ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 6 dicembre 2024

«Murano illumina il mondo»: undici lampadari d’artista per il Natale di Venezia

Pochi luoghi al mondo evocano un senso di meraviglia come Murano, l’isola veneziana che da secoli brilla grazie alla sua eccellenza nella lavorazione del vetro. Qui, la perizia artigianale della soffiatura e la modellazione della materia con il calore incandescente del fuoco hanno raggiunto vertici di maestria anche grazie al coinvolgimento di artisti e designer.
Tra le creazioni più iconiche occupano un posto d’onore i lampadari, la cui tradizione risale al XVII secolo. Si tratta di manufatti che incantano i collezionisti e i semplici amanti dell’arredamento di lusso con le loro braccia sinuose, i pendenti di cristallo trasparente o colorato, i dettagli floreali che sembrano sospesi in un tempo rarefatto.

Da due anni questo oggetto d’uso quotidiano è al centro del progetto espositivo «Murano illumina il mondo», promosso da «The Venice Glass Week», con il Comune di Venezia.
Per tutto il periodo natalizio e fino al 4 marzo 2025, al calare della sera, undici creazioni originali e inedite, nate dalla collaborazione tra undici importanti artisti e architetti di fama internazionale con alcune tra le più prestigiose fornaci muranesi, illumineranno «il salotto più bello del mondo»: la veneziana piazza San Marco.
Il risultato è una suggestiva installazione urbana che trasforma le volte delle Procuratie vecchie, che si estendono per centocinquantadue metri dalla Torre dell’Orologio verso l’Ala napoleonica, con un portico di ben cinquanta arcate a tutto sesto, in uno scintillante museo a cielo aperto, simbolo perfetto dello spirito che anima le feste natalizie, da sempre caratterizzate da un raffinato dialogo tra la bellezza e la luce, metafora di rinascita e speranza.

A selezionare i partecipanti per questa seconda edizione di «Murano illumina il mondo» è stato un Comitato scientifico composto dalla storica del vetro Rosa Barovier Mentasti, dai curatori Mario Codognato e Alma Zevi, da David Landau, trustee di Pentagram Stiftung, e da Chiara Squarcina, direttrice scientifica della Fondazione Musei civici di Venezia. Mentre il coordinamento tra artisti e fornaci è stato affidato a Matteo Silverio.
«Ognuno degli undici lampadari è stato disegnato, progettato e realizzato appositamente per la rassegna rispettando specifici parametri di dimensione, peso e caratteristiche strutturali per garantire il totale rispetto del delicato luogo in cui sono stati installati», fa sapere «The Venice Glass Week», l’ente organizzatore della mostra del quale fanno parte il Comune di Venezia, i locali Musei civici, «Le stanze del vetro» (con la Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung), l’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti e il Consorzio Promovetro Murano.

Tra i grandi maestri internazionali che hanno accettato la sfida di confrontarsi con le tecniche vetrarie, fondendo il proprio inconfondibile stile con una sapiente artigianalità dalla tradizione millenaria, c’è Joseph Kosuth, esponente di punta dell’arte concettuale, noto per il suo approccio filosofico alla pratica creativa, che, con il maestro Marco Barbini, all’interno della fornace «Barbini Specchi Veneziani», ha realizzato «Enlighten’s the Word», un manufatto in vetro specchiato, invito a riflettere sui principi dell’Illuminismo, che ricrea la silhouette astratta di un lampadario classico «Rezzonico» e la rende tridimensionale e auto-riflettente.
Un riferimento alla storia veneziana è presente anche nell’opera realizzata dall’architetto giapponese Kengo Kuma, noto per le sue «creazioni contestuali» nelle quali si respira grande attenzione per l’ambiente culturale e naturale circostante, recentemente autore della nuova veste del Centro d’arte moderna «Gulbenkian» di Lisbona e delle scenografie per l’opera «Simon Boccanegra» di Giuseppe Verdi al teatro San Carlo di Napoli. Il lampadario «dieXe» (termine che significa «dieci» in lingua veneta) è una celebrazione delle «bricole» veneziane, le «sentinelle della Laguna» formate da due o più grossi pali in legno, che delimitano la parte navigabile anche in condizione di bassa marea, qui usate come calco per la texture delle lastre di vetro del lampadario, sviluppate in un percorso modulare a incastro. A rafforzare ulteriormente il legame tra l’opera e il territorio è la scelta del colore: l’iconico verde pavone della fornace Salviati, che ben rappresenta le magnetiche sfumature dell’acqua lagunare.
Suggestioni veneziane animano anche la creazione del pittore tirolese Hans Weigand che, con Nicola Causin della fornace «Berengo Studio», ha dato vita a «Venetian Wavebreakers Chandelie», raffigurazione di due dighe frangiflutti realizzate interamente in vetro, che vogliono raccontare la fragilità della Serenissima, sempre di più a confronto con il fenomeno dell'innalzamento delle acque, anche a causa del cambiamento climatico.
Mentre racconta il volto di Venezia come città di pesci e pescagione «Bilancia» di Marina e Susanna Sent, una lampada a sospensione dalle linee essenziali e geometriche, realizzata manualmente con la tecnica del vetro a lume, che usa come elementi di raccordo i fili delle caratteristiche reti da pesca della Laguna nord.

Il grande designer francese Philippe Starck ha, invece, raccolto la sfida realizzando, con Aristide Najean e sotto la supervisione del maestro vetraio Cristiano Rossetto, «Quadri», un lampadario surreale in ametista scura, con motivi floreali che trasportano in un mondo dominato dalla bellezza e dalla poesia.
I fiori caratterizzano anche «Colpo di vento», l’opera che l’artista nipponica Kimiko Yoshida ha realizzato, con il maestro vetraio Gianni Seguso, per «Murano illumina il mondo». Il suo lampadario reinterpreta il «Rezzonico» barchetta classico, in una commistione tra Rococò veneziano e minimalismo giapponese, che trae ispirazione dai colori del fiore di ciliegio, simbolo nazionale nel suo Paese natale.

Dal confronto con la tradizione, rivisitata in chiave moderna e sperimentale, nasce anche «TransFormation», la creazione di Deborah Czeresko che, in collaborazione con la fornace «Massimiliano Schiavon Art Team», ha rivisitato il lampadario classico sostituendo i suoi bracci a S con le forme sinuose di coloratissimi serpenti, dalle pelli magicamente squamate di murrine, dalle cui lingue fuoriescono fasci di luce.

Mentre il designer francese Emmanuel Babled, del quale è stata appena pubblicata una monografia sul suo lavoro da 5 Continents Editions, prosegue la sua ricerca più che trentennale sui materiali d’eccellenza, coadiuvata nella fase di produzione da «la main des autres», ovvero da «la mano degli altri». E presenta, in collaborazione con il maestro vetraio Marino Gabrielli della fornace «NasonMoretti», il suo «Digit Light», un gioioso lampadario composto da ventitré sfere in vetro soffiato a mano e otto sorgenti luminose che trae ispirazione dalla cultura Pop degli anni Sessanta.

Passeggiando sotto le volte delle Procuratie vecchie si trovano, poi, «Inariaa» di Arturo Tedeschi, un elegante ed etereo poliedro sospeso nel vuoto realizzato grazie alla maestria di Nicola Moretti e Stefano Bullo, «AZ 2024», un lampadario dalle tonalità blu creato dagli studenti dell’Istituto «Abate Zanetti» con Eros Raffael, e «Solomon Chopsticks», l’inedita creazione del duo Fiedler O Mastrangelo, ideata con la fornace di Giorgio Giuman, dove le linee astratte delle bacchette asiatiche evocano il simbolismo del nodo di Salomone, rappresentazione iconografica dell’eterno, ennesima prova della malleabilità del vetro e del suo alto potere espressivo.

Per gli amanti dell'artigianalità muranese e delle tradizioni natalizie si consiglia, infine, di dirigersi verso Rialto dove, nella chiesa di San Salvador, sarà visibile, dal 15 dicembre 2024 al 15 gennaio 2025, un grande albero di Natale in vetro, di due metri e mezzo di altezza e con quaranta luci. Il manufatto, anche questo ispirato al design iconico del lampadario veneziano, è realizzato dal maestro Pierpaolo Seguso della storica Vetreria Seguso, le cui radici risalgono al 1397 e che nel 2023 è stata riconosciuta dal Ministero della Cultura come «Patrimonio nazionale».
Il verde dell'albero e il bianco delle candele si fondono con decorazioni festose, rappresentate dai classici bastoncini di caramella - i «candy canes» rossi e bianchi -, da palle rigorosamente rosse e da tre preziose sfere dorate, in ricordo del primo Babbo Natale, San Nicola o San Nicolò, che è anche il patrono e il protettore dei vetrai, custodi di una tradizione che, da secoli, «illumina il mondo».

Didascalie delle immagini
1.Quadri, artista Philippe Starck e Aristide Najean, maestro Cristiano Rossetto, fornace Najean & Sy. Ph. Giorgio Bombieri; 2. Colpo di vento, artista Kimiko Yoshida, maestro Gianni Seguso, fornace Seguso Gianni Murano. Ph. Giorgio Bombieri; 3. TransFormation, artista Deborah Czeresko, maestri Giorgio Valentini, Claudio Zama e Massimiliano Schiavon + Wili Bardella (moleria), fornace Massimiliano Schiavon Art Team. Ph. Giorgio Bombieri; 4. Digit Light, artista Emmanuel Babled, maestro Marino Gabrielli, fornace NasonMoretti. Ph. Giorgio Bombieri; 5. dieXe, artista Kengo Kuma, fornace Salviati. Ph. Giorgio Bombieri; 6. Enlighten’s the Word, artista Joseph Kosuth, maestro Marco Barbini, fornace Barbini Specchi Veneziani. Ph. Giorgio Bombieri; 7. Venetian Wavebreakers Chandelier, artista Hans Weigand, maestro Nicola Causin, fornace Berengo Studio. Ph. Giorgio Bombieri; 8. Albero di Natale di Seguso Vetri d'arte per la Chiesa di San Salvador a Venezia

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giovedì 5 dicembre 2024

«Smach 2025», aperto il bando di concorso internazionale per la Biennale della Val Badia

È uno strumento che racconta il legame profondo tra l’uomo e la natura nelle valli del Trentino Alto Adige, soprattutto in quei contesti più rurali o caratterizzati da attività artigianali. Ed è anche una tradizione millenaria tipica delle Dolomiti e di altri luoghi contadini, da tramandare di generazione in generazione, che ben rappresenta la fatica del lavoro e il legame, non sempre semplice, con la terra. Alla «cu», la pietra che si usa per affilare la falce – detta in italiano «cote», in inglese «whetstones», in tedesco «schleifstein» –, il cui nome ladino deriva da cos-cotis, a sua volta derivato dalla radice «co» nel senso di essere acuto e tagliente, è dedicata la settima edizione di «Smach. Constellation of art, culture e history in the Dolomites», la biennale internazionale di arte pubblica, ideata nel 2012 da Michael Moling e coadiuvata da Gustav Willeit, che ha per scenario un panorama di incredibile bellezza, la Val Badia, dal 2009 patrimonio mondiale dell’Umanità di Unesco.

In attesa della manifestazione, in programma dal 12 luglio al 4 settembre 2025, si scaldano i motori con il bando di concorso internazionale che selezionerà le dieci opere che animeranno la mostra open-air.

Aperta fino al 2 marzo 2025, la call è rivolta a creativi e creative di ogni ambito e di ogni provenienza, invitati a raccontare la cote, strumento usato per affilare falci e coltelli, da sempre simbolo di ingegno contadino, pazienza e resistenza.

«Attraverso la «cu» – raccontano gli organizzatori - si fa riferimento a quei processi materiali, ma anche mentali, di evoluzione tecnica e di immaginazione, di saper fare, di strumenti diffusi in tutto il mondo, di universalità delle forme e dei bisogni primari. La «cu», quindi, veicola molteplici tematiche e stimola numerose riflessioni: l’evoluzione umana e quella tecnica; la trasmissione, o la perdita, dell’eredità culturale; il presente, il passato e il futuro».

I partecipanti sono invitati a proporre liberamente il loro contributo, senza limiti di tecnica e contenuto, ma anche a mantenere sempre l’attenzione al contesto paesaggistico nel quale intervengono. Requisito indispensabile sarà, pertanto, quello di realizzare un progetto artistico garantisca il rispetto e la cura dell’ambiente. Le opere proposte dovranno dialogare, inoltre, con il patrimonio culturale, storico e architettonico dei territori dolomitici, in uno scambio costruttivo e proficuo di valori locali, nazionali e internazionali.

Potranno partecipare al bando persone singole, collettivi, gruppi informali di ogni provenienza, età e background. Non verrà, dunque, richiesto il curriculum in fase di presentazione del proprio progetto, proprio perché l’intento è quello di ricevere idee originali e pertinenti con il tema richiesto, ma anche con la visione e gli obiettivi della rassegna.

A tutti i dieci progetti selezionati sarà assegnato un premio in denaro di 2.000 € (il compenso include i costi di ideazione, produzione, trasporti, montaggio e smontaggio); e gli artisti (massimo due per progetto) parteciperanno a una residenza di 5 giorni e 4 notti ( tra il 1° e l’8 giugno 2025) per la realizzazione e l’allestimento delle opere in loco.
In più, alcuni lavori avranno la possibilità di entrare a far parte della collezione permanente Smach Val dl’Ert, che, ad oggi, espone - ad accesso libero e per tutto l’anno - ventisette opere acquisite nelle edizioni precedenti.
Il parco, di ettari, è situato in una valle incontaminata nella località di San Martino in Badia, in provincia di Bolzano. Il suo accesso è a 150 m dal Museum Ladin e crea con esso un interessante polo di attrazione turistico-culturale per tutta la Val Badia.

Le opere comporranno un originale allestimento nella natura e in un contesto alpino di alta quota, percorribile in brevi trekking giornalieri o in escursioni di più giorni, con pernottamento in rifugio. I percorsi, della durata di quattro giorni e tre notti, partiranno il 15 luglio, il 26 agosto e il 2 settembre 2025 e saranno realizzati in partnership con Holimites.

La quota di partecipazione al bando è di € 15 per progetto, con la possibilità di presentare un massimo di due progetti per proponente. L’opera deve essere inedita e ideata appositamente per uno dei siti coinvolti dal percorso espositivo.

Tra tutte le proposte pervenute entro il 2 marzo 2025, il direttivo di Smach effettuerà una prima scrematura selezionando cento progetti. Questi saranno vagliati dalla giuria tecnica, in base a parametri di sostenibilità ambientale e paesaggistica. Di questa giuria fanno parte: l’artigiano Isidoro Clara, l’architetto Loris Clara, l’ingegnere Walther Ferdigg, l’ispettore forestale Gottlieb Moling e Astrid Wiedenhofer, dell’Ufficio provinciale Parchi naturali. Alla fine della selezione rimarranno cinquanta lavori da sottoporre alla giuria artistica, composta da Zasha Colah, curatrice della «Berlin Biennale 2025» e co-direttrice artistica di Ar/Ge Kunst a Bolzano; Jasmine Deporta, artista, che lavora tra Losanna e Bolzano; Emanuele Masi, direttore artistico di Equilibri Festival a Roma e direttore di produzione dell’Haydn Foundation di Bolzano; Peter Senoner, artista, che vive e lavora a Bolzano; Stefan Sagmeister, designer, che vive e lavora a New York.

Le opere selezionate per «Smach 2025» verranno scelte entro il 28 marzo 2025 per dare così vita a un nuovo capitolo della valorizzazione culturale e d’avanguardia dell’area dolomitica, attraverso il dialogo tra arte e natura, nel segno, quest’anno, di un elemento della tradizione contadina, la «cu», la cote, scelta nell’ambito del progetto «Tocc», condotto da «Smach» e assegnatario del Pnrr. Si tratta di un percorso di ricerca demoetnoantropologico, grazie al quale si sta procedendo alla documentazione e digitalizzazione dell’archivio culturale materiale e immateriale di San Martino in Badia, promuovendolo anche attraverso alla webapp «Iradié».

Nel frattempo, «Smach» prosegue il suo lavoro per il «Cultural Hub», un progetto sulla conservazione storica dell’identità e della cultura del territorio, che nei prossimi mesi si articolerà nella «Child Dolomitica», per far scoprire la montagna alle scuole, e in un progetto satellite di Land Art, che vedrà protagonista Michelangelo Pistoletto, uno dei padri fondatori dell’Arte povera. Dopo le installazioni, tra le altre, al Louvre di Parigi, alle Nazioni Unite di New York, ai Fori Imperiali di Roma, al Castello di Rivoli di Torino e al sito archeologico di Karkemish in Turchia, il simbolo del «Terzo Paradiso», realizzato in questa occasione con il legno degli abeti abbattuti dalla tempesta Vaia, troverà collocazione, nel luglio 2025, a Colfosco in Val Badia (in provincia di Bolzano), coprendo un’area di 52x24 metri, nell'area Plans sul Passo Gardena, in un prato messo a disposizione dalla famiglia Mersa, adiacente a un incantevole bosco con ruscello, ai piedi del Gruppo del Sella. 

L’opera sarà raggiungibile tramite un percorso pedonale e ciclabile e sarà visibile dall'alto da chi attraversa il passo, dagli scalatori della Ferrata tridentina e dai frequentatori della seggiovia Plans Frara.

Il simbolo del «Terzo Paradiso», riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità, responsabile anche nei confronti dell’ambiente che la circonda.

Didascalie delle immagini 
1. Smach 2025, immagine istituzionale, ph. Gustav Willeit; 2. Val Dl'Ert. Xinge Zhang & Jiaqi Qiu, Fragile as a Rainbow, 2021. Ph. Gustav Willeit; 3. Val dl’Ert. Alemeh & Shahed Mohammadzadeh, The Sun, 2019. Ph. Gustav Willeit; 4. Val dl’Ert Dimitri Khramov, Mama, 2021. Ph Gustav Willeit; 5. Val dl’Ert. Barbara Tavella, "Ralegrëite, sce te storjes pro. Palsa, sce te restes chilò. Cunfôrtete, sce te vas inant.", 2015. Ph. Gustav Willeit; 6. Val dl’Ert. Arturs Punte & Jekabs Volatovskis, Fragile Silence, 2021. Ph. Gustav Willeit; 7. Val dl’Ert Conor Mcnally, Ciasa, 2019. Ph. Gustav Willeit; 8. Cultural Hub Child Dolomitica 2024

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mercoledì 4 dicembre 2024

Museo Canova di Possagno, riaperta l'Ala ottocentesca della Gypsoteca

Immerso tra le dolci colline venete del Prosecco, il Museo Gypsotheca «Antonio Canova» di Possagno, paesino in provincia di Treviso, ai piedi del Monte Grappa, ritorna di nuovo fruibile al pubblico nella sua completezza. Dopo sette anni, e un significativo intervento di restauro, ha riaperto i battenti l’Ala ottocentesca, struttura realizzata su commissione del vescovo Giovanni Battista Sartori, con il progetto dell’architetto veneziano Francesco Lazzari, fra il 1831 ed il 1836 per ospitare le opere dello scultore neoclassico Antonio Canova (Possagno, 1757–Venezia, 1822) presenti nel suo Studio romano in Via delle Colonnette, donati alla morte dell’artista alla sua città natale.

L’intervento conservativo, il cui quadro economico di spesa ha previsto un importo complessivo di 950mila euro (provenienti in massima parte dal Fondo Cultura), ha interessato il consolidamento strutturale e il miglioramento sismico della seconda e della terza campata dell’Ala ottocentesca; mentre l’atrio e la prima campata erano stati riqualificati nel 2018, lo stesso anno in cui le opere erano state temporaneamente spostate dalla loro sede originaria per consentire le operazioni di conservazione.

Contemporaneamente è stato attuato un riallestimento illuminotecnico di questo spazio, teso a esaltare la bellezza dei modelli originali in gesso, studi preparatori per le pregevoli opere marmoree di Antonio Canova, oggi presenti nei più prestigiosi musei del mondo.
Il nuovo impianto a Led indirizza fasci luminosi verso la volta, creando un effetto diffuso e riflesso che valorizza le opere e garantisce un’esperienza visiva immersiva. Inoltre, sono stati integrati dispositivi regolabili da remoto, progettati per generare scenari personalizzati e adattarsi alle diverse esigenze espositive.

In questi anni è stato, inoltre, possibile completare il progetto di digitalizzazione del complesso architettonico canoviano, grazie alla combinazione e integrazione di metodi e tecnologie innovative. Questo ha permesso la riproduzione immateriale dell’intero patrimonio artistico possagnese, arricchendo così l’offerta del museo con un nuovo virtual tour a disposizione del pubblico, che integra modelli 3D e fotografie sferiche ad alta definizione per offrire un’esperienza inclusiva e immersiva.

In questi anni, il museo veneto ha, comunque, garantito la propria continuità espositiva grazie agli altri suoi elementi fondanti: la Casa natale (dove sono custodite le opere pittoriche, i disegni, e incisioni e gli effetti personali dell’artista), l’Ala Scarpa della Gypsoteca, che trae il suo nome dal progettista Carlo Scarpa, invitato tra il 1955 e il 1957 a creare un Padiglione per le opere in argilla e una selezione di gessi canoviani provenienti da Venezia come «Ercole e Lica» e «Teseo in lotta con il centauro», nonché l’Ala Gemin (costruita nel 1992 per ospitare conferenze e seminari), la biblioteca, il giardino e il parco.

Ora, con la riapertura dell’Ala ottocentesca, il pubblico potrà nuovamente ammirare alcuni capolavori in gesso, tra i quali «Napoleone come Marte pacificatore» (1806), un’imponente statua celebrativa, alta oltre tre metri, che raffigura il generale Bonaparte nelle vesti di un dio greco mentre regge, con la mano sinistra, una lancia e, con la destra, il globo terrestre sormontato dalla dea Nike, personificazione della vittoria alata.

Tra le opere che ritornano visibili c’è anche il gesso dell’«Ercole e Lica» (1795-1796), prima delle statue colossali tra quelle eseguite da Antonio Canova, oggi alla Galleria nazionale di arte moderna di Roma, commissionata nel 1795 dal principe aragonese Onorato Gaetani, che dovette poi rinunciare all’acquisto per via delle sue avverse fortune politiche, e entrata, quindi, nella collezione del finanziere Giovanni Torlonia di Roma. «L’opera – si legge nella presentazione - è fortemente espressiva: il volto disperato dell’ingenuo Lica dalla cui bocca sembra diffondersi l’urlo di dolore; la mano aggressiva di Ercole che afferra i capelli del giovane traduce la forsennata aggressività e la ferocia dell’eroe; tutti i muscoli sono definiti nella più viva tensione».

Tra gli altri capolavori del museo si segnalano: «Le Grazie» (1813), commissionato da Giuseppina Beauharnais, ora all’Ermitage di San Pietroburgo, e in replica da John Russel, VI Duca di Bedford, e diventato patrimonio condiviso del Victoria & Albert Museum di Londra e delle National Galleries of Scotland di Edimburgo; e «Amore e Psiche» (1800), tra le opere più celebri della collezione, scelta spesso come emblema dell’amore, che rappresenta la contrastata e passionevole storia tra il dio Amore e la mortale Psiche, nel momento in cui si riuniscono dopo che lei ha affrontato le difficili prove inflittegli dalla dea Venere.

Passeggiare nel museo di Possagno, e nella ritrovata e restaurata Ala ottocentesca della Gypsoteca significa, dunque, immergersi nell’essenza dell’arte di Antonio Canova e scoprirne così il suo amore per la perfezione, la sua dedizione all’armonia. Le sculture in gesso dell’artista, modelli delle opere in marmo sparse nei musei di tutto il mondo, rivelano dettagli dall’eleganza senza tempo, perfetta sintesi di bello naturale e bello ideale.

Didascalie delle immagini
Le fotografie dell'Ala ottocentesca della Gypsoteca Antonio Canova di Possagno (Treviso) sono di Lino Zanuso

Informazioni utili
Possagno (TV), Museo Gypsotheca Antonio Canova, via Antonio Canova 74 - Possagno (Treviso). Orari: martedì-venerdì, 9.30-18.00; sabato, domenica e festivi, 9.30-19.00; ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Biglietti:. intero: €13,00; ridotto: €10. Informazioni: tel.0423.544323; posta@museocanova.it. Sito internet: www.museocanova.it