che – racconta Anish Kapoor – «ha una presenza fisica e un’oscurità intrinseca, più scura del nero».

Didascalie delle immagini
Le fotografie sono di Attilio Maranzanol 

Informazioni utili 
Anish Kapoor
Gallerie dell’Accademia e Palazzo Manfrin, Venezia 
20 aprile – 10 ottobre 2022   
# Gallerie dell’Accademia  
Campo della Carità, Dorsoduro 1050 - 30123, Venezia  
Vaporetto stop: Accademia - linea 1   
Orari di apertura:  lunedì, 8:15–14, la vendita dei biglietti termina alle ore 13;  da martedì a domenica, 8:15–19:15, la vendita dei biglietti termina alle ore 18:15   
# Palazzo Manfrin  Fondamenta Venier, Cannaregio 342, 30121, Venezia  
Vaporetto stop: San Marcuola o Ferrovia - linea 1; Guglie - linea 4.1, 4.2, 5.1, 5.2   
Orari di apertura:  luned,: 10–14; da martedì a domenica, 10–19:15  
# Biglietti:  intero € 12, ridotto (giovani 18–25 anni) € 2, gratuito per i minori di 18 anni  
# Informazioni: www.gallerieaccademia.it