ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 22 ottobre 2017

In mostra a Bologna i caratteri delle Officine Simoncini

Ha inventato il carattere tipografico degli elenchi telefonici e il font usato da Einaudi per oltre quarant’anni. Stiamo parlando di Francesco Simoncini (1912-1975), dal 1954 amministratore unico dell’omonima officina, fondata da suo padre nel 1953 a Bologna e trasferitasi, poi, in un grande stabilimento a Rastignano, che si è affermata nel tempo come una delle realtà più all'avanguardia del settore della progettazione e produzione di matrici per macchine Linotype.
Alla storia di questo grande innovatore nel campo del design dei caratteri tipografici rende omaggio il Museo del patrimonio industriale di Bologna con la mostra «Metodo Simoncini. Ricerca di un’estetica dell’insieme», ideata da Griffo, la grande festa delle lettere, progetto multidisciplinare nato nel 2014 che narra e celebra la storia dell’inventore bolognese e delle lettere, strumento prezioso che ci accompagna ogni giorno. Se oggi in ogni momento condividiamo idee con parole e frasi d'inchiostro e pixel, poco o nulla sappiamo -raccontano i curatori Elisa Rebellato e Antonio Cavedoni- di quello straordinario strumento che sono le lettere, della loro storia e di quella di chi le ha create.
La mostra, attraverso le innovazioni e i traguardi di Simoncini come imprenditore e designer di caratteri autodidatta, illustra il valore di un approccio globale al progetto, in cui estetica e funzionalità, ricerca e umanità sono elementi equivalenti e indispensabili.
Il percorso espositivo, che propone un'esperienza immersiva e multimediale con un allestimento ispirato alla disposizione del reparto disegno caratteri Officine Simoncini, accoglie il visitatore con filmati, fotografie e strumenti originali dell’epoca, introducendolo nell’affascinante processo di ideazione e realizzazione di una matrice per Linotype. Si prosegue con la presentazione del brevetto internazionale Metodo Simoncini, insieme a documenti, disegni dei caratteri e rare edizioni che ricostruiscono il contributo di Francesco Simoncini come progettista e offrono una panoramica su impatto e diffusione dei suoi alfabeti più importanti, come il Garamond Simoncini creato per Einaudi e il Delia progettato per gli elenchi telefonici.
Al designer bolognese si devono anche molti caratteri che hanno avuto larga diffusione in quotidiani e periodici in Italia e all'estero, tra quelli italiani figurano «Stadio», «La Nazione», «Il Tempo», «Guerin Sportivo», «Il Resto del Carlino» e «La Domenica del Corriere».
Nel progettare i propri caratteri, Simoncini si pone come obiettivi chiarezza e leggibilità, mettendo al centro di ogni progetto i consumatori finali del suo prodotto, i lettori. Questa attenzione, nell'epoca della diffusione della tecnologia Linotype, fa sì che i suoi caratteri abbiano largo impiego in ogni ambito della stampa in Italia. Ancora oggi alcuni dei suoi caratteri, anche se creati per una tecnologia obsoleta, sono noti e apprezzati in tutto il mondo.
È lo stesso autore a raccontare questo suo modo di procedere in una lezione-conferenza per il Corso superiore di cultura grafica alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino: «la leggibilità e funzionalità dei testi stampati, destinati a letture prolungate, è in parte oggi legata alla scelta di un buon procedimento di stampa, ma soprattutto alla diligenza con cui si procede alla preparazione dello stampato. In questo senso si può e si deve operare con impegno. Non sempre è feli-ce la scelta dei caratteri, della carta e non sempre sono curate la composizione e la stampa. […] In ogni nostro atto, nell'attività grafica, sia sempre presente la figura del lettore e le sue esigenze».
Anche come imprenditore Simoncini mise in pratica una visione innovativa per l’epoca, con un’attenzione costante volta al rispetto di collaboratori e dipendenti. Insieme ai fratelli riuscì a condurre l’attività del padre da piccola officina di riparazioni per Linotype colpita dalla guerra, a grande industria internazionale per la progettazione e produzione di caratteri. La sua dedizione si estese anche al di fuori dell’azienda: assunse infatti ruoli di rilievo in associazioni di settore, impegnandosi inoltre nella formazione dei giovani tecnici e nella standardizzazione della tecnologia.

Informazioni utili
Metodo Simoncini. Ricerca di un’estetica dell’insieme. Museo del patrimonio industriale | Fornace Galotti, via della Beverara, 123 - Bologna. Orari: dal martedì al venerdì, ore 9.00-13.00; sabato, ore 9.00-13.00 e ore 15.00-18.00; domenica, ore 15.00-18.00. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00, gratuito Card Musei Metropolitani Bologna e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.6356611 o museopat@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/patrimonioindustriale. Fino al 12 novembre 2017. 

venerdì 20 ottobre 2017

Da Gibellina all’Emilia, quando l’arte racconta il terremoto

È un viaggio a ritroso nel tempo quello che propone lo Studio Museo Francesco Messina di Milano con la sua nuova mostra, una riflessione su come il terremoto cambi la vita delle persone e su come l’arte possa raccontare in maniera inedita un evento sismico. Al centro dell’esposizione ci sono una selezione di fotografie scattate da Giuseppe Iannello (1982), fotografo palermitano recentemente laureato in Documentary Photography alla University of South Wales. Queste opere, stampate in bianco e nero, ritraggono alcune immagini di archivio della vecchia Gibellina elaborate e proiettate dall'artista sul Grande Cretto di Alberto Burri. Il progetto fotografico, intitolato «Gibellina 1968 - otto minuti dopo le tre», si propone così di far rivivere il luogo e le persone colpiti dal violento terremoto del 1968 e fissarli nella memoria storica.
L'interessante creazione artistica approfondisce, dunque, tematiche legate alla memoria, al senso dei luoghi dimenticati, abbandonati e distrutti e al loro destino, argomenti centrali anche per l'artista Domenico Fazzari, che parallelamente espone una tela di ottanta metri quadrati raffigurante l'abside della chiesa di Africo, sopravvissuta all'alluvione del 1951, considerata gemella di San Sisto, edificio religioso sventrato dai bombardamenti del 1943, che attualmente ospita lo Studio Museo Francesco Messina.
A fare da filo rosso tra le opere in mostra è quanto accaduto nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, quando un violentissimo sisma colpì la valle del Belice, nella Sicilia Occidentale. Il terremoto, localizzato tra i paesi di Gibellina, Poggioreale e Salaparuta, causò duecentotrenta morti e circa mille feriti. Per molti mesi gli abitanti di questi paesi furono costretti a vivere in tendopoli e, per diversi anni, nelle baraccopoli.
Negli anni seguenti, il Governo italiano tentò una ricostruzione delle zone colpite. Una nuova Gibellina fu costruita a venti chilometri da quella distrutta, ma non era più la stessa. Mentre la vecchia Gibellina subì una rapida morte per mano del terremoto, la nuova Gibellina subì una morte lenta per mano dei pianificatori.
Oggi, nel nuovo paese, gli ampi spazi pubblici ostacolano le relazioni della comunità. Le case, progettate dagli architetti che sognavano l'ideale della città-giardino, hanno di fatto cancellato l'abitudine degli abitanti di sedersi sui gradini della porta di casa. Gli anziani dicono di sentirsi come ospiti nel loro paese, mentre i giovani si sentono orfani di un modo di vivere che non hanno mai sperimentato.
L'interesse di Giuseppe Iannello è incentrato sull'avvenuta disconnessione tra queste due generazioni e si chiede: «Che cosa rimarrà nella mente delle nuove generazioni quando l'ultima persona che ha vissuto il tragico evento del terremoto non ci sarà più a raccontare la storia del vecchio paese? E come vivranno e creeranno quegli spazi comuni che sono andati persi?».
Mentre la nuova Gibellina è divisa a metà tra passato e presente, le rovine dell'antica Gibellina sono diventate il luogo di una installazione artistica: Alberto Burri ha risposto alla catastrofe compattando e coprendo le macerie del paese con uno spesso strato di calcestruzzo bianco, con fessure che lo attraversano seguendo il tracciato stradale originale. L'opera, chiamata Il Grande Cretto, si può vedere come un sarcofago concettuale, un memoriale del paese.
Questa enorme opera d'arte di ottomila metri quadrati ha sempre attratto Giuseppe Iannello. «Faticavo a capire il suo profondo significato, ma era così immensa e straordinaria che sono tornato diverse volte a visitarla, anche da adulto- racconta l’artista-. Ogni volta che camminavo tra le crepe del Grande Cretto, la fantasia di vedere il vecchio paese prendeva sempre più forma. Immaginavo la città vecchia, la sua gente e la sua storia e mi interrogavo inoltre sul significato del concetto di memoria. Ho pensato quindi di proiettare le immagini d'archivio che raccontano la vita della vecchia Gibellina sulle pareti del Grande Cretto provando a ricreare le strade, le atmosfere e a restituire i volti degli abitanti di Gibellina prima del terremoto».
A raccontare il terremoto attraverso il linguaggio dell’arte è in questo autunno anche una mostra allestita a Modena, negli spazi dell’ex Manifattura Tabacchi. Il percorso espositivo, visibile dal 21 ottobre al 4 febbraio, presenta le opere di sette fotografi internazionali, reduci da un periodo di lavoro in Emilia e nelle regioni del Centro Italia, alla ricerca di una via personale attraverso la quale raccontare la sequenza di terremoti che hanno colpito il nostro Paese negli ultimi dieci anni.
I pungenti bianchi e neri di Olivier Richon e i paesaggi silenziosi di Hallgerður Hallgrímsdóttir, le inquadrature crude di Naoki Ishikawa, il caos ragionato dei collage di Tomoko Kikuchi, i luoghi sordi e laconici di Eleonora Quadri, le insinuanti fotografie di Valentina Sommariva e gli attenti giochi di forme che dominano le composizioni di Alicja Dobrucka: le oltre settanta fotografie di «Sequenza Sismica» -questo il titolo della mostra- sono lo specchio di una condizione di precarietà e fragilità in cui tutta l’umanità può riconoscersi.
Completa il percorso espositivo un video documentario prodotto da Fondazione Fotografia Modena, ideato e realizzato da Daniele Ferrero e Roberto Rabitti, girato negli stessi luoghi visitati dai fotografi in più momenti: il video ruota attorno al tema cardine del tempo, della sua percezione straniata e distorta durante eventi traumatici. Grazie alla consulenza di alcuni professori dell'Università di Pisa è stato, inoltre, possibile per i due autori approfondire le dinamiche che caratterizzano la psicologia del trauma, indagando in particolar modo gli effetti psichici e fisici tipicamente riscontrabili a seguito di terremoti.
Parte integrante della mostra è, infine, un’importante selezione di fotografie storiche dei primi terremoti fotografati in Italia, a cura di Chiara Dall’Olio. Se, infatti, il nostro Paese è sempre stato scosso da terremoti, meno noto è il rapporto che lega la fotografia del XIX e XX secolo alla rappresentazione e allo studio di tali eventi drammatici. Per raccontare questa relazione sono stati scelti quattro momenti particolarmente significativi: il terremoto del 16 dicembre 1857 in Val d’Agri (oggi territorio compreso fra le provincie di Potenza e Salerno), rappresentato nelle fotografie di Alphonse Bernoud; il terremoto di Norcia del 22 agosto 1859, nelle fotografie di Robert MacPherson; il terremoto di Casamicciola (isola di Ischia) del 28 luglio 1883, nelle immagini di un anonimo reporter, e il terremoto di Messina del 1908, fotografato da Luca Comerio.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Giuseppe Iannello, Gibellina, 2017. Proiezione di immagine d'archivio sul Grande Cretto di Burri, stampa inkjet su carta Fine Art Hahnemuhle, cm 80x80; [fig. 2] Giuseppe Iannello, Via Cavour 1950, 2017. Proiezione di immagine d'archivio sul Grande Cretto di Burri, stampa inkjet su carta Fine Art Hahnemuhle, cm 80x80; [fig. 3] Giuseppe Iannello, Il Cretto e il vecchio paese, 2017. Proiezione di immagine d'archivio sul Grande Cretto di Burri, stampa inkjet su carta Fine Art Hahnemuhle, cm 107x107; [fig. 4] Olivier Richon, Amatrice, 2017. Stampa alla gelatina d’argento 40 x 50 cm © l’artista; [fig. 5] Valentina Sommariva, Senza Titolo, 2017. Stampa inkjet 100 x 70 cm © l’artista

Informazioni utili
Gibellina 1968 - otto minuti dopo le tre. Giuseppe Iannello. Studio Museo Francesco Messina, via San Sisto 4/A - Milano. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-18.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.86453005, c.museomessina@comune.milano.it. Sito internet: www.comunedimilano.it/museomessina. Fino al 22 ottobre 2017.

Sequenza Sismica - Sette fotografi internazionali raccontano il terremoto in Italia. MATA, Ex Manifattura Tabacchi, via Manifattura Tabacchi, 83 - Milano.
Orari: mercoledì-giovedì-venerdì, ore 15.00-19.00; sabato-domenica, ore 11.00-19.00; chiuso lunedì e martedì. Ingresso libero. Informazioni sulla mostra:
fondazionefotografia.org/mostra/sequenza-sismica/. Dal 21 ottobre 2017 al 4 febbraio 2018


mercoledì 18 ottobre 2017

Lombardia, Casalmaggiore rende omaggio a Giuseppe Diotti

Le opere di Giuseppe Diotti, (1779-1846), protagonista della pittura tardo neoclassica, tornano a casa. Dal 28 ottobre 2017 al 28 gennaio 2018, Casalmaggiore ospita negli spazi di quella che fu la dimora dell’artista lombardo una selezione lavori, scelti da Valter Rosa, di cui rimarrà documentazione in un catalogo edito dalle Edizioni Biblioteca A.E. Mortara. Le opere esposte, emblematiche per capire l’opera di questo pittore sensibile alle istanze del Purismo e interprete originale del Romanticismo storico, provengono in gran parte dai più importanti musei lombardi, come la Pinacoteca di Brera, il Museo civico Ala Ponzone di Cremona, l’Accademia Carrara di Bergamo, i Musei civici di Brescia, i Musei civici di Pavia, il Museo civico di Lodi, oltre che dalla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia e da collezioni private. Personaggio di spicco dell’arte italiana dell’Ottocento, Giuseppe Diotti ha insegnato per oltre trent’anni all’Accademia Carrara di Bergamo, formando una scuola di pittura che, nei primi decenni del XIX secolo, costituì, per metodo didattico e come vivaio di talenti, una valida alternativa alla più rinomata Accademia di Brera. La sua fama si diffuse rapidamente nell’ambiente culturale dell’epoca, al punto che Defendente Sacchi, critico tra i più autorevoli, lo definì «primo pittore lombardo», riconoscendo in lui un primato oggettivo nella ripresa dell’antica tecnica dell’affresco e nel campo della pittura sacra.
Il percorso espositivo, suddiviso per aree tematiche, condurrà il visitatore attraverso alcune tappe fondamentali della carriera di Diotti: dal periodo della formazione, in cui studiò il luminismo cinque-seicentesco attraverso le copie dai maestri, al perfezionamento degli studi negli anni del Pensionato romano, guidato a distanza da Giuseppe Bossi e sotto la protezione di Antonio Canova, a quello della maturità cui appartengono importanti cicli decorativi o dipinti legati alla pittura sacra e di storia, sino alla produzione finale, con la grande tela, incompiuta, del Giuramento di Pontida, ora conservata nella sala consiliare del Municipio di Casalmaggiore, e la ritrovata pala Petrobelli, esposta per la prima volta in questa occasione, con altri dipinti e disegni inediti.
Nel cuore della mostra una specifica sezione approfondirà il tema dantesco di Ugolino nella torre, in un confronto fra le diverse versioni del Diotti e quelle di artisti contemporanei, come Palagi, Sabatelli, Massacra, sul crinale fra Neoclassismo e Romanticismo.
Un aspetto ancora poco noto dell’attività di Diotti, quello del collezionista d’arte, sarà, poi, l’oggetto di una ricostruzione ideale della sua raccolta di stampe, allestita in questa occasione nella più ampia sala del Palazzo Diotti che il pittore aveva destinato ad ospitare la collezione di dipinti ed oggetti d’arte formata nei decenni trascorsi a Bergamo, in seguito dispersa dagli eredi.
Chiuderà idealmente il percorso una sezione documentaria sulla fortuna dell’artista nella sua epoca, con stampe di traduzione, libri e periodici.
Per tutto il periodo di apertura della mostra, saranno organizzati degli itinerari diotteschi in città e in Lombardia che consentiranno di apprezzare le opere nel contesto per cui furono realizzate. Il percorso a Casalmaggiore condurrà all’interno del Palazzo municipale, nella chiesa di Santo Stefano, nel Palazzo Favagrossa e nel villino Diotti di Rivarolo del Re; quello lombardo, toccherà le località in cui Diotti operò nel corso della sua vita, lungo l’asse Casalmaggiore-Cremona-Bergamo, con appendici a Lodi, nelle valli bergamasche, sul lago d’Iseo e a Brescia.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giuseppe Diotti, Mosè presenta le tavole della legge, 1808, olio su tela, cm 162x116 (Museo Diotti, deposito dell’Accademia di Belle Arti di Brera); [fig.2] Giuseppe Diotti, Adorazione dei pastori, 1809, olio su tela, cm 174x225 (Museo Diotti, deposito dell’Accademia di Belle Arti di Brera); [fig. 3] Giuseppe Diotti, Rebecca, 1810, olio su tela, cm 46x38 (Collezione privata)

Informazioni utili
Giuseppe Diotti. Museo Diotti, via Formis, 17 - Casalmaggiore (Cremona). Orari: da martedì a venerdì, ore 15.00 – 19.00; sabato, ore 15.00 – 19.00; domenica, ore 10.00 – 12.00 e ore 15.00 – 19.00; lunedì chiuso. Biglietti: intero € 8,00; ridotto € 5,00. Informazioni: tel. 0375.200416 o info@museodiotti.it. Sito internet: www.museodiotti.it. Dal 28 ottobre al 28 gennaio 2018.