ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 19 febbraio 2018

«Katagami e Katazome», a Venezia una mostra sulla decorazione dei tessuti in Giappone

Sono ormai passati cinque anni da quando il Museo di Palazzo Mocenigo, a Venezia, è stato oggetto di un radicale intervento di restyling e ampliamento dei suoi spazi espositivi, che ha interessato la sede di San Stae, con nuovi percorsi museali dedicati al profumo.
Ora ad essere oggetto di un nuovo intervento è il primo piano nobile, dove per tutto il 2018 verranno esposti, a rotazione, oggetti delle collezioni permanenti, a cominciare da una ricchissima raccolta di tessuti e abiti di ambito orientale di proprietà della Fondazione di Venezia, schedati dalla storica Doretta Davanzo Poli e appartenenti alle collezioni del Centro studi di storia del tessuto e del costume di Palazzo Mocenigo.
L’esposizione sarà affiancata, fino al prossimo 22 aprile, da un interessante approfondimento sulla simbologia e sulla decorazione dei tessuti in Giappone, in particolare sugli stilemi Katagami e Katazome, che interesserà la «White Room» al piano terra del museo, dedicata alle esposizioni temporanee e a tema.
I rapporti di Venezia con l’Oriente fanno da filo conduttore alla rassegna lagunare, che si tiene in un luogo significativo per lo studio di questi scambi culturali e commerciali come il palazzo della famiglia Mocenigo, una delle più importanti e prestigiose dinastie del patriziato veneziano, che, come noto, ha dato alla Repubblica ben sette Dogi, oltre a un gran numero di procuratori, ambasciatori, capitani, ecclesiastici e letterati.
La residenza veneziana approfondisce questo importante capitolo della storia della città attraverso l’esposizione di una ventina di esemplari rappresentativi scelti tra gli oltre quattrocento manufatti (tra abiti, tessuti e paramenti sacri occidentali e orientali), appartenuti alla collezione avviata in Spagna dai genitori di Mariano Fortuny, in particolar modo dalla madre Cecilia, e fonte di ispirazione costante per l’artista nella sua attività di stampa su stoffa e di stilista di moda.
Come non pensare, a tal proposito, a quanto scritto dal poeta francese Henri de Régnier, nel suo libro «L’altana ou de la vie vènitienne»: «[…] Ecco i pesanti velluti di Venezia, di Genova o dell’Oriente, sontuosi o delicati, vivaci o gravi, con ampi ramages, con figure o fogliami, velluti che dogi o califfi hanno forse indossati; ecco i broccati dai toni accesi, le sete dalle delicate sfumature; ecco i paramenti sacri e quelli di corte; ecco gli affascinanti taffetas e i satins lucenti, disseminati di fleurettes e di fasci di fiori, con i quali nel XVIII secolo si facevano i vestiti per le donne e gli abiti per gli uomini; ecco le stoffe di tutti i colori e di tutte le fibre: alcune evocano la forma dei corpi che hanno vestito, le altre sono in lunghe pezze e in scampoli, altre ancora ridotte a minuscoli frammenti».
In questo contesto la presentazione di pezzi Katagami e Katazome nella «White Room» del museo rappresenta a tutti gli effetti un approfondimento sul tema: l’esposizione, che gode del patrocinio del Consolato generale del Giappone a Milano, illustra, infatti, un aspetto particolare della storia culturale ed etnografica degli artigiani giapponesi, con particolare riferimento al tessuto d’abbigliamento, in particolar modo dei kimono.
I tanti esempi di tessitura e stampa presentati e provenienti dalle collezioni private di Ishimi Ousugi, Nancy Stetson Martin e Franco Passarello, che cura anche l’allestimento, dimostrano con evidenza la lunga tradizione e l’alta qualità degli abiti indossati nel Paese orientale.
La mostra affianca ad abiti e tessuti stampati con la tecnica katazome le matrici katagami, una sorta di stencil, utilizzato per la loro realizzazione e appartenenti a un periodo che va dall’Ottocento ai primi anni del Novecento, e dunque corrispondenti ai periodi Edo e Meiji.

Informazioni utili
Venezia e l’Oriente. La collezione della fondazione di Venezia. Palazzo Mocenigo, Centro studi di storia del tessuto e del costume, Santa Croce, 1992 – Venezia. Orari: fino al 31 marzo ore 10.00 – 16.00 | dal 1° aprile ore 10.00 – 17.00 | la biglietteria chiude mezz’ora prima. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 5,50. Informazioni: info@fmcvenezia.it, call center 848082000 (dall’Italia), +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: www.mocenigo.visitmuve.it. Fino al 22 aprile 2018

domenica 18 febbraio 2018

«L'anima e il sangue», la vita di Caravaggio diventa un film

Caravaggio arriva al cinema. Esce lunedì 19 febbraio in oltre trecentoquaranta sale italiane, grazie alla distribuzione di Nexo Digital, il documentario realizzato da Sky, in collaborazione con Magnitudo Film, su Michelangelo Merisi, uno degli artisti più amati, controversi e misteriosi della storia dell'arte.
La regia del progetto è stata affidata a Jesus Garces Lambert, mentre a dare voce all’artista, al suo io interiore, è Manuel Agnelli, frontman degli «Afterhours» e giudice di «X Factor», che racconterà i continui moti d’animo del Caravaggio, riproducendo le sfumature del suo carattere e tradendo le emozioni, spesso violente, che albergavano in lui, aiutando così lo spettatore a entrare in contatto con l’animo e la mente dell’inquieto genio seicentesco.
«Caravaggio – L’anima e il sangue», questo il titolo del film che rimarrà in cartellone fino al 21 febbraio, racconta, dunque, l’esistenza tormentata dell’artista e la sua propensione a vivere sempre sull’orlo dell’abisso attraverso scene fotografiche contemporanee, essenziali e simboliche, che focalizzano l’attenzione su sentimenti quali la costrizione e la ricerca della libertà, il dolore, la passione, l’attrazione per il rischio, la ricerca della misericordia, fino alla richiesta di perdono e redenzione.
Lo spettatore si ritroverà così a vivere un’esperienza cinematografica emozionale, inquieta e quasi tattile anche grazie all’ultra risoluzione di un girato in sorgente in 8K (7680x4320 pixel), che permette di carpire i dettagli delle opere riprese, di percepire la singola pennellata restituendo così la voluttuosità e la consistenza materica della produzione dell’artista. Ad aiutare questa esperienza visiva sarà anche il formato Cinemascope 2:40, che consente una visione più allungata e orizzontale dell’immagine, molto vicina all’effettiva visione dell’occhio umano, con il risultato di rendere l’immagine percepita meno rafforzata e artefatta.
A queste scelte visive si aggiunge il trattamento di post produzione della luce, protagonista nella rappresentazione delle opere caravaggesche, che regala un’esperienza di immersione di fortissimo impatto visivo, assolutamente inedita e pionieristica.
Il film racconta l’uomo e l’artista attraverso un’approfondita indagine investigativa effettuata attraverso documenti originali preziosissimi, mostrati per la prima volta sul grande schermo, tra cui quelli custoditi all’Archivio storico diocesano di Milano, che conserva l'atto di battesimo datato 29 settembre 1571, e all’Archivio di Stato di Roma, scrigno ricco di testimonianze preziosissime, documenti originali mostrati per la prima volta sul grande schermo, capaci di proiettarci nella vita e nei guai di Caravaggio, come querele e verbali dei processi a suo carico, che restituiscono il ritratto di un personaggio tenebroso e sanguigno, spavaldo e incline alle baruffe. Non mancano i contratti delle commesse, come quella per la Cappella Contarelli e la Cappella Cerasi, e i libri contabili del Pio Monte della Misericordia di Napoli.
La narrazione -che si avvale della consulenza scientifica di Claudio Strinati, Mina Gregori e Rossella Vodret- si sviluppa attraverso cinque città, una quindicina di luoghi e una quarantina di opere, tra le più celebri e rappresentative della produzione caravaggesca, come «Canestra di frutta», «Ragazzo morso da un ramarro», «Bacchino Malato», la «Vocazione di San Matteo», «Giuditta e Oloferne», «Scudo con la Testa di Medusa», «Davide con la testa di Golia», «Sette Opere di Misericordia» e «Decollazione di San Giovanni Battista».
Artista rivoluzionario e per questo spesso poco amato dai contemporanei, Caravaggio girò l’Italia in cerca di fortuna o forse in cerca di se stesso, sfuggendo ai nemici che sempre si creava al suo passaggio. Milano, Firenze, Roma, Napoli, la Sicilia e Malta sono i luoghi che lo videro lavorare, dalle prime nature morte, di grande realismo, fino alle ultime tele, complesse scene di figure sacre e profane, di luce e di ombra che attraversano la tempestosa vita di un uomo tormentato nello spirito.
In questo excursus narrativo e visivo l'uomo Caravaggio e la sua vita tormentata sono ricostruiti attraverso una ricerca documentale approfondita, condotta in stretto riferimento con la sua esistenza fatta di luci e ombre, contrasti e contraddizioni, genio e sregolatezza, e che trova nei suoi capolavori l’eco delle esperienze personali.
Va, infine, sottolineato che il film compie un’operazione senza precedenti, riposizionando virtualmente l’opera rifiutata «La Madonna dei Parafrenieri» nella sede a cui era originariamente destinata, ovvero l’attuale Altare di San Michele Arcangelo nella Basilica di San Pietro, proprio di fianco al Baldacchino del Bernini.
Nella grande tela, di quasi tre metri di altezza per due di larghezza, Caravaggio rappresenta la Vergine con Cristo bambino e Sant’Anna impegnati in una lotta contro il serpente, simbolo del male. La giovane madre è inondata dalla luce, protagonista assoluta dell’azione, con le fattezze di Maddalena Antognetti, descritta in molte cronache come «Lena donna di Michelangelo», cortigiana e concubina del Caravaggio, mentre alla Santa Patrona della Confraternita è affidato un ruolo da comprimaria, avvolta dall’oscurità e raffigurata come una donna anziana e fragile.
Quando Caravaggio consegnò l’opera, l’8 aprile del 1606, rilasciò al Decano della confraternita l’unica dichiarazione scritta di suo pugno che ci sia pervenuta, in cui si dichiara «contento e satisfatto» del dipinto realizzato; fu invece inappellabile il verdetto: «Rifiutata». L’opera rimase così nella sua collocazione originaria solo pochi giorni, rimossa rapidamente, e ben presto si sparse la voce che fosse stato Scipione Borghese, nipote di Papa Paolo V, a determinare il rifiuto dell’opera in modo da poterla acquistare a buon prezzo e arricchire così la sua collezione di dipinti del Caravaggio, oggi ammirabile nella Galleria Borghese.
«Caravaggio – l'anima e il sangue» si configura, dunque, come un’immersione assolutamente inedita e pionieristica nelle opere e nell'animo di Caravaggio, un film palpitante che racconta l’arte di un uomo la cui audacia e genio furono tormento ma anche slancio verso una gloria affidata all’eternità.

Informazioni utili
www.nexodigital.it 

sabato 17 febbraio 2018

«Lightquake», quando la luce si fa arte

Quindici artisti e due sedi espositive per un omaggio alla poetica della light art: si presenta così il progetto «Lightquake», in cartellone fino al 25 febbraio in due spazi espositivi del Polo museale dell’Umbria, ovvero la Rocca Albornoz - Museo nazionale del Ducato di Spoleto e il Palazzo Ducale di Gubbio.
Le due rassegne offrono al visitatore, attraverso installazioni luminose e opere interattive, un’esperienza di notevole qualità percettiva, che permette di indagare il ruolo della luce, forma di comunicazione immediata e partecipativa, dalla forte valenza emotiva.
Il progetto, ideato da Rosaria Mencarelli, è stato realizzato da Paola Mercurelli Salari, con la direzione artistica di Gisella Gellini e Claudia Bottini e con la collaborazione di Fabio Agrifoglio e degli studenti del corso Light Art e Design della Luce del Politecnico di Milano.
Nata per sostenere il recupero del patrimonio culturale danneggiato dal sisma che ha colpito il centro Italia nel 2016, la rassegna è corredata da una raccolta fondi e ha una piccola appendice al Tempietto del Clitunno, dove è presente un’installazione luminosa di Carlo Dell’Amico, e alla galleria ADD Ard di Spoleto, dove espongono Mario Agrifoglio e Nicola Evangelisti.
Protagonista a Gubbio è la light art, forma di arte contemporanea che trasforma luoghi e città, nata intorno alla metà del XX secolo e affermatasi grazie alle opere di Dan Flavin e James Turrell. Il mezzo di espressione di questo linguaggio, a cui devono molto l’arte concettuale e il minimalismo, e il fine dell’opera è la luce.
In vari spazi del Palazzo Ducale espongono tre artisti: nel cortile interno c’è «La macchina del tempo» di Federica Marangoni, una delle più importanti light artist italiane che fin dagli anni Settanta realizza monumentali installazioni luminose; mentre nel transetto destro è possibile ammirare due opere di luce site specific realizzate dall’artista umbro Stefano Frascarelli e dal toscano Saverio Mercati, che cambiano la percezione e la spazialità delle stanze di Palazzo Ducale.
La Rocca di Spoleto guarderà, invece, all’esperienza della Black Light, la luce nera, con la mostra itinerante «La luce che colora il buio», già allestita a Milano e Como. Il nucleo degli artisti a Spoleto è composto da: Mario Agrifoglio, Nino Alfieri, Alessio Ancillai, LeoNilde Carabba, Claudio Sek De Luca, Giulio De Mitri, Nicola Evangelisti, Maria Cristiana Fioretti, Federica Marangoni, Yari Miele, Ugo Piccioni e Sebastiano Romano.
La Black Light è uno strumento espressivo in grado di coinvolgere lo spettatore in una esperienza sensoriale dove la realtà non appare con il solito aspetto ma si veste di colori, di forme e di spazialità insolite e sorprendenti.
La luce nera, affascinante ossimoro, non serve, infatti, per illuminare in modo convenzionale, ma si utilizza per far apparire in modo diverso gli oggetti o lo spazio circostante, sia per scopi spiccatamente pratici che in ambito artistico.
Anche se di solito il pubblico generico la associa alle scenografie del Cirque du Soleil o alle ambientazioni delle discoteche, la black light fu usata per la prima volta dal grande artista Lucio Fontana, con il suo ambiente spaziale a luce nera del 1949.
Successivamente, negli anni Sessanta, decennio che vide la nascita dell’optical art e dell’arte cinetica, Gianni Colombo la ripropone con il suo «Spazio Elastico», che vince il premio per la pittura alla Biennale di Venezia del 1986 e che Bice Curiger ha riproposto all’edizione del 2011, proprio all’ingresso del padiglione principale ai Giardini.
Data la peculiarità del tema e delle opere esposte, l’allestimento presenta ambienti oscurati con gradazioni diverse, in modo da valorizzare al meglio le opere esposte e offrire un coinvolgente percorso espositivo.
Grande spazio nel percorso espositivo è dato alla figura di Mario Agrifoglio, unico artista scomparso, che fa da trait d’union per il concept della mostra, nella quale sono esposte opere che indagano il rapporto luce e materia, sperimentando le interazioni con materiali veicolatori di luce, come il vetro, oppure gli effetti di speciali pigmenti fotosensibili, luminescenti o fluorescenti, il tutto con la luce di Wood.
Il tutto confermerà un modo di dire che fa da filo rosso tra le opere esposte: «il buio non esiste, è soltanto l’assenza della luce».

Informazioni utili 
«Lightquake». Rocca Albornoz – Museo Nazionale del Ducato di Spoleto (Pg) e Palazzo Ducale di Gubbio (Pg). SPOLETO - dal martedì alla domenica, dalle ore 9.30 alle ore 18.00, lunedì chiuso, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. GUBBIO - dal martedì alla domenica, dalle ore 8.30 alle ore 19.30, lunedì chiuso, ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura. Aperture straordinarie in occasione di eventi speciali, ponti e festività. Ingresso: La mostra è compresa nel biglietto d’ingresso alle due strutture museali. I possessori del biglietto di un museo hanno diritto al biglietto ridotto dell’altro. SPOLETO: intero € 7,50, ridotto € 3,75 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del MiBACT. Spoleto Card: Red Card € 9,50, Green Card € 8,00 (+ 65, da 15 a 25 anni, gruppi oltre 15 persone). GUBBIO: intero € 5,00, ridotto € 2,50 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del MiBACT. Ingresso gratuito in entrambi i musei la prima domenica del mese. Visite guidate: SPOLETO gruppi fino a 20 unità € 80,00 (in lingua € 100,00); scuole fino a 20 unità visita tematica mostra + Rocca € 60,00; percorsi educativi a tariffa agevolata € 30,00 (classi fino a 20 unità) nei giorni 13,20 dicembre, 17,24,31 gennaio, 7,14,21 febbraio dalle 10.00 alle 12.00. GUBBIO gruppi fino a 20 unità € 80,00 (in lingua € 100,00); scuole fino a 20 unità visita guidata mostra + Palazzo Ducale € 60,00. L’ingresso alla mostra e al museo è gratuito per le scuole. Tariffe personalizzate per visite guidate alla mostra + città e itinerari turistici regionali. Tutte le visite guidate a Spoleto a Gubbio sono garantite solo su prenotazione. Info e prenotazioni: Call center Sistema Museo 199151123 o callcenter@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 25 febbraio 2018.