Sessant’anni fa moriva, nel Manicomio di Sant'Artemio a Treviso, Gino Rossi (Venezia, 1884 – Treviso, 1947), artista tra i più interessanti dell’avanguardia veneziana che, nei primi anni del Novecento, trovò il suo centro lavorativo in quel luogo di grande innovazione artistica che fu Ca’ Pesaro tra il 1908 e i primi anni Venti.
In occasione dell’anniversario, la regione natale dell’artista, Il Veneto, propone, in questi giorni, ben due mostre che ne raccontano la parabola creativa, dando il meritato rilievo al suo bel catalogo produttivo che, stando a quanto stilato negli anni Settanta dal Menegazzi, allinea poco più di un centinaio di pezzi, alcuni dei quali dipinti recto-verso verosimilmente per ragioni di economia del supporto, che quasi sempre era cartone.
Nino Barbantini, storico direttore di Ca’ Pesaro, ebbe a ricordare, a tal proposito, che Gino Rossi riuscì a dipingere per pochi anni soltanto, ed è noto che una parte non trascurabile di quanto da lui creato finì distrutta o dispersa, per effetto delle sue vicissitudini personali e familiari.
Ci troviamo, dunque, di fronte a un «artista raro», per usare le parole di Marco Goldin, che ne cura l’omaggio in corso a Treviso, negli spazi del Museo Luigi Bailo, che già ha in collezione una decina di opere del pittore veneziano. Qui, in contemporanea con la grande retrospettiva che la città dedica ad Auguste Rodin, sono esposte diciotto tele dell’artista, uno dei più aggiornati del suo tempo sulla grande pittura figurativa europea, secondo una lezione che proviene dalla poetica cubista e da quella dei Fauves, oltre che dall’esperienza pittorica di Paul Gauguin.
Documenta bene questo tratto distintivo di Gino Rossi anche la mostra veneziana negli spazi della Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro, organizzata in collaborazione con Barcor17, che si avvale della curatela di Luca Massimo Barbero ed Elisabetta Barisoni.
L’esposizione, allestita al secondo piano del museo, allinea nello specifico un prezioso nucleo di dipinti dell’artista, acquisiti con intelligenza e conservati con grande passione dalla Fondazione Cariverona, da tempo è impegnata nella promozione e nella valorizzazione del proprio patrimonio artistico.
È, dunque, grazie a un soggiorno a Parigi insieme all’amico e collega Arturo Martini, risalente al 1907, che Gino Rossi, pittore nato a Venezia da una famiglia benestante, si accosta al milieu artistico e culturale della Francia di inizio Novecento. Lì l’artista, che ha studiato tra Fiesole e Venezia, entra in contatto con alcune delle più importanti esperienze artistiche del tempo, che contribuiscono a formare la sua poetica con sguardo internazionale e cosmopolita.
Sulle orme di Paul Gauguin, il pittore veneziano si reca anche in Bretagna nel 1909; nascono così opere connotate da un temperamento forte e da vibranti interpretazioni personali. Si inizia a vedere in questi lavori di Gino Rossi anche un’eco cezanniana che emergerà soprattutto nelle nature morte, ma anche in taluni ritratti, della sua seconda fase artistica.
Il ritorno a Venezia avviene in un periodo in cui Nino Barbantini, appena diventato, a soli 23 anni, direttore della Galleria d’arte moderna e al contempo Segretario della neonata Opera Bevilacqua La Masa, comincia a promuovere la sede di Ca’ Pesaro come un luogo aperto alle tendenze più recenti dell’arte italiana, secondo una visione antiaccademica e antitetica alle prime edizioni dell’Esposizione Internazionale d’arte ai Giardini.
Fin dalla prima mostra, allestita nel 1908, risulta evidente quanto l’arte moderna italiana sia davvero nata tra le pareti del museo veneziano, o quanto meno ne abbia avuto piena espressione in un momento in cui doveva ancora svilupparsi, a livello nazionale, un più articolata rete dedicata alle nuove tendenze.
Tra i primi partecipanti alle mostre capesarine ci sono artisti come Felice Casorati, Umberto Boccioni, Pio Semeghini, Arturo Martini, cui si aggiunge, nel 1910, anche Gino Rossi.
Attraverso i suoi potenti ritratti degli ultimi e dei reietti, o con la sublimazione del colore nei paesaggi onirici della laguna veneta, l’artista emerge ben presto per il suo violento e irreversibile abbandono dell’accademismo e il ritorno ad un’espressività originaria, quasi arcaica.
La forma è per lui elemento «antigrazioso», lontano dalla leziosità di tanta arte dei primi anni del Novecento, in aperta contrapposizione con l’estetica decadente di molti suoi contemporanei. Sono gli anni in cui l’isola di Burano diventa per Gino Rossi la sua Bretagna, luogo ideale ma assolutamente non idilliaco dove passa lunghi soggiorni e dove si trasferisce anche a vivere, nel disagio e nella scomodità più assoluta.
Appartiene a questo periodo uno dei lavori più belli esposti a Treviso: «Case a Burano», un olio su cartone di medio formato, risalente al 1910, che fu tra i tre quadri portati dall’artista all’esposizione di Ca’ Pesaro dello stesso anno, insieme con «La fanciulla del fiore» e «Il muto» (1910), anch’esso presente al Museo Luigi Bailo.
La ritrattistica, come documenta quest’ultimo quadro, si concentra sugli umili, sugli individui ai margini della società. Rossi sceglie, tra l’altro, come protagonisti i pescatori o le loro mogli, cogliendo con pennellata energica e materica lo spirito di ogni figura ed esasperandone i tratti più duri, imperfetti ed esteticamente spiacevoli. Tra i ritratti esposti a Ca’ Pesaro troviamo «Bruto» (1913) uno dei migliori esempi dell’attenzione dell’artista verso i poveri e gli emarginati. Le pennellate forti scavano i tratti del volto, esaltando i segni di una vita difficile resa in tutta la sua crudezza.
Questo ritratto è messo a confronto con la scultura «Buffone» (1913-14) di Arturo Martini, compagno di strada dell’artista nell’essere «contro» l’arte accademica. Si tratta di un grande busto in gesso dipinto che esplicita, in un gioco di rimandi estetici, la grande affinità tra questi due artisti e le similitudini nelle loro ricerche.
Rossi sa, infatti, dare plasticità alle sue opere, dando loro un’illusoria tridimensionalità, come nel caso della bella «Testa di creola» (1913), esposta a Treviso.
L'artista si dimostra, inoltre, differente sai suoi contemporanei anche nella ritrattistica femminile. Le aristocratiche e le borghesi che fecero la fortuna di un altro italiano che molto deve alla Francia, Boldini, lasciano il posto qui a popolane, spesso madri, vestite di scuro e con abiti semplici, distanti anni luce dalle donne sofisticate fin de siècle. Ne danno un ottimo esempio le opere «Ritratto di Signora» (1914) e «Maternità» (1913), esposte a Ca’ Pesaro, a raffronto con «Le Signorine» (1912) di Felice Casorati, tela che racconta, invece, di giovani figlie della borghesia, riprese in un luogo ricco di simboli e riferimenti alla loro vita e alla loro condizione sociale.
In Rossi si percepisce un’impronta espressionista, che abbandona la piacevolezza estetica concentrandosi sulla crudezza. La sua ritrattistica è, a tutti gli effetti, la risposta polemica al decadentismo floreale che troverà la sua conclusione solo con la Prima guerra mondiale.
Anche i paesaggi sono improntati ad un forte espressionismo, e risultano fortemente influenzati dai primi soggiorni in Bretagna: «Douarnenez» (1912) e «Paesaggio nordico» (1911), entrambe esposte a Venezia, e «Primavera in Bretagna» (1909 circa) e «Cittadella bretone in riva al mare» (1910), in mostra a Treviso, risalgono proprio a quel periodo e segnano l’inizio di un approccio che porterà l’artista a un nuovo vedutismo, ancora una volta in contrapposizione con le esperienze artistiche contemporanee.
Il soggetto prediletto, così come per molti suoi colleghi capesarini, è l’isola di Burano: lontana dal fasto decadente del centro storico, la piccola isola è un rifugio e un’inesauribile fonte di ispirazione.
«Barene a Burano» (1912-13) presenta al pubblico della mostra veneziana lo sguardo di Gino Rossi su questo ambiente primitivo ed ancestrale in cui uomo e natura si integrano in un legame indissolubile.
Uno sguardo sulla bellezza della Laguna lo offre anche la rassegna di Treviso con opere come «San Francesco nel deserto» (1912-1913), con le sue macchie di varie tonalità di verde dal segno rapido e stilizzato.
Nelle opere degli anni Dieci, il colore assume per Rossi un significato profondo che non si limita alla sola trasposizione della realtà: i blu, i verdi, i toni caldi dei suoi paesaggi sono in netto contrasto con i toni scuri dei ritratti. Il non-finito diventa mezzo di espressione costante e permette ai vuoti e ai pieni di bilanciarsi, lasciando quel senso di precarietà e di sospensione, tipico dei grandi artisti nella fase più matura.
L’esperienza della Prima guerra mondiale segna per sempre Gino Rossi: i lavori dopo il 1918 sono più articolati e strutturati, incentrati su forme e volumi che riprendono la lezione di Cézanne. Lo dimostrano diversi bozzetti su carta e linoleumgrafie esposti a Venezia, nei quali si nota un avvicinamento allo studio della composizione. È il caso di «Studio per natura morta con violino e pipa» (1922), un disegno a gessetti colorati, e di «Poemetto della sera» (1923), una scena bucolica con animali al chiaro di luna, un senso di quiete precaria in cui il colore si fa più rarefatto e le forme diventano schematiche e archetipiche.
L’esperienza della guerra combattuta al fronte e la prigionia segnano, però, Gino Rossi anche sul piano personale, conducendolo verso l’abisso della malattia mentale.
Nel 1926, dopo solo venti anni di produzione, l’artista viene internato nel manicomio di Sant’Artemio a Treviso: non dipingerà mai più e morirà nel 1947, lasciando una grande incognita su come la sua ricerca artistica avrebbe potuto proseguire, su quali altre importanti pagine avrebbe potuto lasciare Rossi alla storia dell’arte, se il buio dell’anima e degli occhi non lo avesse inghiottito per sempre.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Gino Rossi, Burano, 1912-1914. Olio su cartone, cm 42 x 57,5. Collezione Fondazione Cariverona. ©Archivio Fotografico Fondazione Cariverona; [fig. 2] Gino Rossi, Burano, 1912-1914. Olio su cartone, cm 42 x 57,5, Collezione Fondazione Cariverona. ©Archivio Fotografico Fondazione Cariverona; [fig. 3] Gino Rossi, Maternità, 1913. Olio su cartone, cm 72x64. Fondazione Musei Civici di Venezia, Ca' Pesaro - Galleria Internazionale d'Arte Moderna. ©Archivio fotografico - Fondazione Musei Civici di Venezia; [fig. 4] Gino Rossi, Pescatore Buranese, 1913 ca. Olio su tavola, cm 46x32. Fondazione Musei Civici di Venezia, Ca' Pesaro - Galleria Internazionale d'Arte Moderna. ©Archivio fotografico - Fondazione Musei Civici di Venezia; [fig. 5] Gino Rossi, Paese sul Montello, 1913 circa, olio su cartone, cm 46,5 x 55, collezione privata. © Giuseppe Dall'Arche; [fig. 6] Gino Rossi, Testa di creola, 1913 olio su cartone, cm 35, 8 x 35, collezione privata; [fig. 7] Gino Rossi, San Francesco nel deserto, 1912, olio su cartone, cm 45 x 72, collezione privata. © Giuseppe Dall'Arche; [fig. 8] Gino Rossi, Composizione, 1923-1925. Olio su cartone, cm 40,4 x 61. Collezione Fondazione Cariverona. ©Archivio Fotografico Fondazione Cariverona
Informazioni utili
Omaggio a Gino Rossi. Museo Luigi Bailo, Borgo Cavour, 24 - Treviso. Orari di apertura: da lunedì a giovedì, ore 9-18; da venerdì a domenica, ore 9-19. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00 (gruppi o esibendo il biglietto della mostra Rodin. Un grande scultore al tempo di Monet), ingresso gratuito per le scuole. Informazioni: info@museicivicitreviso.it. Sito internet: www.lineadombra.it. Fino al 3 giugno 2018
Gino Rossi a Venezia. Ca’ Pesaro - Galleria Internazionale d’Arte Moderna - Venezia. Orari: ore 10.00 – 17.00 fino al 31 marzo, ore 10.00 – 18.00 dal 1 aprile (la biglietteria chiude un’ora prima), chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50 (Ragazzi da 6 a 14 anni; studenti da 15 ai 25 anni; accompagnatori (max. 2) di gruppi di ragazzi o studenti; cittadini over 65; personale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT); titolari di Carta Rolling Venice; titolari di ISIC – International Student Identity Card; soci di TRA Treviso Ricerca Arte), ridotto scuole € 4,00; gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia; bambini da 0 a 5 anni; portatori di handicap con accompagnatore; guide turistiche abilitate e interpreti turistici che accompagnino gruppi o visitatori individuali, per ogni gruppo di almeno 15 persone, 1 ingresso gratuito (solo con prenotazione); docenti accompagnatori di gruppi scolastici, fino ad un massimo di 2 per gruppo; membri ICOM; titolari AMACI Card; partner ordinari MUVE; volontari del Servizio Civile; possessori MUVE Friend Card, Possessori di The Cultivist card (più tre accompagnatori); soci dell’associazione “Amici dei Musei e Monumenti Veneziani”; possessori di Art Pass Venice Foundation.Informazioni: info@fmcvenezia.it, call center 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.capesaro.visitmuve.it. Fino al 20 maggio 2018
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