ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 18 dicembre 2019

Dall'Ermitage a Roma: alla Rhinocerhos di Alda Fendi i «Santi Pietro e Paolo» di El Greco

Un rinoceronte in resina a grandezza naturale, realizzato nei laboratori di Cinecittà, troneggia sotto l’Arco di Giano. A esaltarne il profilo sono le luci calde del premio Oscar Vittorio Storaro, che vanno a comporre la scritta «Roma esisterà finché esisteranno gli uomini». È questo il biglietto da visita con cui la Fondazione Alda Fendi – Esperimenti accoglie, dall’autunno 2018, il pubblico negli spazi della sua galleria Rhinocerhos, un palazzo del Seicento tra il Velabro, il Palatino e la Bocca della Verità, riqualificato dall’estro creativo dell’architetto francese Jean Nouvel.
Lo spazio, distribuito su 3500 metri quadrati e sei piani, è ispirato ai «Passages di Parigi» di Walter Benjamin e propone una modalità innovativa e straordinaria, con mostre, creazioni multimediali, action, interferenze artistiche che vanno dalle arti visive a quelle performative come documenta il progetto «Istantanee dell’assurdo», una ricognizione sulla surrealtà come punto di vista, che vede protagonisti Eugène Ionesco e Samuel Beckett.
Nel 2018, in occasione dell’apertura, la galleria ha avviato anche una collaborazione con il Museo statale dell’Ermitage di San Pietroburgo, grazie alla quale è stato concesso in prestito «L’adolescente» di Michelangelo, visto da oltre ventiduemila visitatori. Quest’anno, grazie all’accordo triennale firmato con l’ente russo, si replica: il Natale porta alla Rhinocerhos un vero e proprio omaggio a Roma e ai suoi patroni con l’esposizione dei «Santi Pietro e Paolo» di El Greco.
Entrata nelle collezioni del museo sulla Neva nel 1911, quale dono di Pëtr Pavlovič Durnovo, governatore generale di Mosca durante la Rivoluzione russa del 1905, l’opera è esposta abitualmente nella sala dei capolavori dell’arte spagnola, accanto a una delle «Skylight Halls», che caratterizzano il cosiddetto Nuovo Ermitage, realizzato tra il 1839 e il 1851.
Il quadro è emblematico dello stile ormai pienamente maturo di El Greco, «entrato nella storia della pittura come il più grande autore della Spagna del XVI secolo - scrive il curatore dell’esposizione Svyatoslav Savvateev nel saggio del catalogo pubblicato da Il Cigno GG Edizioni - e divenuto uno degli artisti più conosciuti e celebrati di tutta la storia dell’arte europea».
Le opere dell’artista - grande precursore del primo modernismo e padre nobile delle nuove generazioni artistiche, secondo la definizione dello storico dell’arte tedesco Julius Meier-Graefe- danno vita a uno stile tormentato e tragico, dove si scontrano attualità realistica ed evocazione visionaria, che unisce e rielabora il colore di Tiziano, il luminismo di Tintoretto ed elementi tratti da Correggio, Parmigianino, Raffaello e Dürer. Anche il dipinto dell’Ermitage, realizzato dall’artista probabilmente tra il 1587 e il 1592, è un’opera profonda e spiritualmente intensa.
I due apostoli vengono rappresentati insieme, secondo una consuetudine di antica origine, all’interno di uno spazio buio - cosa piuttosto eccezionale nell’opera del pittore greco - e con la propria tradizionale iconografa: Pietro con la chiave della porta del Paradiso e Paolo mentre tiene in mano un libro aperto, in riferimento alle sue lettere scritte alle prime comunità cristiane.
Paolo, deciso e scapigliato, è in primo piano e con la mano sinistra compie un gesto fermo, con l’indice puntato su un volume; l’apostolo Pietro è in una posizione serena, eretta, ha uno sguardo contemplativo ma allo stesso tempo penetrante e riflessivo. Il suo sguardo è volto nella stessa direzione di quello di Paolo in modo da conferire alla composizione unità e finalità espressive, come suggerisce anche la dinamica della mano destra dei due santi, che sembrano muoversi l’una verso l’altra per dar vita a un insieme inscindibile.
L’esposizione è affiancata dalla proiezione di immagini tratte da due film dedicati a El Greco, diretti rispettivamente da Luciano Salce (1966) e Iannis Smaragdis (2007), e dalla riproduzione in formato 1:1 di alcune tra le più importanti opere della collezione spagnola dell’Ermitage, che permetteranno al pubblico di contestualizzare l’opera esposta alla Rhinocerhos. In particolare si incontreranno Francisco de Zurbarán, ammirato per un naturalismo tipicamente caravaggesco e un «realismo drammatico», e Luis de Morales, attivo soprattutto in Estremadura, ma apprezzato in tutta la Spagna e soprannominato «El divino Morales» per la spiccata predilezione per i soggetti religiosi.
In linea con la politica culturale della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti la mostra è a ingresso gratuito: un messaggio simbolico e concreto, questo, perché la cultura deve essere di tutti. Deve essere -dicono dalla galleria- «un patrimonio dell’umanità».

Informazioni utili
I Santi Pietro e Paolo di El Greco. Palazzo rhinoceros,  via dei Cerchi, 21 - Roma. Orari: martedì-domenica, ore 12.00-24.00. Ingresso gratuito. Informazioni: 340.6430435, info@fondazionealdafendi- esperimenti.it. Fino al 15 marzo 2020. 

martedì 17 dicembre 2019

A Lugano un nuovo spazio per il Masi: riapre Palazzo Reali

Lugano ritrova uno dei suoi spazi espositivi. Dopo tre anni di lavori di ristrutturazione, ha riaperto al pubblico Palazzo Reali, nuova sede del Masi - Museo d’arte della Svizzera italiana, i cui spazi ospiteranno la collezione permanente e saranno dedicati a progetti legati ad artisti locali o a maestri di respiro internazionale, che prediligono per le loro opere gli ambienti raccolti di una dimora storica.
Il restyling dell’edificio, condotto dall’Amministrazione cantonale sotto la regia dell’architetto Piero Conconi, ha interessato gli spazi amministrativi, gli impianti d’illuminazione e di climatizzazione e la grande vetrata a pianterreno. Quest’ultima, assieme all’apertura su via Canova, precedentemente oscurata, contribuisce oggi a illuminare le sale, mettendo in dialogo l’interno dell’edificio con lo spazio urbano circostante.
All’interno della storica dimora di proprietà del Cantone Ticino trovano ora spazio gli uffici, le sale espositive, un atelier creativo, un laboratorio di restauro, una biblioteca, distribuiti su tre piani.
Si corona così il sogno di una doppia sede per il Masi: Palazzo Reali andrà, infatti, ad affiancare il Lac – Lugano arte & cultura.
A segnare il debutto del ritrovato spazio espositivo è il nuovo allestimento della collezione permanente, a cura di Cristina Sonderegger, che si sviluppa sui tre piani espositivi, testimoniando la storia del museo attraverso documenti audiovisivi provenienti dagli archivi della Radiotelevisione svizzera, accessibili tramite un totem multimediale.
I lavori esposti coprono un periodo che spazia dalla fine del Trecento agli anni Cinquanta del Novecento. La pittura di ritratto nell’Ottocento, il Simbolismo, il Ritorno all’ordine degli anni Venti, la fotografia degli anni Trenta, l’Espressionismo sono solo alcuni degli approfondimenti che, sala dopo sala, scandiscono il percorso espositivo, nel quale le opere vengono raggruppate per autore, nuclei tematici, periodi storici e correnti artistiche.
L’allestimento porta alla luce, a piano terra, l’intervento a parete di Niele Toroni, «Impronte di pennello n. 50 ripetute a intervalli regolari», realizzato per l’apertura al pubblico del Museo cantonale d’arte nel 1987; al suo fianco sono esposti «Spartaco» (1847–50 ca.) di Vincenzo Vela – di cui ricorre il bicentenario della nascita –, «Golena» (2016) del giovane artista ticinese Marco Scorti e una «Deposizione» lignea risalente al XIV–XV secolo.
Al primo piano il percorso espositivo si apre con la pittura religiosa del periodo compreso tra il Trecento e Cinquecento, di cui fa parte «La Natività con due angeli» (1530–35) del Giampietrino. A questa sezione ne segue una dedicata alla pittura del Seicento e Settecento con artisti delle terre ticinesi come Pier Francesco Mola, Giovanni Serodine e Giuseppe Petrini.
Attraverso una galleria di ritratti femminili il visitatore è, dunque, immerso nella pittura di matrice neoclassica, popolare, scapigliata e naturalista, ammirando così anche il cambiamento dei vestiti e delle acconciature tra la fine del Settecento e i primi anni Trenta del Novecento.
Le sale successive ospitano esempi di pittura e scultura di derivazione simbolista tra Svizzera, Ticino e Lombardia, fra cui si segnalano «Anbetung II» (1893–94) di Ferdinand Hodler, «Il canto dell’aurora» (1910–12) di Luigi Rossi e «Maternità» (1886–87) di Gaetano Previati. Sono, inoltre, presenti alcuni paesaggi realizzati a cavallo tra Ottocento e Novecento, dai quali emergono il naturalismo velato di simbolismo di Filippo Franzoni e il divisionismo di Edoardo Berta e Umberto Boccioni.
Al secondo piano, l’allestimento è incentrato sull’arte della prima metà del Novecento. Si trovano opere, tra gli altri, di Achille Funi, Carlo Carrà e Mario Sironi, Jean Arp, Fritz Glarner, Wilhelm Schmid, Christian Rohlfs, Hermann Scherer e Werner Neuhaus, testimoni delle varie Avanguardie del periodo.
Conclude questo primo allestimento della collezione permanente un omaggio a uno dei massimi esponenti del Dadaismo e delle sperimentazioni cinematografiche, ovvero Hans Richter, di cui sono esposti l’opera «Rythmus 23» e una serie di disegni preparatori, assieme alla proiezione dell’omonimo filmato.
Nel 2020, a fianco delle opere della collezione, Palazzo Reali presenterà le fotografie del duo Harry Shunk & János Kender (dal 1° marzo al 14 giugno), dei vincitori del concorso Bally Artist of the Year Award (dal 29 marzo al 26 aprile), di Vicenzo Vicari (dal 30 agosto al 1° gennaio 2021), e del Prix Manor Ticino (dall’8 novembre al 14 febbraio 2021).
Un programma, dunque, vario quello di Palazzo Reali, che va a confermare la ricca stagione d’arte di Lugano, che nel 2019 ha anche visto l’apertura del Musec a Villa Malpensata.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] F. Hodler, Adorazione II, 1893-1894; [fig. 2] Giampietrino, Natività con due angeli, 1530-1535; [fig. 3] P.F. Mola, Socrate insegna ai giovani la conoscenza di sé, 1940-1650; [fig. 4] N. Toroni, Impronte di pennello n. 50, 1987. Foto Dona De Carli, Locarno

Informazioni utili
Museo d’arte della Svizzera italiana - sede di Palazzo Reali, via Canova, 10 - Lugano (Svizzera). – 6900 Lugano. Orari: martedì – domenica, ore 13:00 – 17:00. Ingresso gratuito (fino al 31.12.2019). Informazioni: +41 (0)58 866 4240, info@masilugano.ch. Sito internet: masilugano.ch


lunedì 16 dicembre 2019

«Lo Schiaccianoci», allo Strehler di Milano va in scena la magia del Natale

È magico e incanta il pubblico da sempre con la sua musica colorata ed elegante, gioiosa e vivace. È lo spettacolo natalizio per eccellenza, quello che ha fatto sognare generazioni di spettatori con l'albero, la nevicata, l'atmosfera di festa, l'apertura dei regali. Ed è anche -a detta del coreografo e danzatore russo George Balanchine- «uno dei più bei doni della danza, non soltanto per i bambini, ma per chiunque ami l’elemento magico del teatro». Fino al prossimo 22 dicembre, «Lo Schiaccianoci», con il suo «incanto perenne», va in scena allo Strehler di Milano. A firmare l’allestimento, che vedrà in scena gli allievi della Scuola di ballo della Scala, è Roberta Guidi di Bagno; mentre le coreografie, ispirate a quelle originali di Lev Ivanov, portano la firma di Frédéric Olivieri.
Il balletto, in due atti e tre scene, con prologo ed epilogo su musiche di Pëtr Il'ič Čajkovskij, mutua la propria trama dalla favola borghese ottocentesca «Nüssknaker und Mäusekönig» («Lo schiaccianoci e il re dei topi») di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, nella versione liberamente rivisitata e privata dai suoi elementi drammatici e horror da Alexandre Dumas padre, l’«Histoire d'un casse-noisette».
L’edizione proposta al Piccolo Teatro di Milano da Frédéric Olivieri, all’epoca dell’ideazione -nel 2011- a capo della scuola scaligera, oggi direttore del corpo di ballo del tempio milanese della musica e della danza, rispecchia l’atmosfera fantastica e onirica del balletto originale di Lev Ivanov, subentrato nelle coreografie all’anziano e malato Marius Petipa, a cui era stato inizialmente affidato il mandato da Ivan Vsevoložskij, a capo dei Teatri imperiali russi.
Il debutto del balletto si ebbe il 18 dicembre 1892 al Mariinskij di San Pietroburgo alla presenza dello zar Alessandro III; tra gli interpreti di questa prima esecuzione, diretta dal compositore Riccardo Drigo, spiccano l’italiana Antonietta Dell’Era, nel ruolo della Fata Confetto, il russo Pavel Gerdt e Olga Preobrajenska, che diresse poi la Scuola di ballo fra il 1921 e il 1925, su sollecitazione di Arturo Toscanini.
In scena allo Strehler di Milano si alterneranno due cast con oltre cento ballerini. Nei ruoli principali debutteranno nove allievi fra il sesto e l’ottavo corso: Matteo Zorzoli (Drosselmeyer), Youma Miceli (Clara), Tommaso Calcia (Soldato/Schiaccianoci), Vincenzo Mola (Fritz), Letizia Masini (Fata Confetto), Federico Lussana (Principe Camillo), Davide Mercoledisanto (Re dei Topi), Priscilla Volpe (Regina della Neve) e Anna Zingoni (Bambola).
Al centro della storia c'è una bambina di Norimberga, la dolce e romantica Clara (o, secondo le versioni predominanti Masha, diminutivo russo di Maria), che si prepara a festeggiare il Natale con i propri parenti ed amici. Fra i tanti invitati al sontuoso ricevimento, si distingue uno strano personaggio di nome Drosselmeyer, un po' prestigiatore e un po' giocattolaio, che regala alla protagonista alcuni pupazzi meccanici, ma soprattutto uno schiaccianoci di legno a forma di soldatino.
A mezzanotte, quando gli ospiti si congedano, la piccola si addormenta su una poltrona del divano e precipita in un sogno/incubo fantastico, nel quale il nuovo giocattolo si trasforma in un bellissimo e coraggioso principe azzurro, con cui combattere contro l'esercito dei topi e, una volta vinta la battaglia, partire in viaggio per il paese delle delizie. Qui vivono la Fata Confetto e altri personaggi di fantasia come il Cioccolato, il Caffè, il Bastoncino di zucchero candito e i Cannoncini alla crema. La bambina trascorre con loro una notte da favola. Ma tutti i sogni, si sa, durano poco: al risveglio balli e suoni sono svaniti; accanto alla piccola, felice di questo sogno di Natale, c'è solo il suo amato schiaccianoci di legno.
Considerato, insieme con il «Lago dei cigni» (1895) e «La Bella addormentata nel bosco» (1890), uno dei balletti fondamentali dell’Ottocento e uno dei più affascinanti di tutti i tempi, «Lo schiaccianoci» deve la sua fama a musiche allegre, sognanti e divertenti entrate nell’immaginario collettivo come il «Galop» iniziale, il «Trepak» (o «Danza russa»), la «Danza della fata Confetto» e lo squisito «Valzer dei fiori», che segna la fine dello spettacolo con il suo inevitabile lieto fine, in cui sogno e realtà si fondono e si confondono.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Foto di Silvia Amoroso; [figg. 3 e 4] Foto di Marcello Chiappalone; [fig. 5] Foto di Giulia Guccione [Si ringrazia l'ufficio stampa del Piccolo Teatro di Milano per le immagini]

Informazioni utili
Lo Schiaccianoci. Piccolo Teatro Strehler, Largo Antonio Greppi, 1 - Milano. Coreografia: Frédéric Olivieri, da Lev Ivanovič Ivanov. Ripresa da Maurizio Vanadia. Musica Pëtr Il’ic Čajkovskij. Scene e costumi: Roberta Guidi di Bagno. Con la Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala. Ingresso: platea intero € 33,00 | Ridotto giovani e anziani (under 26 e over 65) € 21,00 | balconata intero € 26,00 | ridotto giovani e anziani (under 26 over 65) € 18,00. Informazioni: servizioalpubblico@piccoloteatromilano.it. Sito internet: www.piccoloteatro.org. Fino al 22 dicembre 2019