ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 26 maggio 2021

«Platea dell’umanità», la nuova mostra della Galleria Poggiali di Firenze è virtuale e in presenza

Era il 2001 quando il critico e curatore svizzero Harald Szeemann (Berna, 11 giugno 1933 – Tegna, 18 febbraio 2005) firmava la sua seconda Biennale di Venezia. L’ambizione di quella mostra, che focalizzava l’attenzione su oltre centodieci artisti provenienti da una cinquantina di Paesi, era di mettere in scena se non proprio tutta l'umanità, almeno una fetta rappresentativa di essa, raccontando così le diversità e le contraddizioni del mondo in cui viviamo.
Il pubblico diventava - per stessa ammissione di Harald Szeemann - «spettatore, protagonista e misuratore delle cose»; si confrontava con temi di attualità come l’aborto, l’eutanasia, la clonazione, la violenza, la guerra, l’immigrazione e l’ecologia, ovvero tutto ciò che faceva, e tuttora fa parte, dello spettacolo della vita.
Non a caso il titolo di quella edizione della Biennale strizzava l’occhio al mondo del teatro. Era «Platea dell’umanità».
Con quella mostra, Harald Szeemann consegnava alla storia opere come «L’Ecce Homo» di Mark Wallinger e «La nona ora» di Maurizio Cattelan, riproponendo ai visitatori, in apertura del percorso espositivo, anche un lavoro significativo come «The End of the Twentieth Century» di Joseph Beuys, una distesa di rocce di basalto sparse sul pavimento in modo apparentemente casuale, che davano vita a una grigia foresta di segni fossili che improvvisamente ostruivano la via, costringendo a pensare.
A vent’anni di distanza, la Galleria Poggiali di Firenze guarda a quell’importante evento espositivo, che con «Dappertutto» del 1999 ha cambiato per sempre il volto della Biennale di Venezia, per la sua nuova mostra estiva, che si intitola appunto «Platea dell’umanità».
Punto di partenza della rassegna, in programma fino al 31 luglio e visibile anche tramite virtual tour all’indirizzo www.galleriapoggiali.com/it/virtual-exhibition, è una dichiarazione di Joseph Beuys secondo cui «ogni uomo è artista», frase, questa, con la quale il maestro tedesco intendeva riaffermare il concetto di «arte totale» e riportare l’esperienza creativa alla quotidianità, in una ricerca di valori e di significati universali. L’uomo, con le sue infinite possibilità, diventa così artefice del proprio destino, creatore di un nuovo Rinascimento. Questo è il messaggio che ci lasciano anche le trentacinque opere e i venti artisti selezionati per la mostra fiorentina alla Galleria Poggiali.
Il percorso espositivo si apre con un lavoro di Fabio Viale in marmo bianco e pigmenti, «Door Release» (2021), e con un «Paesaggio artificiale» (2019) di Goldschmied & Chiari, un’opera realizzata fotografando in studio fumogeni colorati e associandoli con vetro e superficie specchiante in un processo poeticamente e tecnicamente alchemico e performativo. Nella stessa sala è esposto anche un lavoro di Claudio Parmiggiani, «Senza titolo» (2021), nel quale fumo e fuliggine su tavola raccontano l’evanescenza delle farfalle, l’attimo, apparentemente etereo e fugace, che si fa eterno grazie alla creatività di un artista.
Tre opere della serie «Snakes and Drumroll» (2021) e il colorato olio su tela «Pietas» (2021) raccontano poi, sempre in apertura del percorso espositivo, la recente ricerca di Francesca Banchelli, giovane artista toscana convinta della necessità dell’opera come epifania ed evento gnoseologico imprescindibile all’evoluzione della specie umana. 
Nella mostra grande spazio ha, inoltre, il medium fotografico con opere come «Awakened» (2007) di David Lachapelle e «I pilastri della terra» (2020) di Virginia Zanetti, esposti nella seconda sala accanto ad «Aereo» (2020) di Fabio Viale, o come i tre scatti di Luigi Ghirri dedicati all’Emilia Romagna, collocati lungo il corridoio accanto ai lavori di Slater Bradley e Grazia Toderi, già protagonisti alla galleria Poggiali della mostra «Making Time» nel 2019.
Nella sala successiva, sono visibili una carta di Eliseo Mattiacci, «Stella Africa» (1983) di Gilberto Zorio, un lavoro in cera su vetroresina di Domenico Bianchi e un’opera in fumo e fuliggine su tavola di Claudio Parmiggiani, una delocazione di tre metri che ha per soggetto la celebre libreria, proposta al Maxxi di Roma in una declinazione avvolgente di ventidue tavole a formare un’intera sala senza soluzione di continuità.
Insieme a queste opere a parete, appartenenti all’Arte povera, trova posto nella stessa stanza un altro lavoro di Claudio Parmiggiani, l’opera «Senza titolo» (2019), consistente in un’arpa di metà Settecento con farfalle, presentata anche nella prima mostra dell’artista in un museo statunitense, tenutasi nel 2019 al Frist Art Museum di Nashville.
L’artista, che ha materializzato poeticamente l’assenza e il passaggio del tempo, facendo depositare la fuliggine su tavola, ma anche confrontandosi con l’opera di Giorgio Morandi, come documentano le sue bottiglie bianche su sfondo grigio del 2020, dialoga nella stanza successiva con Enzo Cucchi, uno dei protagonisti della Transavaguardia, autore di una serie dedicata a Vincent Van Gogh.
La parte finale della galleria fa luce sul ritorno alla pittura del finire degli anni Novanta con opere di Luca Pignatelli, Manfredi Beninati, Giovanni Frangi e Marco Fantini, che rimandano al nostro passato leggendolo con occhi nuovi.

Informazioni utili
Platea dell’umanità. Galleria Poggiali, via della Scala, 35/Ar – Firenze.  Ingresso libero. Orari: dal lunedì al sabato, ore 10-13 e ore 15-19, domenica su appuntamento. Ingresso libero. Tour virtuale all’indirizzo: www.galleriapoggiali.com/it/virtual-exhibition. Informazioni: tel. +39.055.287748 o info@galleriapoggiali.com. Sito internet: www.galleriapoggiali.com. Fino al 13 luglio 2021. 

martedì 25 maggio 2021

«Terre»: a Lugano quattordici artisti si confrontano con le qualità espressive della materia

Si intitola «Terre» la nuova mostra della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano, spazio ticinese appartenente al circuito del Masi - Museo d'arte della Svizzera italiana, che rivolge la propria attenzione alle principali avanguardie del XX secolo, dal futurismo allo spazialismo, dall'arte povera al nouveau réalisme,senza dimenticare le tendenze neo-astrattiste e il neo-pop.
L’esposizione, in agenda fino al prossimo 6 giugno, propone una selezione di ventidue opere di pittura e scultura che spaziano dagli anni Venti al presente, accomunate da una dimensione materica, molte delle quali mai esposte in precedenza. I quattordici artisti presenti in mostra – di epoche diverse e di varia origine geografica – indagano con straordinaria varietà di esiti le qualità espressive della materia: da una pittura dominata dai colori della terra, come quella di Zoran Mušič, alle ricerche informali di ambito italiano ed europeo, fino ai materiali cosmici di Enrico Prampolini, Eliseo Mattiacci e Anselm Kiefer.
Il progetto espositivo prende le mosse proprio da un significativo gruppo di cinque dipinti del pittore e artista grafico di origini slovene Zoran Mušič (Gorizia, 1909 – Venezia, 2005): «Paesaggio senese» (1953), «Enclos primitif» (E3) (1960), «Motif végétal» (1972), «Terre d’istria» (1957) e «Terre dalmate» (1959). Queste opere testimoniano la stagione creativa che segue il trasferimento dell’artista a Parigi nel 1953, quando la sua produzione pittorica si avvicina al linguaggio dell’informale francese. Attraverso una pittura di motivi organici dalle tonalità aride che spesso sconfina oltre il figurativo, il pittore goriziano racconta un universo intimo e personale, in cui riaffiora il ricordo delle terre dell’infanzia e del vissuto dell’artista.
Nella stessa sala dialogano alcune importanti opere di tre maestri del Novecento italiano, protagonisti della stagione informale: Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), Leoncillo (Leoncillo Leonardi, Spoleto, 1915 – Roma, 1968) ed Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006). Interrogandosi sulla possibilità di rappresentare un mondo devastato a seguito della distruzione operata dai conflitti mondiali, questi autori danno vita a una ricerca che si libera dal controllo ideale e razionale dell’immagine in favore dell’espressività di elementi come sacchi di juta, ferro, legno o plastica. Di Burri è esposto un «Bianco Nero Cretto» del 1972, la cui superficie frammentata che richiama le fessurazioni delle terre argillose restituisce la sofferenza della materia esposta al processo di essiccamento; l'opera prefigura tutta la drammaticità del «Grande Cretto» (1984-89) realizzato dall’artista a Gibellina, sulle macerie della città rasa al suolo dal terremoto che, nel 1968, colpì la Valle del Belice, in Sicilia. La scultura «Senza titolo» (1960) rivela, invece, l’originale processo creativo con cui Leoncillo utilizza il gres (materiale ceramico a pasta dura), lasciando trasparire la profonda identificazione dell’autore con la materia stessa, mentre nella scultura «Per uno spazio - 29» (1987-88) di Emilio Vedova è la carica gestuale della pittura ad imporsi, andando ad inglobare a sé un altro materiale (il legno), fino a connotarlo di una qualità plastico-spaziale.
L’incontro con l’arte informale prosegue nella sezione successiva con le opere pittoriche di due dei suoi maggiori interpreti in ambito europeo: «Marrò» (1958) di Antoni Tàpies (Barcellona 1923 – 2012) e «Masque de terre» (1960) di Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 – Parigi, 1985). Entrambi esplorano l’uso di materie povere, come i detriti o la terra, mescolati alla pittura a olio, nella completa assenza di figurazione che non lascia spazio ad altro che al potere suggestivo della materia grezza. Se Dubuffet pone l'accento sull'aspetto primordiale e istintivo dell’interazione con la materia, Tàpies realizza un’opera che appare come un vero e proprio muro di terra solcato da segni e incisioni, solida presenza che ci invita ad andare oltre la materia stessa.
La mostra prosegue, al di là di ogni distinzione cronologica, con un omaggio allo scultore italiano Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947). La scultura di piccolo formato in terra refrattaria «Violoncellista» (1931 ca.) si colloca nella fase più alta della sua creazione, che egli stesso ha definito il «periodo del canto», quando riceve il primo premio per la scultura alla Prima Quadriennale di Roma (1931) ed è invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia (1932).
In dialogo con questa scultura è messa l’opera in gesso dipinto «Deux oiseaux» (1926) di Max Ernst (Brühl, Germania, 1891 – Parigi, 1976), eseguita a due anni di distanza dalla fondazione del movimento surrealista a Parigi. Con singolare inventività tecnica, Ernst elabora una raffinata composizione dove si possono distinguere vaghe forme di uccello emergenti da tessiture materiche e cromatiche eterogenee. Pur realizzata a quasi un secolo di distanza, la scultura «Belle du vent» (2003) di Rebecca Horn (Michelstadt, 1944), costituita da una coppia di elementi in pietra vulcanica azionati da un motore, suggerisce un’atmosfera altrettanto onirica e surreale. Attraverso un linguaggio simbolico, l’artista tedesca combina dispositivi meccanici e materiali organici per indagare temi quali la natura nel suo andamento ciclico, lo scorrere del tempo, l’esistenza umana. Tra gli artisti della contemporaneità, inoltre, il tedesco Markus Lüpertz (Reichenberg, 1941) e il colombiano Gabriel Sierra (San Juan Nepomuceno, 1975) – presenti in mostra rispettivamente con il dipinto «Ulysses II» (2011) e l’opera a parete «Untitled» (2014) – rivelano due distinte modalità di relazionarsi con il concetto di materia: il primo evocandolo all’interno di una dimensione prettamente pittorica, mentre il secondo assemblando oggetti tridimensionali dalla forte connotazione architettonica che vanno a sovvertire le coordinate spazio-temporali contingenti.
Il percorso si chiude con un capitolo dedicato ai materiali «cosmici». Di Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma, 1956), forse il più eclettico e originale esponente del futurismo italiano, vengono presentate quattro opere: i due celebri polimaterici «Automatismo polimaterico C» (1940) e «Automatismo polimaterico F» (1941) esprimono una visione lirica e spirituale della realtà, definita dall’artista stesso «idealismo cosmico». Attraverso l’elaborazione polimaterica, Prampolini intende proiettarsi «oltre i confini della realtà terrestre», sino ad indagare i misteri del cosmo. Se in queste opere vengono evocati i processi produttivi e i ritmi biologici della natura, nel decennio successivo prevale piuttosto la concezione della materia come inedita realtà extra-pittorica e anti-illusoria, come si può evincere dalle due opere polimateriche «Apparizioni bioplastiche» (1954) e «Composizione S6: zolfo e cobalto» (1955). Il tema del rapporto dell’uomo col cosmo contraddistingue l’intera vicenda creativa dell’artista marchigiano Eliseo Mattiacci (Cagli, 1940 – Fossombrone, 2019). L’autore stesso riferisce come sue fonti d’ispirazione «il cielo, il Cosmo, l’immensità dell’infinito».
Entrambi i lavori qui esposti, «Spazio meteoritico» (1984) ed «Esplorare» (2003), ben rappresentano l’enigmatico rigore con cui Mattiacci formula il suo universo visivo attraverso l’uso originale dei metalli, materiali «vivi» in grado di attivare scambi di energie e nuove relazioni spaziali. Di ispirazione cosmico-astronomica, infine, è anche la grande opera pittorica «Eridanus» (2004) di Anselm Kiefer (Donaueschingen, 1945): qui la sfera celeste solcata dalla geometria della costellazione dalla quale aggetta un sottomarino in piombo, mette in luce la riflessione dell’artista sul rapporto con la storia recente della nazione tedesca.
La collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano racconta così, attraverso ventidue tele e quattordici artisti, come l’arte tra il ventesimo e il ventunesimo secolo sia stata capace di evidenziare l’irrinunciabile esigenza dell’uomo di confrontarsi con la terra – nella sua accezione fisica e metafisica – luogo di origine, sviluppo e fine di ogni essere umano.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Alberto Burri, Bianco Nero Cretto, 1972, acrovinilico su cellotex, 76,5 x 101,5 cm; [fig. 2] Enrico Prampolini, Automatismo polimaterico, 1941, collage e olio su carta, 32,4 x 40,6 cm; [fig. 3] Eliseo Mattiacci, Spazio meteoritico, 1984, trucioli di bronzi diversi con meteoriti in fusione di alluminio, 157 x 237 cm; [fig. 4]  Anselm Kiefer, Eridanus, 2004, olio, emulsione acrilica, carboncino e stucco su tela con sottomarino in piombo, 190 x 280 cm; [fig. 5] Arturo Martini, «Violoncellista», 1931 circa; [fig. 6] Antoni Tàpies, Marrò, 1958 © Fundació Antoni Tàpies / 2021, ProLitteris, Zurich

Informazioni utili
Terre. Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lungolago Riva Caccia - Lugano. Orari: venerdì - domenica, ore 11.00 – 18.00. Ingresso libero. Informazioni: +41.(0)91.8157973, info@collezioneolgiati.ch. Sito internet: www.collezioneolgiati.ch | www.masilugano.ch. Fino al 6 giugno 2021

lunedì 24 maggio 2021

Dai cameo cinquecenteschi ai selfie contemporanei: in un libro di 24 Ore Cultura «L’autoritratto» nel corso dei secoli

Per secoli gli artisti hanno escogitato modi per includere sé stessi all’interno delle loro opere, disseminando tracce della propria presenza in dipinti, disegni, sculture e - in epoca più recente - film, fotografie e installazioni. Dagli antichi cameo ai selfie contemporanei sono numerosi i sistemi con cui, dal XV secolo ai giorni nostri, gli artisti hanno trattato il tema dell’autorappresentazione. A raccontarli è da qualche settimana, dall’uscita in libreria e on-line dello scorso 11 marzo, un libro a della scrittrice e curatrice Natalie Rudd, edito da 24 Ore Cultura nella collana Art Essentials, che raccoglie testi che offrono un’introduzione di prim’ordine alle idee, ai personaggi e alle opere della storia dell’arte che più hanno influenzato il nostro modo di vedere il mondo. Accanto a volumi come «50 momenti che cambiarono l’arte» di Lee Cheshire e «Le donne dell’arte» di Flavia Frigeri, il libro «L’autoritratto» di Natalie Rudd, Senior Curator dell’Arts Council Collection, prestigiosa collezione di arte moderna e contemporanea, racconta come nel corso del tempo, dal Rinascimento tra Italia e mondo fiammingo per arrivare ai nostri tempi, l’autorappresentazione continui a essere largamente praticato dagli artisti nelle sue diverse forme e amato dal pubblico per la sua capacità di illuminare un’ampia gamma di questioni universali: identità, umana fragilità, scopo dell’esistenza, mortalità.
Attraverso l’analisi di alcuni tra i più grandi capolavori della storia dell’arte, l’autrice esplora in ogni capitolo del libro l’opera di un artista diverso, proponendo una visione specifica di sessanta stili e approcci, prendendo in considerazione le varie tecniche utilizzate e i diversi modi per esprimere sé stessi.
Il viaggio si snoda partendo dal cameo di Jan van Eyck nel «Ritratto dei coniugi Arnolfini», passando per i dipinti tormentati di Francisco Goya, Vincent van Gogh, Eduard Munch e Frida Kahlo fino ad arrivare a tecniche tipiche della contemporaneità come la fotografia di Cindy Sherman, la performance di Marina Ambramović e l’installazione di Tracey Emin.
Le ragioni per cui gli artisti nel corso dei secoli hanno scelto di rappresentare sé stessi nelle loro opere sono molteplici: alcuni hanno usato sguardi rivolti all’osservatore ed espressioni criptiche per esprimere condizioni interiori, crisi profonde o rivelazioni sconvolgenti. Tanti si sono ritratti con pennello e tavolozza in mano per promuovere il loro lavoro. Altri ancora hanno, invece, esplorato il potenziale camaleontico del genere e trovato infinite possibilità di gioco, di nascondimento, di mascheramento e trasformazione.
Grande spazio viene dato nel volume alle artiste donne, che dell’autoritratto spesso hanno fatto un simbolo di espressione della condizione femminile e una rivendicazione delle proprie capacità. Nate in un contesto prettamente patriarcale, dove l’azione artistica era ad uso esclusivo dell’uomo, Artemisia Gentileschi e Sofonisba Anguissola attraverso l’autoritratto trovano la libertà di esplorare i temi dell’identità e del genere: la prima esprimendo con la pittura il suo ruolo di donna vincente, la seconda sfruttando la propria intelligenza per compiere sottili trasgressioni. Mentre Dorothea Tanning giocando con i simbolismi e gli scenari onirici della sua opera si impone a tutti gli effetti nel panorama del surrealismo, mettendosi sullo stesso piano dei suoi colleghi uomini. Infine, Zanele Muholi, giovane artista sudafricana - il cui autoritratto è anche la copertina del libro - usa la fotografia per parlare di attivismo politico e sostegno alle minoranze: grazie alle tecniche di postproduzione intensifica il nero della propria pelle, celebrandone la bellezza in risposta ai media generalisti che cercano invece di schiarire i corpi neri.
In un’epoca che si interroga più che mai sulle nozioni di identità personale, il libro approfondisce la questione centrale del perché gli artisti ritornino più e più volte all’autoritratto, illustrando come questo genere riesca a rivelare i volti mutevoli dell’individualità e dell’egoismo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cover «L’autoritratto» di Natalie Rudd; [fig. 2][fig. 2] Sofonisba Anguissola, Autoritratto al cavalletto, fine anni Cinquanta del XVI secolo. Olio su tela, 66 x 57 cm. Museum-Zamek, Lancut, Polonia; [fig. 3] Dorothea Tanning, Compleanno, 1942- Olio su tela, 102 x 65 cm, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia. Acquisizione in occasione del 125° anniversario con il contributo di C. K. Williams, II, 1999 (1999-50-1). Dorothea Tanning © ADAGP, Paris and DACS, London 2021

Informazioni utili
Titolo: L’autoritratto. Editore: 24 ORE Cultura. A cura di: Natalie Rudd. Formato: brossura 14 x 21,5 cm. Pagine: 176 pp. corredate da 100 illustrazioni. Prezzo: € 14,90. Codice ISBN: 978-88-6648-526-1. In vendita in libreria e on-line. Sito internet: www.24orecultura.com

domenica 23 maggio 2021

#Notizieinpillole n. 2: cronache d'arte della settimana dal 17 al 23 maggio 2021

Una mostra italiana, «Ulisse. L’arte e il mito», si è aggiudicato il prestigioso «Global Fine Art Awards» nella categoria «Best Ancient». La Fondazione Arnaldo Pomodoro ha messo on-line la sezione Scenografia del «Catalogue Raisonné» dell'artista. Palazzo Strozzi ha portato in libreria un volume da collezione: «La Ferita. The Wound». Palazzo Te ha pubblicato un'interessante guida tematica al suo patrimonio storico-artistico, interamente dedicata alle Veneri. In Sicilia è stato trovato un testo inedito di Gesualdo Bufalino: la sceneggiatura «Io, Franca Florio». Al Piccolo Teatro è andato in scena «Antichi maestri», una riflessione sulle arti figurative. Venezia si appresta a ospitare il festival «Lo schermo dell’arte», in programma da giovedì 27 a domenica 30 maggio. Sempre a Venezia, alla Biennale di architettura, è possibile conoscere la storia del borgo di Peccoli, un'ottima meta turistica per l'imminente estate. Queste alcune delle notizie di cui vi abbiamo parlato questa settimana sulla pagina Facebook di «Fogli d'arte» (@foglidarte).
Buona lettura!   

1. IL «LABORATORIO PECCIOLI» TRA I PROTAGONISTI DELLA BIENNALE DI ARCHITETTURA
Tra le colline della Valdera, sulla direttrice che va da Pisa a Volterra, c'è un paese che guarda al futuro, rispettoso del suo passato, di una storia fatta di antiche pievi, piccoli musei, campi coltivati di olivi, viti e alberi da frutta. Stiamo parlando di Peccioli, borgo collinare dove l’arte contemporanea e la sostenibilità giocano un ruolo di primo piano. Premiato con la Bandiera arancione, la certificazione del Touring club italiano assegnata alle località con meno di 15.000 abitanti che, oltre ad avere un patrimonio storico, culturale e ambientale di pregio, sanno valorizzare il proprio territorio in termini di accoglienza turistica di qualità, il paese toscano è pronto a farsi scoprire dai visitatori della diciassettesima edizione della Biennale di architettura di Venezia (22 maggio-21 novembre 2021). Il borgo di Peccioli sarà, infatti, tra i protagonisti del Padiglione Italia, dove andrà in scena la mostra «Comunità resilienti», curata da Alessandro Melis dello studio Heliopolis 21.
La resilienza della cittadina toscana ha un cuore verde. La storia del comune è, infatti, legata alla presenza di un grande impianto di smaltimento nella frazione di Legoli, la cui gestione, fatta di accorta partnership pubblico-privato attraverso la società Belvedere, ingoia immondizia e riversa energia, ricchezza, servizi, strutture, infrastrutture, assistenza, bellezza, cura ambientale e benessere a tutta l’Alta Valdera.
La discarica, affrescata da Sergio Staino e dagli enormi wall drawing dell’artista neoavanguardista David Tremlett – che dopo la Tate Gallery di Londra, il MoMA di New York, ha fatto capolino in queste terre con un intervento nel borgo medioevale che è nei cataloghi della storia dell’arte contemporanea – è oggetto di interventi artistici così come l’intero borgo. Nakagawa, Massimo Bartolini, Umberto Cavenago, Alberto Garuti, Federico de Leonardis, Vedovamazzei, Vittorio Corsini, Fortuyn/O’Brien, Vittorio Messina, Patrik Tuttofuoco sono solo alcuni degli artisti che hanno realizzato le loro installazioni dando vita a un vero e proprio museo all'aperto.
Il luogo è stato anche dotato di un anfiteatro, una passerella sorprendente per servizi di moda (Gucci, Prada, Fendi, Valentino, Bulgari sono solo alcuni degli stilisti che si sono fatti incantare da Peccioli) e una ribalta inedita per spettacoli di teatro e di musica. Ne sanno qualcosa Fabio Concato, Pierfrancesco Favino, Luca Zingaretti, Luca Sofri, l’orchestra del Maggio Fiorentino, Claudio Santamaria, Walter Veltroni e molti altri personaggi, intellettuali, scienziati, economisti, artisti, performer.
Ma nel borgo va in scena anche il primo esperimento al mondo di robotica sociale in un contesto reale: i robot sfilano nei vicoli medioevali, fungono da spazzini a domicilio, portano la spesa a casa, vanno in farmacia o a fare acquisti per gli anziani con difficoltà deambulatorie. Nel paese ci sono anche la casa domotica testata dai cittadini, incubatori d’impresa, spin-off accademici e centri di ricerca sull’innovazione. Tutto parla la lingua del futuro, senza dimenticare la storia.

2. ON-LINE LA SEZIONE «SCENOGRAFIA» DEL «CATALOGUE RAISONNÉ» DI ARNALDO POMODORO
Si arricchisce di un nuovo, importante capitolo il catalogo ragionato di Arnaldo Pomodoro (Morciano di Romagna, 23 giugno 1926). Dal 18 maggio è on-line la sezione relativa alla scenografia, che documenta attraverso fotografie di spettacoli, materiali progettuali, locandine, note per la messinscena e opere correlate la storia complessiva di tutti i progetti dell’artista per il teatro.
A partire dalle prime esperienze a Pesaro, all’inizio degli anni Cinquanta, sino alle scenografie realizzate nel 2014 al teatro Greco di Siracusa, nella ricorrenza del centenario dell’Inda - Istituto nazionale del dramma antico, la passione del maestro per la scena ne ha fatto uno dei protagonisti più conosciuti del teatro contemporaneo.
«Nell’organizzazione teatrale e in ciascuno spettacolo ho sempre voluto mettere in evidenza la straordinaria valenza dell’elemento visivo – ha dichiarato Arnaldo Pomodoro – […]. Per completare e arricchire il progetto scenico ho sempre dedicato grande impegno allo studio dei costumi e all’uso di ornamenti, maschere, copricapi, armature e oggetti d’uso, come ulteriori elementi visionari di grande suggestione. […] Sono convinto che la scenografia debba anzitutto arricchire di significato il testo, per amplificarne l’effetto. […] Il compito dello scenografo, infatti, è quello di ‘mediare’ visualmente il testo per un nuovo pubblico in un altro e diverso periodo storico».
Il «Catalogue Raisonné» on-line, che per l’occasione si presenta in una rinnovata veste grafica, è un progetto in progress condotto dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro sotto la supervisione dell’artista: uno strumento di consultazione immediato, gratuito, sempre aggiornato e preciso, rivolto a studiosi, istituzioni culturali e studenti, collezionisti, operatori di mercato che vogliano approfondire la conoscenza dell’opera del maestro. Dopo le sezioni dedicate a sculture, disegni, multipli e scenografia, il catalogo affronterà progressivamente tutti gli altri ambiti sperimentati dall’artista con il suo lavoro: gioielli, studi progettuali, grafiche, arti applicate.
Un’ampia sezione biografica, bibliografica e antologica consente di accedere a informazioni esatte e verificate sull’artista, a un ricchissimo apparato di immagini e a materiali documentari rari e di difficile reperibilità. È disponibile anche una sezione dedicata alle opere in collezioni pubbliche, con possibilità di collegamenti e consultazioni mirate, secondo molteplici chiavi di ricerca e di geolocalizzazione. 
Per essere sempre aggiornato il catalogo ha bisogno del contributo degli utenti: chiunque disponga di informazioni o voglia contribuire al corredo iconografico, può scrivere una e-mail a catalogueraisonne@fondazionearnaldopomodoro.it. Il catalogo può essere consultato al link: https://www.arnaldopomodoro.it/catalogue_raisonne/project/.

[Nella foto: «Un ballo in maschera», 2005. Scenografia di Arnaldo Pomodoro. Foto di Vaclav Sedy]

3. «LA FERITA» DI JR DIVENTA UN VOLUME DA COLLEZIONE 
A marzo, nei giorni del terzo lockdown dei musei, Palazzo Strozzi a Firenze cambiava volto. La facciata dell’edificio, uno dei simboli cittadini del Rinascimento, diventava palcoscenico di un intervento site specific di JR, artista contemporaneo tra i più celebri al mondo: «La Ferita. The Wound». Un collage fotografico in bianco e nero, alto 33 metri e largo 28, costruito come una anamorfosi, un gioco illusionistico, andava a comporre uno squarcio simbolico sulla parete, dal quale si intravedevano un’immaginaria sala espositiva, una biblioteca e alcune tra le opere più celebri opere del patrimonio artistico fiorentino come «La Primavera» e «La Nascita di Venere» del Botticelli e «Il ratto delle Sabine» del Giambologna. L’artista francese proponeva così una riflessione sulla difficile accessibilità ai musei, e ai luoghi della cultura in genere, durante la pandemia.
L’evento, primo appuntamento del programma Palazzo Strozzi Future Art, si arricchisce ora di un volume da collezione edito da Marsilio Editori (cartonato ricoperto, 30 x 30 cm, pp. 48, con 30 ill. a col. ISBN 978-88-297-1194-9; euro 29,00), che è stato presentato lunedì 17 maggio, alle ore 18.30, uno speciale appuntamento live, sul profilo Instagram dell’istituzione fiorentina, con l’artista e il curatore Arturo Galansino.
Attraverso una suggestiva documentazione fotografica dell’installazione, del suo work in progress e dei suoi riferimenti, il libro racconta la genesi di quest’opera così originale e significativa e la inquadra all’interno del percorso artistico di JR che a Palazzo Strozzi si è espresso con una sperimentale contaminazione con la storia dell’arte.
«Siamo orgogliosi che «La ferita» si completi con un progetto editoriale così speciale. Abbiamo curato ogni dettaglio di questo volume, e ci siamo misurati con una dimensione narrativa originale e nuova - dichiara Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi –. Fin dal suo svelamento «La ferita» ha rappresentato una grandiosa forma di ispirazione per i cittadini di Firenze e per tutto il mondo. Con questo libro abbiamo voluto sviluppare ulteriormente la sua forza con l’obiettivo di sviluppare nuove connessioni tra la parola e l’immagine».
Per informazioni: www.palazzostrozzi.org.

4. IN LIBRERIA IL VOLUME «VENERE A PALAZZO TE» DI CLAUDIA CIERI VIA 
«Palazzo Te è un luogo-scrigno che incorpora miti e metamorfosi in ogni suo angolo, un labirinto di architetture e pitture che chiede di essere non solo ammirato, ma anche decifrato, letto, ascoltato, vissuto. Nella cultura e nell’immaginario di Giulio Romano e della nobiltà rinascimentale che ha abitato e vissuto il palazzo nei momenti di festa, il mito greco, filtrato dalla letteratura latina, era vivo e capace di emozionare. Era una presenza che si animava di rimandi, di letture, di immagini e di sogni. Il mito parlava e cantava. Oggi occorre farne memoria». Così Stefano Baia Curioni, direttore di Fondazione Palazzo Te, racconta l’importanza del progetto espositivo che l’istituzione mantovana sta dedicando a Venere, dea della bellezza che nasce dall’armonia, pacificatrice del cielo e della terra.
La prima delle tre mostre in programma, «Il mito di Venere a Palazzo Te», è appena diventata un libro, edito da Tre Lune con il contributo di Gruppo Tea. Disponibile in libreria, alla biglietteria del museo e on-line sul sito www.fondazionepalazzote.it, il volume, intitolato «Venere a Palazzo Te» (16,5x24 cm, 120 pp., brossura cucita, ISBN 978-88-31904-19-3, euro 14), è scritto da Claudia Cieri Via e arricchito da un corredo di oltre centocinquanta immagini a colori.
La studiosa esplora le varie raffigurazioni della «dea delle dee» nel palazzo mantovano, le confronta con altri modelli, ne indaga la tradizione formale e iconologica, le dispiega in un racconto avvincente, colto, semplice e necessario. Venere forza generatrice della natura, dea dell’amore, consacrata dea della bellezza dal Giudizio di Paride, emerge dalle pareti e dai soffitti di Palazzo Te, il «sacrario di Venere», grazie al pennello di Giulio Romano, «erede del graziosissimo Raffaello».
Divinità archetipica nei suoi aspetti contraddittori di figura ora pudica ora erotica, la dea è narrata nelle favole antiche come legittima moglie dell’anziano Vulcano, amante di Marte, dio della guerra, coinvolta da una passione amorosa con Adone fino alla morte.
La mostra a Palazzo Te presenta al pubblico le numerose Veneri raffigurate nel museo, tra stucchi e affreschi, valorizzate da un nuovo sistema di illuminazione. Il percorso è arricchito dall’esposizione di due opere legate alla produzione di Giulio Romano in prestito dal Palazzo Ducale di Mantova: la scultura «Afrodite velata», appartenuta all’artista e fonte di ispirazione per la Venere in stucco del soffitto della Camera del Sole e della Luna, e un arazzo eseguito da tessitori fiamminghi su disegno dello stesso Giulio Romano.
Per maggiori informazioni: tinyurl.com/pwj68atm.

5. «ANTICHI MAESTRI», A TEATRO UNA RIFLESSIONE SULL’ARTE
Da oltre trent’anni, ogni due giorni, un vecchio signore, musicologo per il «Times» e appassionato d’arte, si reca al Kunsthistorisches Museum di Vienna, si siede nella Sala Bordone e si mette a osservare con attenzione maniacale un celebre quadro di Tintoretto: «Ritratto di uomo barbuto». Perché quell’uomo ha un atteggiamento tanto strano? Che cosa cerca in quel capolavoro? La bellezza? No. I difetti perché «il tutto e il perfetto non li sopportiamo», ci risponde lo scrittore Thomas Bernhard nel suo romanzo «Antichi maestri» (1985).
Penultimo libro dell’autore austriaco e ideale conclusione di una trilogia delle arti, composta da «Il soccombente» (1983), ambientato nel campo della musica, e da «A colpi d’ascia» (1984), incentrato sull’arte drammatica, «Antichi maestri» è dedicato all’arte figurativa, ma è anche il racconto di una storia d’amore: sulla panca davanti al «Ritratto di uomo barbuto», il musicologo Reger, protagonista del romanzo, ha conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie e lì, giorno dopo giorno, ne ravviva il ricordo.
In bilico tra farsa e tragedia, tra confessione testamentaria e nostalgia per un amore perduto, il romanzo, nell’adattamento scenico di Fabrizio Sinisi e con la traduzione di Anna Ruchat, va in scena fino a domenica 23 maggio al Piccolo Teatro di Milano.
Il regista Federico Tiezzi trasforma l’opera di Bernhard in un vero e proprio studio teatrale sulla funzione dell’arte, i limiti della bellezza, la nevrosi della modernità, l’angoscia della solitudine e la disperazione della marginalità.
Tutti gli «Antichi Maestri» sono nulla per Reger, impersonato da Sandro Lombardi, di fronte al ricordo moglie; in tutti il musicologo ravvisa l’errore, la mancanza di genio. In scena ci saranno anche Martino D’Amico nel ruolo di Atzbacher e Alessandro Burzotta in quello di Irrsigler. Scene e costumi portano la firma di Gregorio Zurla; le luci sono di Gianni Pollini.
«Nel romanzo – dice il regista, Federico Tiezzi - pubblicato con il sottotitolo, non trascurabile, di Commedia, Bernhard, tra esilaranti elucubrazioni e ciniche invettive contro il mondo dell’arte, la città di Vienna e i suoi abitanti, innesca un feroce divertissement che si snoda su una pluralità di punti di vista, nel contempo farseschi e pessimistici, verso quello che lo scrittore austriaco considera simbolo dell’ipocrisia per eccellenza: l’essere umano». Antichi Maestri sarà in scena dal martedì al sabato, alle ore 1:30, la domenica, alle ore 16:00. Il costo del biglietto è fissato a euro 33,00 per la platea ed euro 26,00 per la balconata.
Informazioni su www.piccoloteatro.org

[Le immagini sono di Luca Manfrini]

6. ASSEGNATO A «ULISSE. L’ARTE E IL MITO» IL GLOBAL FINE ART AWARDS NELLA CATEGORIA BEST ANCIENT 
A due soli anni di distanza dalla vittoria del «Global Fine Art Awards» con «L'Eterno e il Tempo», nella categoria «Best Renaissance, Baroque, Old Masters», le grandi mostre forlivesi tornano sul podio del prestigioso premio americano.
Nella giornata di martedì 18 maggio, in diretta streaming da New York e Parigi, la mostra «Ulisse. L’arte e il mito» si è, infatti, aggiudicata il premio nella categoria «Best Ancient» della settima edizione del concorso, superando il British Museum di Londra, il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, il Metropolitan Museum of Art di New York, il Louvre di Abu Dhabi, il Museu d’Arqueologia de Catalunya di Barcellona.
Il riconoscimento ha premiato nel contempo lo straordinario lavoro svolto continuativamente per sedici anni dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì ai Musei San Domenico, sotto il coordinamento e la guida di Gianfranco Brunelli, e il taglio particolarmente innovativo della mostra su Ulisse, che, pur senza rinunciare al rigore e all’approfondimento tematico, ha saputo coinvolgere il pubblico di tutte le età con numerosi inserti di natura multimediale.
Il prestigioso premio ha confermato, inoltre, la qualità e il valore delle grandi mostre forlivesi a livello mondiale, proprio mentre ai Musei San Domenico è in corso un’importante rassegna dedicata a Dante Alighieri, in occasione delle celebrazioni per il settimo anniversario della sua morte, che offre una rilettura della figura del «Sommo poeta» e della sua opera attraverso le immagini che lo hanno reso celebre in tutto il mondo in un arco temporale che va dal Duecento al Novecento.

7. DEBUTTA AL MIA FAIR IL PREMIO «ESPLORARE GAVI - IMMAGINI D'AUTORE DAL PIEMONTE» 
Esporrà in una cornice prestigiosa come il Mia - Milan Image Art Fair il vincitore della prima edizione di «Esplorare Gavi - Immagini d'autore dal Piemonte», il premio fotografico per professionisti e artisti della fotografia promosso dal Consorzio tutela del Gavi, il grande vino bianco piemontese.
Per partecipare al concorso, promosso con i patrocini di Enit - Agenzia nazionale del turismo e GAI-Giovani artisti italiani, c‘è tempo fino al 31 agosto. Gli interessati devono inviare un progetto composto da cinque a dieci immagini, che racconti il variegato paesaggio del Gavi - terra di confine tra Piemonte e Liguria ricca di bellezze paesaggistiche, architettoniche e umane -, ma che documenti anche i suoi caratteri distintivi, i suoi landmark e i suoi protagonisti. Le modalità narrative considerate sono la fotografia di paesaggio, lo still-life e la ritrattistica.
I lavori saranno selezionati da una giuria composta, tra gli altri, da Fabio Castelli, fondatore e co-direttore di Mia Fair, dai curatori Roberto Mutti e Denis Curti, e da Antonio Carloni, direttore del festival Cortona On The Move.
L'autore degli scatti vincitori non solo esporrà alla fiera milanese, in programma dal 7 al 10 ottobre, ma si aggiudicherà anche l'incarico di realizzare, nella primavera-estate 2022, un servizio fotografico nel territorio del Gavi del valore di € 4.880 lordi, oltre al rimborso delle spese di viaggio e permanenza.
Informazioni e modalità di partecipazione al link www.consorziogavi.com/esplorare-gavi/.


8. «IO, FRANCA FLORIO»: RITROVATA UNA SCENEGGIATURA INEDITA DI GESUALDO BUFALINO 
A consegnare la sua figura alla memoria del tempo» è stata la pennellata rapida ed eccentrica di Giovanni Boldini. Ma donna Franca Florio, altrimenti nota come la «regina di Sicilia» o «la stella d’Italia», suggestionò la fantasia di più di un intellettuale del suo tempo, a partire da Gabriele D’Annunzio. Alla nobildonna palermitana, una delle esponenti di maggiore rilievo della Belle Époque siciliana, guardò anche Gesualdo Bufalino, come documenta un inedito appena ritrovato fra le sue carte.
Non si tratta di un testo di narrativa, ma di una sceneggiatura commissionata allo scrittore tra il 1993 e il 1994 da Edward R. Pressman, produttore cinematografico americano, conosciuto soprattutto per il film «Wall Street» di Oliver Stone, con Michael Douglas premio Oscar come miglior attore protagonista. Il copione, un dattiloscritto con correzioni a mano e varianti applicate con lo scotch dallo stesso autore, reca come titolo: «Io, Franca Florio». Interlocutore dello scrittore fu Alessandro Camon, figlio di Ferdinando, sceneggiatore, che si era trasferito a Hollywood come produttore esecutivo.
Il soggetto della sceneggiatura è il racconto della straordinaria vita di Franca Florio, donna bellissima, simbolo di un mondo fatto di eleganza e opulenza. Sposata con Ignazio Florio, Franca fu vittima di un destino senza pietà, prima per la morte precoce dei figli, poi per il tracollo economico della famiglia, infine per il suo lungo sopravvivere, postuma di se stessa, in un tempo che ne aveva quasi dimenticato il nome.
Con «Io, Franca Florio» - che in base a un appunto del ’95 l’autore voleva inserire nel secondo volume delle «Opere», edito da Bompiani, dandogli così un autonomo valore letterario - Gesualdo Bufalino non era alla sua prima prova di sceneggiatore. Tra il 1988 e il 1989 lo scrittore comisano aveva, infatti, collaborato da consulente con Sandro Bolchi e Lucio Mandarà all’adattamento per la tv del romanzo di De Roberto «I Viceré» e, successivamente, aveva scritto un «timido abbozzo» di una sceneggiatura tratto dal suo romanzo «Argo il cieco».

9. «LO SCHERMO DELL’ARTE», CINEMA D'AUTORE A VENEZIA 
«Lo schermo dell’arte», film festival fiorentino diretto da Silvia Lucchesi, ritorna a Venezia e riapre il teatrino di Palazzo Grassi. L’appuntamento, in programma da giovedì 27 a domenica 30 maggio, prevede la proiezione di quindici titoli in lingua originale, con sottotitoli in italiano, firmati da importanti video-artisti e filmmaker internazionali. In ogni giornata saranno a disposizione quattro sessioni di proiezioni, accessibili su prenotazione obbligatoria sul sito www.palazzograssi.it.
Giovedì 27 maggio si partirà con «Szeemann and Lenin Crossing the Alps» di Rudolf Herz (Germania, 2019, 18’ 46’’), un ritratto inedito e intenso del celebre curatore e critico d’arte svizzero Harald Szeemann (1945 – 1980), scomparso nel 2005. A seguire, è in programma il film dell’artista palestinese Emily Jacir, «Letter to a friend» (Palestina, 2019, 43’), che lancia un appello al gruppo di ricerca inglese Forensic Architecture affinché conduca delle indagini sulla strada di Betlemme in cui la famiglia dell’artista vive da anni. Ci sarà, poi, «Recoding Art» (Brasile, 2019, 15’) di Bruno Moreschi e Gabriel Pereira, che mette in scena un singolare esperimento, invitando sette diverse tipologie di intelligenze artificiali a reinterpretare alcune opere del Van Abbemuseum di Eindhoven. La giornata si concluderà con «Spit Earth: Who Is Jordan Wolfson? » (Stati Uniti, 2020, 55’) di James Crump, su una serie di questioni che riguardano la società contemporanea: omofobia, misoginia, razzismo, nazionalismo, antisemitismo e violenza.
Venerdì 28 maggio si inizierà con «De Oylem iz a Goylem» di Omer Fast (Austria, Germania, 2019, 24’) con una serie di riflessioni sul nostro sistema di credenze. Sarà, poi, il momento di «The Sculpture» dell’artista taiwanese Musquiqui Chihying (Taiwan, 2020, 28’), sulla vicenda Xie Yanshen, collezionista e filantropo cinese, nonché direttore del Museo internazionale privato di arte africana a Lomé, in Togo. A chiudere la giornata sarà «Aalto» di Virpi Suutari (Finlandia, 2020, 103’), un omaggio al grande architetto scandinavo condotto attraverso l’intenso scambio epistolare tenuto con la prima moglie, Aino.
Sabato 29 maggio si inizierà con «Bustrofedico» di Anna Franceschini (Italia, 2019, 14’ 47’’), realizzato per il finissage del Padiglione Italia alla Biennale d’Arte 2019. Si proseguirà con «History of a Tree» di Flatform (Italia, 2020, 24’), la storia della quercia vallonea più antica d’Europa, sita a Tricase, in provincia di Lecce, sotto la cui chioma in quasi un millennio di vita hanno trovato riparo donne e uomini di passaggio. Successivamente, verranno proiettati «Becoming Alluvium» di Thao Nguyen Phan (Spagna, Vietnam, 2019, 16’40’’), «Three Works for Piano» di Dani Gal (Germania, 2020, 34’) e «#JR» di Serge July e Daniel Ablin (Francia, 2018, 52’), il documentario dedicato all’artista francese che con le sue fotografie di dimensioni colossali coinvolge diverse popolazioni incontrate in tutto il mondo nella convinzione che l’arte possa offrire un contributo fondamentale per cambiare le cose.
Domenica 30 maggio si inizierà con «Haunting» di John Menick (Stati Uniti, 2020, 32’) che conduce il pubblico nel cuore della storia del cinema horror. Si proseguirà con «Kala Azar» (Paesi Bassi, Grecia, 2020, 91’), il primo lungometraggio dell’artista greca Janis Rafa. Infine, verrà proiettato «Keith Haring: Street Art Boy» di Ben Anthony (Regno Unito, 2020, 53’), un salto nella scena culturale newyorkese degli anni Ottanta, tra new wave, rap e graffiti.
Per maggiori informazioni: www.palazzograssi.it.

sabato 22 maggio 2021

#Notizie in pillole n. 1: cronache d'arte della settimana dal 17 al 23 maggio 2021

Dal nuovo museo Dante di Ravenna al murales «La Costituzione più bella del mondo» disegnato da Greg Jager  per il quartiere Garbatella di Roma, passando per il nuovo servizio di dog-sitting dell'Istituzione Bologna Musei: di seguito una selezione delle #notizieinpillole pubblicate nella settimana da lunedì 17 a domenica 23 maggio sulla pagina Facebook di «Fogli d'arte» (@foglidarte).
Buona lettura! 

1. A RAVENNA APRE IL NUOVO MUSEO DANTE
Ogni centenario rinnova la memoria di Dante Alighieri a Ravenna, la città dove lo scrittore trascorse, in esilio, gli ultimi anni della sua vita e dove sono conservate le sue spoglie mortali. Se in occasione del seicentenario dalla morte, la città romagnola aveva inaugurato, nella giornata dell’11 settembre 1921, il museo dantesco, ideato dall'architetto Ambrogio Annoni (allora Sovrintendente di Ravenna) e da Corrado Ricci nel complesso conventuale francescano, cento anni dopo quello spazio, a pochi passi dalla tomba del «Sommo poeta», indossa un abito di fresca fattura.
In occasione del settimo centenario dalla morte, domenica 16 maggio ha aperto le porte il nuovo Museo Dante. Articolato in nove sale, per complessivi trecento e settantacinque metri quadri, lo spazio accoglie numerosi e preziosi oggetti storici oltre a quattrocento immagini e duecentocinquanta testi, avvalendosi di un allestimento contemporaneo e fruibile, che utilizza nuovi linguaggi per dare conto della Commedia e del lascito dantesco.
Un gioco di proiezioni video e innografiche su plexiglass corredate da una cronologia biografica sulla vita e sull’opera del poeta, ma anche sull’Italia dell’XI e del XII secolo, apre il percorso espositivo, che accoglie, tra l'altro, la cassetta dove furono rinvenute le ossa del poeta nel 1865, l’arca di cristallo dove le stesse ossa furono esposte in occasione del sesto centenario dalla nascita, cimeli provenienti da tutto il mondo e tre gigantesche riproduzioni del volto di Dante realizzate da Enrico Pazzi, Angelo Biancini ed Ettore Ximenes. Infine, le ultime tre sale conducono il visitatore in un viaggio immersivo attraverso «Inferno», «Purgatorio» e «Paradiso»: una voce narrante ne recita i passi più importanti accompagnati da animazioni fluttuanti (con immagini provenienti dal patrimonio della Biblioteca Classense), ombre e luci.
Il Museo Dante si inserisce in una nuova lettura della zona dantesca, che con il recente restauro della tomba, la futura Casa Dante e altri interventi si configura come parte centrale di un’operazione complessiva di valorizzazione e di innovazione nell’ambito delle celebrazioni del settimo centenario. Attualmente è in corso il restauro conservativo della cancellata in ferro battuto che dà accesso al Quadrarco di Braccioforte, accanto alla tomba di Dante, realizzata dal veneziano Umberto Bellotto in occasione celebrazioni dantesche del 1921.
Il museo sarà aperto, previa prenotazione telefonica al numero 0544.215676 o tramite e-mail all’indirizzo museodanteravenna@ravennantica.org, con i seguenti orari: dal martedì alla domenica e nei giorni festivi dalle ore 10:00 alle ore 17:30; dall’1° novembre al 31 marzo il museo chiuderà un’ora prima, ovvero alle ore 16:30. È previsto un biglietto di ingresso del valore di 3,00 euro per l’intero e 2,00 euro per il ridotto.
Per informazioni: www.vivadante.it.

2. AL MUSEO CON IL CANE? A BOLOGNA C'È IL NUOVO SERVIZIO DI DOG-SITTING
Si chiama «Dogs and Museum» il nuovo servizio che l'Istituzione Bologna Musei offre ai suoi visitatori grazie a un accordo siglato con Bauadvisor, nuovo portale di comunicazione e servizi globali e innovativi dedicato al mondo dei cani e dei loro proprietari.
L'offerta, per il momento inedita in Italia, si propone di intercettare nuove fasce di pubblico, ma anche di rispondere a un'esigenza sempre più diffusa tra gli amanti della cultura, che non vogliono abbandonare il proprio amico a quattro zampe tra le mura di casa (o in una stanza d'albergo) per visitare una mostra o una collezione museale.
Il servizio è disponibile, dallo scorso 18 maggio, su prenotazione attraverso il portale www.bauadvisor.it o la relativa App. A prenotazione effettuata, «dog-sitter professionisti - assicurano dall'Istituzione Bologna Musei - saranno pronti per accogliere il visitatore davanti all'ingresso della sede museale indicata e prendere in consegna temporanea l'amico Fido, per farlo passeggiare e divertire nelle aree a verde vicine al museo, facendolo poi riabbracciare dal suo proprietario direttamente davanti al museo alla fine della sua visita».
L'intesa con Bauadvisor per promuovere una sensibilità pet-friendly anche nella sfera dei consumi culturali non si ferma al solo dog-sitting. Per l'occasione l'Istituzione Bologna Musei ha, infatti, sviluppato i primi percorsi tematici dedicati a proprietari e appassionati di cani.
Studiati per illustrare la storia del rapporto tra l’uomo e il suo più fedele amico nel corso dei secoli, dall’antichità fino all’epoca moderna, tra raffigurazioni e significati simbolici, questi nuovi itinerari propongono una narrazione ricca e articolata che attraversa le collezioni di nove musei: Museo civico archeologico, Collezioni comunali d'arte, Museo civico medievale, Museo Davia Bargellini, Museo internazionale e biblioteca della musica, Museo civico del Risorgimento, Museo del patrimonio industriale, Mambo e Museo e Casa Morandi.
Le opere selezionate per i percorsi di visita dog-friendly saranno facilmente riconoscibili grazie alla presenza di supporti di comunicazione contrassegnati dall'icona di un cane ideata e disegnata da Maria Elena Canè, restauratrice del Museo civico archeologico, sede espositiva che ha anche ideato il volumetto «Una antica amicizia», disponibile gratuitamente per tutti i visitatori che ne faranno richiesta in biglietteria. Si tratta di un viaggio in venti tappe alla scoperta del cane compagno fidato, ma anche prezioso aiuto per la guardia, la difesa del territorio, la pastorizia, la caccia e la guerra.
Tra le curiosità, si segnala, inoltre, il motivo che ha portato all'inserimento del Museo Morandi nel circuito. Il tutto è legato a un episodio che coinvolse l'artista e il suo cane, a pochi passi dalla casa di via Fondazza 36. Ce lo racconta Carlo Zucchini, garante della donazione morandiana al Comune di Bologna, nel volume «Una straordinaria normalità» (Corraini Edizioni, Mantova 2017): «Morandi dava del lei a tutti, anche al suo cane. L'ho sentito dirgli, sotto i portici della Fondazza, 'Lei stia attento a non andare tra le gambe dei passanti'». La svolta pet friendly dell'Istituzione Bologna Musei offre così l'occasione per suscitare nuovo interesse vero spazio della memoria di grande fascino come l’abitazione in cui l’artista visse e lavorò per quasi tutta la vita e in cui è possibile vedere la ricostruzione del suo studio negli ambienti originali, con gli oggetti protagonisti delle nature morte, i pennelli, il cavalletto e i materiali di lavoro.
Per maggiori informazioni: www.bauadvisor.it | www.museibologna.it

[Nelle foto: 1. Lavinia Fontana (attr.), Ritratto di Bianca Cappello. Olio su tela, 1585 ca.. Bologna, Collezioni comunali; 2. Pelagio Palagi (1775-1860), Diana cacciatrice. Olio su tela, 1830 ca.. Bologna, Collezioni comunali; [fig. 3] Rhyton (boccale) apulo a testa di cane. Terracotta, III sec. a.C. (Collezione greca). Il boccale a forma di corno può terminare con la testa di diversi animali, in questo caso di cane di Melita. Bologna, Museo civico archeologico]

3. IL POLITTICO GRIFFONI RIMANE «PER SEMPRE» A BOLOGNA
È diventato nel corso dei secoli un vero puzzle da ricomporre. Stiamo parlando del Polittico Griffoni, maestosa pala d’altare dedicata a San Vincenzo Ferrer commissionata intorno al 1470-1472 al ferrarese Francesco del Cossa – artista già attivo in quegli anni nel capoluogo emiliano – per la cappella Griffoni nella Basilica di San Petronio a Bologna. Alla realizzazione dell’opera, smembrata nel 1725 per volere dell’ambizioso cardinale Pompeo Aldrovandi e immessa nel mercato antiquario in lotti separati, partecipò anche il giovane e molto promettente Ercole de’ Roberti.
Dopo trecento anni dallo smembramento, le sedici tavole originali che componevano il polittico, «uno dei monumenti perduti e ritrovati del Rinascimento bolognese», sono tornate nella città felsinea, grazie al prestito di nove musei internazionali, per una mostra a Palazzo Fava.
A tre mesi dalla chiusura dell’esposizione, una copia dell’opera è entrata a far parte della collezione permanente di Palazzo Pepoli, il museo che racconta la storia di Bologna. Per l’occasione è stato pubblicato anche il volume «Il Polittico Griffoni. Un dono per la città», a cura di Mauro Natale, edito da Minerva Editore: riassunto di un lungo viaggio di studio e scoperta, iniziato nel 2012, per iniziativa dell’architetto Roberto Terra, nell’ambito del restauro architettonico della cappella di San Vincenzo Ferrer, che in origine ospitava l’opera, e chiuso con un convegno internazionale nell'ottobre 2020.
Collocato a Palazzo Pepoli nella Sala del sacro, che già ospita le testimonianze dell’antico culto cittadino alla Beata Vergine di San Luca, il facsimile del polittico è stato realizzato da Factum Foundation di Adam Lowe, con la scansione e la stampa 3D ad alta risoluzione, la ricostruzione digitale e il ritocco a mano delle dorature. La copia del Polittico Griffoni per i prossimi cinque anni tornerà nella Basilica di San Petronio nel mese di ottobre, in occasione delle celebrazioni per la festa del patrono.
In occasione della riapertura al pubblico, Palazzo Pepoli ha presentato anche un nuovo percorso che accoglie i visitatori dal civico 10 di via Castiglione, porta di accesso anche al nuovo Caffè storico Pepoli, di prossima apertura. Il pubblico viene accolto da un viaggio in tre tappe chiamato «Passato, presente e futuro. Il percorso degli specchi». Sulla scia del percorso museale, il viaggio parte da 2500 anni fa. Il primo specchio – una lastra di bronzo lucidata – ci insegna come doveva essere l’esperienza di specchiarsi al tempo degli etruschi. Lo step successivo è dedicato al presente: uno specchio a figura intera pone il visitatore al centro della scena, rendendolo protagonista. Infine, si trova la porta sul futuro, uno specchio digitale che porterà il pubblico a interagire con l’universo dei musei di Genus Bononiae e a conoscere il «padrone di casa» Taddeo Pepoli. Al progetto di riallestimento, studiato da Mattia Roncaglione, ha collaborato anche la calligrafa Barbara Calzolari, che firma le scritte da lei dipinte a mano su vetro in triplo spessore di vernice e dipinte a rovescio, come vuole l’antica tecnica del sign painting, appresa negli Stati Uniti.
Per informazioni: https://genusbononiae.it/palazzi/palazzo-pepoli/.

4. «Il GIOVANE MOZART TORNA A VERONA» CON UNA MOSTRA
Nel XVIII secolo Verona, dove c'era un’importante Accademia filarmonica, era una tappa fondamentale per il completamento della formazione e l’affermazione di un musicista. Lo sapeva bene il padre di Wolfgang Amadeus Mozart, Leopold, che portò il figlio appena tredicenne nella città veneta. Erano le settimane a cavallo tra 1769 e il 1770 e il giovane musicista rimase incantato dall'Arena, dal Museo lapidario fondato dal marchese Scipione Maffei (primo esempio di museo di epigrafi greche e romane in Europa) e dal bellissimo Giardino Giusti. Questa storia rivive nel video «Il giovane Mozart torna a Verona», che è stato presentato in anteprima streaming, sui canali Facebook e YouTube della Fondazione Cariverona, nella serata di martedì 18 maggio, alle ore 20:30, in occasione della Giornata internazionale dei musei.
Realizzato per l'arrivo in città del celebre dipinto «Ritratto del giovane W.A. Mozart all’età di 13 anni», opera su tela attribuita al pittore veronese Giambettino Cignaroli, il filmato si configura come un video racconto che, sulle note del quartetto d’archi «Venethos Ensemble», mostra i luoghi di Verona che videro il talentuoso musicista nelle vesti di turista, ma anche di concertista. Il 5 gennaio 1770 il salisburghese si esibì, infatti, nella prestigiosa Sala Maffeiana, ospite dell’Accademia filarmonica.
Il video, per la regia di Daniele de Plano, presenta, inoltre, il dipinto «Ritratto del giovane W.A. Mozart all’età di 13 anni», recentemente acquisito da un collezionista privato straniero, alla casa d’aste Christie's di Parigi, e collocato fino a settembre nell’iconica Galleria delle sculture al Museo di Castelvecchio, di fronte alla statua di Santa Cecilia, patrona della musica, nell’ambito della rassegna «Ospiti fuori dal Comune».
Come ci informa Leopold Mozart, in una breve annotazione presente in una lettera inviata alla moglie il 7 gennaio 1770, fu Pietro Lugiati, funzionario della Repubblica di Venezia, a insistere per la realizzazione di quella che è forse una delle immagini più celebri della storia della musica. L'opera rimase nella residenza del notabile veneziano fino alla sua morte, per poi passare nel 1788 all’Accademia filarmonica, dove fu conservata almeno fino al 1856, quando venne acquistata dal collezionista viennese Leopold von Sonnleithner. Nei primi decenni del secolo scorso il dipinto entrò, quindi, nella collezione privata del celebre pianista Alfred Cortot e, con l'asta del 27 novembre 2019, è stato acquisito da un collezionista privato asiatico, che lo ha prestata a Verona in occasione del 251esimo anniversario del primo viaggio mozartiano in Italia.
Sotto il profilo iconografico il ritratto è ricco di messaggi impliciti che, in ogni dettaglio, conservano informazioni e notizie storiche legate alla permanenza del genio salisburghese in città, quasi come una vera foto ricordo.
Informazioni su museodicastelvecchio.comune.verona.it.

5. AL FONDACO DEI TEDESCHI VA IN SCENA «SECOND ACT». MAARTEN BAAS RACCONTA A VENEZIA IL TEATRO DELLA PANDEMIA
«Era, ed è tuttora, un periodo di incertezza e paura. Le persone non sanno come reagire, cosa aspettarsi e quale sarà la nuova realtà con cui dovremo fare i conti. È difficile fare una dichiarazione sul tempo che stiamo vivendo senza poter guardare oltre una settimana. È per questo che ho voluto paragonare il tempo alla suspense di uno spettacolo teatrale: quando si aprirà il sipario cosa vedremo?» Così Maarten Baas presenta l’installazione site-specific «Second Act» (dalle ore 10:00 alle ore 18.30; entrata gratuita), in programma a Venezia, negli spazi del Fondaco dei Tedeschi, dal 20 maggio al 21 novembre, nei giorni della diciannovesima edizione della Biennale d'architettura.
ideata assieme allo scenografo Theun Mosk, l'opera mette in scena quattro lunghi sipari, sospesi nella corte interna dell’edificio veneziano, per secoli uno dei luoghi di scambio commerciale tra Occidente e Oriente più significativi della città, oggi primo lifestyle department store di DFS Group in Europa. Lo spettatore non conosce la trama di ciò che si nasconde dietro i lunghi teli; partecipa a un’esperienza dall’epilogo incerto, così come è stata incerta la nostra vita in questo periodo di pandemia.
Il Padiglione al quarto piano del Fondaco ospita, invece, «Sweepers», parte della famosa serie «Real-Time Clocks». Sempre ispirato al mondo del teatro, l’artista ha immaginato anche un’installazione per la riva d’acqua del Fondaco, composta da venti schermi disposti secondo un angolo di 45 gradi. Su ognuno di essi scorrono i titoli di tutte le opere annullate o rimandate nel mondo durante il periodo di chiusura dei teatri. «Le opere cancellate, come gocce di pioggia cadute dal cielo, danno un’idea della quantità di tutto ciò che non è accaduto durante l’anno», sottolinea Maarten Baas. 

6. A ROMA «LA COSTITUZIONE PIÙ BELLA DEL MONDO» DIVENTA UN MURALES
Dalla centralità del lavoro ai diritti inviolabili dell'uomo, dalla laicità dello Stato al valore della cultura e della ricerca scientifica, fino alla tutela del patrimonio ambientale e artistico: sono questi i temi al centro dei primi dodici articoli della Costituzione della Repubblica italiana. L’artista Greg Jager li ha trasformati in altrettanti simboli per un wall painting, che da qualche giorno orna la facciata di un edificio abitativo di proprietà di Ater, situato in via Adorno Gerolamo, nel quartiere Garbatella a Roma.
«La Costituzione più bella del mondo, 12 principi costituzionali disegnati bene» è il titolo del progetto, che nasce da un’idea di Paola Manfroni e Giampiero Quaini, rispettivamente direttrice creativa e head of design di Marimo Brandlife Designers, con Federica Micale, psicologa della comunicazione, e in collaborazione con la Fondazione Pastificio Cerere.
L’intento è quello di portare la Carta costituzionale - grazie a un linguaggio immediato come quello della street art, capace di trasferire a tutti con forza i principi fondanti della nostra convivenza civile – nello spazio quotidiano delle persone, nei luoghi in cui vivono, sia fisici che virtuali.
Il murale, con il quale si festeggiano anche i cento anni del quartiere Garbatella, è parte di più ampio progetto «La Costituzione più bella del mondo», nato nel 2020, con il quale si vuole aprire una stagione di traduzione visiva delle norme e dei valori che regolano la nostra vita collettiva, perché diventino patrimonio comune diffuso e possano godere della forza che solo i simboli sanno sprigionare. «Fin dall’inizio – sottolineano Manfroni, Quaini e Micale - lo abbiamo sognato sui muri. I principi fondamentali della Costituzione devono avere lo spazio che in passato è stato attribuito agli eroi. È questo il segno di una nuova civiltà, dove eroi siamo tutti noi che siamo stati capaci di darci valori e regole di pace, equità e bellezza».
Per maggiori informazioni: designforsocialimpact.marimo.it/ 

[Foto di Giorgio Benni]

7. «THE MORAL OF THE HISTORY», UNA FAVOLA DI MARMO IN PIAZZA LIBERTY A MILANO
È una favola in marmo quella che la Fondazione Henraux inaugura giovedì 20 maggio a Milano, nello spazio pubblico dell’anfiteatro di Apple piazza Liberty, per rimanere poi visibile fino al 20 settembre, con accesso libero e senza limiti di orari.
Protagonista dell’intervento, per la curatela di Edoardo Bonaspetti, è l’artista franco-algerino Neïl Beloufa (Parigi, 1985), attualmente protagonista anche di una personale al Pirelli HangarBicocca, a cura di Roberta Tenconi.
Il progetto, intitolato «The Moral of the Story», è composto da quattro installazioni decorate con bassorilievi e intarsi di marmi policromi che raffigurano i capitoli di una storia scritta dallo stesso artista, nella quale un cammello, delle volpi e una colonia di formiche affrontano una serie di disavventure rintracciabili sulle superfici marmoree delle postazioni, disposte in ordine non cronologico.
«L’esito – si legge nella nota stampa - è un gioco tra realtà e finzione in cui è il visitatore stesso a connettere forme, storie e idee […]. L’utilizzo delle scanalature dei bassorilievi per rendere ‘disfunzionali’ le superfici dei tavoli e di campiture di colori che confondono i contorni delle figure rappresentate, sono tutte azioni che ci spingono a decidere cosa vedere o riconoscere».
I vari capitoli della favola possono essere esplorati anche attraverso smartphone grazie a codici QR che rimandano a una voce narrante e a illustrazioni. L’artista altera così le relazioni di potere tra autore e pubblico, tra oggetto e opera, innescando nuove letture.
Per ulteriori informazioni: www.fondazionehenraux.it.

[Nella foto: Neïl Beloufa, The Moral of the Story, 2021. Courtesy the artist and Fondazione Henraux. Ph: Nicola Gnesi]

8. DA PIERO DELLA FRANCESCA AL MERLETTO DELLE SORELLE MARCELLI, SANSEPOLCRO RIAPRE IL SUO MUSEO DIFFUSO
Tutto fa credere che anche l’estate del 2021 sarà all’insegna del turismo di prossimità, un modo per contenere la diffusione di nuove varianti del Coronavirus e supportare i lavoratori di uno tra i settori più funestati dalla crisi sanitaria. Scoprire o tornare a visitare luoghi vicini a casa, magari grazie a visite guidate, sarà, dunque, uno dei trend della prossima stagione vacanziera.
In occasione della Giornata internazionale dei musei, in programma martedì 18 maggio, Sansepolcro, borgo ai piedi dell’Appennino toscano e sulle rive del Tevere, torna riapre il suo Museo diffuso, molto apprezzato l’anno scorso. Dal 22 maggio, ogni sabato fino a settembre, i professionisti del Centro guide di Arezzo accompagneranno i visitatori alla scoperta della cittadina toscana, nel cuore della Valtiberina, conosciuta per aver dato i natali a Piero della Francesca.
Tra le strette vie, i palazzi nobiliari e le numerose chiese, i tour in italiano e inglese condurranno i visitatori a scoprire le origini leggendarie del borgo, che parlano di una «Novella Gerusalemme», e a farsi sorprendere dai segni di un Rinascimento glorioso, tra Fra’ Luca Bartolomeo de Pacioli, detto anche Paciolo, Franco Alessandrini, Giulio Gambassi, Gastone Lanfredini, Francesco D'Amore e Stefano Camaiti.
Tra le vie del borgo, che a settembre si animano con rievocazioni rinascimentali, è nata anche l’arte del merletto, con le sorelle Adele e Ginna Marcelli, la cui trina a spilli ancora oggi è famosa nel mondo. Le visite permetteranno di conoscere questo aspetto della città e tante altre curiosità grazie all’intervento dei biturgensi che racconteranno, ai turisti e ai loro concittadini, leggende tramandate di generazione in generazione.
Tra le mete da visitare ci sarà anche il Museo civico, dove è appena stata inaugurata una mostra su Frida Khalo, che ne ricostruisce la vita attraverso un centinaio di scatti fotografici, per la maggior parte originali, andando alla ricerca delle motivazioni che hanno trasformato l’artista messicana in un’icona femminile e pop a livello internazionale.
Tutte le informazioni su www.comune.sansepolcro.ar.it.

[Nella foto: «Ultima cena» illuminata. Copia a grandezza naturale dall'omonimo opera di Leonardo Da Vinci. Spazio Bernardini-Fatti | Museo della vetrata - Sansepolcro (Arezzo)]

9. «LA FORMA DEL TEMPO», UN CICLO DI CONVERSAZIONI ON-LINE PER LA NUOVA MOSTRA DEL MUSEO POLDI PEZZOLI
Si è aperto con Lavinia Fontana il ciclo di incontri promosso dal Museo Poldi Pezzoli di Milano in occasione della mostra «La forma del tempo», un percorso dal Medioevo alla Rivoluzione scientifica attraverso una trentina di opere tra orologi, sculture, codici e dipinti, che raccontano il rapporto dell’uomo con lo scorrere dei giorni.
Lunedì 17 maggio, alle ore 21.00, la conservatrice della casa-museo milanese ha presentato su Zoom l'esposizione, guidando il pubblico lungo il percorso espositivo grazie a riprese virtuali in 3D e commentando le opere principali. In un vero e proprio «viaggio nel tempo» si è potuto scoprire la storia dell’evoluzione tecnologica degli orologi, parlando anche di meridiani e pendoli, e il suo intreccio con le immagini ideate per dare forma all’«attimo fuggente», al memento mori e alle varie età dell’uomo (la giovinezza, la maturità e la vecchiaia). Tra le opere esposte ci sono l’originalissima «Allegoria del Tempo e della Prudenza» di Tiziano, proveniente dalla National Gallery di Londra, e l'«Allegoria della Nemesis (?)» di Andrea Previati, prestata dalle Gallerie dell'Accademia di Venezia.
Si è, quindi,andati alla scoperta degli orologi notturni, che permettevano di leggere l’ora al buio, rarissime meraviglie dell’arte barocca create nella Roma berniniana dai fratelli Campani, geniali orologiai al servizio di papa Alessandro VII Chigi. I loro quadranti sono decorati con «Allegorie del tempo» da grandi pittori come Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio, Francesco Trevisiani, Giacinto Giminiani, Filippo Lauri, Ciro Ferri, Domenico Piola e Andrea Scacciati.
Il ciclo di incontri, sempre in programma alle ore 21, proseguirà giovedì 17 giugno con «Il tempo per la fisica», una conferenza a cura di Guido Tonelli dell'Università di Pisa. Lunedì 21 giugno Claudia Cieri Via, docente di Storia della critica d’arte all’Università «La Sapienza» di Roma, terrà un incontro dal titolo «Col tempo. Le immagini di un concetto astratto che si fa figura». Lunedì 6 settembre sarà la volta di «Pittori e quadranti. La pittura barocca nelle mostre degli orologi notturni», un appuntamento con Francesco Ceretti dell’Università degli studi di Udine. Lunedì 20 settembre si parlerà, infine, di «Filosofia del Tempo» con Giuliano Torrengo (Centro Filosofia del Tempo, Università degli Studi di Milano).
Alle conferenze si accede con un biglietto di 5,00 euro. Per maggiori informazioni e prenotazioni: www.museopoldipezzoli.it.

[Nella foto: Andrea Previtali (doc. Venezia 1502 - Bergamo 1528), «Memento mori» (verso), 1502-1504 circa. Tempera su tavola. Iscrizione: «HIC DECOR HEC FORMA MANET/ HEC LEX OMNIBVS VNAi»; «ANDREAS C[ORDELLE] A[GI] DI[SCIPULUS] IO[HANNIS] B[ELLINI] P[INXIT]i». Milano, Poldi Pezzoli, inv. 1598. Opera esposta nella mostra «La forma del tempo» al Museo Poldi Pezzoli di Milano]

10. «L’ARTE CON CHI NE FA PARTE»: I MUSEI PIEMONTESI SI RACCONTANO ATTRAVERSO I LORO PROTAGONISTI 
Si intitola «L’arte con chi ne fa parte» il progetto multipiattaforma lanciato il 18 maggio da Abbonamento Musei, la «carta all you can visit», ideata venticinque anni fa, che dà libero accesso all’offerta culturale di Piemonte, Valle d’Aosta e Lombardia.
Il pubblico potrà scoprire le collezioni permanenti di una quarantina di musei piemontesi e valdostani, con occhi nuovi, quelli dei donatori, dei fondatori delle varie realtà culturali, ma anche delle stesse opere d’arte conservate al loro interno.
A fianco delle visite guidate, la rassegna propone approfondimenti attraverso vari strumenti come una newsletter, un sito, delle video interviste diffuse attraverso i canali social di Abbonamento Musei e una decina di podcast, nati con la collaborazione di Area X.
Martedì 18 maggio è stata lanciata la prima puntata (https://cutt.ly/9b1Uszv), che ha visto protagonista Maria Adriana Prolo, la donna che ha sognato di fondare a Torino il Museo nazionale del cinema. Nella stessa giornata, su YouTube, è stato messo on-line un video sull’Accademia Albertina e Carlo Alberto (https://cutt.ly/xb1UjOD); chi è rimasto incuriosito dalla storia potrà partecipare alle visite guidate al museo in agenda nelle giornate di domenica 23 (ore 14:30, 16:00 e 17:30) e lunedì 24 maggio (ore 17:30 e 19:00).
Mentre martedì 25 maggio è previsto il lancio della newsletter dedicata a Carlo Biscaretti di Ruffia, il fondatore del Mauto - Museo dell’automobile.
Nelle prossime settimane si potrà anche andare alla scoperta, attraverso approfondimenti tematici on-line e visite guidate, della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (30 maggio e 12 giugno, alle ore 16:00) e del Museo egizio (10 giugno, alle ore 16:00 e 16 giugno, alle ore 17:00).
Si potrà, inoltre, conoscere il Mao – Museo arte orientale (1° giugno on-line; 12 giugno e 10 luglio, alle ore 16:00, in presenza); lo sguardo che condurrà i visitatori lungo il percorso espositivo sarà quello di uno dei pezzi più ammirati della collezione, Lady Yang, una deliziosa statuina ispirata a Yang Guifei, dama vissuta nell’VIII secolo alla corte dell’imperatore cinese e icona che determinò un nuovo ideale di bellezza femminile per l'epoca. Prossimamente saranno l'antiquario Pietro Accorsi a raccontare l’omonimo museo e il vivaista Auguste Burdin a portare il pubblico alla scoperta del Museo della frutta. Mentre il personaggio scelto per le visite a tema al Castello di Fénis e di Issogne, in Valle d'Aosta, sarà il pittore e architetto Alfredo d'Andrade.
Il progetto grafico è a cura di PicNic, mentre l’immagine guida è stata realizzata dall’illustratore Gianluca Biscalchin, che ha immaginato Abbonamento Musei come due custodi nell’atto di illuminare con le loro torce i protagonisti dell’iniziativa «L’arte con chi ne fa parte».
Per vedere le schede di approfondimento: http://bit.ly/Larteconchinefaparte. Per saperne di più: www.abbonamentomusei.it.