Duecentomila fiori festeggiano la ripresa delle attività di Parma Capitale italiana della cultura 2020 + 2021. Sono quelli che l’artista britannica Rebecca Luise Law ha messo in mostra all’Oratorio di San Tiburzio per il suo «Florilegium». L’esposizione è una delle prime ad aver riaperto nella città emiliana dopo la quarantena per contrastare la pandemia da Coronavirus, insieme con quella che il Complesso monumentale della Pilotta dedica al design contemporaneo di Piero Fornasetti e con il progetto espositivo «I quadri di Pietro», sulla collezione Barilla, alla Pinacoteca Stuard, dove è attualmente esposta l'opera «Fruits et orange» di Alberto Savinio.
La cultura torna, quindi, a battere il tempo, come recita lo slogan scelto quale filo rosso tra le varie proposte, riappropriandosi dei suoi spazi e riprendendo a scandire, con rinnovato vigore, la vita della «piccola Parigi».
Il clou delle manifestazioni si avrà in settembre con l’inaugurazione dell’installazione «Hospitale – Il futuro della memoria», una video-narrazione ideata da Studio Azzurro per l’iconica Crociera dell’Ospedale vecchio, uno dei complessi monumentali di Parma, cuore pulsante del quartiere Oltretorrente, in fase di ristrutturazione.
Nello stesso mese la città farà da scenario all’inaugurazione del Festival Verdi con la rassegna «Scintille d’Opera» e con gli appuntamenti one to one per le strade e nei cortili del ciclo di incontri «Verdi sotto casa», ma anche alla tre giorni di «Spiegamelo!», kermesse sulla divulgazione come primo passo per la diffusione della cultura.
Tante sono, poi, le mostre messe in cantiere per l’autunno, tra le quali si segnalano gli omaggi a Luigi Magnani, uno dei massimi collezionisti di opere d’arte al mondo, e a Giuseppe Niccoli, valorizzatore di talenti con la sua galleria negli anni Settanta, oltre alla rassegna che Palazzo Bossi Bocchi dedica a Carlo Mattioli e alle sue opere sulla figura di Stendhal, che dedicò il suo più celebre romanzo, «La Certosa di Parma», alla città emiliana.
Il palinsesto per l’anno da Capitale italiana della cultura della «piccola Parigi» è stato, quindi, rimodulato e arricchito di nuove riflessioni scaturite dal recente vissuto, che ha così profondamente mutato il nostro modo di vivere, cambiato nei ritmi e nelle priorità.
La ripartenza è anche e soprattutto sotto il segno dell’innovazione digitale grazie al lancio di una nuova piattaforma, una app, una card e un nuovo sito di networking per il volontariato, strumenti per coniugare cultura e tradizione con uno sguardo rivolto al futuro.
Per quanto riguarda la piattaforma e la app si è pensato ad un approccio human-centric con l’intento di semplificare l’esperienza di ciascun visitatore e, contemporaneamente, di amplificarne l’effetto di immersività di luoghi, opere ed eventi. Sia la piattaforma –della quale Parma 2020+21 si è dotata per meglio supportare i visitatori e gli utenti– sia la app –scaricabile gratuitamente da Play Store e Apple Store– permetteranno di conoscere ogni angolo e ogni sfaccettatura della città, di scoprire il territorio circostante con tutte le sue ricchezze, di pianificare un turismo eno-gastronomico di qualità.
Gli utenti potranno usare la app per visite virtuali e immersive a 360 gradi già da casa, pianificando una visita personalizzata che coinvolga luoghi di interesse, eventi e itinerari enogastronomici ad hoc o usufrendo di audioguide e di un sistema di prenotazione del posto in coda, evitando il sovraffollamento.
Entrambi i sistemi possono offrire informazioni specifiche anche per programmare itinerari e visite per persone con disabilità.
Parma Card sarà, invece, disponibile dal 1° settembre sulla piattaforma, sulla app e nei luoghi convenzionati; permetterà a cittadini e turisti di accedere, con prezzi competitivi e molti benefici, al sistema turistico-culturale del territorio e ai suoi trasporti.
Tutte le strutture aderenti sono parte del programma «Parma Città Sicura», che garantisce il rispetto delle prescrizioni igienico-sanitarie post-Covid.
La card per i cittadini di Parma e provincia ha validità annuale, quella per i turisti è valida per tre giorni (settantadue ore) e consente l’accesso al bike sharing e ai trasporti senza limitazioni per una persona.
Altra novità disponibile on-line è il sito di networking per il volontariato della città (www.miimpegnoaparma.it), creato dal Comune di Parma con CSV Emilia – Forum solidarietà e il coordinamento scientifico di Promo PA Fondazione, per promuovere l’impegno civico e la cittadinanza attiva.
Il sito integra tutti i diversi settori in cui si può svolgere un’attività di volontariato: dalla cultura al sociale, dalla salute allo sport, dall’ambiente all’enogastronomia, per creare un sistema di ricerca e gestione del volontariato uniforme ed efficace. Sul portale sarà possibile non solo pubblicare e consultare offerte, ma anche trovare video formativi.
Il progetto non è collaterale a quello della Capitale della Cultura, ma ne è parte integrante e complementare: la crescita di una cittadinanza attiva nella cultura è, infatti, un obiettivo di Parma 2020+21, che intende la cultura stessa come elemento cardine per il raggiungimento della sostenibilità sociale. La collaborazione tra il mondo del volontariato e quello degli organizzatori di eventi è stata pensata per creare un prodotto che resti alla città e rappresenti un lascito concreto e permanente di Parma 2020+21.
Per saperne di più
www.parma2020.it
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
martedì 23 giugno 2020
lunedì 22 giugno 2020
I nudi di Re Hang per la riapertura del Pecci di Prato
Non si è fermato nemmeno durante i giorni più duri dell'emergenza sanitaria per il Covid-19. Ha dato vita, con la sua web-tv, a un ricco palinsesto di contenuti giornalieri e, contemporaneamente, ha lanciato un progetto per i suoi spazi esterni: «Extra-Flags», una serie di bandiere d’artista commissionate, una a settimana, per essere issate sul pennone davanti al museo, come segnale fisico di vitalità e resistenza.
Le dieci opere nate durante i giorni del lockdown sono state il biglietto da visita con cui il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ha mostrato alla città la sua voglia di ripartire, superando il momento drammatico e straordinario che stavamo vivendo.
Marinella Senatore, Nico Vascellari, Marzia Migliora, Eva Marisaldi, Flavio Favelli, Marcello Maloberti, Massimo Bartolini, Elena Mazzi e Andreco sono gli artisti che hanno risposto all'appello. Le loro bandiere sono ora esposte all'interno del museo toscano, tra i primi sul territorio italiano a riaprire lo scorso maggio, dopo circa dieci settimane di chiusura.
Per l'occasione, gli spazi sono stati sanificati e riorganizzati secondo le indicazioni delle autorità, con tutti i presidi di protezione personale necessari, mentre le caratteristiche dell’edificio, con più di ottomila metri quadrati di spazi e grandi sale, rendono semplice il distanziamento fisico e la gestione contingentata del flusso di visitatori, che, comunque, non potranno essere più di sessanta contemporaneamente.
«Nei prossimi mesi –racconta la direttrice Cristina Perrella- il rapporto fisico con i nostri spazi sarà riservato principalmente a un pubblico di prossimità e questa sarà un’occasione importante per aumentare la familiarità dei cittadini con il museo e rafforzare una dimensione territoriale. Altrettanto importante sarà rimanere connessi al mondo. Da questo punto di vista l’uso dello spazio digitale sarà uno dei contesti in cui alimentare il pensiero critico e il confronto con la scena culturale globale, oggi che la condivisione di pensieri, contenuti, esperienze è più essenziale che mai e può generare nuovi scenari per l’arte nazionale e internazionale».
Globale e locale si incontreranno, dunque, questa estate al Pecci, che continuerà a produrre contenuti multimediali e, nello stesso tempo, punterà i riflettori sui suoi concittadini, a partire dai più piccoli. Pensa, infatti, a loro il laboratorio didattico su «Extra Flags» e la call pubblica, lanciata in occasione della riapertura, per co-progettare uno strumento digitale per la visita autonoma del museo dedicata alle famiglie con bambini dai 6 ai 12 anni.
L'attività di progettazione partecipata, in linea con i protocolli di sicurezza, si svolgerà all'aperto, nel giardino antistante il museo, e consentirà di creare una guida multimediale da scaricare sul proprio smartphone per visitare in autonomia il centro pratese, alla scoperta della sua architettura, del suo giardino delle sculture e delle sue collezioni.
Per quanto riguarda la programmazione espositiva il museo toscano apre, questa estate, le porte alla prima mostra italiana dedicata all’acclamato fotografo e poeta cinese Ren Hang (1987-2017), tragicamente scomparso a neppure trent’anni.
L’artista, le cui opere sono ritenute in Cina pornografiche e sovversive, è noto soprattutto per la sua ricerca su corpo, identità, sessualità e rapporto uomo-natura, che ha per protagonista una gioventù cinese nuova, libera e ribelle.
I suoi nudi appaiono su un tetto tra i grattacieli di Pechino, in una foresta di alberi ad alto fusto, in uno stagno con fiori di loto, in una vasca da bagno tra pesci rossi che nuotano oppure in una stanza spoglia; i loro volti sono impassibili, le loro membra piegate in pose innaturali. Cigni, pavoni, serpenti, ciliegie, mele, fiori e piante sono utilizzati come oggetti di scena assurdi, ma dal grande potere evocativo.
L'esposizione, visitabile fino al prossimo 23 agosto, allinea novanta scatti, accompagnati da un portfolio che documenta il backstage di uno shooting di Ren Hang nel Wienerwald nel 2015 e un’ampia sezione di libri rari sul suo lavoro.
Nello stesso periodo sarà possibile vedere «The Missing Planet, visioni e revisioni dei “tempi sovietici” dalla collezione del Centro Pecci e da altre raccolte», a cura di Marco Scotini e Stefano Pezzato, con progetto di allestimento di Can Altay.
L'esposizione propone un’immersione nelle ricerche artistiche sviluppate dagli anni Settanta a oggi nelle ex repubbliche sovietiche, dalla Russia alle province baltiche, caucasiche e centro-asiatiche, che parte dalla rilettura del ricco nucleo di opere dedicate a quest’area geografica presenti nella collezione del Centro Pecci, già esposte nelle mostre «Artisti russi contemporanei» (1990) e «Progressive nostalgia» (2007).
«L’intento della nuova rassegna -raccontano dal Pecci, nelle note di presentazione- è pertanto quello di agire sul tempo, ma anche “contro il tempo”, in favore di un tempo che deve ancora accadere. Per questo, tra metafora e realtà, lavora sull’immaginario cosmico e utopistico che ha accompagnato l’epopea dell’Unione Sovietica, trasformando lo spazio espositivo del museo in uno «Space Shuttle», dentro al quale «Solaris» di Andrei Tarkovskij incontra «Once in the XX Century» di Deimantas Narkevicius come pure «Kunst camera» di Sergei Volkov e «Perestroika» di Erik Bulatov».
In occasione della mostra viene presentata «Interregnum», video installazione di Adrian Paci (Scutari 1969), composta da un montaggio di sequenze di funerali di dittatori comunisti di diverse nazionalità ed epoche, recuperate dagli archivi di stato o dalle trasmissioni televisive nazionali albanesi.
L'opera mostra uomini, donne, bambini ripresi in primo piano, in lacrime, oppure da lontano, in code chilometriche: la morte di un leader libera il dolore dei singoli che, dice l’artista albanese, «non era contemplato nella società comunista».
Una programmazione, dunque, varia quella del Centro Pecci di Prato per questa Fase 3 dell'emergenza sanitaria per il Covid-19, con l'intento di regalare un po' di cultura in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo. D'altronde - lo diceva anche Fëdor Dostoevskij- «la bellezza salverà il mondo».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Elisabetta Benassi, Bumblebee needs protection for humankind’s sake, 2017-2020. Bandiera in tessuto nautico, 210 x 300 cm. Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, courtesy dell’artista; [fig. 2] he Missig Planet. Visioni e revisioni dei "tempi sovietici" dalle collezioni del Centro Pecci ed altre raccolte, 2019. Vista dell'allestimento al Centro Pecci. Ph. Ela Bialkowska, OKNOstudio; [fig. 3] Ren Hang, Girl with Ants, 2014. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 4] Ren Hang, Kissing Roof, 2012. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 5] Ren Hang, Peacock, 2016. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 6]Ren Hang, Muur, 2016. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate
Informazioni utili
Centro Pecci per l'arte contemporanea, Viale della Repubblica, 277 – Prato. Orari: dal giovedì alla domenica, dalle ore 12 alle ore 20. Ingresso: Ingresso gratuito per tutti, fino al 31 luglio, alle mostre The Missing Planet. Visioni e revisioni dei ‘tempi sovietici’, Mohamed Keita: KENE/Spazio, Adrian Paci. Interregnum, Extra Flags | Ingresso alla mostra Ren Hang. Nudi intero 7,00 €, ridotto 5,00 €. Informazioni: +39 0574 5317, info@centropecci.it. Sito internet: www.centropecci.it
Le dieci opere nate durante i giorni del lockdown sono state il biglietto da visita con cui il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ha mostrato alla città la sua voglia di ripartire, superando il momento drammatico e straordinario che stavamo vivendo.
Marinella Senatore, Nico Vascellari, Marzia Migliora, Eva Marisaldi, Flavio Favelli, Marcello Maloberti, Massimo Bartolini, Elena Mazzi e Andreco sono gli artisti che hanno risposto all'appello. Le loro bandiere sono ora esposte all'interno del museo toscano, tra i primi sul territorio italiano a riaprire lo scorso maggio, dopo circa dieci settimane di chiusura.
«Nei prossimi mesi –racconta la direttrice Cristina Perrella- il rapporto fisico con i nostri spazi sarà riservato principalmente a un pubblico di prossimità e questa sarà un’occasione importante per aumentare la familiarità dei cittadini con il museo e rafforzare una dimensione territoriale. Altrettanto importante sarà rimanere connessi al mondo. Da questo punto di vista l’uso dello spazio digitale sarà uno dei contesti in cui alimentare il pensiero critico e il confronto con la scena culturale globale, oggi che la condivisione di pensieri, contenuti, esperienze è più essenziale che mai e può generare nuovi scenari per l’arte nazionale e internazionale».
Globale e locale si incontreranno, dunque, questa estate al Pecci, che continuerà a produrre contenuti multimediali e, nello stesso tempo, punterà i riflettori sui suoi concittadini, a partire dai più piccoli. Pensa, infatti, a loro il laboratorio didattico su «Extra Flags» e la call pubblica, lanciata in occasione della riapertura, per co-progettare uno strumento digitale per la visita autonoma del museo dedicata alle famiglie con bambini dai 6 ai 12 anni.
L'attività di progettazione partecipata, in linea con i protocolli di sicurezza, si svolgerà all'aperto, nel giardino antistante il museo, e consentirà di creare una guida multimediale da scaricare sul proprio smartphone per visitare in autonomia il centro pratese, alla scoperta della sua architettura, del suo giardino delle sculture e delle sue collezioni.
Per quanto riguarda la programmazione espositiva il museo toscano apre, questa estate, le porte alla prima mostra italiana dedicata all’acclamato fotografo e poeta cinese Ren Hang (1987-2017), tragicamente scomparso a neppure trent’anni.
L’artista, le cui opere sono ritenute in Cina pornografiche e sovversive, è noto soprattutto per la sua ricerca su corpo, identità, sessualità e rapporto uomo-natura, che ha per protagonista una gioventù cinese nuova, libera e ribelle.
I suoi nudi appaiono su un tetto tra i grattacieli di Pechino, in una foresta di alberi ad alto fusto, in uno stagno con fiori di loto, in una vasca da bagno tra pesci rossi che nuotano oppure in una stanza spoglia; i loro volti sono impassibili, le loro membra piegate in pose innaturali. Cigni, pavoni, serpenti, ciliegie, mele, fiori e piante sono utilizzati come oggetti di scena assurdi, ma dal grande potere evocativo.
L'esposizione, visitabile fino al prossimo 23 agosto, allinea novanta scatti, accompagnati da un portfolio che documenta il backstage di uno shooting di Ren Hang nel Wienerwald nel 2015 e un’ampia sezione di libri rari sul suo lavoro.
Nello stesso periodo sarà possibile vedere «The Missing Planet, visioni e revisioni dei “tempi sovietici” dalla collezione del Centro Pecci e da altre raccolte», a cura di Marco Scotini e Stefano Pezzato, con progetto di allestimento di Can Altay.
L'esposizione propone un’immersione nelle ricerche artistiche sviluppate dagli anni Settanta a oggi nelle ex repubbliche sovietiche, dalla Russia alle province baltiche, caucasiche e centro-asiatiche, che parte dalla rilettura del ricco nucleo di opere dedicate a quest’area geografica presenti nella collezione del Centro Pecci, già esposte nelle mostre «Artisti russi contemporanei» (1990) e «Progressive nostalgia» (2007).
«L’intento della nuova rassegna -raccontano dal Pecci, nelle note di presentazione- è pertanto quello di agire sul tempo, ma anche “contro il tempo”, in favore di un tempo che deve ancora accadere. Per questo, tra metafora e realtà, lavora sull’immaginario cosmico e utopistico che ha accompagnato l’epopea dell’Unione Sovietica, trasformando lo spazio espositivo del museo in uno «Space Shuttle», dentro al quale «Solaris» di Andrei Tarkovskij incontra «Once in the XX Century» di Deimantas Narkevicius come pure «Kunst camera» di Sergei Volkov e «Perestroika» di Erik Bulatov».
In occasione della mostra viene presentata «Interregnum», video installazione di Adrian Paci (Scutari 1969), composta da un montaggio di sequenze di funerali di dittatori comunisti di diverse nazionalità ed epoche, recuperate dagli archivi di stato o dalle trasmissioni televisive nazionali albanesi.
L'opera mostra uomini, donne, bambini ripresi in primo piano, in lacrime, oppure da lontano, in code chilometriche: la morte di un leader libera il dolore dei singoli che, dice l’artista albanese, «non era contemplato nella società comunista».
Una programmazione, dunque, varia quella del Centro Pecci di Prato per questa Fase 3 dell'emergenza sanitaria per il Covid-19, con l'intento di regalare un po' di cultura in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo. D'altronde - lo diceva anche Fëdor Dostoevskij- «la bellezza salverà il mondo».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Elisabetta Benassi, Bumblebee needs protection for humankind’s sake, 2017-2020. Bandiera in tessuto nautico, 210 x 300 cm. Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, courtesy dell’artista; [fig. 2] he Missig Planet. Visioni e revisioni dei "tempi sovietici" dalle collezioni del Centro Pecci ed altre raccolte, 2019. Vista dell'allestimento al Centro Pecci. Ph. Ela Bialkowska, OKNOstudio; [fig. 3] Ren Hang, Girl with Ants, 2014. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 4] Ren Hang, Kissing Roof, 2012. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 5] Ren Hang, Peacock, 2016. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate; [fig. 6]Ren Hang, Muur, 2016. Courtesy Stieglitz19 and Ren Hang Estate
Informazioni utili
Centro Pecci per l'arte contemporanea, Viale della Repubblica, 277 – Prato. Orari: dal giovedì alla domenica, dalle ore 12 alle ore 20. Ingresso: Ingresso gratuito per tutti, fino al 31 luglio, alle mostre The Missing Planet. Visioni e revisioni dei ‘tempi sovietici’, Mohamed Keita: KENE/Spazio, Adrian Paci. Interregnum, Extra Flags | Ingresso alla mostra Ren Hang. Nudi intero 7,00 €, ridotto 5,00 €. Informazioni: +39 0574 5317, info@centropecci.it. Sito internet: www.centropecci.it
venerdì 19 giugno 2020
«Cinque minuti con Monet», a Genova un inusuale «tu per tu» con le ninfee
È il 1883 quando Claude Monet, al seguito della seconda moglie, Alice Hoschedé, e degli otto figli, si trasferisce in una casa colonica a Giverny, piccolo e tranquillo paese immerso nella campagna della Normandia, a poca distanza da Parigi.
Di quel suo buen retiro, dove visse oltre quarant’anni, l’artista francese ama la luce «unica», vibrante: «non si trova uguale in nessun’altra parte del mondo», diceva.
Qualche anno dopo, quella casa diventa di proprietà dello stesso Monet che, nell’estate del 1893, decide di trasformare il modesto orto che la circonda in un affascinante giardino alla francese, il clos Normand.
L’artista ottiene, in quello stesso periodo, anche l’autorizzazione a deviare il corso dell’Epte che costeggiava allora il villaggio di Giverny.
Alla fine dell’anno, i lavori sono conclusi e Monet, che da giardiniere e botanico esperto cura i dettagli del suo giardino, fa piantare quattro salici piangenti della varietà cosiddetta «di Babilonia» sul perimetro dello stagno delle ninfee; uno in prossimità del ponte giapponese, due sul lato lungo del laghetto parallelamente alla strada e un ultimo sulla riva opposta al ponte.
La piantagione di essenze esotiche accentua ancora di più l'orientalismo di questo gioiello acquatico.
In questo bucolico mondo costruito su misura -cavalletto, colori e pennello alla mano- Monet si mette a dipingere en plein air; nel 1897 le ninfee colpiscono la sua attenzione e l’artista le dipinge più e più volte.
Lo stesso soggetto viene rappresentato da angolazioni leggermente diverse, in varie ore del giorno, in differenti stagioni e con una luce sempre differente. «E, naturalmente, -raccontava lo stesso artista- l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro, poiché i fiori acquatici sono ben lungi da essere l’intero spettacolo, in realtà sono solo il suo accompagnamento. L’elemento base è lo specchio d’acqua il cui aspetto muta ogni istante per come brandelli di cielo vi si riflettono conferendogli vita e movimento».
Alla fine il ciclo dedicato alle ninfee costa di oltre duecentocinquanta tele, che documentano l’evoluzione del pittore, capostipite della corrente impressionista, verso uno sfilacciamento delle forme e una fluidità della pennellata che lo avvicinano al linguaggio astrattista.
Una di queste opere, quella di proprietà del Musée Marmottan Monet di Parigi, è attualmente in mostra a Genova, negli spazi di Palazzo Ducale, grazie alla collaborazione con Arthemisia e con il progetto Generali Valore Cultura, il programma della compagnia assicurativa italiana per promuove l’arte e la cultura su tutto il territorio italiano e avvicinare un pubblico vasto e trasversale - famiglie, giovani, clienti e dipendenti - al mondo dell’arte.
L’opera di Monet è al centro di un inusuale progetto espositivo, attento a tutti i protocolli anti-Covid diffusi dal Mibact: misurazione della temperatura all’ingresso, utilizzo della mascherina all’interno della mostra, rispetto della distanza di sicurezza tra le persone seguendo il percorso segnalato all’interno delle sale espositive.
Il distanziamento sociale che stiamo vivendo in questi mesi per l’emergenza sanitaria da Coronavirus diventa l’occasione per un’esperienza estetica immersiva ed emozionante: cinque minuti esclusivi da soli, o con qualche familiare, a tu per tu con uno dei quadri più famosi del grande pittore impressionista.
La mostra, in programma fino al prossimo 23 agosto, si trasforma così in una sfida alla riscoperta della contemplazione, del contatto e della forza espressiva di un’opera. «In un tempo che ci costringe a costruire barriere per proteggerci, -raccontano da Arthemisia- l’invito è quello a un incontro diretto con un capolavoro, per metterci in ascolto di quanto l’arte con grande capacità narrativa riesce a dire di sé, ma anche di noi».
La mostra si impreziosisce di un’altra piccola chicca, invito a scoprire - con sempre maggiore profondità - il patrimonio culturale genovese, soprattutto in questi mesi dove molti trascorreranno le vacanze in Italia, a poca distanza dalle proprie case.
Nel 1894 fu Giovanni Boldini, pittore italiano e uno dei massimi rappresentanti della Belle Époque, a sollecitare la conoscenza di Monet in Italia. E qui, oggi come allora, è ancora l’artista ferrarese a introdurre l’incontro con l’opera del maestro francese. E lo fa con un altro capolavoro, appunto uno dei tesori artistici della città di Genova: il dipinto «La contessa Beatrice Susanne Henriette van Bylandt», proveniente dalle Civiche raccolte Frugone di Nervi.
A corredo della mostra ci sono, poi, alcune fotografie di Monet, un video introduttivo che ne racconta la vita e un altro, d’epoca (1915 ca.), che riprende l’artista mentre dipinge nel suo giardino a Giverny.
Nelle Ninfee esposte al Ducale, il maestro francese offre la visione di un «mondo fluttuante», spazio piano dove si fa fatica a distinguere l’immagine dal suo riflesso, dove due cascate di salici, vicino ai bordi laterali, incorniciano un tappeto di ninfee su cui poggiano i riflessi delle nuvole. L’orizzonte è aperto. Non vi è né terra, né cielo. Solo l’onda e il fogliame ricoprono la tela luminosa e sovrastata da corolle di fiori eterei. Il risultato è «un incantesimo di acqua e luce», un’arte non tanto da capire, quanto – lo diceva il suo stesso autore- da amare.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Monet (1840-1926), Nymphéas, vers 1916-1919. Huile sur toile, 150x197 cm. Paris, musée Marmottan Monet, legs Michel Monet, 1966. © Musée Marmottan Monet, Paris / Bridgeman Images; [fig. 2] Giovanni Boldini, «La contessa Beatrice Susanne Henriette van Bylandt», 1901. Genova, Civiche raccolte Frugone di Nervi; [fig. 3] Ingresso di Palazzo Ducale a Genova; [fig. 4] Casa di Monet a Giverny
Informazioni utili
Cinque minuti con Monet. A tu per tu con le Ninfee. Palazzo Ducale, piazza Matteotti, 9 – Genova. Orari: lunedì, ore 14 – 19; dal martedì alla domenica, ore 10 – 19 (la biglietteria chiude un’ora prima dell’orario di chiusura). Ingresso: intero 7,00 €, bambini dai 6 ai 14 anni 3 €. Biglietti online: www.vivaticket.it. Fino al 23 agosto 2020
Di quel suo buen retiro, dove visse oltre quarant’anni, l’artista francese ama la luce «unica», vibrante: «non si trova uguale in nessun’altra parte del mondo», diceva.
Qualche anno dopo, quella casa diventa di proprietà dello stesso Monet che, nell’estate del 1893, decide di trasformare il modesto orto che la circonda in un affascinante giardino alla francese, il clos Normand.
L’artista ottiene, in quello stesso periodo, anche l’autorizzazione a deviare il corso dell’Epte che costeggiava allora il villaggio di Giverny.
Alla fine dell’anno, i lavori sono conclusi e Monet, che da giardiniere e botanico esperto cura i dettagli del suo giardino, fa piantare quattro salici piangenti della varietà cosiddetta «di Babilonia» sul perimetro dello stagno delle ninfee; uno in prossimità del ponte giapponese, due sul lato lungo del laghetto parallelamente alla strada e un ultimo sulla riva opposta al ponte.
La piantagione di essenze esotiche accentua ancora di più l'orientalismo di questo gioiello acquatico.
In questo bucolico mondo costruito su misura -cavalletto, colori e pennello alla mano- Monet si mette a dipingere en plein air; nel 1897 le ninfee colpiscono la sua attenzione e l’artista le dipinge più e più volte.
Lo stesso soggetto viene rappresentato da angolazioni leggermente diverse, in varie ore del giorno, in differenti stagioni e con una luce sempre differente. «E, naturalmente, -raccontava lo stesso artista- l’effetto cambia costantemente, non soltanto da una stagione all’altra, ma anche da un minuto all’altro, poiché i fiori acquatici sono ben lungi da essere l’intero spettacolo, in realtà sono solo il suo accompagnamento. L’elemento base è lo specchio d’acqua il cui aspetto muta ogni istante per come brandelli di cielo vi si riflettono conferendogli vita e movimento».
Alla fine il ciclo dedicato alle ninfee costa di oltre duecentocinquanta tele, che documentano l’evoluzione del pittore, capostipite della corrente impressionista, verso uno sfilacciamento delle forme e una fluidità della pennellata che lo avvicinano al linguaggio astrattista.
Una di queste opere, quella di proprietà del Musée Marmottan Monet di Parigi, è attualmente in mostra a Genova, negli spazi di Palazzo Ducale, grazie alla collaborazione con Arthemisia e con il progetto Generali Valore Cultura, il programma della compagnia assicurativa italiana per promuove l’arte e la cultura su tutto il territorio italiano e avvicinare un pubblico vasto e trasversale - famiglie, giovani, clienti e dipendenti - al mondo dell’arte.
L’opera di Monet è al centro di un inusuale progetto espositivo, attento a tutti i protocolli anti-Covid diffusi dal Mibact: misurazione della temperatura all’ingresso, utilizzo della mascherina all’interno della mostra, rispetto della distanza di sicurezza tra le persone seguendo il percorso segnalato all’interno delle sale espositive.
Il distanziamento sociale che stiamo vivendo in questi mesi per l’emergenza sanitaria da Coronavirus diventa l’occasione per un’esperienza estetica immersiva ed emozionante: cinque minuti esclusivi da soli, o con qualche familiare, a tu per tu con uno dei quadri più famosi del grande pittore impressionista.
La mostra, in programma fino al prossimo 23 agosto, si trasforma così in una sfida alla riscoperta della contemplazione, del contatto e della forza espressiva di un’opera. «In un tempo che ci costringe a costruire barriere per proteggerci, -raccontano da Arthemisia- l’invito è quello a un incontro diretto con un capolavoro, per metterci in ascolto di quanto l’arte con grande capacità narrativa riesce a dire di sé, ma anche di noi».
La mostra si impreziosisce di un’altra piccola chicca, invito a scoprire - con sempre maggiore profondità - il patrimonio culturale genovese, soprattutto in questi mesi dove molti trascorreranno le vacanze in Italia, a poca distanza dalle proprie case.
Nel 1894 fu Giovanni Boldini, pittore italiano e uno dei massimi rappresentanti della Belle Époque, a sollecitare la conoscenza di Monet in Italia. E qui, oggi come allora, è ancora l’artista ferrarese a introdurre l’incontro con l’opera del maestro francese. E lo fa con un altro capolavoro, appunto uno dei tesori artistici della città di Genova: il dipinto «La contessa Beatrice Susanne Henriette van Bylandt», proveniente dalle Civiche raccolte Frugone di Nervi.
A corredo della mostra ci sono, poi, alcune fotografie di Monet, un video introduttivo che ne racconta la vita e un altro, d’epoca (1915 ca.), che riprende l’artista mentre dipinge nel suo giardino a Giverny.
Nelle Ninfee esposte al Ducale, il maestro francese offre la visione di un «mondo fluttuante», spazio piano dove si fa fatica a distinguere l’immagine dal suo riflesso, dove due cascate di salici, vicino ai bordi laterali, incorniciano un tappeto di ninfee su cui poggiano i riflessi delle nuvole. L’orizzonte è aperto. Non vi è né terra, né cielo. Solo l’onda e il fogliame ricoprono la tela luminosa e sovrastata da corolle di fiori eterei. Il risultato è «un incantesimo di acqua e luce», un’arte non tanto da capire, quanto – lo diceva il suo stesso autore- da amare.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Monet (1840-1926), Nymphéas, vers 1916-1919. Huile sur toile, 150x197 cm. Paris, musée Marmottan Monet, legs Michel Monet, 1966. © Musée Marmottan Monet, Paris / Bridgeman Images; [fig. 2] Giovanni Boldini, «La contessa Beatrice Susanne Henriette van Bylandt», 1901. Genova, Civiche raccolte Frugone di Nervi; [fig. 3] Ingresso di Palazzo Ducale a Genova; [fig. 4] Casa di Monet a Giverny
Informazioni utili
Cinque minuti con Monet. A tu per tu con le Ninfee. Palazzo Ducale, piazza Matteotti, 9 – Genova. Orari: lunedì, ore 14 – 19; dal martedì alla domenica, ore 10 – 19 (la biglietteria chiude un’ora prima dell’orario di chiusura). Ingresso: intero 7,00 €, bambini dai 6 ai 14 anni 3 €. Biglietti online: www.vivaticket.it. Fino al 23 agosto 2020
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