ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 16 gennaio 2008

Dal ‘200 a oggi: sette secoli di pittura tra arte e religione

«L'opera d'arte è caratterizzata dal fatto che ha un senso, ma non uno scopo (...) Non propone nulla ma significa, non vuole ma è. E' creata per essere e rivelare». Così Romano Guardini, figura di spicco della storia culturale europea del ‘900, parlava della dimensione sacrale dell'arte e definiva pittori, scultori e architetti «intermediari» tra l'umanità e l'Assoluto per quella capacità che è a loro propria di tradurre il mistero della vita e la bellezza del Creato nel linguaggio delle forme e delle figure. Basta sfogliare un qualsiasi catalogo di aforismi sull'arte per rendersi conto che al tema del fare artistico come «eco» della creazione divina e medium per avvicinarsi alla comprensione della sfera ultraterrena è dedicata un'ampia letteratura. Lo scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe definì, per esempio, l'arte «mediatrice dell'ineffabile». Mentre Pablo Picasso scrisse che la pittura era «qualcosa di benedetto (…) perché sfiorata da Dio» e Franz Marc parlò di colori e pennelli come di «un ponte che conduce alla vita spirituale».
Al rapporto tra arte e religione non poteva non rivolgere la propria attenzione anche papa Giovanni Paolo II che, nella lunga Lettera agli artisti della Pasqua del 1999, dichiarò che l'uomo nel dipingere e nel plasmare la materia è «immagine del Creatore». «Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza – si legge in apertura della missiva – può intuire qualcosa del pathos con cui Dio all'alba della creazione, guardò all'opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si è infinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, come gli artisti di ogni tempo, avvinti dallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme, avete ammirato l'opera del vostro estro, avvertendovi quasi l'eco di quel mistero della creazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarvi».
La lettera del pontefice – che prosegue descrivendo l'artista come un uomo votato al servizio della bellezza, «espressione visibile del bene» e della verità – è la seconda tappa di un cammino di riconciliazione della Chiesa e del mondo delle arti figurative, il secondo momento di un invito a riannodare i fili di un'amicizia di lunga data che si era bruscamente interrotta nel Settecento, quando gli illuministi criticarono la religione, associandola alla superstizione e al fanatismo, e l'arte si rivolse a soggetti legati alla quotidianità e alla storia. Ad aprire la strada di una nuova comunione tra arte e Chiesa fu papa Paolo VI nell'ormai storica udienza del 7 maggio 1964, in cui definì il lavoro dell'artista un «ministero parasacerdotale» e parlò della capacità di pittura, scultura e architettura di rendere i misteri di Dio «presenti e accessibili».
Sin dalle sue origini, databili tra il II e il IV secolo d.C., l'arte cristiana ha, infatti, avuto la finalità di fornire un'illustrazione catechetica e didascalica degli episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento, per educare alla fede una popolazione per lo più analfabeta, tanto è vero che la pittura catacombale, così come l'arte musiva delle prime basiliche cristiane (che si iniziarono a costruire in seguito alla promulgazione dell'editto di Costantino del 313 d.C.) e tutta la produzione medioevale con Cristo rappresentato come «Salvator mundi» e come «Imago pietatis» ebbero la funzione di una vera e propria «Bibbia dei poveri».
E' con Giotto, che Giorgio Vasari definì il «padre della pittura», che l'arte religiosa prende un nuovo indirizzo. L'allievo di Cimabue si lascia alle spalle la modalità di figurazione che aveva caratterizzato gran parte dei secoli precedenti, con la sua «prospettiva gerarchica» che disponeva le figure in base alla loro importanza e con i suoi radiosi sfondi dorati che volevano essere simbolo della magnificenza e della superiorità del Divino, per introdurre una forma di realismo che colloca sullo stesso piano uomo e paesaggio: nel Compianto sul Cristo morto (1304-1306 ca.) della Cappella degli Scrovegni di Padova e negli affreschi assisiati sulla vita di san Francesco, le figure non sono più stereotipi, secondo la formula tradizionale, ma soggetti connotati individualmente, uomini e donne veri con il proprio carico di dolore e di malinconia, di stupore e di partecipazione alla vita.
Superando la tradizione figurativa bidimensionale del suo tempo, il Medioevo, Giotto abbozza anche un primo tentativo di introduzione della prospettiva geometrica nella pittura, iniziando così gli studi sulla raffigurazione della terza dimensione, che - passando attraverso le ricerche «architetturali» dalla tematica sacra di Duccio di Boninsegna, Simone Martini e Pietro e Ambrogio Lorenzetti - avrebbero trovato nel 1428 la loro massima realizzazione in una delle opere-simbolo del Rinascimento, l'affresco de La Trinità (1428 ca.) del Masaccio alla chiesa di Santa Maria Novella di Firenze, e avrebbero portato, una trentina di anni dopo, all'audace disposizione spaziale della Flagellazione di Cristo (1460 ca.) di Piero della Francesca, in cui il motivo principale dell'opera è spostato sullo sfondo.
L'arte umanistica, che segna il passaggio dalla concezione teocentrica a quella antropocentrica, è, inoltre, caratterizzata da una sempre maggiore umanizzazione nella raffigurazione dei personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento. Ecco così opere come Cristo alla colonna (1475 ca.) di Antonella da Messina, in cui la sofferenza del figlio di Dio è sottolineata dalle lacrime e dalle gocce di sangue, o come Il Cristo morto di Andrea Mantegna, oggi conservato alla Pinacoteca di Brera, o, ancora, come l'olio La Madonna del prato (1505 ca.) di Giovanni Bellini, oggi alla National Gallery di Londra, che raffigura Maria come una comunissima madre immersa in un paesaggio di estrema realtà e di assoluto lirismo, imponendo così allo spettatore una toccante intimità fisica con il mistero della maternità.
Gradualmente i temi sacri vengono a fondersi con quelli profani, per arrivare alle estremizzazioni del Veronese. L'abbondanza, la gioia dei sensi e la felicità apparentemente sfrenata che trapelano dalle sue opere, così come la tendenza a rappresentare scene bibliche alla stregua di feste di patrizi veneziani (un modo di dipingere bel visibile nella tela Nozze di Cana del 1562-63), costringono l'artista veneto a presentarsi davanti a un tribunale ecclesiastico a causa della sua rappresentazione dell'Ultima cena (1573). Sono gli anni immediatamente successivi al Concilio di Trento (1536). Anni, in cui vengono dettate regole severe riguardo all'immagine sacra, che deve essere «corretta sotto il profilo dottrinale» e dal punto di vista delle convenienze sociali, «né provocante, né lasciva». Nei decenni successivi, un ruolo determinante nello stabilire un nuovo rapporto tra pittura e trascendenza lo ebbe Caravaggio. Egli osò, come nessuno prima di lui nella pittura ad olio su tela, una sacralizzazione del quotidiano che gioca con sapienza sull'opposizione, o piuttosto sul paradosso, tra un realismo inedito nelle scene religiose e un trattamento della luce che fa apparire la sua origine soprannaturale, di cui eccellente testimonianza sono le tele Incredulità di San Tommaso (1601-1602) e La morte della Vergine (1606). Nella pittura del Merisi, Cristo è caratterizzato contemporaneamente come uomo tra gli uomini, e come apparizione miracolosa, come documentano La cena di Emmaus (1601) della Pinacoteca di Brera, che alla resa realistica delle vesti, degli atteggiamenti e dei cibi contrappone l'espressione interiorizzata del figlio di Dio, il suo volto totalmente assorto al momento dello spezzare del pane.
Il Seicento oscilla tra una raffigurazione di Cristo e dei personaggi testamentari concreta, intima ed estatica, che permette di scoprirne gli stati d'animo più personali. Di questo “stile” sono ottimi cui rappresentanti, oltre al Caravaggio, Orazio Gentileschi (emblematiche le sue tele Annunciazione del 1623 e Riposo durante la fuga in Egitto del 1628 ca.), Georges de La Tour, con la sua malinconica Maddalena penitente (1640-1645), e Rembrandt, con tele come Deposizione dalla croce (1634) dell'Ermitage di San Pietroburgo e I pellegrini di Emmaus (1628.1629 ca.) - e una trionfale e teatrale, con il figlio di Dio in gloria, levitante ed eroico, che ben viene illustrata dal Pieter Paul Rubens.
Il secolo dei Lumi segna una svolta nella raffigurazione pittorica. I generi fino allora considerati minori conoscono una valorizzazione senza precedenti: vi è uno sviluppo della natura morta e del ritratto, la pittura storica guarda non più alle gesta degli eroi, ma ai loro amori; quella sacra è caratterizzata da un'accentuazione della sua ispirazione biblica, fatta eccezione per alcune rare opere cristiche come quelle di Giovanni Battista Tiepolo. Inizia, inoltre, in questi anni un progressivo allontanamento della «grande arte» verso la Chiesa: i soggetti religiosi diventano sempre meno frequenti, l'arte sacra – per dirla con le parole di François Boespflug dell'Università di Strasburgo – viene considerata sempre più «una questione di parroci», anche se, fino all'Ottocento, continua ad essere con quella storica il gran genre al Salon.
Il Romanticismo, con la sua riscoperta del Medioevo, sembra dare un nuovo momentaneo smalto all'arte religiosa. In Germania viene, per esempio, a costituirsi la confraternita dei Nazareni che ha come ideale - sulla scia del Rinascimento e della pittura del Perugino e di Raffaello - di ridare purezza, dolcezza e umiltà all'immagine di Cristo e della Madonna. In Inghilterra, invece, sono i Preraffaeliti a farsi custodi della tematica religiosa con opere come Ecce Ancilla Domini (1850) di Dante Gabriel Rossetti e la tela L'albero del perdono (1881-1882) di Edward Burne-Jones.
Ma è nella concezione della natura come manifestazione del Divino, nell'idea che il paesaggio racchiuda una dimensione intima e infinita e permetta un legame attivo tra anima e cosmo che sta la grande novità del secolo, il nuovo modo di approcciarsi a Dio. Ecco così gli orizzonti infiniti di Caspar David Friedrich, come Monaco in riva al mare del 1808-1810 e Viandante sul mare di nebbia del 1818, in cui minuscole presenze umane misurano la loro contemplazione, o il misticismo simbolico dell'olio Cristo sul monte del 1808, in cui la croce diventa metafora della presenza di Dio nella natura.
Il tema del paesaggio come incarnazione dell'Assoluto si ritrova, sul finire dell'Ottocento, anche nel divisionismo. Giovanni Segantini lo traduce in forme e colori nella tela L'angelo della vita. Dea cristiana del 1894, che riprende l'iconografia quattrocentesca della Madonna con il Bambino tra le fronde di un albero dai rami rinsecchiti, simbolo di una corona di spine e presagio del calvario della croce. Ma, in realtà, la relazione fra l'immensità dei paesaggi montani e la spiritualità religiosa ricorre in tutto il repertorio dell'artista trentino, come documentano le tele L'ora mesta (1892), Alla stanga (1886) e Le due madri (1889).
Il Novecento è il secolo che vede le forme più sbalorditive e varie di illustrazione degli episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento. Ritroviamo, per esempio, la rilettura espressionista dai toni sofferti di Emil Nolde e di Edvard Munch (emblematica la tavola Golgotha del 1900), i puzzle cubisti con le Crocifissioni di Pablo Picasso, le «icone» minimaliste di Alexej von Jawlensky e le immagini dolenti di Renato Guttuso, Georges Rouault e Francis Bacon.
La figurazione non è, però, l'unico modo con cui nel XX secolo viene espresso un soggetto religioso. Parecchi artisti astrattisti come Piet Mondrian, Joan Mirò, Vassily Kandinsky e Mark Rothko riescono a creare un'atmosfera di raccoglimento e di meditazione nelle loro tele attraverso mezzi pittorici più ridotti - colore e linea –, mentre lo spazialista Lucio Fontana conduce la sua ricerca di una dimensione ultraterrena tagliando o bucherellando la tela in opere di estrema liricità come il ciclo Fine di Dio. Ma il racconto religioso-pittorico più poetico e, nello stesso tempo, più conosciuto dell'intero ‘900 è sicuramente quello di Marc Chagall, che ha visto nella Bibbia «la più grande poesia di tutti i tempi», «l'alfabeto colorato» in cui intingere i propri pennelli. Dal 1931 al 1966 l'artista bielorusso è ritornato più volte su questo tema, prima con un corpus grafico e poi con una serie di pitture per il Musée National Biblique di Nizza. Il risultato complessivo di questo lavoro è un viaggio a metà strada tra la visione e la realtà, dove tutto è familiare e senza tempo, e in cui il messaggio divino è visto come messaggio di attenzione al prossimo. «Ho voluto dipingere il sogno di pace dell'Umanità – affermò Marc Chagall nel 1973, all'inaugurazione del suo museo in Francia – (…). Forse in questa casa verranno giovani e meno giovani a cercare un'ideale di fraternità e di amore come i miei colori lo hanno sognato. Forse non ci saranno più nemici e tutti, qualunque sia la loro religione, potranno venire qui a parlare di questo sogno, lontano dalla malvagità e dalla violenza. Sarà possibile questo? Credo di sì, tutto è possibile se si comincia dall'amore».

Didascalie delle immagini
(fig. 1) Giotto, Compianto sul Cristo morto, 1304-1306 ca., Padova, Cappella degli Scrovegni; (fig. 2) Giotto, Il bacio di Giuda (particolare), 1304-1306 ca. Padova, Cappella degli Scrovegni; (fig. 3) Giotto, Predica di San Francesco agli uccelli, 1296-1300, Assisi, Basilica superiore di san Francesco.(fig. 4) Piero della Francesca, Flagellazione di Cristo, 1460 ca., Urbino, Galleria nazionale delle Marche; (fig. 5) Antonello da Messina,Cristo alla colonna, 1475 ca., Parigi, Museo del Louvre; (fig. 6) Andrea Mantegna, Cristo morto e tre dolenti, 1480-1490 ca., Milano, Pinacoteca di Brera; (fig. 7) Giovanni Bellini, La Madonna del prato,1505 ca., Londra, National Gallery; (fig. 8) Veronese, Nozze di Cana, 1562-1563, Parigi, Museo del Louvre; (fig. 9) Caravaggio, La morte della Vergine (particolare), 1605-06. Parigi, Museo del Louvre; (fig. 10) Georges La Tour, Natività, particolare, 1648, Rennes, Musèe des Beaux-ArtsGeorges; (fig. 11) Georges La Tour, La Maddalena penitente, 1642-1644, Parigi, Museo del Louvre; (fig. 12) Caspar David Friedrich, Monaco in riva al mare, 1810. Berlino, Nationalgalerie (fig. 13) Giovanni Segantini, L'angelo della vita.Dea cristiana, 1894, Milano, Museo dell’Ottocento.


Curiosando nel Web
La cappella degli Scrovegni di Giotto
Artcurel: arte, cultura e religione

Da leggere
Il mondo della Bibbia - Cristo nell'arte dalle origini al XV secolo, Anno 10, n. 2, fascicolo 55 (marzo - aprile 2000) - Editrice Elledici, Leumann (Torino)
Il mondo della Bibbia - Cristo nell'arte dal Rinascimento ai nostri giorni. Anno 11, n. 2, fascicolo 57 (marzo-aprile 2001) - Editrice Elledici, Leumann (Torino)

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