È un viaggio a ritroso nel tempo quello che propone lo Studio Museo Francesco Messina di Milano con la sua nuova mostra, una riflessione su come il terremoto cambi la vita delle persone e su come l’arte possa raccontare in maniera inedita un evento sismico. Al centro dell’esposizione ci sono una selezione di fotografie scattate da Giuseppe Iannello (1982), fotografo palermitano recentemente laureato in Documentary Photography alla University of South Wales. Queste opere, stampate in bianco e nero, ritraggono alcune immagini di archivio della vecchia Gibellina elaborate e proiettate dall'artista sul Grande Cretto di Alberto Burri. Il progetto fotografico, intitolato «Gibellina 1968 - otto minuti dopo le tre», si propone così di far rivivere il luogo e le persone colpiti dal violento terremoto del 1968 e fissarli nella memoria storica.
L'interessante creazione artistica approfondisce, dunque, tematiche legate alla memoria, al senso dei luoghi dimenticati, abbandonati e distrutti e al loro destino, argomenti centrali anche per l'artista Domenico Fazzari, che parallelamente espone una tela di ottanta metri quadrati raffigurante l'abside della chiesa di Africo, sopravvissuta all'alluvione del 1951, considerata gemella di San Sisto, edificio religioso sventrato dai bombardamenti del 1943, che attualmente ospita lo Studio Museo Francesco Messina.
A fare da filo rosso tra le opere in mostra è quanto accaduto nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, quando un violentissimo sisma colpì la valle del Belice, nella Sicilia Occidentale. Il terremoto, localizzato tra i paesi di Gibellina, Poggioreale e Salaparuta, causò duecentotrenta morti e circa mille feriti. Per molti mesi gli abitanti di questi paesi furono costretti a vivere in tendopoli e, per diversi anni, nelle baraccopoli.
Negli anni seguenti, il Governo italiano tentò una ricostruzione delle zone colpite. Una nuova Gibellina fu costruita a venti chilometri da quella distrutta, ma non era più la stessa. Mentre la vecchia Gibellina subì una rapida morte per mano del terremoto, la nuova Gibellina subì una morte lenta per mano dei pianificatori.
Oggi, nel nuovo paese, gli ampi spazi pubblici ostacolano le relazioni della comunità. Le case, progettate dagli architetti che sognavano l'ideale della città-giardino, hanno di fatto cancellato l'abitudine degli abitanti di sedersi sui gradini della porta di casa. Gli anziani dicono di sentirsi come ospiti nel loro paese, mentre i giovani si sentono orfani di un modo di vivere che non hanno mai sperimentato.
L'interesse di Giuseppe Iannello è incentrato sull'avvenuta disconnessione tra queste due generazioni e si chiede: «Che cosa rimarrà nella mente delle nuove generazioni quando l'ultima persona che ha vissuto il tragico evento del terremoto non ci sarà più a raccontare la storia del vecchio paese? E come vivranno e creeranno quegli spazi comuni che sono andati persi?».
Mentre la nuova Gibellina è divisa a metà tra passato e presente, le rovine dell'antica Gibellina sono diventate il luogo di una installazione artistica: Alberto Burri ha risposto alla catastrofe compattando e coprendo le macerie del paese con uno spesso strato di calcestruzzo bianco, con fessure che lo attraversano seguendo il tracciato stradale originale. L'opera, chiamata Il Grande Cretto, si può vedere come un sarcofago concettuale, un memoriale del paese.
Questa enorme opera d'arte di ottomila metri quadrati ha sempre attratto Giuseppe Iannello. «Faticavo a capire il suo profondo significato, ma era così immensa e straordinaria che sono tornato diverse volte a visitarla, anche da adulto- racconta l’artista-. Ogni volta che camminavo tra le crepe del Grande Cretto, la fantasia di vedere il vecchio paese prendeva sempre più forma. Immaginavo la città vecchia, la sua gente e la sua storia e mi interrogavo inoltre sul significato del concetto di memoria. Ho pensato quindi di proiettare le immagini d'archivio che raccontano la vita della vecchia Gibellina sulle pareti del Grande Cretto provando a ricreare le strade, le atmosfere e a restituire i volti degli abitanti di Gibellina prima del terremoto».
A raccontare il terremoto attraverso il linguaggio dell’arte è in questo autunno anche una mostra allestita a Modena, negli spazi dell’ex Manifattura Tabacchi. Il percorso espositivo, visibile dal 21 ottobre al 4 febbraio, presenta le opere di sette fotografi internazionali, reduci da un periodo di lavoro in Emilia e nelle regioni del Centro Italia, alla ricerca di una via personale attraverso la quale raccontare la sequenza di terremoti che hanno colpito il nostro Paese negli ultimi dieci anni.
I pungenti bianchi e neri di Olivier Richon e i paesaggi silenziosi di Hallgerður Hallgrímsdóttir, le inquadrature crude di Naoki Ishikawa, il caos ragionato dei collage di Tomoko Kikuchi, i luoghi sordi e laconici di Eleonora Quadri, le insinuanti fotografie di Valentina Sommariva e gli attenti giochi di forme che dominano le composizioni di Alicja Dobrucka: le oltre settanta fotografie di «Sequenza Sismica» -questo il titolo della mostra- sono lo specchio di una condizione di precarietà e fragilità in cui tutta l’umanità può riconoscersi.
Completa il percorso espositivo un video documentario prodotto da Fondazione Fotografia Modena, ideato e realizzato da Daniele Ferrero e Roberto Rabitti, girato negli stessi luoghi visitati dai fotografi in più momenti: il video ruota attorno al tema cardine del tempo, della sua percezione straniata e distorta durante eventi traumatici. Grazie alla consulenza di alcuni professori dell'Università di Pisa è stato, inoltre, possibile per i due autori approfondire le dinamiche che caratterizzano la psicologia del trauma, indagando in particolar modo gli effetti psichici e fisici tipicamente riscontrabili a seguito di terremoti.
Parte integrante della mostra è, infine, un’importante selezione di fotografie storiche dei primi terremoti fotografati in Italia, a cura di Chiara Dall’Olio. Se, infatti, il nostro Paese è sempre stato scosso da terremoti, meno noto è il rapporto che lega la fotografia del XIX e XX secolo alla rappresentazione e allo studio di tali eventi drammatici. Per raccontare questa relazione sono stati scelti quattro momenti particolarmente significativi: il terremoto del 16 dicembre 1857 in Val d’Agri (oggi territorio compreso fra le provincie di Potenza e Salerno), rappresentato nelle fotografie di Alphonse Bernoud; il terremoto di Norcia del 22 agosto 1859, nelle fotografie di Robert MacPherson; il terremoto di Casamicciola (isola di Ischia) del 28 luglio 1883, nelle immagini di un anonimo reporter, e il terremoto di Messina del 1908, fotografato da Luca Comerio.
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Giuseppe Iannello, Gibellina, 2017. Proiezione di immagine d'archivio sul Grande Cretto di Burri, stampa inkjet su carta Fine Art Hahnemuhle, cm 80x80; [fig. 2] Giuseppe Iannello, Via Cavour 1950, 2017. Proiezione di immagine d'archivio sul Grande Cretto di Burri, stampa inkjet su carta Fine Art Hahnemuhle, cm 80x80; [fig. 3] Giuseppe Iannello, Il Cretto e il vecchio paese, 2017. Proiezione di immagine d'archivio sul Grande Cretto di Burri, stampa inkjet su carta Fine Art Hahnemuhle, cm 107x107; [fig. 4] Olivier Richon, Amatrice, 2017. Stampa alla gelatina d’argento 40 x 50 cm © l’artista; [fig. 5] Valentina Sommariva, Senza Titolo, 2017. Stampa inkjet 100 x 70 cm © l’artista
Informazioni utili
Gibellina 1968 - otto minuti dopo le tre. Giuseppe Iannello. Studio Museo Francesco Messina, via San Sisto 4/A - Milano. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-18.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.86453005, c.museomessina@comune.milano.it. Sito internet: www.comunedimilano.it/museomessina. Fino al 22 ottobre 2017.
Sequenza Sismica - Sette fotografi internazionali raccontano il terremoto in Italia. MATA, Ex Manifattura Tabacchi, via Manifattura Tabacchi, 83 - Milano.
Orari: mercoledì-giovedì-venerdì, ore 15.00-19.00; sabato-domenica, ore 11.00-19.00; chiuso lunedì e martedì. Ingresso libero. Informazioni sulla mostra: fondazionefotografia.org/mostra/sequenza-sismica/. Dal 21 ottobre 2017 al 4 febbraio 2018
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