ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 26 novembre 2020

Una mostra on-line per «London by Gian Butturini», un libro condannato al macero

È l’anno dell’uomo sulla Luna, del mega raduno di Woodstock e del primo collegamento remoto tra computer. È il 1969. Un giovane grafico bresciano dell’Art Director Club di Milano, Gianfranco Butturini (Brescia, 1935 – 2006), viene mandato a Londra per allestire un padiglione alla fiera internazionale sull’uso industriale della plastica. Con la sua macchina fotografica gira la città, dove rimane circa un mese, e scatta una serie di fotografie - «spontanee e autentiche, vive e graffianti» - che raccontano le contraddizioni della Swinging London, con le ragazze in minigonna, i drop-out che si fanno di eroina, gli immigrati dal volto triste, gli abitanti della City con il loro mondo perfetto.
Al ritorno a Brescia quelle immagini diventano un libro pubblicato a spese dello stesso autore in un migliaio di copie, «London by Gian Butturini», che va subito esaurito e che, con il passare degli anni, diventa un oggetto di culto con un prezzo ormai da collezionisti. 
Per il giovane artista, allora trentaquattrenne, è l’inizio di una brillante carriera nel mondo della fotografia. Un marcato interesse per le ingiustizie sociali e le lotte di liberazione caratterizzano da subito i suoi reportage in giro per il mondo, da Cuba al Cile, dall’Irlanda del Nord alla Germania dell’Est, dall’India al Marocco, dall’ex Jugoslavia all’Etiopia. 
Di servizio in servizio, fino alla registrazione del film «Il mondo degli ultimi» nel 1980, Gian Butturini si mostra sempre «brechtianamente seduto dalla parte del torto».
Denuncia disuguaglianze, disagi e povertà, dolori e umiliazioni, guidato dalla convinzione che le immagini abbiano una forza intrinseca capace di abbattere muri, censure e conformismi. Il suo obiettivo si trasforma, dunque, costantemente in uno strumento di impegno civile per raccontare la nostra storia, dalla strage di Bologna alla caduta del muro di Berlino, dalla Rivoluzione dei Garofani in Portogallo al teatro di strada in Romagna con Julian Beck, dalla Cuba di Fidel Castro al Cile di Salvador Allende e, poi, di Augusto Pinochet. L’artista- scrive Gigliola Foschi – diventa così «uno dei grandi protagonisti italiani della fotografia ‘contro’: contro le ingiustizie, contro le diseguaglianze sociali, contro il razzismo, contro le guerre, contro le morti bianche sul lavoro, contro i manicomi a fianco di Franco Basaglia, contro l’occupazione delle terre del popolo Saharawi». 
È difficile pensare, con una storia del genere alle spalle, che qualcuno abbia potuto accusare Gian Butturini di razzismo. Eppure è successo e tutto è accaduto per colpa del primo, e fortunato, reportage, quello su Londra, ripubblicato nel 2017 dalla casa editrice Damiani di Bologna a seguito della richiesta di Martin Parr, celebre fotografo britannico, già presidente di Magnum Photos.
A scatenare il casus belli è stato l’accostamento di due fotografie: da una parte l’immagine di una donna di colore che vende i biglietti della metropolitana, dall’altra quella di un gorilla in gabbia «che -per usare le parole dello stesso autore- riceve con dignità imperiale sul muso aggrottato le facezie e le scorze lanciategli dai suoi nipoti in cravatta».
C’è chi in quelle due immagini accostate vede lo stereotipo infamante donna nera = scimmia. È la studentessa britannica Mercedes Baptiste Halliday, una ragazza di colore di vent’anni iscritta al corso di antropologia all’University College di Londra, che ha ricevuto in dono il libro di Gian Butturini dal padre.
In tempi di cancel culture, la protesta della ragazza sui social viene cavalcata dai media inglesi e travolge il potente (e quindi invidiato) Martin Parr, reo -a loro dire- di aver riscoperto il libro, di averlo fatto ripubblicare considerandolo un «gioiello trascurato» e anche di averlo inserito -unico testo italiano- nella mostra «Strange and Familiar – Britain as reveleaded by international photographers», allestita nel 2016 al Barbican di Londra e nel 2017 alla Manchester Art Gallery.
Accusato di «analfabetismo visivo», il fotografo britannico si dimette dal ruolo di direttore artistico del Bristol Photo Festival e, contemporaneamente, chiede il ritiro di «London» dal mercato editoriale, scusandosi pubblicamente per non aver colto il messaggio razzista presente nelle due immagini.
Nella stagione incendiaria del movimento attivista Black Lives Matter, anche Damiani editore fa un passo indietro e decide di sospendere la pubblicazione del volume; mentre le copie già stampate rischiano il macero.
Basterebbe leggere le parole di Gian Butturini a corredo di quella immagine per spegnere la polemica: «ho fotografato una donna nera, chiusa in una gabbia trasparente; vendeva biglietti per la metropolitana: una prigioniera indifferente, un'isola immobile, fuori dal tempo nel mezzo delle onde dell'umanità che le scorreva accanto e si mescolava e si separava attorno alla sua prigione di ghiaccio e solitudine».
Non c’è alcun razzismo nei confronti di quella donna, umile e umiliata, incapace di ribellarsi alle ingiustizie. Ma Gian Butturini è un fotografo poco conosciuto nel Regno Unito, per di più deceduto (e quindi nell’impossibilità di ribattere) e senza istituzioni forti alle spalle. È un uomo sacrificabile. Ma gli eredi, i figli Tiziano e Marta, non ci stanno e lanciano la campagna «Save the book», sostenuta e appoggiata da alcune tra le più importanti figure della fotografia in Italia, come Ferdinando Scianna, Gianni Berengo Gardin e Francesco Cito
Il libro sottratto al rogo mediatico viene rimesso in vendita e può essere ordinato inviando una e-mail ad archiviogianbutturini@gmail.com a fronte di una sottoscrizione di quaranta euro (oltre alle spese di spedizione) che serviranno per promuovere le attività dell'associazione. Ma non è tutto. Trenta immagini del reportage londinese, unite a una decina di fumetti degli anni Settanta con interventi spiazzanti in stile situazionista, diventano una mostra, per la curatela di Gigliola Foschi, visibile dal 10 dicembre al 31 gennaio in uno slide-showonline, attivo 24 ore su 24, sul sito www.gianbutturini.com. Pandemia permettendo (se la Lombardia dovesse realmente passare in zona arancione le gallerie d'arte potranno rimanere aperte), l'esposizione sarà visitabile, negli stessi giorni, anche in presenza allo Spazio d’arte Scoglio di Quarto a Milano (la rassegna sarà aperta tutti i giorni, dalle ore 17 alle ore 19, a ingresso gratuito, con obbligo di prenotazione inviando una mail a info@galleriascogliodiquarto.com oppure un sms al 348.5630381).
Venerdì 18 dicembre, alle ore 18.30, si terrà, inoltre, un incontro on-line, promosso dalla Casa della Cultura, con interventi di Tiziano Butturini, Gigliola Foschi, Ferdinando Scianna, Alberto Prina, direttore del Festival di Fotografia etica di Lodi, e Stefania Ragusa, giornalista della rivista «Africa» e docente presso l'Università di Pavia.
Inizia così «una battaglia -dichiarano gli organizzatori- per ristabilire la verità contro una controversia grottesca e surreale, nonché per ribadire con forza che il libro va visto e letto come una preziosa testimonianza artistica, politicamente impegnata e volutamente provocatoria». Il libro va salvato dal macero perché la narrazione di «London» non è razzista. È empatica e solidale. Si muove nel solco della critica sociale portata avanti negli anni Settanta, quelli della pubblicazione originaria del volume, dalla controcultura e dalla Beat Generation. Ed è in linea con l’impegno di uomo che ha sempre «usato la macchina fotografica come un grido di speranza contro le ingiustizie», per raccontare l’altro con occhio attento e cuore aperto.

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mercoledì 25 novembre 2020

Arezzo ritrova il polittico «Madonna con Bambino, Santi, Annunciazione e Assunzione» di Pietro Lorenzetti

Era il 17 aprile 1320 quando il vescovo Guido Tarlati, uno dei maggiori rappresentanti del ghibellinismo in Toscana, commissionava a Pietro Lorenzetti un polittico per l’altare maggiore della Pieve di Arezzo. All’interno del contratto era indicato il compenso per il lavoro, fissato in 160 lire pisane pari a 54 fiorini d’oro, ed erano contenute prescrizioni che riguardavano il numero delle figure da rappresentare e la loro distribuzione nello spazio, l’obbligo di usare oro di ottima qualità, «da cento fogli a fiorino», e l’esigenza che la tavola fosse dipinta con «bellissime figure», dai colori pregiati.
Con questo accordo scritto, il pittore si impegnava, inoltre, a lavorare senza interruzioni e senza assumere altre committenze fino ad aver raggiunto «la perfezione» dell’opera.
Quattro anni dopo, nel 1324, Pietro Lorenzetti terminava la sua impresa pittorica raggiungendo l’eccellenza richiesta tanto da meritarsi le parole elogiative di Giorgio Vasari, che ebbe a descrivere l’elegante tempera su tavola a fondo d’oro «con molte figure piccole […] tutte veramente belle e condotte con buonissima maniera».
Nasceva, dunque, a seguito di un contratto scritto, uno tra i testi più illuminanti dell’epoca per la relazione opera-artista-committente, un quadro simbolico per la pittura del Trecento toscano e italiano, oggi presente in tutti i manuali di storia dell’arte: la «Madonna con Bambino, Santi, Annunciazione e Assunzione».
Questa tavola è stata oggetto negli ultimi sei anni di un lungo e complesso lavoro di restauro, a cura di Paola Baldetti, Marzia Benini e Isabella Droandi dello studio Ricerca.
Il progetto di pulitura, consolidamento e messa in sicurezza che ha restituito all’ammirazione del pubblico, allo studio degli storici e alla devozione dei fedeli il capolavoro medioevale si è avvalso del sostegno dell’associazione Art Angels Arezzo Onlus e di altri sponsor privati, tra cui la Fondazione Cassa di risparmio di Firenze, le aziende aretine Power One Italy spa, Chimet spa, Tca spa e Centro chirurgico toscano, nonché l’ente no profit Friends of Florence, presieduto da Simonetta Brandolini d'Adda, che si è occupato di raccogliere donazioni negli Stati Uniti.
Ad oggi restano ancora da finanziare lavori per un totale di 77.980 euro. Si tratta di interventi che si sono resi indispensabili per la corretta ricollocazione dell’opera sull’altare maggiore della Pieve di Santa Maria ad Arezzo, come la disinfestazione del coro ligneo retrostante della tribuna, a cura di Marco Santi, la realizzazione di una nuova illuminazione, firmata da «I Guzzini» di Firenze, e la costruzione di un nuovo supporto di sostegno in acciaio, che ha visto al lavoro la Metalmeccanica di Valerio e Mauro Vedovini.
In questi giorni di pandemia, la ricerca di contributi si è spostata sul Web, sulla piattaforma GoFundMe, al link https://www.gofundme.com/f/progetto-restauro-lorenzetti.
Nel frattempo, agli inizi di novembre, l’opera di Pietro Lorenzetti è tornata a casa, nel luogo per il quale era stata concepita e realizzata, ovvero la Pieve di Santa Maria ad Arezzo.
Il polittico, stando a quanto racconta il contratto di commissione, doveva essere lungo 6 braccia (cm 58,36 braccio aretino = m. 3,50) e alto in media altrettante 6 braccia, ma è giunto a noi in dimensioni ridotte a causa di amputazioni subite lungo i lati delle pale, ma soprattutto a livello della carpenteria dove è stato privato delle colonnine e dei pinnacoli che dividevano i vari scomparti e della predella descritta da Giorgio Vasari.  C’è il sospetto che a smontare la struttura sia stato lo stesso storiografo e artista toscano, autore nel 1560 di importanti lavori di trasformazione della pieve aretina, tra i quali la migrazione della pala del Lorenzetti verso un altare minore, quello di San Cristoforo.
Il polittico raffigura, nello specifico, la Madonna col Bambino tra i santi Donato (il patrono di Arezzo), Giovanni Evangelista, Giovanni Battista e Matteo. Nel secondo registro, di dimensioni inferiori, sono rappresentate quattro coppie di santi a mezzo busto: Giovanni e Paolo, Vincenzo e Luca, Jacopo Maggiore e Jacopo Intercisus, Marcellino e Agostino.  Al di sopra della Vergine è raffigurata l’Annunciazione e nel pinnacolo terminale l’Assunzione.  Nelle cuspidi si trovano, invece, le figure di santa Reparata, santa Caterina, Madonna Assunta, sant’Orsola (o Cristina?) e sant’Agata. 
Il lavoro, di grande complessità, si considera maturo nel percorso artistico di Pietro Lorenzetti e nel suo rapporto con la lezione giottesca, che l'artista senese aveva appreso nei suoi giorni ad Assisi per la realizzazione del ciclo della «Passione di Cristo» nella Basilica inferiore.
Felicia Rotundo, già funzionario storico dell’arte della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Siena, Grosseto e Arezzo, elogia la tela e la sua «grande complessità strutturale e iconografica, di intensa ed inusitata valenza spirituale, che mostra soluzioni figurative aggiornate esemplificate nel colloquio intimo e muto tra Madre e Figlio, nella forza evocativa del volto di San Donato, nella raffinata ricchezza delle vesti, e pure nell’inserimento inusuale della scena dell’Annunciazione che costituì il modello per analoghe rappresentazioni nella produzione artistica locale».
Un altro dato importante da sottolineare è la presenza della firma dell’artista, che compare al centro della lunga iscrizione che corre in basso, sotto l’immagine della Madonna con il Bambino: «Petrus Laurentii Hanc Pinxit Dextra Senesis». Un’altra firma, quasi illeggibile per le piccole dimensioni, appare, poi, sulla spada della Santa Reparata: «Petrus Me Fecit».
Il polittico è stato fatto oggetto di vari interventi di restauro nel corso dei secoli. Uno dei primi di cui abbiamo notizia risale alla fine dell’Ottocento quando, durante i lavori che interessarono la Pieve, l'opera fu portata al riparo in Municipio per essere, poi, ricollocata nella sua sede tra il 1880 e il 1881. 
In questa occasione la tavola fu sottoposta a una drastica pulitura eseguita probabilmente con soda che causò gravi svelature, concentrate soprattutto nella parte alta ma diffuse anche in altre zone del dipinto, successivamente ricoperte sotto un denso vernicione. 
Nuovamente restaurato nel 1916, il polittico fu oggetto nel 1976 di un ulteriore intervento conservativo, resosi necessario a seguito del tentativo di appiccargli fuoco da parte di uno squilibrato. 
«Il danno subito, fortunatamente solo una bruciatura sul retro della tavola centrale con la Madonna e di quella laterale con il San Giovanni Evangelista, che aveva consumato lo spessore del legno fino all’imprimitura, -racconta ancora Felicia Rotundo - fu riparato con l’inserimento di tasselli di legno stagionato. Su altre zone del supporto, dove necessario, furono inseriti dei cunei e su tutta la struttura furono applicate nuove traverse di noce scorrevoli entro nottole. Sul fronte della tavola furono tolti gli elementi falsi aggiunti successivamente quali le colonnette che causavano una grave alterazione della struttura generale e degli spazi interni dell’Annunciazione. Per quanto riguarda la pittura furono rimossi solo in parte gli strati di vernici bituminose utilizzate per nascondere le profonde e gravi svelature causate dalle vecchie puliture con soda. Il colore si presentava svelato su tutte le parti ma in modo assai grave in corrispondenza delle mezze figure di santi negli ordini superiori e nella teste dei profeti nei tondi. I volti apparivano quasi completamente abrasi come pure quelli del Bambino e dei santi Donato e Matteo.
Questo restauro fu eseguito da Carlo Guido e consistette, quindi, nella pulitura e nella rimozione delle vecchie vernici, nella integrazione di piccole e minuscole mancanze di colore con rigatino ad acquerello e con velature nelle minori e nel ripristino della lunga iscrizione alla base del polittico». 
Quarant'anni dopo il polittico di Pietro Lorenzetti è stato fatto oggetto di un nuovo restauro, quello attuale. Dopo le opportune analisi, si è verificata la funzionalità del supporto, quindi è stata operata una pulitura della superficie pittorica che ha provveduto alla rimozione degli strati di restauro apposti nell’ultimo intervento (vernici e integrazione pittorica, alterate nel tempo). Questa operazione ha rivelato estesissime aree di pittura e di fondi oro in cui persistevano strati evidenti di sporco e di patinature antiche di difficile datazione. Si è, quindi, imposta una seconda fase di pulitura delicatissima, interamente condotta al microscopio, che ha permesso di recuperare i colori cangianti e le straordinarie decorazioni condotte a mano libera dal pittore, offrendo così un fondamentale contributo alla complessiva leggibilità del dipinto.
Gli studi fatti dalla Soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo hanno portato a ipotizzare la ricostruzione, con disegno digitale, delle parti strutturali in legno della cornice monumentale, purtroppo perduta, che ne facevano una macchina autoportante di grande impatto visivo.
È stata, quindi, proposta una ipotetica ricostruzione, con disegno digitale, che consentisse di restituire spaziature e proporzioni corrette all’opera, facilitandone la lettura in rapporto soprattutto con l’interno monumentale della Pieve per la quale fu concepita.
La direzione dei lavori, la proprietà e l’équipe tecnica hanno convenuto di limitare tale ricostruzione al solo recupero della larghezza del polittico: sono stati pertanto inseriti listelli dorati che distanziano le varie parti dell’opera riconducendola (almeno in larghezza) alla misura originaria. 
Oggi il Polittico aretino di Pietro Lorenzetti torna, dunque, nella sua casa, mostrando agli amanti dell'arte il linguaggio unico di Pietro Lorenzetti, quella sua attenzione alla qualità materica e agli effetti ottici, che guarda all'eleganza di Duccio da Boninsegna e alla salda spazialità di Giotto

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martedì 24 novembre 2020

Un’edizione tutta digitale per BilBOlbul, il festival internazionale del fumetto di Bologna

Compie quattordici anni BilBOlbul - Festival internazionale di fumetto di Bologna, che, in conformità alle restrizioni imposte dall’ultimo Dpcm per contrastare la pandemia da Coronavirus, si presenta in una formula inedita.
Tutti gli appuntamenti in cartellone dal 27 al 29 novembre saranno, infatti, in streaming sul sito istituzionale del festival, ma anche sui canali YouTube e Facebook.
Conferenze, incontri con gli autori, presentazioni di libri -in buona parte in inglese e sottotitolati- vanno a comporre il ricco cartellone di questa edizione della kermesse, che vede ancora una volta come ente organizzatore l’associazione culturale Hamelin e come main partner il Gruppo Hera.
La necessità di agire on-line ha portato anche a un’estensione temporale del festival: dopo la tre giorni di fine novembre, la consueta offerta formativa per gli studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado (ma anche per gli iscritti all’Accademia di belle arti e all’Erasmus Mundus in Culture letterarie europee dell’Università di Bologna) andrà avanti fino al prossimo 15 gennaio; in contemporanea verrà gettato uno sguardo sulle ultime uscite internazionali di graphic novel.
Sono, invece, rinviate a data da destinarsi le mostre in presenza, tra cui si segnala la collettiva, tutta al femminile, «Prendere posizione. Il corpo sulla pagina», con opere di Émile Gleason, Rikke Villadsen, Nicoz Balboa e Alice Socal.
Tema conduttore di questa edizione del festival sarà il corpo, ovvero -come ricordano gli organizzatori di BilBOlbul - «la prima cosa che si disegna, il motore e l’essenza di ogni storia», che verrà raccontato nella sua accezione erotica, comica, non conforme, politica.
Gli artisti coinvolti, per la maggior parte donne, hanno scelto il corpo - si legge nella presentazione - per «raccontarsi con l’autobiografia, per immaginare futuri desiderabili o distopici, per riscrivere i generi letterari classici e scardinarne l’immaginario».
Un’impronta femminile si ravvisa anche nel manifesto di questa edizione, firmato da Émilie Gleason, premio Rivelazione al Festival di Angoulême del 2019 per il suo graphic novel «Ted, un tipo strano», che racconta la sindrome di Asperger con grande umanità e senza ipocrisie. Il libro -al centro di un incontro in programma on-line domenica 29 novembre, alle ore 15.30- uscirà in edizione italiana per Canicola proprio in occasione del festival bolognese, quale segno della collaborazione, consolidata ormai da anni, tra BilBOlbul e le principali case editrici per portare in Italia i titoli più interessanti del panorama internazionale.
Come già ricordato, Émilie Gleason è anche una delle autrici protagoniste del volume «Prendere posizione. Il corpo sulla pagina», catalogo della mostra che avrebbe dovuto inaugurare il 27 novembre negli spazi espositivi della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Il libro, curato ed edito da Hamelin, propone uno sguardo sulla rappresentazione e funzione del corpo nel fumetto contemporaneo attraverso interviste e articoli sulle autrici più rilevanti del panorama nazionale e internazionale.
Tra le protagoniste di questa novità editoriale c’è anche Rikke Villadsen, artista al centro dell’appuntamento inaugurale di BilBOlbul: «Sogliole e cowboy», in agenda venerdì 27 novembre, alle ore 15.
La programmazione del primo giorno del festival proseguirà quindi, alle ore 16, con una diretta con Tommi Parrish, rivelazione del fumetto statunitense con il suo libro «La bugia e come l’abbiamo raccontata», graphic novel che uscirà per Diabolo Edizioni nella sua versione italiana. 
Il volume racconta - si legge nella presentazione - la «storia all’apparenza semplice di due amici che si incontrano per caso dopo anni e passano una serata insieme a parlare»; il loro ritrovarsi «diventa il pretesto per una sorta di bilancio esistenziale, tra amori, speranze e disillusioni, il tutto raccontato attraverso uno stile originalissimo fatto di vignette incompiute o semi-smontate, disegni lasciati a metà, un uso spettacolare del colore».
Sabato 28 novembre si proseguirà nell’esplorazione e approfondimento del tema del corpo con una vera e propria maratona di incontri e tavole rotonde on-line. Ad aprire la giornata sarà, alle ore 9.30, la traduttrice e saggista Maria Nadotti con la diretta «Dall’autorappresentazione del corpo alla sua cancellazione». Alle ore 11, si terrà, invece, l’appuntamento «Nuove forme di bellezza», che metterà a confronto due generazioni di autrici del fumetto grazie alla partecipazione della veterana Anke Feuchtenberger, ammirata per il suo stile ipnotico e onirico, e della giovane Alice Socal.  Mentre, alle ore 12, Alex Bodea, Max Baitinger ed Émile Gleason saranno protagonisti dell’appuntamento on-line «Contro i bordi. Corpi, spazi e confini nel nuovo fumetto comico». A seguire la scrittrice Claudia Durastanti proporrà dapprima -alle ore 15.30- una riflessione sul ruolo del corpo nella fantascienza femminile e poi -alle ore 16.30 – intervisterà, nell’incontro «Ai confini del corpo. Visioni di futuri possibili tra natura e tecnologia», la spagnola Ana Galvañ,  che ha portato nuova linfa al genere della fantascienza a fumetti. Infine, alle ore 17.30, ci sarà l’appuntamento «Born This Way. Il disegno e il racconto di sé come scoperta e trasformazione» sulla multiforme arte di Nicoz Balboa, in cui diario e autobiografia diventano un’appassionata e ironica riflessione sull’identità, le relazioni, le lotte e le gioie dell’esistenza.
Domenica 29 novembre, quella che avrebbe dovuto essere la giornata conclusiva del festival diventa, invece, l’inizio di «BBB continua», un ciclo di interviste che proseguiranno on-line fino a gennaio, a cadenza settimanale, sui canali del festival, con gli autori di alcuni dei migliori graphic novel usciti in Italia nel 2020. Si comincerà, alle ore 14.30, con Luca Negri e il suo «Controspionaggio» (Coconino Press - Fandango), intricata storia di complotti di guerra, terrorismo, morti e rinascite. Si proseguirà, alle ore 15.30, con Émilie Gleason e il suo graphic novel «Ted, un tipo strano» (Canicola). Alle ore 16.30, sarà la volta di «Pregnancy Comic Journal» (Feltrinelli) di Sara Menetti, diario della gravidanza dell'artista, raccontato con spiazzante onestà.
Gli incontri continueranno, poi, per tutto il mese di dicembre con Armin Barducci («Tales of an imaginary Dead Man», Eris Edizioni), Antonia Kühn («La radura», Diabolo), Jesse Jacobs («Crawl Space», Eris Edizioni) e l’esordiente Miguel Vila («Padovaland», Canicola).
Tutti i titoli presentati durante e dopo il festival saranno in vendita in una rete di librerie indipendenti a Bologna, Roma, Torino, Milano, Venezia e Bari. BilBOlbul vuole così mettere in circolo i titoli più interessanti di un anno non facile per l’editoria e supportare le librerie, che hanno vissuto momenti di difficoltà, ma che hanno anche saputo riorganizzarsi e diventare presidi culturali territoriali di grande importanza, grazie alla capacità di attivarsi con servizi di consegna a domicilio e vendite on-line.
Un calendario, dunque, ricco quello del festival bolognese, che racconterà il mondo del fumetto attraverso stili e voci differenti, dimostrando come oggi il graphic novel sia un genere capace di decifrare questioni complesse e di raccontarle con una prospettiva nuova contribuendo così a creare una cultura aperta al confronto e alla diversità. 

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