Fumetto e cinema si incontrano, ancora una volta, in una nuova pubblicazione da non perdere, firmata Panini Comics: «La storia del cinema di Topolino». Si tratta di centoquarantaquattro pagine, con prefazione del giornalista Rai Vincenzo Mollica, che raccolgono in un unico volume le cinque avventure a tema cinematografico scritte da Roberto Gagnor per i disegni di Valerio Held e Giada Perissinotto, pubblicate sulle pagine del settimanale «Topolino» nel corso del 2018.
Le tavole e gli approfondimenti, che verranno presentati ufficialmente al pubblico nella serata di sabato 16 marzo (dalle ore 18) al Museo del cinema di Torino, guidano il lettore in un viaggio emozionante, ma anche ironico e divertente, che, pagina dopo pagina, attraversa la storia del cinema e i suoi generi cinematografici più rappresentativi, mettendo in luce le reciproche contaminazioni tra la settima e la nona arte, ovviamente nello stile di topi e paperi.
La prima avventura è già una sorpresa: in «Mickey Keaton e il kolossal pericoloso», Topolino, nei panni del mitico Buster Keaton, si ritrova protagonista di una storia a fumetti muta: nessun balloon, dunque, ma spazio solo a grandi didascalie, proprio come nel film dell’epoca.
«Howard Paperin e i misteri dello Studio 13» è, invece, un omaggio al genere horror e a un altro genio del cinema di sempre: Howard Hawks. La paura sarà naturalmente un pretesto per mettere in luce le divertenti gag dei paperi protagonisti.
Con «Dinamite Bla e le 400 melanzane», Gagnor si è, poi, cimentato con il racconto delle raffinate atmosfere della Nouvelle Vague di Truffaut attraverso la goffaggine e lo stile «buzzurro» (citazione d’obbligo) di Dinamite Bla.
Di pagina in pagina, il viaggio nella storia del cinema prosegue con un excursus nel poliziesco: «Basettoni e Manetta da Topolinia con furore» racconta il cinema “di genere” degli anni ’70, un tuffo nel passato dei due agenti, immortalati dalla matita di Giada Perissinotto con capelli lunghi e pantaloni a zampa di elefante.
Infine, il volume presenta un omaggio a un classico del nostro tempo, Steven Spielberg, attraverso la storia «Topolino e il bestio di Amicizity»: tante le citazioni ai più famosi e iconici lungometraggi del genere avventuroso.
«Cinema e fumetto vivono da sempre una contaminazione continua e noi, con questo volume, ci siamo divertiti a metterle in luce con l’ironia e la simpatia dei nostri topi e paperi, capaci di sdrammatizzare anche i capolavori più iconici - dice Alex Bertani, direttore di «Topolino». - I nostri lettori non si annoieranno nel cercare e riconoscere i numerosi riferimenti che Roberto Gagnor si è divertito a inserire in ogni storia».
Il volume si chiude con la raccolta di alcune locandine a fumetti di capolavori della storia del cinema protagonisti di altrettante più celebri parodie disneyane: da «Casablanca» a «La Strada», fino a «Metropolis», solo per citarne alcune.
Per saperne di più
www.topolino.it
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
giovedì 14 marzo 2019
mercoledì 13 marzo 2019
«Ecologies of Loss», quando l’arte incontra il pensiero ecologista
Propone una riflessione sul rapporto tra pratiche artistiche e pensiero ecologista nel continente asiatico la prima personale italiana dell’artista indiano Ravi Agarwal, allestita fino al prossimo 9 giugno negli spazi del PAV - Parco Arte Vivente di Torino per la curatela di Marco Scotini. «Ecologies of Loss», questo il titolo dell’esposizione, rientra in un progetto di più ampio respiro che si propone di far luce sulla «centralità dell'Asia nella crisi climatica», per usare le parole di Amitav Ghosh, e che ha preso avvio nei mesi scorsi con una personale dell'artista cinese Zheng Bo dal titolo «Weed Party III».
Tra i maggiori esponenti della scena artistica indiana, da decenni Ravi Agarwal conduce una pratica interdisciplinare come artista, fotografo, attivista ambientale, scrittore e curatore. Il suo impegno per l'ambiente lo ha visto fondare e tuttora dirigere la ONG ambientalista Toxic Link e gli è valso differenti premi, tra cui, nel 2008, lo Special Recognition Award for Chemical Safety delle Nazioni Unite e, nel 1997, l'Ashoka Fellowship per l'imprenditoria sociale.
Il lavoro di Ravi Agarwal esplora questioni nodali dell'epoca contemporanea quali l'ecologia, la società, lo spazio urbano e rurale, il capitale.
Per oltre quattro decadi, la fotografia ha costituito il medium d'elezione per il lavoro di Ravi Agarwal, che ha poi conosciuto una dimensione più estesa grazie all'inclusione di installazioni, video, interventi di arte pubblica, diari, all'interno di progetti dalla durata pluriennale.
La natura decentrata del suo approccio (plurale, frattale, polifonico) colloca Ravi Agarwal tra quegli esponenti di una scienza nomade (Deleuze e Guattari) che si muovono contro le istanze teoriche unitarie, in favore di saperi minori, frammentari e locali. Animato dal desiderio di riappropriazione dei poteri collettivi autonomi sottratti dal capitalismo, di auto-gestione e auto-governo dei propri corpi e delle proprie vite, di cooperazione nel lavoro umano ed extra-umano, Agarwal registra i cambiamenti in corso nell'ambiente a partire dal lato della perdita. Da qui deriva il titolo, «Ecologies of Loss», della mostra concepita per il PAV.
In questo senso, trattandosi della prima personale in Italia, la mostra cerca di raccogliere nuclei di opere scalate cronologicamente negli anni: da «Have you Seen the Flowers on the River» (2007 - 2010) a «Extinct?» (2008), da «Alien Waters» (2004 – 2006) a «Else All Will Be Still» (2013 – 2015). All'interno di queste estese ricerche, la perdita dell'animale (la comunità degli avvoltoi della parte meridionale dell'Asia) non è distinta dalla minaccia dell'estinzione della coltura del garofano indiano (la sua economia sostenibile, i suoi significati rituali), la perdita del fiume Yamuna, da quella del linguaggio (con il ricorso alla antica letteratura Sangam, scritta in Tamil), fino alla perdita del sé soggettivo – secondo una logica di interconnessione ecosistemica per la quale nessun elemento risulterebbe isolabile dal resto.
Ma l'aspetto fondamentale e originale della pratica artistica e attivista di Ravi Agarwal è quello che da più parti è stata definita come «personal ecology». E ciò fin dal 2002, quando il suo lavoro viene presentato a Documenta XI e il tema ecologico non è ancora all'ordine del giorno. Piuttosto che «personal ecology» sarebbe più giusto definirla, con la derivazione foucaultiana, «ecologia del sé», cioè come l'implicazione della propria auto-biografia all'interno dell'ambiente, come sua componente indissociabile. Per questo l'ambiente non potrà essere solo naturale, ma psichico, sociale, linguistico, semiotico. Da questo punto di vista, risulta particolarmente emblematico il lavoro presentato a Yinchuan Biennale. Il titolo, «Room of the Seas and Room of Suns», fa riferimento a due spazi della vita dell'artista, connessi dal comune elemento della sabbia. Due contesti ecologici, due politiche di sopravvivenza, il paesaggio umido della città costiera di Pondicherry e quello arido del deserto del Rajasthan, della sua infanzia e dei suoi antenati. Come afferma Agarwal, il fiume non è solo un corpo d'acqua che scorre attraverso la città, ma una rete di miriadi di relazioni interconnesse alla città, ai suoi abitanti e alla natura.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ravi Agarwal, Have you seen the flowers on the river?, stampe fotografiche, 2007. Courtesy l'artista; [fig. 2] Ravi Agarwal, Else, all will be still, serie fotografica, 2013-2015. Courtesy l'artista; [fig. 3] Ravi Agarwal, Alien Waters, serie fotografica, 2004-2006. Courtesy l'artista; [fig.4] Ravi Agarwal, Else, all will be still, serie fotografica, 2013-2015. Courtesy l'artista
Informazioni utili
«Ecologies of Loss» - Personale di Ravi Agarwal. PAV - Parco Arte Vivente, via Giordano Bruno, 31 – Torino. Orari: venerdì, ore 15.00 – 18.00; sabato e domenica, ore 12.00 – 19.00. Ingresso: € 4,00; ridotto € 3,00; gratuito: Abbonamento Torino Musei, Torino+Piemonte Card, minori di 10 anni, over 65, persone con disabilità. Informazioni: tel. 011.3182235, press@parcoartevivente.it. Fino al 9 giugno 2019.
Tra i maggiori esponenti della scena artistica indiana, da decenni Ravi Agarwal conduce una pratica interdisciplinare come artista, fotografo, attivista ambientale, scrittore e curatore. Il suo impegno per l'ambiente lo ha visto fondare e tuttora dirigere la ONG ambientalista Toxic Link e gli è valso differenti premi, tra cui, nel 2008, lo Special Recognition Award for Chemical Safety delle Nazioni Unite e, nel 1997, l'Ashoka Fellowship per l'imprenditoria sociale.
Il lavoro di Ravi Agarwal esplora questioni nodali dell'epoca contemporanea quali l'ecologia, la società, lo spazio urbano e rurale, il capitale.
Per oltre quattro decadi, la fotografia ha costituito il medium d'elezione per il lavoro di Ravi Agarwal, che ha poi conosciuto una dimensione più estesa grazie all'inclusione di installazioni, video, interventi di arte pubblica, diari, all'interno di progetti dalla durata pluriennale.
La natura decentrata del suo approccio (plurale, frattale, polifonico) colloca Ravi Agarwal tra quegli esponenti di una scienza nomade (Deleuze e Guattari) che si muovono contro le istanze teoriche unitarie, in favore di saperi minori, frammentari e locali. Animato dal desiderio di riappropriazione dei poteri collettivi autonomi sottratti dal capitalismo, di auto-gestione e auto-governo dei propri corpi e delle proprie vite, di cooperazione nel lavoro umano ed extra-umano, Agarwal registra i cambiamenti in corso nell'ambiente a partire dal lato della perdita. Da qui deriva il titolo, «Ecologies of Loss», della mostra concepita per il PAV.
In questo senso, trattandosi della prima personale in Italia, la mostra cerca di raccogliere nuclei di opere scalate cronologicamente negli anni: da «Have you Seen the Flowers on the River» (2007 - 2010) a «Extinct?» (2008), da «Alien Waters» (2004 – 2006) a «Else All Will Be Still» (2013 – 2015). All'interno di queste estese ricerche, la perdita dell'animale (la comunità degli avvoltoi della parte meridionale dell'Asia) non è distinta dalla minaccia dell'estinzione della coltura del garofano indiano (la sua economia sostenibile, i suoi significati rituali), la perdita del fiume Yamuna, da quella del linguaggio (con il ricorso alla antica letteratura Sangam, scritta in Tamil), fino alla perdita del sé soggettivo – secondo una logica di interconnessione ecosistemica per la quale nessun elemento risulterebbe isolabile dal resto.
Ma l'aspetto fondamentale e originale della pratica artistica e attivista di Ravi Agarwal è quello che da più parti è stata definita come «personal ecology». E ciò fin dal 2002, quando il suo lavoro viene presentato a Documenta XI e il tema ecologico non è ancora all'ordine del giorno. Piuttosto che «personal ecology» sarebbe più giusto definirla, con la derivazione foucaultiana, «ecologia del sé», cioè come l'implicazione della propria auto-biografia all'interno dell'ambiente, come sua componente indissociabile. Per questo l'ambiente non potrà essere solo naturale, ma psichico, sociale, linguistico, semiotico. Da questo punto di vista, risulta particolarmente emblematico il lavoro presentato a Yinchuan Biennale. Il titolo, «Room of the Seas and Room of Suns», fa riferimento a due spazi della vita dell'artista, connessi dal comune elemento della sabbia. Due contesti ecologici, due politiche di sopravvivenza, il paesaggio umido della città costiera di Pondicherry e quello arido del deserto del Rajasthan, della sua infanzia e dei suoi antenati. Come afferma Agarwal, il fiume non è solo un corpo d'acqua che scorre attraverso la città, ma una rete di miriadi di relazioni interconnesse alla città, ai suoi abitanti e alla natura.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ravi Agarwal, Have you seen the flowers on the river?, stampe fotografiche, 2007. Courtesy l'artista; [fig. 2] Ravi Agarwal, Else, all will be still, serie fotografica, 2013-2015. Courtesy l'artista; [fig. 3] Ravi Agarwal, Alien Waters, serie fotografica, 2004-2006. Courtesy l'artista; [fig.4] Ravi Agarwal, Else, all will be still, serie fotografica, 2013-2015. Courtesy l'artista
«Ecologies of Loss» - Personale di Ravi Agarwal. PAV - Parco Arte Vivente, via Giordano Bruno, 31 – Torino. Orari: venerdì, ore 15.00 – 18.00; sabato e domenica, ore 12.00 – 19.00. Ingresso: € 4,00; ridotto € 3,00; gratuito: Abbonamento Torino Musei, Torino+Piemonte Card, minori di 10 anni, over 65, persone con disabilità. Informazioni: tel. 011.3182235, press@parcoartevivente.it. Fino al 9 giugno 2019.
Al Mao di Torino un omaggio al teatro Kabuki
È un omaggio al teatro Kabuki, uno dei pilastri della cultura giapponese, il nuovo allestimento del Mao – Museo d’arte orientale di Torino per il corridoio dedicato alle stampe policrome nipponiche ukiyo. La rassegna allinea una selezione di opere che vanno dal 1760 al 1830 e che rientrano nel genere yakusha. Si tratta cioè di ritratti dei più famosi attori giapponesi dell'epoca, vere e proprie star del periodo Edo (1603-1868).
Il teatro kabuki, in quel periodo, occupava un posto di rilievo nella vita culturale dei principali centri urbani giapponesi, i cui cittadini amavano seguire le gesta degli attori più famosi e acquistare le stampe che li ritraevano. Fondamentale e reciprocamente vantaggioso era il rapporto tra le stampe, o meglio gli artisti e gli stampatori, e gli attori: le prime erano tanto più vendute quanto più erano famosi i secondi e la fama e la popolarità dei secondi incrementava proprio grazie alla diffusione delle prime.
Torii Kiyomitsu (1735-1785), caposcuola della terza generazione della scuola Torii, esprime al meglio le potenzialità grafiche del benizuri-e, le stampe che presentano un numero limitato di colori: rosso càrtamo, verde, giallo, indaco e marrone.
La produzione dell’artista è esemplificativa del periodo di transizione che porterà alle stampe policrome nishiki-e. Le tre opere esposte al Mao ben trasmettono l’equilibrio che l’artista raggiunge: l’impostazione statica delle figure ereditata dal passato risulta qui ingentilita da una nuova grazia che ispirerà gli artisti delle generazioni successive.
L’esposizione presenta, quinti, un altro nucleo di stampe di Utagawa Toyokuni (1769-1825), artista che dominò il mercato per circa un trentennio, in particolare con serie di stampe di ritratti di attori in palcoscenico caratterizzate dalla perfezione tecnica.
Il tratto morbido e sinuoso che delinea la figura di una danzatrice e quello deciso e possente che coglie il samurai al culmine dell’azione rivelano l’abilità di Toyokuni nell’usare la tecnica come veicolo delle caratterizzazioni dei diversi personaggi protagonisti di uno stesso dramma.
Ad essere colti nelle tipiche pose teatrali sono, ad esempio, gli attori Onoe Matsusuke I(1744-1875) e Onoe Eizaburo I (1784-1849), che interpretano due dei quarantasette ronin protagonisti della celebre opera teatrale intitolata «Kanadehon Chushingura», incentrata sulle gesta eroiche dei samurai che vendicarono la morte del loro signore Asano Naganori, prima di porre fine alle loro vite tramite seppuku.
La vendetta con onore è tema ispiratore di molti drammi giapponesi, come «Un voto di assistenza al santuario del monte Hiko», che ha come protagonisti Rokusuke e sua moglie Osono - ritratti proprio in un dittico esposto al Mao in cui gli attori sono rispettivamente Onoe Matsusuke II (1784-1849) e Sawamura Tanosuke II (1788-1817) - ed è tema ispiratore di innumerevoli trasposizioni moderne, tra i quali gli holliwoodiani «L’ultimo samurai» di Edward Zwick o «47 Ronin» di Carl Rinsch.
L’ultima sezione, invece, è un piccolo tributo a due dei più famosi artisti giapponesi, Katsushika Hokusai e Utagawa Hiroshige, di cui sono esposte opere a tema paesaggistico. Del primo sono visibili cinque stampe in formato koban, tratte dalla serie intitolata «Piccola Tōkaido»;dell’altro e quattro opere del ciclo «Nelle 53 stazioni della Tōkaido».
Informazioni utili
MAO - Museo d’arte orientale, via San Domenico, 11 – Torino. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00 -18.00; sabato-domenica, ore 11.00– 19.00; chiuso lunedì. La biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte. Informazioni: tel. 011.4436927, e-mail mao@fondazionetorinomusei.it. Sito web: www.maotorino.it.
Il teatro kabuki, in quel periodo, occupava un posto di rilievo nella vita culturale dei principali centri urbani giapponesi, i cui cittadini amavano seguire le gesta degli attori più famosi e acquistare le stampe che li ritraevano. Fondamentale e reciprocamente vantaggioso era il rapporto tra le stampe, o meglio gli artisti e gli stampatori, e gli attori: le prime erano tanto più vendute quanto più erano famosi i secondi e la fama e la popolarità dei secondi incrementava proprio grazie alla diffusione delle prime.
Torii Kiyomitsu (1735-1785), caposcuola della terza generazione della scuola Torii, esprime al meglio le potenzialità grafiche del benizuri-e, le stampe che presentano un numero limitato di colori: rosso càrtamo, verde, giallo, indaco e marrone.
La produzione dell’artista è esemplificativa del periodo di transizione che porterà alle stampe policrome nishiki-e. Le tre opere esposte al Mao ben trasmettono l’equilibrio che l’artista raggiunge: l’impostazione statica delle figure ereditata dal passato risulta qui ingentilita da una nuova grazia che ispirerà gli artisti delle generazioni successive.
L’esposizione presenta, quinti, un altro nucleo di stampe di Utagawa Toyokuni (1769-1825), artista che dominò il mercato per circa un trentennio, in particolare con serie di stampe di ritratti di attori in palcoscenico caratterizzate dalla perfezione tecnica.
Il tratto morbido e sinuoso che delinea la figura di una danzatrice e quello deciso e possente che coglie il samurai al culmine dell’azione rivelano l’abilità di Toyokuni nell’usare la tecnica come veicolo delle caratterizzazioni dei diversi personaggi protagonisti di uno stesso dramma.
Ad essere colti nelle tipiche pose teatrali sono, ad esempio, gli attori Onoe Matsusuke I(1744-1875) e Onoe Eizaburo I (1784-1849), che interpretano due dei quarantasette ronin protagonisti della celebre opera teatrale intitolata «Kanadehon Chushingura», incentrata sulle gesta eroiche dei samurai che vendicarono la morte del loro signore Asano Naganori, prima di porre fine alle loro vite tramite seppuku.
La vendetta con onore è tema ispiratore di molti drammi giapponesi, come «Un voto di assistenza al santuario del monte Hiko», che ha come protagonisti Rokusuke e sua moglie Osono - ritratti proprio in un dittico esposto al Mao in cui gli attori sono rispettivamente Onoe Matsusuke II (1784-1849) e Sawamura Tanosuke II (1788-1817) - ed è tema ispiratore di innumerevoli trasposizioni moderne, tra i quali gli holliwoodiani «L’ultimo samurai» di Edward Zwick o «47 Ronin» di Carl Rinsch.
L’ultima sezione, invece, è un piccolo tributo a due dei più famosi artisti giapponesi, Katsushika Hokusai e Utagawa Hiroshige, di cui sono esposte opere a tema paesaggistico. Del primo sono visibili cinque stampe in formato koban, tratte dalla serie intitolata «Piccola Tōkaido»;dell’altro e quattro opere del ciclo «Nelle 53 stazioni della Tōkaido».
Informazioni utili
MAO - Museo d’arte orientale, via San Domenico, 11 – Torino. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00 -18.00; sabato-domenica, ore 11.00– 19.00; chiuso lunedì. La biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte. Informazioni: tel. 011.4436927, e-mail mao@fondazionetorinomusei.it. Sito web: www.maotorino.it.
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