E’ ricco il calendario di eventi che la città di Genova ha messo in cantiere per i trent’anni del «Premio Andersen - il mondo dell’infanzia», prestigioso riconoscimento italiano attribuito ai libri per ragazzi e ai loro autori, illustratori ed editori, che viene assegnato annualmente dalla redazione della rivista «Andersen» e dai fondatori della storica «Libreria dei ragazzi» di Milano. Il clou delle manifestazioni si terrà sabato 21 maggio, alle ore 15.00, negli spazi del Museo Luzzati a Porta Siberia. In questo suggestivo polo culturale del Porto Antico, vero e proprio paradiso della fantasia per grandi e piccini, verranno, infatti, presentati i lavori finalisti dell’edizione 2011, saranno assegnati gli annuali riconoscimenti per la promozione della lettura a enti, associazioni, operatori culturali e, infine, verrà decretato il Super Premio Andersen», intitolato alla memoria di Gualtiero Schiaffino, l’uomo che nel 1982, insieme con Ferruccio Giromini, diede vita, proprio nella città di Genova, all’avventura della rivista «Andersen».
Tra gli ospiti presenti in sala ci saranno anche alcuni premiati: gli scrittori Andrea Valente (miglior autore completo dell’anno), Bruno Tognolini (premio speciale della giuria per «Rime di rabbia» delle edizioni Salani), Silvana Gandolfi (premio per il miglior libro oltre i 12 anni con «Io dentro gli spari», sempre delle edizioni Salani), Nicoletta Martinelli e Rossana Sisti (premio per il miglior libro di divulgazione con «Visto si stampi» della San Paolo edizioni) e gli illustratori Paolo D'Altan (miglior disegnatore dell’anno) e Sophie Fatus (premio per il miglior libro 0/6 anni con «Oh, oh» della Emme edizioni). Tutti questi autori parteciperanno, insieme con il professor Pino Boero e la giornalista Donatella Trotta, anche al convegno «Scrittori per l’infanzia nel nuovo millennio. Raccontare, raccontarsi, essere raccontati», organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione per il pomeriggio di venerdì 20 maggio.
Accanto a questi due importanti appuntamenti, la trentesima edizione del «Premio Andersen», al quale fa da filo conduttore la frase «Immaginare è marinare le ore noiose della vita», propone per l’intera settimana una grande festa del libro e della cultura per l’infanzia. Una festa, questa, articolata come una vera e propria caccia al tesoro, tra luoghi simbolo della città: da Palazzo Ducale alla Biblioteca internazionale per ragazzi «De Amicis», dalla multisala «The Space Cinema» di Porto Antico al «Galata - Museo del mare.
Tra le iniziative da segnare c’è senz’altro la mostra «Leggevo che ero», una galleria di ritratti fotografici di personalità liguri in posa con il loro libro d’infanzia preferito. L’esposizione sarà aperta dal 18 al 22 maggio presso il Cortile Maggiore di Palazzo Ducale, ma potrà essere visitata anche on-line su www.viveregenova.comune.genova.it. Bisognerà, invece, recarsi al Porto Antico per vedere l’omaggio che giornalista Mara Pace fa ad altri lettori speciali: autori, illustratori, editori, librai e critici letterari dal mondo della letteratura italiana per ragazzi, che raccontano la loro prima passione letteraria attraverso cinquanta fotografie in mostra dal 21 maggio al 19 giugno al Museo Luzzati.
Altro evento da non perdere è la mostra fotografica «Un mondo di libri», allestita dal 18 maggio al 19 giugno presso la Biblioteca internazionale per ragazzi «De Amicis». La rassegna, promossa con la collaborazione del Goethe-Institut di Genova e della Internationale Jugendbibliothek di Monaco di Baviera, racconta la straordinaria impresa post-bellica di Jella Lepman, una giornalista ebrea di Stoccarda incaricata subito dopo la guerra dal governo americano di partecipare al programma di rieducazione del popolo tedesco. Alla figura di questa donna di cultura si devono anche la fondazione del «Premio Hans Christian Andersen» e di «Ibby», la maggiore organizzazione mondiale no profit di diffusione della letteratura per bambini e di promozione della lettura.
Il percorso di pace di Jella Lepman attraverso i libri ha, inoltre, ispirato il volume «La conferenza degli animali» dell’amico scrittore Erich Kästner, il cui messaggio pacifista resta ancora attualissimo, tanto è vero che il testo verrà premiato nella categoria «Miglior libro mai premiato» e ha ispirato anche un film, «Animals United 3D» di Reinhard Klooss, che verrà proiettato nel pomeriggio del 22 maggio al nuovo «The Space Cinema».
Interessante, infine, è anche la sezione «Contaminazioni» del «Premio Andersen»: un percorso tra musei, biblioteche e cinema, con esposizioni tematiche dedicate ai libri che hanno vinto negli ultimi trent’anni. Un percorso, questo, grazie al quali sarà possibile vedere, alla Gam e al Galata, le illustrazioni di Paolo D’Altan per i libri «Fratelli d’Italia» ed «Emilio Salgari, navigatore di sogni».
La trentesima edizione del «Premio Andersen» sarà, dunque, una grande festa per tutta la città, da Nervi al Porto Antico, in linea con la campagna nazionale «Il Maggio dei libri», promossa dal Centro per il Libro e la Lettura del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Una festa, questa, - per usare le parole di Barbara Schiaffino, direttrice della rivista «Andersen»- che vuole «proporre cultura alle nuove generazioni, per dare futuro e speranza a tutta la società. Contribuire, insomma, a crescere bambini e ragazzi capaci di diventare protagonisti del loro e del nostro futuro».
In concomitanza con la premiazione dell’«Andersen», Genova ospiterà anche la prima delle due giornate dedicate alla manifestazione «Rolli Days». Per l’intero week end, dalle 10.00 alle 19.00, i Palazzi dei Rolli -dimore eccellenti dei nobili genovesi del XVI secolo, oggi riconosciute Patrimonio dell’Umanità da Unesco- apriranno le proprie porte ad originali installazioni site specific, a concerti e a degustazioni. Per l’occasione, saranno visitabili anche quattro luoghi sacri, di solito chiusi al pubblico: le chiese di San Giorgio, di San Torpete e dei Santi Cosma e Damiano e l’Oratorio di SS Pietro e Paolo.
La terza edizione dei «Rolli Days» permetterà, inoltre, di vedere, per la prima volta in assoluto, i rotoli originali de i Rolli, i documenti del Senato della Repubblica genovese, in base ai quali venivano estratti i palazzi e le dimore delle famiglie nobili che avrebbero ospitato le alte personalità in visita a Genova. I rotoli dividevano i palazzi in tre categorie, sulla base della qualità: la prima per cardinali, principi e viceré, la seconda per feudatari e governatori, la terza per principi inferiori e ambasciatori.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Logo dell’edizione 2011 del «Premio Andersen»; [fig. 2] Un momento della premiazione della ventinovesima edizione del «Premio Andersen»; [fig. 3] Copertina di un libro di Andrea Valente, che verrà premiato sabato 22 maggio come autore completo dell’anno; [fig. 4] Illustrazione di Paolo D’Altan, che verrà premiato sabato 22 maggio come illustratore dell’anno.
Per saperne di più
www.premioandersen.it
Rolli Days
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
mercoledì 18 maggio 2011
mercoledì 11 maggio 2011
«La notte dei musei», tutte le mostre del Macro di Roma
A più cinque mesi dall’apertura dei nuovi spazi, il Macro di Roma, la cui riqualificazione è stata curata dall’architetto francese Odile Decq, si conferma sempre più come laboratorio attivo della sperimentazione, della contemporaneità e della creatività. L’ultima mostra in ordine di tempo ad essere stata inaugurata è la prima personale in Italia dell’americana Sarah Braman, «Lay Me Down», a cura di Elena Forin. Tre sculture, di cui una concepita e realizzata appositamente per gli spazi del museo capitolino, indagano e raccontano desideri nascosti e inaspettati del nostro mondo attraverso la luce, il colore e la materia.
Le sculture dell’artista americana sono spesso assemblaggi di oggetti di uso comune, come mobili, ferrovecchio e talvolta parti di carrozzerie, che nella loro imponente concretezza rappresentano –afferma la stessa Braman- «monumenti alle persone che amo, alla gioia e alla confusione che provo per l’essere viva». Questi lavori, in mostra fino al prossimo 12 giugno, concretizzano, dunque, stati d’animo e memorie personali, ma si presentano al contempo come «cose tra le cose»: esse infatti –si legge nella nota stampa- «non esistono in quanto [meri] riferimenti, allusioni, rappresentazioni o metafore … [ma] rimangono nel nostro spazio come cose in sé, reali come un tavolo o un albero».
La rassegna di Sarah Braman offre, inoltre, l’occasione per una passeggiata nel resto dell’imponente museo, in parte sorto nei vecchi stabilimenti della birreria Peroni. Sulle grandi pareti della sala Enel è possibile ammirare, per esempio, l’opera che l’artista rumeno Dan Perjovschi ha progettato appositamente per gli spazi del Macro. Si tratta di un gigantesco affresco, fatto di disegni, epigrammi e fumetti. Segni, questi, che riflettono, in forma ironica e satirica, sulle infinite contraddizioni dell’oggi, sul mondo politico, sociale e culturale della contemporaneità. «Il concept dell’opera, che è stata realizzata lo scorso febbraio, si snoda –spiegano gli organizzatori- sul paradigma della crisi economica globale e sul paradosso in cui la società turbo-consumistica postmoderna tenta di disinnescare i rischi della recessione».
Accanto a questa installazione, viene presentata la mostra «The crisis is (not) over. Drawings and dioramas», a cura di Teresa Macrì e visitabile fino al 12 giugno, con cinque diorami che Dan Perjovschi ha realizzato tra il 2006 e il 2009, durante viaggi in alcune città europee: Venezia, Firenze, Berlino-Bruxelles («Bexperience»), Londra e Stoccolma.
Sempre nella sala Enel sono visibili gli interventi di Arcangelo Sassolino ed Ernesto Neto. Il primo progetto, intitolato «Piccolo animismo», dà voce e suono alla stanza, alle sue tensioni postindustriali e ingegneristiche, nutrendosi allo stesso tempo dello spazio in cui è collocato. L’opera è, infatti, un grande contenitore di lastre in acciaio inox, che tuona inaspettatamente e che modifica continuamente la sua forma per effetto di un processo ciclico di immissione e sottrazione di aria in pressione al suo interno. L’altro lavoro esposto, realizzato dall’artista brasiliano Ernesto Neto nel 2008 per il Macro e oggi rivisitato, si intitola «While Nothing Happens» ed è un’installazione in lycra, fluttuante e profumata. Contenitori simili a calze da donna, sospesi da terra, accolgono cinque spezie colorate: pepe nero, cumino, chiodi di garofano, zenzero e curcuma. Nasce così un ambiente raccolto e meditativo, che coinvolge tutti i sensi dello spettatore, abbattendo le distanze tra arte e vita, creando «un’arte –per stessa ammissione dell’autore- che unisce, che ci aiuta a interagire con gli altri, che ci mostra il limite, inteso non come un muro ma come un luogo di sensazioni, di scambio e di continuità».
Progetti sempre appositamente ideati per gli spazi del Macro sono le opere «Rope» di Arthur Duff e «Orizzonte galleggiante» di Nathalie Junod Ponsard, vincitrici del bando di concorso Macro 2%, nato con l'intento di trasformare zone di passaggio del museo capitolino in luoghi per l’incontro tra pubblico e arte contemporanea. Le due installazioni site-specific, che dovevano avere come soggetto la «luce», sono state collocate al vano ascensori, al primo livello interrato –«zona di passaggio dall’ombra del parcheggio alla luce del foyer»– e sulla scala che collega via Nizza con la grande terrazza del museo –«area che indica riparo dallo spazio, progressione dalla strada all’apertura sulla terrazza».
L’opera di Arthur Duff è costituita da un’installazione neon di colore rosso e si completa con una proiezione laser sul fondo degli ascensori vetrati, visibile solo quando essi sono in movimento. Al centro del lavoro ci sono due frasi tratte dal film «Rope» («Nodo alla gola») di Alfred Hitchcock: «The action of the story is continuous; there are no time lapses of any kind» («L’azione della storia è continua; non ci sono scarti temporali di alcun tipo») e «Cat and rat cat and rat only who is the cat and who is the rat» («Gatto e topo, gatto e topo, ma chi è il gatto e chi è il topo»). Il visitatore quindi, nell’accedere al museo e nel percorrere gli spazi attraverso queste sequenze di racconto, vive, grazie alle luci fisse dei neon, una storia la cui azione è continua e senza interruzioni e di cui il laser lo fa diventare oggetto e soggetto in una sorta di delirante e imprevedibile inseguimento tra gatto e topo.
Nathalie Junod Ponsard ha, invece, ideato un orizzonte luminoso composto da led colorati. L’opera, posta sulla scalinata esterna che porta alla grande terrazza del Macro, colora le pareti bianche in maniera sempre diversa, con tonalità che vanno dal rosso al ciano, dall’arancione al blu indaco e del giallo al blu scuro.
Fino al 12 giugno, il museo capitolino mette in mostra anche due nuove opere della sua collezione: la fotografia «Interno Macro Roma» di Giuseppe Pietroniro e l’installazione «Untitled» (2010) del collettivo bolognese ZimmerFrei. Ma chi entra in questi giorni nelle sale di via Nizza, magari in occasione de «La notte dei musei» (in programma il prossimo week-end), potrà confrontarsi anche con la prima esposizione in Italia dei disegni di Antony Gormley, con una mostra sul «Laboratorio Schifano», con rassegne dedicate a giovani artisti come Nico Vascellari, Beatrice Pediconi e Roberto De Paolis, e con i documentari che il giornalista Franco Simongini realizzò, negli anni Settanta, per la Rai. Preziosi documenti, questi, per conoscere grandi artisti del Novecento quali Alberto Burri, Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Giacomo Manzù e Fausto Melotti, ma non solo.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Ernesto Neto, «While Nothing Happens», 2008-2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 2] Nathalie Junod Ponsard, «Orizzone galleggiante», 2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 3] Arthur Duff, «Rope», 2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 4] Sarah Braman, «Lay Me Down», 2011.
[Le foto sono state messe a disposizione dall'ufficio stampa del Macro di Roma]
Informazioni utili
Macro, via Nizza, angolo via Cagliari - Roma. Orari: martedì–domenica, 11.00-22.00 (la biglietteria chiude alle 21.00); chiuso il lunedì; La notte dei musei (sabato 14 maggio 2011) apertura fino alle 02.00, con ingresso libero. Ingresso: intero € 11,00, ridotto: € 9,00; per i cittadini residenti nel Comune di Roma: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel +39.06.671070400 o macro@comune.roma.it. Sito internet: www.macro.roma.museum.
Le sculture dell’artista americana sono spesso assemblaggi di oggetti di uso comune, come mobili, ferrovecchio e talvolta parti di carrozzerie, che nella loro imponente concretezza rappresentano –afferma la stessa Braman- «monumenti alle persone che amo, alla gioia e alla confusione che provo per l’essere viva». Questi lavori, in mostra fino al prossimo 12 giugno, concretizzano, dunque, stati d’animo e memorie personali, ma si presentano al contempo come «cose tra le cose»: esse infatti –si legge nella nota stampa- «non esistono in quanto [meri] riferimenti, allusioni, rappresentazioni o metafore … [ma] rimangono nel nostro spazio come cose in sé, reali come un tavolo o un albero».
La rassegna di Sarah Braman offre, inoltre, l’occasione per una passeggiata nel resto dell’imponente museo, in parte sorto nei vecchi stabilimenti della birreria Peroni. Sulle grandi pareti della sala Enel è possibile ammirare, per esempio, l’opera che l’artista rumeno Dan Perjovschi ha progettato appositamente per gli spazi del Macro. Si tratta di un gigantesco affresco, fatto di disegni, epigrammi e fumetti. Segni, questi, che riflettono, in forma ironica e satirica, sulle infinite contraddizioni dell’oggi, sul mondo politico, sociale e culturale della contemporaneità. «Il concept dell’opera, che è stata realizzata lo scorso febbraio, si snoda –spiegano gli organizzatori- sul paradigma della crisi economica globale e sul paradosso in cui la società turbo-consumistica postmoderna tenta di disinnescare i rischi della recessione».
Accanto a questa installazione, viene presentata la mostra «The crisis is (not) over. Drawings and dioramas», a cura di Teresa Macrì e visitabile fino al 12 giugno, con cinque diorami che Dan Perjovschi ha realizzato tra il 2006 e il 2009, durante viaggi in alcune città europee: Venezia, Firenze, Berlino-Bruxelles («Bexperience»), Londra e Stoccolma.
Sempre nella sala Enel sono visibili gli interventi di Arcangelo Sassolino ed Ernesto Neto. Il primo progetto, intitolato «Piccolo animismo», dà voce e suono alla stanza, alle sue tensioni postindustriali e ingegneristiche, nutrendosi allo stesso tempo dello spazio in cui è collocato. L’opera è, infatti, un grande contenitore di lastre in acciaio inox, che tuona inaspettatamente e che modifica continuamente la sua forma per effetto di un processo ciclico di immissione e sottrazione di aria in pressione al suo interno. L’altro lavoro esposto, realizzato dall’artista brasiliano Ernesto Neto nel 2008 per il Macro e oggi rivisitato, si intitola «While Nothing Happens» ed è un’installazione in lycra, fluttuante e profumata. Contenitori simili a calze da donna, sospesi da terra, accolgono cinque spezie colorate: pepe nero, cumino, chiodi di garofano, zenzero e curcuma. Nasce così un ambiente raccolto e meditativo, che coinvolge tutti i sensi dello spettatore, abbattendo le distanze tra arte e vita, creando «un’arte –per stessa ammissione dell’autore- che unisce, che ci aiuta a interagire con gli altri, che ci mostra il limite, inteso non come un muro ma come un luogo di sensazioni, di scambio e di continuità».
Progetti sempre appositamente ideati per gli spazi del Macro sono le opere «Rope» di Arthur Duff e «Orizzonte galleggiante» di Nathalie Junod Ponsard, vincitrici del bando di concorso Macro 2%, nato con l'intento di trasformare zone di passaggio del museo capitolino in luoghi per l’incontro tra pubblico e arte contemporanea. Le due installazioni site-specific, che dovevano avere come soggetto la «luce», sono state collocate al vano ascensori, al primo livello interrato –«zona di passaggio dall’ombra del parcheggio alla luce del foyer»– e sulla scala che collega via Nizza con la grande terrazza del museo –«area che indica riparo dallo spazio, progressione dalla strada all’apertura sulla terrazza».
L’opera di Arthur Duff è costituita da un’installazione neon di colore rosso e si completa con una proiezione laser sul fondo degli ascensori vetrati, visibile solo quando essi sono in movimento. Al centro del lavoro ci sono due frasi tratte dal film «Rope» («Nodo alla gola») di Alfred Hitchcock: «The action of the story is continuous; there are no time lapses of any kind» («L’azione della storia è continua; non ci sono scarti temporali di alcun tipo») e «Cat and rat cat and rat only who is the cat and who is the rat» («Gatto e topo, gatto e topo, ma chi è il gatto e chi è il topo»). Il visitatore quindi, nell’accedere al museo e nel percorrere gli spazi attraverso queste sequenze di racconto, vive, grazie alle luci fisse dei neon, una storia la cui azione è continua e senza interruzioni e di cui il laser lo fa diventare oggetto e soggetto in una sorta di delirante e imprevedibile inseguimento tra gatto e topo.
Nathalie Junod Ponsard ha, invece, ideato un orizzonte luminoso composto da led colorati. L’opera, posta sulla scalinata esterna che porta alla grande terrazza del Macro, colora le pareti bianche in maniera sempre diversa, con tonalità che vanno dal rosso al ciano, dall’arancione al blu indaco e del giallo al blu scuro.
Fino al 12 giugno, il museo capitolino mette in mostra anche due nuove opere della sua collezione: la fotografia «Interno Macro Roma» di Giuseppe Pietroniro e l’installazione «Untitled» (2010) del collettivo bolognese ZimmerFrei. Ma chi entra in questi giorni nelle sale di via Nizza, magari in occasione de «La notte dei musei» (in programma il prossimo week-end), potrà confrontarsi anche con la prima esposizione in Italia dei disegni di Antony Gormley, con una mostra sul «Laboratorio Schifano», con rassegne dedicate a giovani artisti come Nico Vascellari, Beatrice Pediconi e Roberto De Paolis, e con i documentari che il giornalista Franco Simongini realizzò, negli anni Settanta, per la Rai. Preziosi documenti, questi, per conoscere grandi artisti del Novecento quali Alberto Burri, Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Giacomo Manzù e Fausto Melotti, ma non solo.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Ernesto Neto, «While Nothing Happens», 2008-2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 2] Nathalie Junod Ponsard, «Orizzone galleggiante», 2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 3] Arthur Duff, «Rope», 2011 (Foto altrospazio, Roma); [fig. 4] Sarah Braman, «Lay Me Down», 2011.
[Le foto sono state messe a disposizione dall'ufficio stampa del Macro di Roma]
Informazioni utili
Macro, via Nizza, angolo via Cagliari - Roma. Orari: martedì–domenica, 11.00-22.00 (la biglietteria chiude alle 21.00); chiuso il lunedì; La notte dei musei (sabato 14 maggio 2011) apertura fino alle 02.00, con ingresso libero. Ingresso: intero € 11,00, ridotto: € 9,00; per i cittadini residenti nel Comune di Roma: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel +39.06.671070400 o macro@comune.roma.it. Sito internet: www.macro.roma.museum.
martedì 10 maggio 2011
«Noi credevamo», il Risorgimento secondo Mario Martone
A fine giugno sarà premiato, nello splendido scenario del Teatro antico di Taormina, con il «Nastro d’argento dell’anno». Nei giorni scorsi si è aggiudicato ben sette delle tredici statuette alle quali era candidato ai «David di Donatello», portando a casa premi per il miglior film e la miglior sceneggiatura, ma anche per la fotografia, la scenografia, i costumi, il trucco e il parrucco. Stiamo parlando di «Noi credevamo», la pellicola diretta dal regista napoletano Mario Martone, presentata in anteprima alla 67° Mostra del cinema di Venezia, dove ha conquistato la critica che non ha esitato a parlarne come di un progetto «poderoso, emozionante, bellissimo» («Il Messaggero), «magnifico» («La Repubblica»), «corale e potente» («Il Giornale»).
Il film, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti e sceneggiato dallo stesso Mario Martone con Giancarlo De Cataldo, sarà in programmazione al cinema teatro Sociale di Busto Arsizio nella giornata di giovedì 12 maggio, alle ore 14.30, a chiusura della rassegna «Per i centocinquanta anni dell’unità d’Italia: il cinema racconta», ideata da Agiscuola e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e in programma anche in un’altra ventina di città italiane.
Dopo le proiezioni delle pellicole «Le cinque giornate» di Dario Argento, «Correva l’anno di grazia 1870» di Alfredo Giannetti e «Uomini contro» di Francesco Rosi, tenutesi tra febbraio e aprile, la sala di piazza Plebiscito continua, dunque, il suo viaggio tra le pieghe della storia del Risorgimento, tra i fatti e le persone che hanno «fatto» l’Italia, focalizzando l’attenzione su alcune pagine poco note del tormentato processo unitario, come i moti savoiardi del 1834 o l’attentato di Felice Orsini a Napoleone III.
«Noi credevamo» è stato definito dalla critica come una sorta di «meglio gioventù» dell’Ottocento. Protagonisti sono tre ragazzi del Cilento, due nobili e un «figlio del popolo», che nel 1928, davanti alle teste mozzate dei leggendari banditi Capozzoli, promotori di una rivolta repressa nel sangue dall’esercito borbonico, giurano di consacrare la propria vita alla causa della libertà e dell’indipendenza dell’Italia. Attraverso i loro occhi, Mario Martone racconta poco più di tre decenni di storia, arrivando fino al 1862, l’anno della sfortunata impresa garibaldina in Aspromonte, e concludendo il suo racconto tra i seggi del primo Parlamento italiano, quello al palazzo Carignano di Torino.
Abbandonato il natio Sud, Domenico, Salvatore e Angelo -questi i nomi dei tre giovani protagonisti- si affilieranno alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, viaggeranno per l’Europa in nome di un sogno che vale la vita, quello di un Paese unito sotto una sola bandiera, pronti ad armarsi per uccidere i tiranni, a ordine congiure, a sventare traditori, a patire il carcere. A Parigi i tre ragazzi incontreranno l’affascinante principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, fervente patriota, ma anche paladina dei diritti delle donne e dell’istruzione del popolo. Una figura, questa, che sembra disegnata da Mario Martone a partire dal ritratto di Francesco Hayez, il pittore de «Il bacio» che, negli anni Trenta dell’Ottocento, immortalò a futura memoria questa donna affascinante e coraggiosa, ingiustamente dimenticata dalla storiografica, dipingendola in tutta la sua aristocratica bellezza, sensuale e insieme algida: abito nero, mani lunghe e affusolate, spalle nude dall’abbagliante candore, sguardo fiero e seducente.
Domenico, Salvatore e Angelo parteciperanno, quindi, ai moti savoiardi del 1834, ma anche al tentativo di assassinare re Carlo Alberto. Il fallimento di entrambe le missioni marcherà una profonda crisi nei tre giovani patrioti, acuendo le differenze di classe. Il popolano Salvatore, accusato di tradimento, sarà ucciso da Angelo, approdato a una visione demoniaca della rivoluzione come teatro di pura violenza (una visione che lo porterà alla morte sul patibolo, con Felice Orsini). Domenico continuerà, invece, la sua attività cospiratoria e, negli anni immediatamente successivi alla caduta della Repubblica romana, finirà in carcere, dove si confronterà con le acute frizioni ideologiche tra monarchici e repubblicani. Nemmeno la conseguita Unità riuscirà a placare il suo animo: ritornato nel Cilento, parteciperà al tentativo di conquistare militarmente Roma, in contrasto con le decisioni del neonato Parlamento italiano, e vedrà morire, per mano dell’esercito piemontese, il figlio dell’amico Salvatore: il giovane Saverio.
«Noi credevamo» è, dunque, un potente affresco in costume sui sentimenti e sugli avvenimenti che portarono alla nascita della nostra nazione. Un affresco frutto di una lunga ricerca storica e del lavoro, accurato, di un cast di ottima qualità: i tre giovani protagonisti sono portati in scena da Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco e Luigi Pisani. Toni Servillo veste i panni di Giuseppe Mazzini; Luca Zingaretti è Francesco Crispi. Luca Barbareschi e Guido Caprino interpretano rispettivamente Antonio Gallenga e Felice Orsini. Cristina Trivulzio di Belgiojoso, la regina dei salotti aristocratici e la musa ispiratrice dei carbonari, ha il doppio volto di Francesca Inaudi, in gioventù, e di Anna Bonaiuto, in età matura.
Interessante è anche la scelta musicale, che propone brani d’opera di Rossini, Verdi e Bellini, eseguiti dall’Orchestra sinfonica della Rai di Torino, diretta da Roberto Abbado.
La proiezione bustese, rivolta al triennio delle scuole secondarie di secondo grado, vedrà la partecipazione di quattro scuole cittadine: l’Itc «Enrico Tosi», che ha firmato una convenzione con Agiscuola nell’ambito del progetto nazionale «Carta Io Studio», e l’Ipc «Pietro Verri», l’Itis «Cipriano Facchinetti» e il liceo scientifico «Arturo Tosi». La presentazione della pellicola è a cura di Delia Cajelli, direttore artistico del teatro Sociale di Busto Arsizio.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Nell'immagine: Guido Caprino (Felice Orsini); [fig. 2]Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Al centro Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane) tra Andrea Bosca (Angelo giovane, a sinistra) ed Edoardo Natoli (Domenico giovane, a destra); [fig. 3] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Lo sbarco garibaldino sulle coste calabre; [fig. 4] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Nell'immagine:Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane).
Informazioni utili
«Noi credevamo» di Mario Martone. Cinema teatro Sociale, piazza Plebiscito, 8 - Busto Arsizio (Varese). Quando: giovedì 12 maggio 2011, ore 14.30. Ingresso libero, previa prenotazione del posto. Informazioni e prenotazioni: tel. 0331.679000.
Il film, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti e sceneggiato dallo stesso Mario Martone con Giancarlo De Cataldo, sarà in programmazione al cinema teatro Sociale di Busto Arsizio nella giornata di giovedì 12 maggio, alle ore 14.30, a chiusura della rassegna «Per i centocinquanta anni dell’unità d’Italia: il cinema racconta», ideata da Agiscuola e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e in programma anche in un’altra ventina di città italiane.
Dopo le proiezioni delle pellicole «Le cinque giornate» di Dario Argento, «Correva l’anno di grazia 1870» di Alfredo Giannetti e «Uomini contro» di Francesco Rosi, tenutesi tra febbraio e aprile, la sala di piazza Plebiscito continua, dunque, il suo viaggio tra le pieghe della storia del Risorgimento, tra i fatti e le persone che hanno «fatto» l’Italia, focalizzando l’attenzione su alcune pagine poco note del tormentato processo unitario, come i moti savoiardi del 1834 o l’attentato di Felice Orsini a Napoleone III.
«Noi credevamo» è stato definito dalla critica come una sorta di «meglio gioventù» dell’Ottocento. Protagonisti sono tre ragazzi del Cilento, due nobili e un «figlio del popolo», che nel 1928, davanti alle teste mozzate dei leggendari banditi Capozzoli, promotori di una rivolta repressa nel sangue dall’esercito borbonico, giurano di consacrare la propria vita alla causa della libertà e dell’indipendenza dell’Italia. Attraverso i loro occhi, Mario Martone racconta poco più di tre decenni di storia, arrivando fino al 1862, l’anno della sfortunata impresa garibaldina in Aspromonte, e concludendo il suo racconto tra i seggi del primo Parlamento italiano, quello al palazzo Carignano di Torino.
Abbandonato il natio Sud, Domenico, Salvatore e Angelo -questi i nomi dei tre giovani protagonisti- si affilieranno alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, viaggeranno per l’Europa in nome di un sogno che vale la vita, quello di un Paese unito sotto una sola bandiera, pronti ad armarsi per uccidere i tiranni, a ordine congiure, a sventare traditori, a patire il carcere. A Parigi i tre ragazzi incontreranno l’affascinante principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, fervente patriota, ma anche paladina dei diritti delle donne e dell’istruzione del popolo. Una figura, questa, che sembra disegnata da Mario Martone a partire dal ritratto di Francesco Hayez, il pittore de «Il bacio» che, negli anni Trenta dell’Ottocento, immortalò a futura memoria questa donna affascinante e coraggiosa, ingiustamente dimenticata dalla storiografica, dipingendola in tutta la sua aristocratica bellezza, sensuale e insieme algida: abito nero, mani lunghe e affusolate, spalle nude dall’abbagliante candore, sguardo fiero e seducente.
Domenico, Salvatore e Angelo parteciperanno, quindi, ai moti savoiardi del 1834, ma anche al tentativo di assassinare re Carlo Alberto. Il fallimento di entrambe le missioni marcherà una profonda crisi nei tre giovani patrioti, acuendo le differenze di classe. Il popolano Salvatore, accusato di tradimento, sarà ucciso da Angelo, approdato a una visione demoniaca della rivoluzione come teatro di pura violenza (una visione che lo porterà alla morte sul patibolo, con Felice Orsini). Domenico continuerà, invece, la sua attività cospiratoria e, negli anni immediatamente successivi alla caduta della Repubblica romana, finirà in carcere, dove si confronterà con le acute frizioni ideologiche tra monarchici e repubblicani. Nemmeno la conseguita Unità riuscirà a placare il suo animo: ritornato nel Cilento, parteciperà al tentativo di conquistare militarmente Roma, in contrasto con le decisioni del neonato Parlamento italiano, e vedrà morire, per mano dell’esercito piemontese, il figlio dell’amico Salvatore: il giovane Saverio.
«Noi credevamo» è, dunque, un potente affresco in costume sui sentimenti e sugli avvenimenti che portarono alla nascita della nostra nazione. Un affresco frutto di una lunga ricerca storica e del lavoro, accurato, di un cast di ottima qualità: i tre giovani protagonisti sono portati in scena da Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco e Luigi Pisani. Toni Servillo veste i panni di Giuseppe Mazzini; Luca Zingaretti è Francesco Crispi. Luca Barbareschi e Guido Caprino interpretano rispettivamente Antonio Gallenga e Felice Orsini. Cristina Trivulzio di Belgiojoso, la regina dei salotti aristocratici e la musa ispiratrice dei carbonari, ha il doppio volto di Francesca Inaudi, in gioventù, e di Anna Bonaiuto, in età matura.
Interessante è anche la scelta musicale, che propone brani d’opera di Rossini, Verdi e Bellini, eseguiti dall’Orchestra sinfonica della Rai di Torino, diretta da Roberto Abbado.
La proiezione bustese, rivolta al triennio delle scuole secondarie di secondo grado, vedrà la partecipazione di quattro scuole cittadine: l’Itc «Enrico Tosi», che ha firmato una convenzione con Agiscuola nell’ambito del progetto nazionale «Carta Io Studio», e l’Ipc «Pietro Verri», l’Itis «Cipriano Facchinetti» e il liceo scientifico «Arturo Tosi». La presentazione della pellicola è a cura di Delia Cajelli, direttore artistico del teatro Sociale di Busto Arsizio.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Nell'immagine: Guido Caprino (Felice Orsini); [fig. 2]Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Al centro Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane) tra Andrea Bosca (Angelo giovane, a sinistra) ed Edoardo Natoli (Domenico giovane, a destra); [fig. 3] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Lo sbarco garibaldino sulle coste calabre; [fig. 4] Una scena del film «Noi credevamo» di Mario Martone. Nell'immagine:Francesca Inaudi (Cristina di Belgiojoso giovane).
Informazioni utili
«Noi credevamo» di Mario Martone. Cinema teatro Sociale, piazza Plebiscito, 8 - Busto Arsizio (Varese). Quando: giovedì 12 maggio 2011, ore 14.30. Ingresso libero, previa prenotazione del posto. Informazioni e prenotazioni: tel. 0331.679000.
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