ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 19 marzo 2021

Svizzera, ad aprile riapre il Monte Verità. Michelangelo Pistoletto, Joseph Beuys ed Elisàr von Kupffer tra i protagonisti della nuova stagione culturale

Negli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento il versante svizzero del Lago Maggiore diventò destinazione privilegiata di un gruppo di solitari anticonvenzionali, che trovarono nel Canton Ticino un terreno fertile in cui piantare una sorta di società hippie ante litteram. Il territorio del Monte Monescia, sopra Ascona, rappresentava, infatti, per questi pensatori emancipati l’antitesi a un mondo industrializzato, un santuario per lo spirito, dove dedicarsi all’amore libero, al vegetarismo, ai bagni di sole, al nudismo e alla psicanalisi.
I fondatori giunsero da ogni dove: Henry Oedenkoven da Anversa, la pianista Ida Hofmann dal Montenegro, l’artista Gusto Gräser e il fratello Karl Gräser dalla Transilvania. 
Unite da un ideale comune, queste persone fondarono sulla montagna svizzera, ribattezzata Monte Verità, un'organizzazione sociale basata su un sistema cooperativo e autarchico, che vedeva teosofi, riformatori, anarchici, comunisti, socialdemocratici, psicoanalisti, scrittori e artisti, alcune tra le menti più brillanti di tutta Europa, vivere lavorando giardini e campi, costruendo capanne in legno, rilassandosi tra le bellezze della natura, che interpretavano simbolicamente come un'opera d’arte ultima.
Negli anni, il Monte Verità vide approdare figure come Hermann Hesse o il coreografo Rudolf von Laban, le danzatrici Mary Wigman e Isadora Duncan, gli artisti Hugo Ball, Hans Arp, Marianne von Werefkin e Alexej von Jawlensky.
Nel 1920, dopo che i fondatori emigrarono in Brasile, al Monte Verità seguì un breve periodo bohémien, che durò finché il complesso venne acquistato come residenza dal barone von der Heydt, banchiere dell’ex imperatore Guglielmo II e uno dei maggiori collezionisti di arte contemporanea ed extra-europea. il Monte Verità visse così una seconda straordinaria stagione culturale.
La costruzione di un albergo in stile Bauhaus fu affidata all'architetto Emil Fahrenkamp, progettista dell’edificio Shell di Berlino. Grazie alla costruzione dell’albergo, molti maestri del Bauhaus abitarono la collina. Tra di loro ci furono Gropius, Albers, Bayer, Breuer, Feiniger, Schlemmer, Schawinksy o Moholy-Nagy, tutti sedotti e affascinati dal magnetismo di un luogo dove – come disse Ise Gropius – «la nostra fronte sfiora il cielo…».
Nel 1964, alla morte del barone Eduard von der Heydt, il Monte Verità diventò, per lascito testamentario, proprietà del Cantone Ticino, che lo trasformò in un luogo per manifestazioni culturali, una realtà poliedrica che è insieme un albergo, un ristorante, una piattaforma per convegni del Politecnico di Zurigo e un centro per esposizioni e incontri dedicati all'arte, alla filosofia, alla letteratura e all'attualità.
«Gli ultimi dodici mesi - racconta Nicoletta Mongini, responsabile culturale della Fondazione Monte Verità - sono stati complessi anche per la programmazione delle proposte per il pubblico. La nostra bussola è sempre rimasta puntata sul dialogo, sull’incontro e sullo scambio con le persone che, prima possibile, potranno tornare a frequentare il Monte Verità. Le riflessioni e gli stimoli che in questo ultimo anno hanno coinvolto tutti hanno consolidato la nostra consapevolezza di essere in un luogo dove natura, interiorità, spiritualità, arte e bellezza sono stati principi fondativi e mai abbandonati».
Anche se l’anno in corso presenta ancora molte incognite, giovedì 1° aprile il Monte Verità ritornerà ad accogliere nuovamente il pubblico con un appuntamento speciale, atteso dallo scorso anno: tornerà alla luce il «Chiaro mondo dei beati», il grande polittico circolare di Elisàr von Kupffer (1872-1942) esposto nel Padiglione Elisarion, che suggella il completamento del complesso museale dopo un importante restauro ritardato dalla pandemia.
Il grande dipinto panoramico, con ottantaquattro figure nude e vagamente aureolate, qui e là ornate di fiori o nastri, immerge il visitatore nella poetica di un artista unico nel suo genere, inserito nel contesto della collina asconese grazie alla lungimiranza e alla visione del celebre curatore Harald Szeemann.
A seguire, nel mese di maggio, tornerà il momento dedicato a «Giardini in arte», rassegna simbolo della stretta unione tra arte e natura, che caratterizza l’attività di Monte Verità sin dalla sua nascita. Protagonisti di questa edizione quattro artisti italiani e svizzeri – Francesca Gagliardi, Marco Cordero, Johanna Gschwend e Moritz Hossli – che, dopo una residenza nell’estate 2020, presenteranno una serie di lavori ispirati agli umori e l'identità del luogo.
Partendo da trine e ricami, Francesca Gagliardi realizzerà scudi in bronzo e alluminio, allegoria di una femminilità forte e volitiva, e una scultura monumentale a forma di rossetto, feticcio totemico che allude alla fragilità della bellezza e alla caparbia fermezza femminile. Marco Cordero presenterà, invece, un calco della celebre roccia affacciata sul Lago Maggiore, uno dei punti magnetici del Monte Verità, e quello di una parete di pietra, prelievo semantico di una porzione di natura. Inoltre, nella biblioteca del barone von der Heydt, l’artista modificherà lo spazio con volte di libri cuciti, scavati, scolpiti, mattoni di un’architettura di carta. Mentre Johanna Gschwend e Moritz Hossli proporranno un video del dialogo aperto tra il lavoro di Gagliardi e Cordero e l’ambiente circostante, documentando il loro avvicinamento allo spirito originale del Monte Verità. Infine, con l’installazione «Monte», Johanna Gschwend inviterà il visitatore a deporre piccoli pezzi di corteccia su un nastro mobile, partecipando alla costruzione di un piccolo cumulo, allegoria del monte e della sua genesi.
Sempre a maggio il Monte Verità ospiterà una nuova versione del «Terzo Paradiso» di Michelangelo Pistoletto, un’opera che è la perfetta espressione del concetto di infinito e di incontro tra natura e artificio che verrà realizzata con le pietre della collina.
Mentre a luglio Fabrizio Dusi porterà sul Monte Verità un nucleo di opere site-specific: neon, ceramiche e forme in alluminio con parole-simbolo ispirate ai temi iconici dell'ideale monteveritano del paradiso anarchico come «Liberi», «Anarchy» e «Utopia», oltre a immagini evocative di un ritorno allo stato di natura. 
Nel cuore del parco la coppia «Eva e Adamo» si ricollegherà al ciclo pittorico «Giardino dell’Eden» nella sala congressi: una narrazione di circa sette metri con scene tipiche della vita della colonia, fra girotondi, danze, bagni di sole, con un evidente rimando visivo al «Il chiaro mondo dei beati» del Padiglione Elisarion. Alcune di queste opere entreranno a far parte del patrimonio della Fondazione Monte Verità.
Ad agosto, inoltre, il «Cabaret Voltaire» si trasferirà al Monte Verità per un fine settimana di performance e letture sceniche con artisti internazionali, tornando alle origini del filo ideale che univa Zurigo e Ascona alla nascita del movimento Dada.
Nonostante le incertezze e le necessarie limitazioni, il programma 2021 comprenderà anche appuntamenti di riflessione e di approfondimento, in presenza e on-line: dall’omaggio a Joseph Beuys nel centenario dalla sua nascita agli incontri dedicati a figure femminili di Casa Anatta, come la baronessa Saint Léger, Olga Fröbe Kapteyn e Charlotte Bara.
Tornerà al Monte Verità anche Stefania Mariani, con una passeggiata teatrale nella natura, in cui lo spettatore sarà protagonista di un’esperienza immersiva. Un calendario, dunque, ricco quello messo in cantiere per il 2021, un altro anno che sarà caratterizzato dal turismo di prossimità e da un'estate all'insegna delle bellezze naturali. 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Esercizio di euritmia sul Monte Verità, 1904. Al centro, Raphael Friedeberg (con cappello), poi da s. a d. Henri Oedenkoven e Ida Hofmann, Anni Pracht, Cornelius Gabes Gouba e  Mimi Sohr. Sullo sfondo, Casa Selma. Courtesy Fondazione Monte Verità e Fondo Harald Szeemann; [fig. 2] Rudolf von Laban con le sue allieve, tra le quali Mary Wigmann, Ascona, 1914. Fondo Suzanne Perrottet. (in particolare, da sinistra: Totimo, Suzanne Perrottet, Katja Wulff, Maja Lederer, Betty Baaron Samoa e Rudolf von Laban), Fotografia di Johann Adam Meisenbach. Courtesy Fondazione Monte Verità e Fondo Harald Szeemann; [fig. 3] Fabrizio Dusi. Vaso; [fig. 4] Francesca Gagliardi. Corona; [fig. 5] Marco Cordero. Cora; [figg. 6 e 7] Elisàr von Kupffer, Il Chiaro Mondo dei Beati, particolare

Informazioni utili 
Fondazione Monte Verità, Strada Collina, 84 – Ascona (Svizzera), tel. +41917854040, fax +41917854050, info@monteverita.org. Sito internet: www.monteverita.org

giovedì 18 marzo 2021

Una nuova casa per il «Polittico dell’Agnello mistico». Alla cattedrale di San Bavone apre il Visitor Center

«Immensamente prezioso e stupendamente bello»: con queste parole Albrecht Dürer parlava, nel 1521, del «Polittico dell’Agnello mistico», monumentale capolavoro (della grandezza di 470×300 cm) a firma di fratelli Hubert e Jan van Eyck, realizzato tra il 1426 e il 1432 per la cattedrale di San Bavone a Gand, nelle Fiandre, dove tutt’oggi è conservato.
La preziosa pala d’altare - caposaldo del Rinascimento fiammingo con i suoi dodici pannelli di quercia con al centro il tema iconografico della redenzione, otto dei quali dipinti recto e verso, - è fresca di uno dei più ambiziosi progetti di restauro intrapresi in Belgio, che ha visto al lavoro negli ultimi sette anni il prestigioso Kik-Irpa - Koninklijk instituut voor het kunstpatrimonium-Institut royal du patrimoine artistique di Bruxelles, sotto la direzione di Hélène Dubois.
L’opera sarà visibile dal prossimo 25 marzo all’interno dell’atteso Visitor Center, avveniristico centro esperienziale dedicato alla cattedrale gotica e alle opere d’arte custodite al suo interno.
Il visitatore vi accederà dalla cripta, che è stata oggetto di un importante lavoro di ampliamento e ristrutturazione. Da qui avrà inizio un tour che permetterà di rivivere la travagliata storia del Polittico, per mezzo di una tecnologia all’avanguardia che si avvale della realtà aumentata.
Il percorso sarà accompagnato da un assistente virtuale, disponibile in nove lingue, che guiderà il visitatore da una cappella all'altra. In ognuna, per mezzo di occhiali speciali o di un tablet di realtà aumentata, sarà possibile vedere l'ambiente circostante, ma l'immagine in 3D si sovrapporrà a quella reale, diventando parte integrante dell'esperienza.
Il Polittico dei fratelli van Eyck sarà collocato, nello specifico, nella Cappella del Sacramento, nel deambulatorio, che è risultato essere il luogo più adatto, essendo sufficientemente spazioso per accogliere la teca in vetro, che garantirà il microclima ottimale per la conservazione dell’opera, ma anche per consentire la visuale sia sui pannelli esterni che interni.
Il progetto di restauro che ha portato alla creazione del Visitor Center, realizzato da Bressers Architects, è stata una sfida importante: in passato, infatti, della cattedrale di San Bavone a Gand era accessibile solo la chiesa inferiore; dal 25 marzo, con l’aggiunta di un nuovo ascensore e di scale, oltre che con la riprogettazione di alcuni degli antichi muri in pietra della cattedrale, anche la cripta, il coro e le cappelle absidali saranno interamente visitabili.
Commissionata nel 1426 a Hubert van Eyck - «maior quo nemo repertus», «pittore di cui non si è trovato uno più grande» - dal nobile Joos Vijd, l’opera fu portata a termine sei anno dopo dal fratello dell’artista, Jan van Eyck. Il passaggio di consegne si nota in un’iscrizione collocata sulla cornice del polittico, che il recente restauro ha confermato essere originale.
Al momento del suo completamento, nel 1432, il lavoro sorprese i contemporanei per la brillantezza, la vivacità e l’utilizzo dei colori, ma anche per i mille dettagli mai superflui delle ventisei scene realizzate, che raffigurano l’Agnello Mistico, simbolo di Cristo, adorato nel giardino del Paradiso da Angeli, Santi, Buoni Giudici, Cavalieri, Eremiti, Pellegrini.
Il Polittico dei fratelli van Eyck ha una storia avventurosa che oggi, grazie al Visitor Center, sarà possibile scoprire. Montato, smontato, disassemblato, venduto, contrabbandato, copiato, censurato, attaccato dagli iconoclasti, nascosto, e addirittura segato – oggetto di ben tredici reati e sette furti -, il dipinto rischiò di andare quasi distrutto in un incendio, scoppiato il 1° giugno del 1640 all’interno della Cattedrale di Gand.
Non sorte migliore ebbe nei secoli successivi, soprattutto in epoca recente. Nel 1794 l’opera trovò, per esempio, sulla sua strada Napoleone Bonaparte, che trafugò i pannelli centrali, restituiti a Gand solo nel 1815.
Durante la Prima guerra mondiale, il dipinto venne nuovamente smembrato, ma con il Trattato di Versailles tutti gli scomparti, anche quelli legalmente acquistati dal mercante Edward Solly nel 1816, per entrare a far parte delle collezioni dei Musei reali di Berlino, vennero restituiti per contribuire al risarcimento che la Germania doveva versare agli Stati vittoriosi e in parziale compensazione per i danni inflitti al Belgio in guerra. 
La storia si ripeté durante la Seconda guerra mondiale quando, come viene raccontato anche nel film «Monuments Men», i nazisti sottrassero l’opera, che era stata trasferita per sicurezza in Francia - in un museo locale a Pau, sui Pirenei francesi-, e la nascosero in una miniera di sale di Altaussee. Qui fu recuperata, nel 1945, dalla Task Force degli Alleati dedicata alla messa in salvo delle opere d’arte europee. Alla cerimonia che sancì il ritorno a Gand i belgi non vollero i francesi, stigmatizzando il collaborazionismo del Governo di Vichy per aver consegnato l’opera ad Adolf Hitler, che voleva esporla nel suo mai nato museo di Linz.
Ecco perché oggi, a causa di queste tante rocambolesche vicende, sembra quasi un miracolo riuscire ad ammirare il polittico in tutta la sua ritrovata bellezza, scoprendone dettagli e curiosità anche grazie alle più recenti scoperte della tecnologia.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico, 1426-1432. Olio su tela, cm 258 x 375.Cattedrale di San Bavone, Gand. Polittico aperto; [fig. 2] Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico, 1426-1432. Olio su tela, cm 258 x 375.Cattedrale di San Bavone, Gand. Polittico aperto. Polittico chiuso; [fig. 3] Render del nuovo Visitor Center di Gand by De Kwekerij; [figg. 4 e 5] Visitatori a Gand. Foto di Bas Bogaert; [fig. 6] Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico, 1426-1432. Olio su tela, cm 258 x 375.Cattedrale di San Bavone, Gand. Particolare Adamo e Coro angelico 

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mercoledì 17 marzo 2021

Al via il restauro dell’opera «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939» di Piet Mondrian

Palazzo Venier dei Leoni, la sede veneziana della Collezione Peggy Guggenheim, è chiusa al pubblico per effetto delle disposizioni governative per contrastare la pandemia da Coronavirus, ma all’interno si continua a lavorare in attesa di tornare ad accogliere i visitatori. È notizia di questi giorni l’inizio del progetto di studio e conservazione sull’opera «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939» (1938 – 1939) di Piet Mondrian, che verrà avviato nel corso del mese di marzo dal dipartimento di conservazione del museo.
Dopo il restauro di «Alchimia» (1947) di Jackson Pollock, de «Lo studio» (1928) di Pablo Picasso e della «Scatola in una valigia» (1941) di Marcel Duchamp, sarà, quindi, un’altra icona dell’arte del XX secolo appartenente alla collezione lagunare a essere presa in esame. Lo studio dell’opera è fondamentale per una piena comprensione dei materiali e delle tecniche adottate da Piet Mondrian, e ripercorrere le tappe storiche della sua conservazione è un ulteriore elemento-guida in vista di un possibile intervento di restauro.
Tra le opere più amate dal pubblico, «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939» ha la capacità di catturare lo sguardo dell’osservatore grazie all’equilibrio armonico dato dal ritmo e dalla purezza delle forme e dall’intersezione tra linee orizzontali e verticali. Il doppio titolo rimanda a una rielaborazione dell’opera da parte dell’artista. L'indagine scientifica determinerà la posizione del colore grigio nella prima versione del quadro, «Composizione n.1 con grigio e rosso» del 1938, poi rimosso dall’artista stesso, con il conseguente cambiamento del titolo in «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939».
Nel 1943 Max Bill, architetto, designer amico di Mondrian, a cui l’artista mandava spesso immagini dei progressi delle sue opere, fra cui una di «Composizione con rosso», scrive che la prima versione dell’opera includeva un piccolo riquadro grigio in alto a sinistra. Durante una conversazione con Angelica Rudenstine, autrice del catalogo ragionato della collezione Peggy Guggenheim, è la stessa mecenate americana, che acquisì l’opera nel novembre del 1939, a suggerire che Mondrian avrebbe modificato il dipinto a New York, prima dell’apertura della galleria-museo Art of This Century, nel 1942, e che quindi questo cambiamento si sarebbe potuto verificare fra il 1941 e appunto il 1942.
Tuttavia in una riproduzione dell’opera sul «London Bulletin» del 1939 il quadro sembra già essere stato rielaborato data l’assenza del riquadro grigio. Rimane, dunque, possibile che Mondrian sia nuovamente intervenuto sull’opera prima dell’inaugurazione di Art of This Century, senza però alterarne drasticamente la composizione come nell’intervento del ‘39. L’artista era solito tornare sui suoi dipinti perfezionando il nero delle linee e le tonalità sottili del bianco.
«Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939» è uno dei pochi dipinti su cui l’artista olandese lavorò durante il suo soggiorno di due anni a Londra, tra il 1938 e il 1940, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Sono anni in cui Mondrian cerca di abbandonare il più possibile la sua soggettività. Questa necessità può portare a interpretare la semplicità delle opere di questo periodo come una risposta alle ulteriori complicazioni di quell’epoca. In questa luce, il dipinto assume una grande importanza storica, quale manifesto dell’estetica semplificata del Neo-plasticismo. Si tratta di fatto di una delle composizioni più riduttive dal punto di vista cromatico, severa e austera e, allo stesso tempo, opera intuitiva e schema astratto di incertezza e ricerca dell’ordine in uno dei periodi più difficili della nostra storia.
È proprio a Londra, nel 1938, che Peggy Guggenheim rimane affascinata dal lavoro di Mondrian, tanto che l’artista diviene uno dei principali punti di riferimento della cerchia degli avanguardisti che costellano la vita della collezionista. Numerosi sono gli aneddoti che caratterizzano il loro singolare rapporto di amicizia, come la passione di Mondrian per il ballo, sebbene l’artista avesse all’epoca già settant’anni, ascoltare il jazz e partecipare a eventi mondani e feste, come racconta la mecenate stessa nella sua autobiografia «Una vita per l’arte» (Rizzoli Editori, Milano, 1998).
Il progetto di studio interdisciplinare sarà coordinato da Luciano Pensabene Buemi, conservatore della collezione, che eseguirà il restauro dell’opera e supervisionerà la collaborazione con l’Ispc - Istituto di scienze del patrimonio culturale, e Scitec - Istituto di scienze e tecnologie chimiche del Cnr - Consiglio nazionale delle ricerche, che saranno coinvolti con le tecnologie più avanzate messe a punto per lo studio non invasivo della tela in situ.
Le analisi scientifiche consentiranno l'identificazione dei materiali e delle tecniche impiegate da Mondrian e consentiranno un costante monitoraggio del dipinto durante il restauro. Lo studio coinvolgerà i dipartimenti di conservazione e curatoriale della collezione Peggy Guggenheim e del museo Solomon R. Guggenheim di New York. A sovrintendere il progetto saranno Lena Stringari, deputy director, e Andrew W. Mellon, conservatore capo della Fondazione Solomon R. Guggenheim, insieme a Gillian McMillan, capo conservatore associato del Museo Solomon R. Guggenheim, apportando al progetto la loro precedente esperienza sulle opere di Mondrian. Lo studio comparativo con dipinti dell’artista non sottoposti a restauro e il dialogo con esperti del settore, inclusi curatori, storici dell'arte, conservatori e scienziati, saranno cruciali per questo progetto. Tale ricerca, insieme al dialogo interdisciplinare, garantiranno il restauro, ben meditato e consapevole delle problematiche connesse, di un capolavoro dell’arte del Novecento come appunto «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Peggy Guggenheim nel padiglione greco, dove espone la sua collezione, alla XXIV Biennale d’Arte di Venezia, accanto a Jacques Lipchitz,« Pierrot seduto» (1922); sul fondo Piet Mondrian, «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939» (1938-39); 1948. Fondazione Solomon R. Guggenheim. Photo Archivio Cameraphoto Epoche. Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005;  [fig. 2] Piet Mondrian (1872 – 1944), «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939», 1938-39. Olio su tela montata su supporto di legno, tela 105,2 x 102,3 cm; pannello 109,1 x 106 x 2,5 cm. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York; [fig. 3] La Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Venezia. © Collezione Peggy Guggenheim, Venezia. Photo Matteo De Fina; [fig. 4] La Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Venezia. Sulla terrazza sul Canal Grande: Marino Marini, «L’angelo della città», 1948 (fusione 1950?). © Collezione Peggy Guggenheim, Venezia. Photo Matteo De Fina; [fig. 5] La Collezione Peggy Guggenheim, Palazzo Venier dei Leoni, Venezia. Piet Mondrian, «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso 1939», 1938–39. © Collezione Peggy Guggenheim, Venezia. Photo Matteo De Fina

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