ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 21 luglio 2020

«Noi. Non erano solo canzonette», venticinque anni di storia italiana in cento brani

Si potrebbe raccontare la storia del nostro Paese attraverso i tormentoni musicali che, dagli anni Sessanta a oggi, hanno accompagnato le nostre estati. La colonna sonora del 1967, l’anno che precedette le rivoluzioni sessantottine, fu, per esempio, l’effervescente «Stasera mi butto» di Rocky Roberts. Negli anni Ottanta, quelli dei capelli cotonati, delle giacche con le spalline e della spensieratezza esibita, Claudio Cecchetto fece, invece, ballare tutti con il «Gioca Jouer» (1981). Infine, nel 2006, l’anno dei mondiali in Germania, Checco Zalone conquistò l’Italia con «Siamo una squadra fortissimi». Si può, quindi, dire che la musica non solo fa parte della nostra vita, ma racconta anche la nostra storia, permette di esplorare e interpretare le grandi trasformazioni politiche e sociali in atto. Questo ragionamento fa da filo rosso anche alla mostra «Noi. Non erano solo canzonette», a cura di Gianpaolo Brusini, Giovanni De Luna e Lucio Salvini, prodotta da Bibibus Events e realizzata con la consulenza di Fabri Fibra, Marco Tullio Giordana, Vittorio Nocenzi, Giorgio Olmoti e Omar Pedrini. L’allestimento porta, invece, la firma della designer Francesca Seminatore; mentre le installazioni audio-video sono di Daniele Perrone.
Dopo essere stata esposta a Torino e a Bologna, la rassegna, patrocinata dal Mibact e dalla Siae, è arrivata a Pesaro, Città creativa Unesco della musica per essere esposta a Palazzo Mosca – Musei civici, luogo dell’identità culturale del capoluogo marchigiano, e al museo dedicato a Gioachino Rossini, la prima pop star ante litteram della musica.
Racchiusa fra due abbracci, quello di Domenico Modugno sul palco di Sanremo 1958 e quello di Paolo Rossi nella notte di Madrid che nel 1982 laureò l’Italia campione del mondo, la mostra procede cronologicamente raccontando venticinque anni della nostra storia e toccando ogni aspetto della vita sociale, del costume, della cronaca, del lavoro e dei cambiamenti nelle convinzioni etiche e morali di quegli anni.
Cento opere musicali italiane, selezionate nel repertorio di quel periodo, fanno da contrappunto al racconto, il cui repertorio iconografico proviene in parte dagli inestimabili archivi Publifoto IntesaSanpaolo e in parte dall’archivio storico de «Il Resto del Carlino». Le immagini esposte, destinate ai quotidiani, ai rotocalchi e ai settimanali illustrati dell’epoca, restituiscono lo sguardo del fotoreporter di cronaca e la sua grande abilità di rappresentare in modo acuto, profondo e preciso le molteplici realtà italiane. I video arrivano, invece, dagli archivi delle Teche Rai, oltre che dall’Archivio nazionale del cinema d’impresa di Ivrea, un centro di conservazione, valorizzazione e diffusione del patrimonio audiovisivo prodotto dalle imprese italiane.
Il percorso espositivo, di cui rimarrà documentazione in un catalogo Eli– La Spiga, è suddiviso in quattordici aree tematiche in grado di coinvolgere tanto chi quegli anni li ha vissuti in prima persona, quanto le generazioni più giovani, in un comune percorso di immersione nella memoria collettiva italiana: dalla grande immigrazione verso le città del Nord della fine degli anni Cinquanta, sino al disimpegno che ha configurato gli anni Ottanta.
«Si parte -raccontano gli organizzatori- da Palazzo Mosca – Musei civici con le sezioni: «Volare» (penso che un sogno così non ritorni mai più), «Il treno del sole» (come è bella la città come è viva la città), «Il boom» (il mutare del profilo delle città e delle campagne), «Carosello» (l’avvento del consumismo), «Abbronzatissimi» (la conquista del tempo libero e delle vacanze di massa), «L’esercito del surf» (i giovani quale nuovo soggetto sociale) e «Pensiero Stupendo» con il lungo cammino dell’emancipazione femminile. Il percorso prosegue al Museo nazionale Rossini con le sezioni: «C’era un ragazzo che come me» (le rivendicazioni sociali e i movimenti studenteschi), «Contessa» (lotte operaie), «La locomotiva» (il terrorismo), «Musica ribelle» (le radio libere), «La febbre del sabato sera» (le discoteche), «Splendido Splendente» (il riflusso che darà inizio agli edonistici anni ’80) e, infine, «il Mundial» (la notte che ci cambiò per sempre)».
La fruizione musicale in mostra è a più livelli: dall’audio diffuso nelle varie sale, alle opere ascoltabili singolarmente grazie alle più recenti tecnologie, agli speaker direzionali per i filmati d’epoca. I cento brani scelti, utilizzando un criterio di massima inclusività, da Peppino di Capri a Francesco Guccini, da Patty Pravo a Fabrizio De André, sono in grado di trasmettere, anche a chi non c’era, il senso profondo di quella musica e di quegli anni.
Una canzone, non meno di un libro o di un dipinto, sa, infatti, riflettere il momento storico in cui è stata immaginata, scritta e cantata. Non esistono canzonette, dunque, ma solo canzoni, e sono state trattate per quello che sono: contributi culturali di importanza critica per il passato, il presente e il futuro della nostra società. Nei grandi avvenimenti come in quelli di minor rilievo, la musica narra, descrive, talvolta preconizza e, infine, fissa nella memoria.

Informazioni utili
«Noi. Non erano solo canzonette». Palazzo Mosca – Musei Civici, piazzetta Mosca, 29 / Museo Nazionale Rossini, ia G. Passeri 72 - Pesaro. Orari: Palazzo Mosca - Luglio – settembre > da martedì a giovedì ore 10-13 / 16.30-19.30; da venerdì a domenica e festivi ore 10-13 / 16.30-19.30; Ottobre > da martedì a giovedì ore 10-13,  da venerdì a domenica e festivi ore 10-13 / 15.30-18.30 | Museo Nazionale Rossini, da martedì a domenica e festivi ore 10-13 / 15-18. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, ingresso libero minori di 19 anni, soci ICOM, disabili e persona che li accompagna. Informazioni: 0721.387541 biglietteria Musei Civici | 0721.1922156 biglietteria Museo Nazionale Rossini | pesaro@sistemamuseo.it. Sito internet: www.pesaromusei.it | www.mostranoi.it. Fino all'10 gennaio 2021.

lunedì 20 luglio 2020

Bologna, a San Colombano tra le note del passato con gli strumenti della collezione Vázquez

Li chiamava «monumenti sonori viventi» e li collezionava con passione intenzionato a trasmettere un pezzo di storia della musica antica al futuro. Aveva acquisito il suo primo pezzo, una spinetta del Cinquecento, nel 1969. Poi, poco dopo, era riuscito ad accaparrarsi un esemplare di grande valore e rara bellezza: un grande cembalo a tre registri costruito nel 1679 dal lucchese Giovanni Battista Giusti. Era l’inizio di una febbre collezionistica che, in quasi cinquant’anni, ha portato l’organista, clavicembalista e compositore bolognese Luigi Ferdinando Tagliavini (1929-2017), per trent’anni direttore dell’Istituto di musicologia di Friburgo, nonché curatore di prestigiose edizioni critiche dei lavori di Girolamo Frescobaldi e Domenico Zipoli, a raccogliere una settantina di strumenti a tastiera. Si tratta di virginali, clavicordi, arpicordi, clavicembali, pianoforti e organi, tutti restaurati e funzionanti, ai quali va ad affiancarsi una raccolta di strumenti a fiato e popolari risalenti ai secoli tra il XVI e il XIX.
Questo patrimonio prezioso -tra cui si trova anche un raro strumento combinatore, metà clavicembalo e metà pianoforte, costruito nel 1746 da Giovanni Ferrini, unico allievo certo di Bartolomeo Cristofori (l’inventore del fortepiano)- è stato donato nel 2006 alla Fondazione Carisbo e al suo circuito Genus Bononiae – Musei nella città.
Quattro anni dopo, nel 2010, la collezione trovava casa in uno dei gioielli architettonici di Bologna: il millenario complesso monastico di San Colombano, sorprendente stratificazione di ambienti.
La cripta è di epoca medioevale e presenta lacerti di pitture murali, tra cui un «Cristo in croce» attribuito a Giunta Pisano, uno dei massimi innovatori dell’arte del tempo prima di Cimabue.
La Cappella della Madonna dell’Orazione fu fatta costruire sul finire del Cinquecento dall’omonima confraternita e venne abbellita da affreschi carracceschi a cornice della venerata «Vergine» del bolognese Lippo di Dalmasio (1399), che si trovava allora all’aperto, sul muro di una casa, soggetta alle intemperie.
Infine, l’Oratorio della Passione, vero e proprio gioiello della scuola pittorica bolognese, fu edificato per il Giubileo del 1600 e fu teatro di quella che lo storico dell’arte Carlo Cesare Malvasia, «il Giorgio Vasari dell’Emilia», definì la «gloriosa gara» tra i massimi talenti dell’Accademia dei Carracci: Francesco Albani, Domenichino, Guido Reni, Lucio Massari, Francesco Brizio, Lorenzo Garbieri e Galanino.
In questo contesto di grande bellezza si può, dunque, percorrere un viaggio tra strumenti che legarono la propria storia a quella di importanti protagonisti di tutti i tempi. È possibile vedere, per esempio, il piccolo pianoforte in «tavolo da cucito» di Francesca Ciani Camperio, ardente patriota risorgimentale, sul quale le impartì lezioni di canto Gioacchino Rossini. Si può ammirare una spinetta a pianta rettangolare che fu probabilmente della sfortunata nobildonna romana Beatrice Cenci, decapitata per aver ucciso il padre-orco e assurta, poi, al ruolo di eroina popolare tanto da essere raffigurata da Guido Reni e da Elisabetta Siranni e da essere raccontata, tra gli altri, da Stendhal e Alberto Moravia.
Ci si può, poi, far incantare dal clavicembalo di Nicolò Albana, suonato a Sorrento da Cornelia Tasso Spasiano, sorella di Torquato Tasso, e da uno dei quattro esemplari esistenti di cembalo pieghevole settecentesco, di cui si servirono Federico il Grande di Prussia e il celebre castrato Farinelli durante i loro viaggi.
Non mancano, infine, lungo il percorso strumenti dal raffinato decoro, impreziositi da pitture di paesaggio o da scene mitologiche, come la spinetta all’ottava di Silvestro Albana adornata dal Domenichino e il clavicembalo di Mattia di Gand con un dipinto del fiammingo Jan Frans van Bloemen.
In occasione dei dieci anni dall’inaugurazione del museo a San Colombano, Genus Bononiae ha voluto arricchire il percorso di un’altra perla: la mostra di strumenti antichi ad arco della collezione Vázquez, la più grande al mondo di questo genere, che dal 1993 viene gestita dalla Orpheon Foundation di Vienna.
«Still Alive» -questo il titolo della rassegna- raccoglie, nello specifico, oltre duecento tra strumenti ad arco ed archetti: viole da gamba e d’amore, violini, violoncelli, violoni e baryton ritrovati nelle residenze aristocratiche dell’antico passato, databili dal 1550 al 1780, tutti restaurati e riportati alle loro condizioni originali, così da essere ancora «vivi» nella loro funzionalità e fruizione, ovvero regolarmente utilizzati in occasione di concerti, registrazioni, masterclass e concorsi.
Anche in questo caso ogni strumento racconta una storia. Ci sono, tra gli esemplari in mostra, una viola da gamba di William Bowelesse (Londra, c. 1590), probabilmente appartenuta alla regina Elisabetta I d’Inghilterra, e un violoncello costruito da Simone Cimapane (1692), che si dice essere stato suonato nell’orchestra di Arcangelo Corelli a Roma. Si possono, poi, vedere anche due archi gemelli appartenuti al grande compositore e virtuoso di violino Giuseppe Tartini, e due archi veneziani, anch’essi gemelli, dell’epoca di Antonio Vivaldi, oltre a strumenti di scuola bolognese come un violino realizzato da Gian Antonio Marchi (c. 1770) e una viola da gamba di Giovanni Fiorino Guidantus (XVIII secolo).
Completano il percorso espositivo strumenti di Gasparo da Salò (Brescia, c. 1570), Jakob Stainer (1671), Joachim Tielke (1683, 1697) e Pietro Guarneri (Mantova, c. 1700), ma anche esemplari realizzati dal liutaio milanese Giovanni Grancino (c. 1700) o dalle dinastie asburgiche dei Thir, Leidolff, Stadlmann e Posch.
Non mancano, infine, pezzi di provenienza inglese, risalenti all’epoca di William Shakespeare ed Henry Purcell. Tutti strumenti, questi, dei quali si può dire -per usare le parole del musicista e musicologo José Vázquez, classe 1951- che sono «still alive», ancora vivi, pronti a riempire di note San Colombano per regalare emozioni senza tempo.

Informazioni utili 
«Still Alive». Museo di San Colombano – Collezione Tagliavini, via Parigi 5 – Bologna. Orari: da martedì a domenica, ore 11.00 - 13.00 e ore 15.00 - 19.00. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Informazioni: tel. 051.19936366 o sancolombano@genusbononiae.it. Sito internet: https://genusbononiae.it/palazzi/san-colombano/. Fino al 10 gennaio 2021.

venerdì 17 luglio 2020

Fabio Viale e i suoi marmi tra la Versilia e Firenze

Ha appena sedici anni quando scopre la passione per il marmo e decide di trascorrere le sue estati in laboratorio con gli artigiani che lavorano questa materia per imparare tutti i segreti del mestiere. Fabio Viale (Cuneo, 1975), scultore italiano di base a Torino, inizia così la sua attività artistica ispirata a un concetto di bellezza eterna e inequivocabile, che guarda alla tradizione greca e alla lezione di Michelangelo.
La critica ha più volte definito l’artista «un illusionista della materia», elogiandone la capacità di trasformare il marmo di Carrara in maniera impensata e inusuale, rendendolo ora leggero come un palloncino e morbido come la pelle, ora flessibile come la gomma e fibroso come la carta.
Negli anni sono nate così opere incredibili, pronte a ingannare lo sguardo, come «Ahgalla» (2002), una barca di marmo in grado di galleggiare ma anche di trasportare persone con l'ausilio di un motore fuoribordo, «Earth» (2017), riproduzione di due pneumatici incastrati, o ancora «Arrivederci e grazie» (2014), con due elementi in replica 1:1 di altrettanti sacchetti in carta forati.
Fabio Viale è anche conosciuto al grande pubblico per le sue riproduzioni perfette di opere della nostra storia scultorea, ma rivisitate in chiave contemporanea: è il caso di una «Nike» fatta di polistirolo, della «Venere» di Antonio Canova coperta da tatuaggi di ispirazione orientale, o ancora della «Pietà» di Michelangelo, di cui viene modificata l’iconografia sottraendo la figura di Gesù e sostituendola con quella di un migrante.
Dopo la personale al Glyptothek Museum di Monaco di Baviera, la partecipazione all’ultima Biennale di Venezia e l’esposizione al Pushkin Museum di Mosca, l’artista porta le sue opere in Versilia, a Pietrasanta, con il progetto espositivo «Truly», per la curatela di Enrico Mattei.
L’esposizione è l’occasione per presentare, negli spazi della chiesa di Sant’Agostino, la nuova scultura in marmo bianco «Le tre grazie», dettagliatissima nei particolari del panneggio, che vuole far riflettere sul concetto di libertà negata. L’opera ha, infatti, come soggetto tre donne originarie dalla città di Ghardaia in Algeria, luogo in cui la religione musulmana è interpretata in modo particolarmente integralista, visto che le donne sono costrette, fin dalla nascita, a indossare un burka fino ai piedi, che lascia scoperto un solo occhio.
Nella chiesa di sant’Agostino è visibile anche la scultura «Star Gate», realizzata in marmo arabescato del monte Altissimo, e consistente in due cassette per la frutta monumentali, di oltre due metri, «unite -raccontano gli organizzatori dell’esposizione- una con l’altra a divenire un varco per lo spazio, un passaggio, e al tempo stesso, un limite da oltrepassare cui si associano predisposizioni di nuova spiritualità e emancipazione».
La mostra, che allinea in tutto una ventina di opere, continua nel chiostro di Sant’Agostino e nelle sale adiacenti al pianoterra, dove è allestita una serie di lavori che hanno scandito la notorietà di Fabio Viale: dall’«Infinito» in marmo nero, con delle ruote di Suv intrecciate, a una versione de «La Suprema», che raffigura due cassette per la frutta dall’impeccabile effetto legno. In piazza del Duomo spicca, invece, un magistrale e inedito volto, cavo all’interno, come una maschera, che riproduce in scala monumentale il «David» di Michelangelo, sul quale Fabio Viale ha sperimentato un nuovo tipo di tatuaggio, combinazione del tutto personale delle più attuali tendenze: dallo stile criminale a quello giapponese, già sperimentati, fino ai nuovi orientamenti provenienti dal mondo dei trapper e dalle influenze sudamericane. Sempre in piazza del Duomo, accanto ad altri lavori, trova posto, una grande opera ispirata al «Torso Belvedere» che si trova a Roma, all’interno dei Musei vaticani.
La rassegna in Versilia è organizzata grazie alla preziosa collaborazione della Galleria Poggiali che, questa estate, ospita l’artista anche nei suoi spazi fiorentini con due diverse installazioni: una per la sede di via della Scala 35/Ar, l’altra per lo spazio in via Benedetta 3r. «Acqua alta High tide» è il titolo scelto per la rassegna, che presenta l'opera realizzata da Fabio Viale per il Padiglione Venezia (ai Giardini) in occasione della cinquantottesima edizione della Biennale d’arte: «una riflessione -raccontano gli organizzatori- sull’emergenza che stiamo attraversando, quella dell’innalzamento del livello del mare, dei cambiamenti climatici e del progresso incontrollato che ha stravolto equilibri naturali e il paesaggio in ogni parti del mondo».
L’installazione in via della Scala è formata da una dozzina di monoliti in pietra che replicano, a misura reale, quei pali in legno di rovere o di castagno alti tre metri e oltre che affiorano nella laguna di Venezia. Questi oggetti sono denominati «bricole», e servono da segnali per la navigazione. Quelle realizzate da Viale imitano il legno in maniera così stupefacente da far credere che queste sculture siano in realtà dei calchi.
La galleria è invasa da uno strato di sabbia umida, come se l’acqua si fosse appena ritirata dall’ambiente che ospita le «bricole». In più, Fabio Viale ha macchiato le pareti della galleria con un colore sporco, limaccioso, che riproduce la linea dell’acqua, come se lo spazio fosse realmente allagato. L’allestimento, così risolto, assume un aspetto drammatico e serve a collegare l’acqua alta che ha colpito Venezia nei mesi scorsi a quanto vissuto a Firenze nell’autunno del 1966, quando l’Arno superò gli argini, e con tutta la sua furia devastatrice il fiume invase il centro cittadino, raggiungendo l’altezza di molti metri in certi quartieri, come quello di Santa Croce. Ancora oggi, una lapide ricorda la linea dell’acqua in via della Scala e in Piazza Santa Maria Novella, dove furono superati i due metri, deturpando alla base affreschi preziosi e marmi pregiati.
Il tono così drammatico dell’allestimento in via della Scala si accentua nello spazio di via Benedetta, dove l’artista ha rovesciato quintali di pietrisco, detriti di marmo direttamente prelevati dai cosiddetti ravaneti, che sono in realtà gli strapiombi dove vengono gettati gli scarti della estrazione in cava: pietrame e schegge inutilizzabili, materiale prodotto dalla frantumazione della pietra che, precipitando e scivolando a valle, si sbriciola e crea delle vere e proprie cascate di marmo, che viste dalla marina sembrano antichi ghiacciai sopravvissuti al riscaldamento delle temperature.
Tra la massa informe dei detriti, che sembra muoversi come un fiume e trascinare con sé tutto, di tanto in tanto però emergono statue mozze, pezzi frantumati di vasi in marmo, arti e teste di pietra lavorati dal tempo e dalla caduta. Le «Tre Grazie» sono state ridotte a brandelli. Un personaggio pittoresco, un moro con turbante, appare riportato allo stadio grezzo di macigno. Un aggraziato «Apollo» è senza braccia, gambe e testa. Un molosso è restituito alla natura come sasso di fiume. Il paesaggio vuole ricordarci, l’inevitabile tragedia del divenire che tutto riduce in polvere.
Classico e popolare nello stesso tempo, Fabio Viale sembra giocare con il marmo per raccontarci verità sopite, rimosse o diverse, occultate dall’abitudine, dagli stereotipi, dai pregiudizi.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Fabio Viale, Le Tre Grazie, 2020, marmo bianco, (da sx a dx) 125x89x61 cm, 124x86x88 cm, 137x77x75 cm; [fig. 2] Fabio Viale, Souvenir David, 2020, marmo bianco e pigmenti, 196x114x115 cm; [fig. 3] Fabio Viale, Laocoonte, 2020, marmo bianco e pigmenti, 198,5x134x87 cm; [figg. 4 e 5] Fabio Viale, Acqua alta High tide, 2020. Installation view at Galleria Poggiali, Florence. Courtesy Galleria Poggiali; [fig. 6] Fabio Viale, Arrivederci e grazie, 2017, marmo bianco e pigmenti, 110x105x180 cm cad.

Informazioni utili
Fabio Viale. Truly. Piazza Duomo, Chiesa e chiostro di Sant’Agostino - Pietrasanta (Lucca). Orari: 28.06 | 06.09: tutti i giorni ore 19-24; 07.09 | 04.10: martedì-giovedì ore 17-20; venerdì 17-23; sabato: 10-13 | 17-23; domenica: 10-13 | 17-20; lunedì chiuso.Ingresso libero. Informazioni: tel. 055.287748 | info@galleriapoggiali.com. Sito web: www.galleriapoggiali.com. Fino al 4 ottobre 2020

Fabio Viale. Acqua alta High tide. Galleria Poggiali Firenze, via della Scala, 35/Ar | via Benedetta, 3r – Firenze. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-13.00 / 15.00-19.00, domenica su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 055.287748 | info@galleriapoggiali.com. Sito web: www.galleriapoggiali.com. Fino all’11ottobre 2020