ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 23 luglio 2017

Piranesi e le antichità romane

«È così pieno dell'aria, del cielo, del suolo di Roma, da ritrarla con prodigiosa fedeltà e da farla comparire come per incanto innanzi agli occhi di chi non l'ha ancora veduta». È ben raccontato in queste parole dello scrittore Giuseppe Rovani l'innamoramento a prima vista per la Città Eterna del giovane Giovan Battista Piranesi (Mogliano Veneto, 4 ottobre 1720 – Roma, 9 novembre 1778), qui giunto a soli vent'anni, nel 1740, al seguito dell'ambasciatore veneziano Francesco Venier. Con le «parlanti ruine» dell’Urbe l’architetto veneto instaura subito un dialogo personalissimo: le analizza, le studia, le reinventa dando vita a una miriade di strepitose opere grafiche che cristallizzano nel tempo la grandezza dell’antico passato capitolino.
Il Ponte e Castel Sant’Angelo, piazza di Spagna, il Campidoglio e la sua scalinata, il Pantheon, le grandi basiliche cittadine, il porto di Ripetta con i velieri che navigano lungo il Tevere: sono solo alcune delle bellezze architettoniche che l’artista fissa in un numero impensabile di schizzi, disegni, incisioni e acqueforti con l’intento di tutelare e salvaguardare la memoria di un mondo che sta scomparendo ed è sempre più al centro di quel viaggio di iniziazione e crescita culturale che è il Grand Tour internazionale.
È lo stesso Giovan Battista Piranesi a parlare, nel 1756, di questo suo intento documentarista: «vedendo che i resti degli antichi edifici di Roma, sparsi in gran parte negli orti e in altri luoghi coltivati, -si legge nel volume «Antichità romane»- diminuiscono giorno per giorno o per l’ingiuria del tempo o per l’avarizia dei proprietari che con barbara licenza li distruggono clandestinamente e ne vendono i pezzi per costruire edifici moderni, ho deciso di fissarli nelle mie stampe».
Quelle stesse stampe, dalle ardite visioni prospettiche e dai volenti effetti luministici, sono al centro della mostra «Piranesi. La fabbrica dell’utopia», a cura di Luigi Ficacci e Simonetta Tozzi, allestita fino al 15 ottobre a Roma, negli spazi di Palazzo Braschi.
Si tratta di oltre duecento opere grafiche, equamente ripartite tra la Fondazione Giorgio Cini di Venezia e le collezioni del museo romano, che ricostruiscono la parabola creativa di questo importante artista settecentesco, noto per aver applicato la matrice vedutistica della propria formazione veneta a una forte passione per l’archeologia e le antichità romane, delle quali rivendica la superiorità sia su quella dei barbari, sostenuta dall'inglese Ramsay, sia su quella greca, sostenuta dal tedesco Johann Joachim Winckelmann. Accanto a questi lavori grafici sono esposti anche i marmi, oggi conservati nelle collezioni della Sovrintendenza capitolina, derivati dalla celebre Forma Urbis severiana, la prima pianta di Roma fatta scolpire su pietra da Settimio Severo, che Giovan Battista Piranesi tentò di ricostruire nella sua originaria composizione. A completamento della mostra è, inoltre, possibile vedere delle immagini fotografiche di Andrea Jemolo dell’unica ed effettiva realizzazione architettonica lasciataci dall’artista veneto, ovvero la chiesa di S. Maria del Priorato, in cima al colle Aventino.
Tra le serie grafiche, il percorso espositivo, del quale rimarrà documentazione in un catalogo di De Luca editori d’arte, vede esposte, nello specifico, le grandi «Vedute di Roma», dalle amplificate prospettive architettoniche, i fantasiosi «Capricci», eseguiti ancora sotto l’influsso di Tiepolo, le celeberrime e suggestive visioni della serie delle «Carceri», fino alle varie raccolte di antichità romane, rese con prospettive fedeli, quasi fotograficamente perfette e attente ai più minuti dettagli.
Dalla Fondazione Cini provengono, inoltre, le realizzazioni tridimensionali di alcune invenzioni piranesiane mai realizzate e ricavate dal ricchissimo repertorio delle «Diverse Maniere di adornare i Cammini» (1769) o di alcuni pezzi antichi, riprodotti e divulgati da Piranesi nella serie dei «Vasi candelabri cippi sarcofagi tripodi…» (1978), come il celeberrimo tripode del Tempio di Iside a Pompei, vero e proprio masterpiece dell’arredo neoclassico e Impero. Le ri-creazioni piranesiane tridimensionali sono state realizzate dall’Atelier Factum Arte di Madrid, diretto da Adam Lowe, tramite modellazione in 3D e procedimento stereolitografico, in occasione della mostra «Le arti di Piranesi. Architetto, incisore, antiquario, vedutista, designer», organizzata dalla Fondazione Giorgio Cini nel 2010.
Dall’intera mostra emerge il volto di un artista che, stando alle parole di Luigi Ficacci, «fu un innovatore decisivo per la storia dell’acquaforte e tale è riconosciuto, nello specifico scientifico: il suo lessico calcografico, per l’inedita varietà tonale delle morsure e gli effetti dell’inchiostrazione, così come per la sconosciuta qualità del cromatismo grafico, produssero conseguenze determinanti presso le individualità artistiche che, nei secoli e fino all’attualità, vi si riferirono, restandone segnate secondo modalità assolutamente proprie e spesso non coincidenti con lo sviluppo storico complessivo della storia del gusto».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giovanni Battista Piranesi Mausoleo di Cecilia Metella, 1762, acquaforte, Museo di Roma; [Fig. 2] Giovanni Battista Piranesi , Veduta del Campidoglio e di S. Maria d'Aracoeli,1746-1748, acquaforte, Museo di Roma; [fig.3] Giovanni Battista Piranesi, Basilica di San Sebastiano, 1750-1760, acquaforte, Museo di Roma; [fig. 4] Foto di Andrea Jemolo, Tempio di Giano, da Vedute di Roma, 1745-1778

Informazioni utili 
«Piranesi. La fabbrica dell’utopia». Museo di Roma - Palazzo Braschi, piazza Navona, 2 o piazza San Pantaleo, 10 – Roma. Orari: dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 19.00 (la biglietteria chiude alle ore 18.00); chiuso il lunedì. Ingresso (solo alla mostra): intero € 9,00; ridotto € 7,00; speciale scuola € 4,00 ad alunno (ingresso gratuito ad un docente accompagnatore ogni 10 alunni); speciale famiglia € 22,00 (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni); per altre tariffe è possibile consultare il sito www.museodiroma.it. Informazioni: tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 - 19.00). Sito internet: www.museodiroma.it. Fino al 15 ottobre 2017.

venerdì 21 luglio 2017

Call for Artist, nel Nord-est interventi site-specific per la valorizzazione territoriale

Lupi disegnati, scolpiti, grafitati o riprodotti in installazioni: ecco quanto cerca il concorso di idee «Lupi in città!» lanciato dal Muse di Trento, in collaborazione con il Mart di Rovereto e Palazzo Strozzi di Firenze, per «Life Wolfalps», progetto cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito della programmazione «Life+ 2007-2013», con l’intento di realizzare azioni coordinate per la conservazione a lungo termine della popolazione alpina del lupo.
Il bando, la cui scadenza è fissata al 1° settembre, richiede la presentazione di progetti artistici che declinino il rapporto uomo-lupo o che individuino strategie funzionali ad assicurare una convivenza stabile tra il lupo e le attività economiche tradizionali, sia nei territori dove questo animale è già presente da tempo, sia nelle zone in cui il processo di naturale ricolonizzazione è attualmente in corso.
Le opere d'arte/installazioni ispirate ai contenuti e agli obiettivi del progetto selezionate, in tutto otto, verranno esposte a partire dal tardo autunno nel centro storico di Trento, en plein air. La loro realizzazione sarà preceduta da un primo periodo di residenza degli artisti al Muse.
Nella prima fase di selezione, non si richiede l’invio di progetti di opere dettagliati o specifici. Si richiede, invece, l’invio di materiali che contengano le linee guida secondo le quali i candidati intendono sviluppare le loro opere. Le idee progettuali inviate dovranno essere decontestualizzate (non ideate, dunque, per essere esposte in un luogo specifico). La scelta delle opere d’arte avverrà nell’ottica di una successiva itineranza della mostra.
Possono partecipare alla selezione artisti italiani che, al momento della presentazione della domanda, non abbiano compiuto i quaranta anni di età. Street art, videoarte, new media art, scultura, pittura, disegno e installazione sono le discipline ammesse. La giuria sarà formata da un rappresentante per ciascun ente coinvolto nel progetto, affiancati da Adriana Polveroni e Arturo Galansino.
Un premio per la valorizzazione territoriale è stato lanciato anche da Ca’ Corniani, la storica tenuta di Genagricola che con i suoi millesettecento ettari di estensione nell’entroterra di Caorle, in provincia di Venezia, è una delle più grandi aziende agricole italiane. Il bando, a invito e a cura di Eight Art Project, vedrà cinque artisti europei invitati Elena Tettamanti e Antonella Soldaini -Monica Bonvicini, Alberto Garutti, Carsten Höller, Tobias Rehberger e Remo Salvadori- a ideare per i tre punti di accesso della residenza veneta altrettanti interventi site-specific con l’obiettivo di raccontare la ricchezza di quest’area dalla vocazione fortemente agricola e produttiva.
Gli artisti invitati ragioneranno sul concetto di soglia, a partire dagli ingressi via terra e via acqua alla tenuta: tre Soglie, fisiche e simboliche, il cui significato è da interpretare nell’accezione data da Robert Venturi di «punto di tensione tra due polarità».
La cerimonia di premiazione è prevista per il 12 ottobre negli spazi della Triennale di Milano; mentre il progetto vincitore -selezionato da una giuria composta, tra gli altri, da Gabriella Belli, Beatrice Merz, Pippo Ciorra e Vicente Todolì- verrà inaugurato nel maggio 2018, in occasione della sedicesima Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia.

Informazioni utili
«Lupi in città!». Informazioni e bando completo su www.muse.it e www.lifewolfalps.eu. Deadline: 1° settembre 2017
«Tre soglie». Concorso ad invito. Informazioni e bando completo su cacorniani.genagricola.it/. Premiazione: 12 ottobre 2017

mercoledì 19 luglio 2017

Pistoia omaggia Giovanni Pisano

L’arte antica fa il suo debutto a Palazzo Fabroni. In occasione di Pistoia capitale italiana della cultura, l’edificio trecentesco fatto costruire dalla famiglia Dondori, che dal 1990 è sede di numerose esposizione d’arte contemporanea, apre le porte al genio di Giovanni Pisano, scultore vissuto a cavallo tra Duecento e Trecento che proprio a Pistoia, negli spazi della pieve romanica di Sant’Andrea, ha lasciato una delle sue opere più importanti: il famoso pulpito marmoreo terminato nel 1301. La rassegna, nata da un’idea di Giovanni Agosti, si avvale della curatela di Roberto Bartalini e Sabina Spannocchi, che hanno selezionato poche opere, dalle quali risulta la straordinaria gamma creativa e l’inventività iconografica dell’artista, oltre al suo dominio di materie diverse come pietra e legno.
Si parte con un preludio: il rilievo con le «Stimmate di San Francesco» di Nicola Pisano, padre di Giovanni. È quanto resta di un monumento funebre risalente agli anni Settanta del Duecento, molto probabilmente eretto nella chiesa di Santa Maria del Prato, prima chiesa francescana di Pistoia, in luogo della quale fu poi costruita l’attuale chiesa di San Francesco. Il destinatario di questo sepolcro era probabilmente Filippo da Pistoia, già vescovo di Ferrara, di Firenze e arcivescovo di Ravenna.
Le altre otto stanze sono dedicate a Giovanni Pisano. Nella seconda trova spazio una «Madonna con Bambino», tondo in marmo che rappresenta uno dei vertici dell’opera del giovane scultore, proveniente dalla collegiata di Sant’Andrea e attualmente conservato al Museo di Empoli. Le forme armoniche mostrano come l’artista avesse iniziato a muovere i primi passi sotto la guida paterna, ma la torsione del volto della Vergine permette di cogliere, in fieri, quell’idea di movimento che Pisano svilupperà nell’arco della sua carriera.
Per tutto il Medioevo fu frequente la pratica di riutilizzare le opere d’arte a seconda di nuove esigenze del culto: ne è un probabile esempio l’opera lignea esposta nella terza stanza, un «Angelo in veste di diacono che ostende la testa di San Giovanni Battista». Il delicatissimo Angelo, che regge una grande e drammatica testa del Battista, presenta dissonanti aspetti stilistici: l’Angelo, in tutto corrispondente ai più noti esempi di scultura gotica francese della metà del Duecento, reggeva probabilmente in mano un oggetto più piccolo. Il volto del Battista, molto grande e dalle palesi differenze stilistiche rispetto al corpo della statua, è sicuramente attribuibile a Giovanni Pisano, all’epoca ancora giovane.
Il momento in cui l’arte di Giovanni Pisano inizia a distinguersi nettamente da quella del padre Nicola è esemplificato, in mostra, da una delle cosiddette «Ballerine», figure ideate per le ghimberghe del Battistero di Pisa. Si tratta di statue che dovevano risultare visibili a distanza e quindi erano scolpite con fare rapido e abbreviato. Queste figure femminili danzanti, che sembrano originate e tenute in vita da un soffio d’aria, offrono i primi saggi del dinamismo impetuoso e dell’espressionismo caratteristici del Pisano. «Fu solo dopo la guerra, quando le grandi figure furono tirate giù dalle nicchie e poste nel Battistero [a Pisa], che io potei vederle da vicino e fu allora che fui colpito dalla tremenda forza drammatica che avrei poi indicato come la caratteristica qualità scultorea, lo stile e la personalità di Giovanni» scrisse nel 1969 lo scultore britannico Henry Moore.
Nelle successive quattro stanze, quattro Crocifissi diversi, ciascuno testimone di una diversa maturazione artistica dello scultore. Il Crocifisso della chiesa di San Bartolomeo in Pantano, opera monumentale sconosciuta ai più, va ascritto all’ultima, straordinaria fase creativa: è molto diverso dagli altri suoi crocifissi lignei, sia per le dimensioni che per la resa formale. Privo dell’effetto di torsione e del dinamismo di altri lavori, è concepito non come oggetto processionale, ma per essere posto in relazione simbolica con la mensa dell’altare.
Il Crocifisso della Cattedrale di Siena è l’unico tra quelli processionali a conservare ancora la croce originale ed è un’opera della prima maturità dell’artista, databile al 1285-90. Il corpo presenta un netto stacco rispetto alla croce ed esprime tensione drammatica attraverso un movimento articolato: a differenza delle forme abbreviate che Giovanni Pisano prediligeva nello scolpire il marmo, quest’opera lignea si contraddistingue per un alto grado di finitezza nell’intaglio.
Il Crocifisso della pieve di Sant’Andrea mostra, invece, un’evoluzione rispetto al precedente nel movimento tormentato, che riguarda ogni fibra del corpo e che induce nello spettatore un forte sentimento di compassione. Tra i Crocifissi realizzati nella maturità da Pisano questo è il meno spigoloso, anche per la qualità del legno di noce impiegato.
Mentre l’ultimo crocifisso ad essere presentato è quello della chiesa di Santa Maria a Ripalta, conservato oggi nella pieve di Sant’Andrea, venerato per i miracoli che gli si riferirono durante la pestilenza di fine Trecento e concepito per essere portato in processione.
L’ultima opera esposta è marmorea: una sobria figura allegorica della «Giustizia», che faceva parte del monumento funebre di Margherita di Brabante, moglie dell’imperatore Enrico VII, morta di peste nel 1311. L’incarico di realizzarlo fu affidato al quasi settantenne Giovanni Pisano, considerato il miglior scultore di allora in Italia. Pur anziano, Giovanni dà prova di un’ulteriore, inaspettata evoluzione del suo stile, raggiungendo con quest’opera le vette di un’espressività meno stridente, più armonica, con la dolce mestizia del volto della «Giustizia».

Informazioni utili
Omaggio a Giovanni Pisano. Palazzo Fabroni, via Sant’Andrea 18 – Pistoia. Orari: dal martedì alla domenica e festivi, lunedì 24 luglio e lunedì 14 agosto, ore 10.00-18.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 6,00 - ridotto € 3,00. Giornale della mostra: € 4,00. Informazioni: 0573 371214. Sito internet: www.pistoia17.it | www.palazzofabroni.it. Fino al 20 agosto 2017.